Spiegazione dei sedici aspetti delle quattro nobili verità

Il sentiero buddhista come il contesto delle quattro nobili verità

Mi è stato chiesto di parlare delle quattro nobili verità secondo il Vajrayana. La loro discussione nella tradizione Vajrayana può essere affrontata in due modi, specificatamente nel modo in cui sono presentate nel tantra, oppure possiamo esaminare il Vajrayana come un modo per riferirsi alla tradizione tibetana del Buddhismo che unisce lo studio sia del sutra che del tantra.

Cominciamo con il modo in cui il sutra e il tantra ne parlano insieme. Questo è il modo principale in cui sono solitamente presentati nella tradizione tibetana. Si basa sulla tradizione Mahayana indiana di un testo particolare di Maitreya, un Buddha futuro. Lui scrisse molti testi, incluso un grande commentario sui Sutra della Prajnaparamita, o i Sutra sulla Perfezione della Saggezza, in cui ci sono molti dettagli riguardanti il sentiero e tutte le realizzazioni che uno ottiene lungo il sentiero che porta alla liberazione e all’illuminazione. Il titolo del testo si traduce come Filigrana di realizzazioni, e ciò indica la moltitudine di realizzazioni potenziali lungo il sentiero. 

I sedici aspetti delle quattro nobili verità

Le quattro nobili verità hanno sedici aspetti, quattro per ciascuna delle verità. Queste includono il focus principale della meditazione sul sentiero che conduce sia alla liberazione che all’illuminazione. Quando parliamo della liberazione e dell’illuminazione, la liberazione si riferisce a superare un set di oscuramenti che offuscano la mente, gli oscuramenti emotivi. Essi includono emozioni e atteggiamenti disturbanti come rabbia, desiderio bramoso, ingenuità, ignoranza, confusione, e così via, più le loro tendenze. Quando superiamo tutte queste e le loro tendenze, più gli impulsi karmici ad agire sotto la loro influenza, otteniamo la liberazione.

Un modo in cui possiamo ottenere la liberazione è come uno shravaka, un ascoltatore degli insegnamenti, che fondamentalmente segue ciò che viene chiamato il sentiero “Hinayana”, il veicolo modesto – non un gran bel nome in effetti. Nell’Hinayana ci sono diciotto scuole e una di loro è la Theravada. Non abbiamo davvero un nome per tutte e diciotto, ma dobbiamo comprendere come il Theravada sia solo una di queste. Possiamo anche praticare per raggiungere la liberazione come un pratyekabuddha, qualcuno che pratica durante i periodi bui tra le ere in cui i Buddha sono presenti per insegnarci. I pratyekabuddha lavorano sulla base dei loro istinti senza nessun maestro.

Possiamo seguire il sentiero in uno di questi due modi verso la liberazione, oppure possiamo seguirlo come parte del sentiero dei bodhisattva. Da bodhisattva, otterremmo la liberazione e poi andremmo oltre per raggiungere l’illuminazione. Per ottenere l’illuminazione, non solo abbiamo bisogno di superare questi oscuramenti emotivi che impediscono la liberazione, ma abbiamo bisogno anche di superare un set più profondo di oscuramenti. Sebbene questi siano descritti in molti modi dalle differenti scuole filosofiche buddhiste, li possiamo chiamare oscuramenti cognitivi. Questi sono gli oscuramenti che ci impediscono di ottenere l’onniscienza.

Emozioni e atteggiamenti disturbanti si basano sulla confusione riguardo la realtà, confusione su come noi esistiamo e su come esista ogni cosa. Il problema è che la nostra mente fa apparire le cose in un modo confuso e falso, come se ogni cosa fosse solida e concreta. È come se ogni cosa avesse una grossa copertura di plastica o una grossa linea attorno che la rende singola e separata da tutto il resto. Pensiamo di esistere in questo modo, e pensiamo inoltre che “Io sono al centro dell’universo”, e tutto il resto è “là fuori” con queste grosse linee attorno ad ogni cosa. Questo è certamente disorientante. Credendo in questo come base, agiamo in ogni genere di modi inappropriati e spiacevoli. Per ottenere l’illuminazione, abbiamo bisogno di superare questo aspetto della mente che fa apparire le cose in questo modo disorientante, in cui non vediamo come ogni cosa sia connessa a tutto il resto. Questo aspetto si riferisce alle abitudini costanti per le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti. Questi costituiscono gli oscuramenti cognitivi.

Se non riusciamo a vedere come ogni cosa sia in relazione a tutto il resto, non potremo comprendere come possiamo davvero aiutare tutti. Per essere in grado di aiutare tutti, abbiamo bisogno di comprendere ogni piccola cosa che ha influenzato ciascuna persona da un tempo senza inizio. Dobbiamo conoscere tutti i fattori differenti di ciò che ciascun essere ha fatto nelle vite precedenti, cosa gli è accaduto, tutti i fattori storici che li hanno influenzati e così via. Ogni cosa è connessa a tutto il resto. Abbiamo anche bisogno di sapere, se insegnamo qualcosa a una persona, quale sarà l’effetto di tale insegnamento. Come ciò influenzerà non solo questa persona, ma tutte le persone che incontrerà da ora fino alla loro liberazione? Certamente questo non è molto semplice da comprendere. Se la nostra mente fa apparire le cose in questi piccoli pacchetti di plastica, allora non riusciamo a vedere la connessione tra tutte le cose. Non possiamo davvero comprendere tutti i motivi per cui succede qualcosa con qualcuno e tutti gli effetti di come interagiamo con loro.

È questo ciò che dobbiamo superare per diventare un Buddha. Questi sono oscuramenti cognitivi. Ciò che oscurano è la natura di Buddha, la natura della mente, che è capace di comprendere ogni cosa e di vedere tutte le interconnessioni. Quindi, da bodhisattva, abbiamo bisogno di superare non solo tutte le emozioni disturbanti e la confusione, ma in aggiunta, abbiamo bisogno di evitare che la nostra mente proietti queste apparenze false e disorientanti. La mente genera queste apparenze false, e noi ci crediamo, e agiamo come se le cose effettivamente esistessero in quel modo.

Se riusciamo a ottenere la liberazione, noi diventeremo un arhat, un essere liberato. In quanto arhat, la nostra mente ancora genera tutte queste apparenze disorientanti, ma noi non ci crediamo più. Sappiamo che sono solo spazzatura, che non sono vere. Non corrispondono alla realtà. Ovviamente, sapendo questo, non ci turbiamo, non agiamo [compulsivamente] eccetera. Tuttavia, questo non è sufficiente perché ancora non sappiamo come aiutare tutti nel modo migliore.

I cinque percorsi mentali

Per raggiungere la liberazione e l’illuminazione, seguiamo un certo sviluppo della mente che viene descritto mediante cinque sentieri. È lo sviluppo della nostra comprensione e del nostro carattere. Questi sono effettivamente percorsi mentali, e ciascuno è un livello della mente che funge da sentiero per raggiungere la liberazione e l’illuminazione. Tutto questo comincia con la rinuncia.

La rinuncia è quando abbiamo una forte determinazione ad essere liberi, liberi da tutta la sofferenza terribile e orribile che proviamo. Ne abbiamo avuta abbastanza e non vogliamo provarla mai più. Vogliamo essere liberi non soltanto dalla sofferenza di questa vita, ma anche dalla rinascita che si ripete in modo incontrollabile con tutti gli stessi problemi che ricapitano di nuovo.

La rinuncia ha due aspetti. Non è che semplicemente vogliamo liberarci dalla sofferenza, ma senza dover rinunciare a nulla. Siamo disposti a rinunciare a tutto, inclusa tutta la confusione, le emozioni disturbanti e così via, che stanno causando le nostre sofferenze con la rinascita che si ripete in maniera incontrollabile, il samsara.

La rinuncia e il bodhichitta spontanei: l’inizio

La rinuncia spontanea è quando nessun sforzo è necessario per seguire in maniera logica le motivazioni sottostanti il nostro desiderio di liberarci dalla sofferenza eccetera. Grazie a questo, la rinuncia è semplicemente parte di tutto il nostro obiettivo della vita, a prescindere se ci stiamo pensando o no. A questo punto, iniziamo questi percorsi mentali. È qui che iniziamo. Prima di questo, ci stiamo semplicemente sforzando di salire sul treno, per così dire, il veicolo della mente che ci porterà alla liberazione. Saliamo effettivamente sul treno quando sviluppiamo questa rinuncia in modo spontaneo.

Inoltre, sviluppiamo il bodhichitta spontaneo allo stesso modo. Il bodhichitta è quando la mente punta alla nostra illuminazione futura, non l’illuminazione in generale, non l’illuminazione del Buddha, ma la nostra illuminazione individuale, che non è ancora avvenuta. Comprendiamo, tuttavia, che possiamo ottenere questa illuminazione grazie alla nostra natura di Buddha eccetera. Ci concentriamo su questo, sappiamo che ancora non l’abbiamo raggiunta, ma che questo è il nostro obiettivo. Puntiamo all’illuminazione perché vogliamo essere in grado di aiutare tutti nella maniera più completa possibile, e l’unico modo per realizzare questo scopo è di ottenere l’illuminazione.

Poi, quando avremo uno sviluppo spontaneo del bodhichitta – è sempre lì tutto il tempo senza dover pensare alle motivazioni e a tutti i ragionamenti logici – cominceremo i cinque sentieri Mahayana. Man mano che avanziamo attraverso questi cinque sentieri, questi cinque percorsi mentali, ciascuno di essi è un livello della mente, un livello di comprensione che ci porterà sempre più vicini all’obiettivo.

Il percorso mentale del costruire

Il primo percorso mentale è solitamente tradotto come “il sentiero dell’accumulazione”; tuttavia, accumulazione effettivamente significa “costruire”. Stiamo raccogliendo e costruendo tutti gli strumenti di cui avremo bisogno per ottenere la liberazione e l’illuminazione. Gli strumenti che si stanno costruendo sono lo shamatha e la vipashyana. Lo shamatha è uno stato mentale calmo e posato, senza nessuna distrazione, che non vaga verso oggetti di desiderio, senza nessun torpore mentale o cose del genere. È perfettamente concentrato con un senso di benessere – la sensazione esilarante di poterci concentrare perfettamente su ogni cosa per tutto il tempo che vogliamo.

La vipashyana è uno stato mentale eccezionalmente percettivo. Quando aggiungiamo la vipashyana allo shamatha, c’è una sensazione ulteriore di benessere, e sentiamo che la mente può comprendere tutto. Quando abbiamo entrambi questi strumenti focalizzati su una cognizione concettuale dei sedici aspetti delle quattro nobili verità, avremo completato la nostra realizzazione di questo primo livello del percorso mentale.

Il percorso mentale dell’applicazione e il percorso mentale del vedere

Con un percorso mentale dell’applicazione, solitamente tradotto come “il sentiero della preparazione”, noi applichiamo questa concentrazione e comprensione sempre di più, continuamente, alla nostra cognizione concettuale di questi sedici aspetti. Quando otteniamo una cognizione non-concettuale di questi, realizzeremo un percorso mentale del vedere, il cosiddetto “sentiero del vedere”, e diventeremo un arya.

“Non concettuale” significa conoscere qualcosa non attraverso qualche idea generale al riguardo o tramite una categoria, ma in maniera diretta senza affidarsi a una linea di ragionamento. Un arya è un essere altamente realizzato che possiede questa cognizione non concettuale. Con questo, cominciamo a eliminare dalla nostra mente un livello di oscuramenti emotivi.

Il percorso mentale della familiarizzazione e il percorso mentale dell’addestramento non più necessario

Dopo di questo, abbiamo bisogno di acquisire sempre maggiore familiarità con questa comprensione non concettuale. Questo avviene con un percorso mentale della familiarizzazione, o “sentiero della meditazione”. Con questo, eliminiamo dalla nostra mente livelli ulteriori di oscuramenti fino a quando non raggiungiamo l’obiettivo, il percorso mentale che non ha bisogno di addestramenti ulteriori come un arhat (un essere liberato) oppure un Buddha. Un arhat ha eliminato dalla sua mente soltanto gli oscuramenti emotivi, mentre un Buddha si è anche sbarazzato degli oscuramenti cognitivi.

Concentrarsi sulle quattro nobili verità

Durante tutto questo, ci concentriamo sulle quattro nobili verità e sulla mancanza di un sé impossibile che li sperimenta. “Nobile” si riferisce a un arya, colui che possiede questa cognizione non concettuale. Si chiamano le nobili verità, le verità degli arya, poiché le persone comuni non le comprendono. Le nobili verità che gli arya vedono non concettualmente sono completamente differenti dal modo in cui le persone comuni comprendono la vita. Gli arya vedono che ciò che comprendono le persone comuni è superficiale o non vero e loro, invece, vedono il vero modo in cui stanno le cose nella vita.

Man mano che cerchiamo di comprendere davvero queste quattro nobili verità e questi sedici aspetti, supereremo i sedici modi distorti di comprenderle, le sedici visioni errate al riguardo. Secondo la prospettiva tibetana, noi studiamo le quattro nobili verità poiché sono l’argomento principale di meditazione con i percorsi mentali. Vogliamo comprendere i sedici aspetti per sbarazzarci delle sedici comprensioni errate. Conoscere le comprensioni errate e quelle corrette è davvero molto utile, e non solo quando ci troviamo a questi livelli molto avanzati che stiamo discutendo. Assieme allo sviluppo di una forte motivazione di rinuncia o bodhichitta, è anche molto utile pensare a queste verità e aspetti molto prima di arrivare a tali livelli elevati [di realizzazione].

Quando ci concentriamo su questi sedici aspetti, ci sono due parti. Innanzitutto, ci concentriamo sui dettagli effettivi: quali sono gli aspetti e il fatto che sono veri. Ma, inoltre, ci concentriamo anche sul fatto che noi, che gli stiamo sperimentando, non esistiamo in qualche maniera impossibile – come, ad esempio, un “io” che esiste come qualche entità separata dentro la nostra testa e questi sedici aspetti come un’altra entità separata che esiste là fuori che non ha nessuna relazione con noi. Abbiamo bisogno di comprendere che sebbene la nostra mente ci faccia sembrare di esistere in ogni sorta di modi impossibili (modi impossibili a cui noi crediamo), queste apparenze false non corrispondono al modo in cui effettivamente esistiamo.

In breve, nessuno di questi 16 aspetti esiste in qualche modo impossibile: ricoperto di plastica, da solo, isolato da tutto il resto. Non c’è qualche “fatto” là fuori che abbiamo bisogno di imparare per passare un test o qualcosa del genere. E non c’è un “io” totalmente diverso, non connesso, a questi sedici, che deve impararli sebbene noi li sperimentiamo senza saperlo. Questo è in realtà ciò in cui consiste la meditazione sul sentiero spirituale che porta alla liberazione e all’illuminazione, assieme a una base di rinuncia e bodhichitta, che sono fondate sull’amore e la compassione eccetera.

I quattro aspetti della vera sofferenza

La vera sofferenza si riferisce ai cinque aggregati contaminati, usando il nostro corpo come esempio

Quali sono questi sedici aspetti? Per comprenderli, è necessario anche comprendere le quattro nobili verità con qualche maggiore dettaglio. Le vere sofferenze, il primo di questi aspetti, si riferisce ai cinque aggregati contaminati, come ad esempio il nostro corpo che funge da base tramite la quale sperimenteremo tali sofferenze. “Aggregati contaminati” è un termine tecnico, ovviamente, e abbiamo anche bisogno di comprendere cosa questo significhi.

Gli aggregati si riferiscono ad ogni cosa che forma la nostra esperienza. Ciascun momento della nostra esperienza è formato da una o più cose classificate in cinque gruppi, in altre parole, cinque aggregati. Questo schema di classificazione è semplicemente un costrutto mentale che ci aiuta ad analizzare e comprendere la nostra esperienza. In ciascun momento, uno o più oggetti da ciascuno di questi gruppi sarà presente come parte di ciò che stiamo sperimentando.

Cosa sperimentiamo in ciascun momento? Descriviamolo in un modo che ne renda facile la comprensione. Abbiamo qualche forma di coscienza, che si tratti di coscienza visiva, oppure di coscienza dell’udito, dell’olfatto, del gusto, del provare una sensazione fisica o di una coscienza mentale, ad esempio quando si pensa o si sogna. In ciascun momento, siamo su uno di questi canali, come un canale televisivo.

Poi, in ciascun momento, c’è qualche forma di fenomeno fisico che è percepito o conosciuto da uno di questi tipi di coscienza; potrebbe essere una vista, un suono, un odore, un sapore, una sensazione fisica, o potrebbe essere pensare qualunque cosa. Inoltre, c’è qualche sensore cognitivo, come le cellule fotosensibili degli occhi su cui la vista dipende. Ovviamente, il nostro corpo è anche lì come il luogo fisico in cui avvengono queste cognizioni, ma nello schema dei cinque aggregati il corpo è incluso soltanto come il sensore delle sensazioni fisiche.

Poi, c’è la sensazione di un livello di felicità. Il termine “sensazione” si riferisce soltanto a questo e non alle emozioni. Come ci sentiamo? È una sensazione di felicità o infelicità? Quando vediamo qualcuno, ci sentiamo felici o infelici per averli visti? E che dire quando pensiamo a loro? Felicità significa [una sensazione] che vogliamo che continui, infelicità significa invece [una sensazione] che vogliamo che finisca. Un certo livello di sensazione è presente ogni singolo momento. Non dev’essere drammatico; ciononostante, un certo livello è presente in ciascun momento. In effetti, la sensazione è definita nei termini di come sperimentiamo la maturazione del nostro karma. Ad esempio, una persona mangia del formaggio e si sente molto felice; un’altra persona mangia lo stesso formaggio, lo odia e si sente molto infelice. Questo è il risultato del nostro karma.

In ciascun momento, abbiamo anche [l’attività mentale del] distinguere. Abbiamo bisogno di essere in grado di distinguere, ad esempio, le forme colorate del volto di qualcuno dalle forme colorate del muro. Se non possiamo distinguere questo, non possiamo davvero vedere la persona, giusto? Cosa stiamo vedendo? Stiamo vedendo punti di pixel colorati, giusto? Stiamo vedendo forme colorate. Abbiamo bisogno di essere in grado di metterle insieme per distinguere una cosa da un’altra cosa. Questo è sempre presente tutto il tempo. A volte viene chiamata “ricognizione”, ma non è una buona traduzione.

Per ultimo, il quinto, è tutto il resto, come ad esempio tutte le nostre emozioni, la concentrazione, la sonnolenza, eccetera.

Questi sono i cinque aggregati. In ciascun momento, abbiamo uno o più elementi da ciascuno di questi cinque, e nel loro insieme tutti questi generano la nostra esperienza. Ciò che stiamo sperimentando in ciascun momento cambia tutto il tempo, e ciascun componente in ciascuno di questi cinque cambia in modo differente. Stiamo vedendo, sentendo, e pensando cose differenti, e il nostro livello di felicità e infelicità va su e giù. Stiamo distinguendo un naso dal resto del volto, ad esempio. Fondamentalmente, stiamo distinguendo ogni sorta di cose. Ovviamente, in aggiunta, le nostre emozioni, la nostra concentrazione e il nostro interesse cambiano tutto il tempo. Tutte queste cose cambiano continuamente.

Noi chiamiamo questi aggregati “macchiati”, tradotti a volte come “contaminati”, che non è una parola molto carina. Cosa significa “macchiati”? Per comprenderlo, abbiamo bisogno di vedere come sorgono questi aggregati macchiati. Sorgono a causa delle nostre emozioni disturbanti, e in quel modo, sono macchiati da loro, inquinati in un certo senso dalle emozioni disturbanti. Che si tratti di attaccamento, rabbia, ingenuità, orgoglio, o gelosia, i cinque aggregati sono macchiati da queste emozioni disturbanti. Come risultato dell’essere macchiati, questi aggregati ‘macchiati’ si perpetuano da soli; creano ulteriori momenti di loro stessi. Questa è vera sofferenza.

Quali sono i quattro aspetti della vera sofferenza?

Il primo aspetto della vera sofferenza

Il primo dei quattro aspetti della vera sofferenza è che gli aggregati, prendendo l’esempio del corpo, sono fenomeni non statici. Non statici significa che non rimangono immobili; cambiano da un momento all’altro. Questo corpo e il continuum degli aggregati che si sperimentano sulla base di questo corpo giungeranno al termine quando moriremo. Ma poi avremo un altro corpo e più aggregati nella nostra vita successiva.

In aggiunta alla sofferenza per cui questo corpo e la vita sono temporanei e giungeranno alla fine è il fatto che in ciascun momento si avvicinano sempre di più alla loro fine. Ovviamente, ci sarà una continuità; ci sarà un’altra vita e un altro corpo, ma non stiamo parlando di questo. Stiamo parlando del fatto che all’interno di una vita, il corpo e questa vita termineranno a un certo punto, e in ciascun momento cambiano e si avvicinano alla fine. 

Il secondo aspetto della vera sofferenza

Il secondo aspetto della vera sofferenza è la sofferenza, e sebbene soltanto la parola “sofferenza” venga usata qui, forse abbiamo bisogno di un’altra parola, “miserabile”. Il secondo aspetto è che gli aggregati, usando l’esempio del corpo, sono miserabili. Perché sono miserabili? Sono miserabili perché, sulla base del nostro corpo, noi sperimentiamo tutti i momenti aggregati delle sofferenze di nascita, malattia, vecchiaia e morte. Ci sono cose che ci accadono che non vogliamo che accadano, spesso non otteniamo quello che vogliamo e così via.

Inoltre, come spiegato nel Buddhismo, ci sono tre tipi di sofferenza in generale. Un tipo di sofferenza è la sofferenza dell’infelicità. Potrebbe essere l’infelicità basata sul dolore o l’infelicità basata su quello che non ci piace, oppure potrebbe essere infelicità dovuta a molte, molte ragioni differenti. Non dovremmo semplicemente pensare a questo in termini di dolore fisico, ma anche mentale. Il dolore è semplicemente una sensazione fisica. Stiamo parlando della sensazione in cui siamo infelici riguardo qualcosa o qualche esperienza, vogliamo separarci da questa esperienza, e siccome non riusciamo a scacciarla via, soffriamo.

La seconda tipologia di sofferenza è la sofferenza del cambiamento, e questo si riferisce alla nostra felicità ordinaria. La nostra felicità ordinaria è un grande problema. Perché è un problema? È perché non dura, e non sappiamo mai quando finirà o cosa accadrà dopo. Non è mai abbastanza. È frustrante e non ci soddisfa mai. La nostra felicità ordinaria, sebbene potremmo godercela per un po’, non ci offre nessuna sicurezza. Anche quando il nostro corpo è forte e in salute, non sappiamo mai quando ci beccheremo un raffreddore, vero? Questo è il secondo tipo di sofferenza.

Il terzo tipo di sofferenza, chiamata “sofferenza onnipervasiva”, è ciò di cui parliamo specificatamente nel Buddhismo. La sofferenza onnipervasiva si riferisce al fatto che abbiamo questo corpo macchiato e in base a questo sperimentiamo gli aggregati macchiati. Influenzati costantemente dalla rabbia, il desiderio, l’attaccamento e così via, l’avere un corpo e sperimentare tali aggregati si perpetuano da soli. Questa è la base per continuare ad essere ripetutamente infelici o sperimentare questo tipo ordinario di felicità, la sofferenza del cambiamento. Questo è il vero problema. Il vero problema consiste nell’avere ripetutamente questa base macchiata, come il nostro corpo.

Si dice a volte che se non avessimo una testa, non avremmo un mal di testa. Il problema non è il mal di testa; il problema è avere sempre il tipo di testa che avrà un mal di testa. La costituzione fisica del nostro corpo è molto delicata ed è molto facile ammalarsi. Perdiamo facilmente la nostra stabilità emotiva. È questo ciò di cui abbiamo bisogno di sbarazzarci, di questo aspetto “miserabile”. In breve, questi aggregati macchiati, usando il nostro corpo come esempio, sono “miserabili” perché sono la base per altri tipi di sofferenza.

Il terzo aspetto della vera sofferenza

Il terzo aspetto della vera sofferenza è che gli aggregati, come il nostro corpo, sono fenomeni vuoti. “Vuoti” significa che qualcosa non è presente. C’è un’assenza. Questo a volte viene chiamato “vacuo”. Cosa manca al nostro corpo? Cosa non ha? Non ha ciò che chiameremmo “un’anima” impossibile. Nel Buddhismo, questo si traduce spesso come un “sé”. Ciononostante, se lo esaminiamo da vicino, sta parlando del concetto induista di atman. “Anima” è forse il termine più adeguato del nostro pensiero occidentale.

Il Buddhismo afferma che il tipo di anima in cui credono queste altre filosofie indiane sia illogica e pertanto impossibile. Tendiamo a identificarci con l’anima, tuttavia, e diciamo che è il nostro “sé”, “io”, ma noi non siamo questo. Ciò che manca, ciò di cui il corpo e gli aggregati sono privi, è un’anima per come è definita nelle filosofie indiane non buddhiste. Noi esistiamo – il Buddhismo non confuta questo – ma non esistiamo come il tipo di anima definito da queste scuole di pensiero indiane. Il Buddha stava parlando specificatamente di ciò in cui tutti credevano a quel tempo nel subcontinente indiano.

Quali sono le caratteristiche di un’anima che il Buddha stava confutando? Al tempo del Buddha, la credenza era che esistesse un’anima eterna e immutabile. Il Buddhismo la chiama “un’anima impossibile grossolana” oppure “un ‘io’ impossibile grossolano”. Ora, il Buddhismo dice inoltre che il sé individuale (“io”) continua per sempre senza nessun inizio e nessuna fine. Il fatto che il sé continui per sempre non è un problema. Ciononostante, pensare che il sé eterno, “io”, non cambi mai e non sia influenzato mai da nulla è ciò che è impossibile.

Potremmo pensare, ad esempio, che siamo sempre qui. Siamo andati a dormire la scorsa notte e ci siamo alzati stamattina, ed eccoci qui di nuovo, sempre lo stesso “io”. Non siamo cambiati. Sono sempre “io”. Potremmo pensare che qualcuno potrebbe fare del male al nostro corpo, ma non possono fare del male a “me”. Questi sono esempi del credere in un’anima o “io” come qualcosa che non cambia e che non è influenzata da nulla.

La seconda caratteristica di quest’anima o “io” impossibile è che si tratta di una cosa monolitica, senza parti. In alcune filosofie indiane, la credenza è che ciascuno di noi sia un tutt’uno con l’universo, un insieme senza parti di tutta la vita. Siamo tutti “uno”, oppure siamo tutto l’universo. Queste sono credenze induiste e non fanno affatto parte del Buddhismo. Un’altra possibilità è che l’anima sia una piccola scintilla di vita senza parti che passa da una vita all’altra. È sempre la stessa. Anche questo è impossibile dal punto di vista buddhista. Ci sono molte parti o aspetti di noi come una persona. C’è in noi l’aspetto fisico, quello intellettuale, quello emotivo, quello professionale, e così via.

La terza caratteristica di questo tipo di “anima” o “io” è che è completamente separata dagli aggregati. In altre parole, entra in un corpo e una mente all’atto del concepimento, e in maniera simile al vivere in una casa, questa “anima” vive dentro gli aggregati come un’entità separata, senza nessuna relazione con essi, e semplicemente li usa per sperimentare i cinque aggregati che generano ciascun momento. Il sé li controlla, come qualcuno che sta seduto al computer che preme tutti i tasti. È seduto nella nostra testa e parla.

In effetti, sembra proprio così, sebbene questo sia completamente falso. Immaginiamo che colui che parla nella nostra testa sia “io”, questa piccola scintilla di vita che non cambia mai. Ogni volta che facciamo qualcosa, è ancora “io” che guarda questo e fa quello. Pensiamo che “io ho fatto quello”, e così via. Immaginiamo che questo “io” sia completamente separato, che controlla e utilizza il corpo per fare cose e il cervello per pensare, e poi li lascia per andare in un’altra casa, in un altro corpo e in un altro cervello, e li usa. Questo è impossibile. Il sé dipende totalmente dall’avere una base fisica e non può esistere senza di essa. Dunque, il terzo aspetto della vera sofferenza è che il corpo, come base su cui sperimentare i cinque aggregati, è privo di tutte queste tre caratteristiche di quel tipo di “io” impossibile.

Qual è la sofferenza associata al nostro corpo che è privo di questo “io” grossolano e impossibile? La sofferenza è che questo “io”, il sé, essendo qualcosa che non può esistere indipendentemente da un corpo, dipende dal corpo di questa vita e se ne deve prendere cura. Non lo possiamo ignorare perché pensiamo di essere puliti, è solo il nostro corpo ad essere sporco. Abbiamo bisogno di pulirlo e di dargli da mangiare, farlo dormire a sufficienza e così via. Abbiamo bisogno di farlo malgrado questo corpo sia pieno di sostanze non pulite – cibo non digerito, feci, urina, sangue, muco e così via. Come disse il grande maestro indiano buddhista, Shantideva, siamo come degli schiavi per il nostro corpo, perché dobbiamo prendercene cura tutto il tempo.

Il quarto aspetto della vera sofferenza

Il quarto aspetto della vera sofferenza è che il corpo come base per sperimentare i cinque aggregati è anche privo di “un’anima” impossibile. Questo si riferisce a un livello più sottile di un “io” impossibile. È “un’anima” o un “io” impossibile che può essere conosciuto tutto da solo. Tutti noi crediamo in questo perché proviamo automaticamente che sia così. Ad esempio, quando pensiamo ad un amico molto caro, cosa pensiamo? Pensiamo di conoscere il nostro amico, siccome possiamo vederlo ogni giorno.

Cosa significa? In realtà, noi vediamo un corpo. Come possiamo davvero conoscere questo amico, o vedere questa persona, senza vedere il loro corpo? Come possiamo conoscere il nostro amico senza sapere qualcosa su di lui? Potrebbe essere il suo nome, il suo aspetto, oppure il suono della sua voce al telefono. È solo grazie al fatto di sentire il suono di una voce al telefono che possiamo dire che stiamo ascoltando il nostro amico. Siccome stiamo vedendo il suo corpo, possiamo dire che stiamo vedendo il nostro amico. Ciò che è impossibile è un “io”, una persona, il nostro amico, che possiamo conoscere in maniera isolata senza conoscere neanche uno degli aggregati. Non possiamo semplicemente vedere il nostro amico e non vedere il suo corpo o una foto del suo corpo.

Tuttavia, noi pensiamo sempre in questo modo falso, come in “Hai fatto questo a ‘me’; hai detto questo a ‘me’”. È come se potessimo conoscere “tu” in maniera indipendente da un corpo, indipendente dal suono delle parole che hai detto, indipendente da ogni cosa. “Tu sei una persona terribile!”. Cos’è questo? Non c’è nessun “tu” che possiamo conoscere o su cui possiamo riflettere, che possiamo accusare di qualunque cosa o con cui possiamo arrabbiarci, che sia separato dal corpo, dalla parola o da qualunque cosa della persona.

È la stessa cosa con “io”. È impossibile vedere, sentire, o pensare al “sé”, “io”, senza vedere simultaneamente qualche parte del nostro corpo, sentire il suono della nostra voce, oppure pensare a qualcosa nei nostri aggregati. Ci vediamo allo specchio o ci pesiamo sulla bilancia e pensiamo, questo non sono “io”. “Non sembro così vecchio, non sono così grasso”. La sofferenza qui è che non c’è un “io” che possa essere conosciuto separatamente dall’aspetto o il peso del nostro corpo, e quindi abbiamo bisogno di affrontare il fatto che il nostro corpo sia vecchio e grasso. Dunque, questi fattori aggregati, come ad esempio il corpo, sono privi di un “io” o di “un’anima” impossibile grossolana e sottile.

Chiaramente, questi tipi di aggregati, e specialmente il nostro corpo, sono vere sofferenze. Abbiamo davvero bisogno di comprendere questi quattro aspetti, che il nostro corpo cambia tutto il tempo, che è miserabile, si ammala, eccetera, e che è privo di questi due tipi di un “io” impossibile. Se lo comprendiamo, allora avremo identificato e compreso il vero problema, la sofferenza vera.

I quattro aspetti delle vere origini della sofferenza

Poi, esaminiamo le vere origini o le vere cause della sofferenza. Questo è interessante e molto profondo. Se parliamo in generale, le vere cause della sofferenza sono le emozioni disturbanti e il karma. Ma qui, le vere origini della sofferenza si riferiscono a qualcosa di molto specifico. Ha a che fare con il meccanismo della rinascita attraverso il quale il corpo macchiato, in quanto vera sofferenza, si perpetua da solo.

Panoramica degli effetti del karma e i dodici anelli

Nel Buddhismo, come funziona la rinascita? Come abbiamo detto un po’ in precedenza, la vera sofferenza è esemplificata dal corpo che otteniamo di continuo con la rinascita che si ripete in modo incontrollabile, il samsara, con tutta la sofferenza coinvolta nell’avere questo tipo di corpo. Il corpo è la base per sperimentare gli aggregati e tutte le sofferenze che essi contengono. Pertanto, la vera causa che stiamo indagando è la causa, o l’origine, per continuare a rinascere con questo tipo di corpo di sofferenza in qualunque forma di vita che ciò implica. Potrebbe essere come un animale, un fantasma, o qualunque altra cosa. Dunque, per identificare le vere origini della sofferenza, abbiamo bisogno di comprendere il meccanismo della rinascita per come è descritto nei termini dei cosiddetti “dodici anelli dell’origine dipendente”. Questo è un altro argomento davvero fondamentale degli insegnamenti buddhisti, ma non c’è bisogno di esaminare tutti e dodici questa volta.

Cosa accade effettivamente nella vita? Pensiamo sempre di esistere come una sorta di “io” impossibile. Noi pensiamo che, “Eccomi qui, tutto da solo. Io conosco ‘me stesso’”. Oppure potremmo pensare “Troverò me stesso”. Esprimerò “me stesso”. Crediamo che questo “io” possa essere conosciuto separatamente da un corpo o una mente o qualunque altra cosa.

Siccome crediamo di esistere in questa maniera impossibile, allora sulla base di questa credenza confusa sperimentiamo emozioni disturbanti. Con rabbia, non ci piace qualcosa, e dunque agiamo compulsivamente in maniera distruttiva. Faremo del male o uccideremo qualcosa o qualcuno per allontanarlo da “me”. Oppure abbiamo il forte desiderio di avere qualcosa, e dunque lo ruberemo perché vogliamo ottenerlo per “me”. Con ingenuità, potremmo pensare di poter agire in qualunque modo vogliamo e che le nostre azioni non avranno alcun effetto su di “me”. Sulla base della nostra idea sbagliata di “io”, potremmo anche agire compulsivamente in maniera costruttiva, come ad esempio l’essere gentili con qualcuno in modo tale che “io” piaccia a loro, perché penseranno che sono meraviglioso e “mi” ameranno. In effetti è molto egoista essere gentili con qualcuno o aiutarli quando le nostre ragioni per essere gentili si fondano essenzialmente sull’egoismo.

Quando agiamo in questi modi compulsivi, le nostre azioni karmiche lasciano certe impressioni sul nostro continuum mentale. Le impressioni si riferiscono alle tendenze karmiche di ripetere queste azioni e ai potenziali karmici di sperimentare la felicità e l’infelicità e di ottenere il tipo di corpo in una vita successiva che sarà la base per sperimentare ulteriori sensazioni macchiate.

Tuttavia, qualcosa deve attivare tale conseguenza karmica, specificatamente i potenziali karmici, al momento della morte: in questo modo verremo ‘lanciati’ in un’altra rinascita. Cosa li attiva? I dodici anelli parlano proprio di questo, ed è qui che entrano in gioco le vere origini della sofferenza. La “brama” è la prima cosa che attiva i potenziali karmici, e questa brama è la risposta alle sensazioni macchiate che sperimentiamo specificatamente al momento della morte. Se stiamo provando felicità, c’è [anche una sensazione sottostante] di brama, un forte desiderio di non separarsi da quella felicità. La felicità potrebbe provenire dallo stare con le persone che amiamo oppure dal fatto che siamo circondati dai nostri averi, e non vogliamo perderli. Quando abbiamo questo tipo di brama molto forte quando stiamo per morire, non vogliamo lasciare andare la felicità che stiamo provando sulla base di questo corpo.

Potremmo anche avere il forte desiderio di essere liberati dalla sofferenza, dal dolore. Ad esempio, se stiamo morendo di cancro con molto dolore, vogliamo essere liberi da questo. Se, d’altro canto, siamo profondamente assorbiti in uno stato avanzato di concentrazione, sperimentiamo semplicemente una sensazione neutra e desideriamo che non cali. In aggiunta a queste tre tipologie possibili di sensazioni che potremmo provare al momento della morte, c’è anche il forte desiderio di continuare a esistere. Non vogliamo smettere di esistere con questo corpo.

C’è anche un secondo atteggiamento che attiva il nostro potenziale karmico e che proviene dalla brama per le sensazioni macchiate. Si chiama un “atteggiamento che ottiene”, un atteggiamento che ci porta ad avere un’ulteriore rinascita. Ci sono molti di questi atteggiamenti, ma quello principale consiste nel pensare che noi stessi esistiamo come una sorta di “io” impossibile che sperimenta queste sensazioni e, in base a questo, ci afferriamo a questo “io” impossibile [pensando] che corrisponda alla realtà. Assieme alla brama per queste sensazioni, questo ‘atteggiamento che ottiene’ attiva i potenziali karmici in un modo tale che sorge un impulso karmico che ‘lancia’ il nostro continuum mentale nella rinascita seguente con un altro corpo che si ammalerà, invecchierà, e avrà tutti i problemi che ognuno di noi affronta nella vita.

Le vere origini della sofferenza sono illustrate, allora, dalle nostre sensazioni macchiate di felicità e infelicità, nonché da questa sensazione neutra: questi sono gli oggetti della nostra brama e della nostra falsa credenza secondo cui queste sensazioni sono sperimentate da un “io” impossibile.

Vogliamo sbarazzarci per sempre di avere un corpo macchiato – vera sofferenza – e per conseguire questo, abbiamo bisogno di eliminare queste sensazioni macchiate – le vere origini della vera sofferenza. Se eliminiamo le sensazioni macchiate, non ci sarà nulla da desiderare quando moriamo o non ci afferreremo a un “io” impossibile che prova tali sensazioni quando moriamo, e dunque non ci sarà nulla che possa attivare i nostri potenziali karmici al momento della morte. Se non c’è nulla che attivi i nostri potenziali karmici al momento della morte, non sperimenteremo una rinascita samsarica con un corpo macchiato lanciato da un cosiddetto “impulso karmico proiettante” che è sorto dall’attivazione dei nostri potenziali karmici. Al contrario, il nostro continuum mentale e il sé continueranno con il corpo immacolato di un arhat o di un Buddha.

Quali sono i quattro aspetti delle sensazioni macchiate come vere origini della sofferenza?

I quattro aspetti delle vere origini della sofferenza

Il primo aspetto delle vere origini della sofferenza è che le nostre sensazioni macchiate sono la causa della nostra vera sofferenza, nel senso che sono gli oggetti della brama che attivano le nostre conseguenze karmiche, generando la vera sofferenza di un corpo macchiato in rinascite successive.

Il secondo aspetto è che le sensazioni macchiate sono l’origine delle nostre vere sofferenze. Sono l’origine, nel senso che un corpo macchiato sorgerà ancora una volta in ulteriori rinascite che si ripetono in modo incontrollabile. È come un campo in cui crescono le piante stagione dopo stagione.

Il terzo aspetto è che le nostre sensazioni macchiate sono i produttori forti delle nostre vere sofferenze. Ciò significa che pregare a un dio creatore non è più forte della nostra brama verso queste sensazioni macchiate al momento della morte, e dunque pregare a un dio creatore non può impedire la nostra rinascita con la vera sofferenza di avere un corpo macchiato.

Il quarto aspetto è che le nostre sensazioni macchiate sono una condizione per l’insorgenza delle nostre vere sofferenze. L’insorgenza di sensazioni macchiate al momento della nostra morte è la condizione che porta alla nascita del desiderio per queste stesse sensazioni, e ciò attiva i nostri potenziali karmici, che danno origine al karma proiettante di rinascere con un altro corpo macchiato. Le nostre sensazioni macchiate sono come l’acqua e il fertilizzante che sono necessari per far crescere una pianta.

Questi sono i quattro aspetti delle vere origini della sofferenza.

I quattro aspetti delle vere cessazioni della sofferenza

La terza nobile verità consiste nei veri arresti o vere cessazioni. Cosa significa? Un arresto è l’assenza di qualcosa da una base che non era mai stata parte integrante della base stessa – ad esempio, come l’assenza di polvere su uno specchio. La polvere non è mai stata qualcosa che era parte integrante della natura di uno specchio. Nel caso della terza nobile verità, il vero arresto è l’assenza di qualche o di tutti gli oscuramenti emotivi e cognitivi dalla natura convenzionale della mente. Questo avviene soltanto nel caso del continuum mentale di un arya. Un arya è qualcuno che ha una cognizione non concettuale di questi sedici aspetti delle quattro nobili verità.

La mente, qui, si riferisce all’attività mentale e la sua natura convenzionale si riferisce all’attività del dare origine a un’apparenza cognitiva, come un ologramma mentale, di qualche oggetto di cognizione e a un coinvolgimento cognitivo con quell’apparenza. Dare origine a un’apparenza e avere un coinvolgimento cognitivo con essa sono due modi differenti di descrivere un momento di attività mentale, e quest’attività avviene senza un “io” separato che la faccia accadere o che la osservi mentre avviene e senza una certa mente separata, come un apparato che un “io” separato sta utilizzando per farla accadere.

I due oscuramenti non fanno parte della natura convenzionale della mente. Sebbene possano contaminare o offuscare l’attività mentale di chiunque abbia una realizzazione inferiore a quella di un arya, sono rimovibili, e possiamo ottenere un vero arresto di questi oscuramenti in modo tale che non tornino mai più. Questo si ottiene grazie al potere di applicare un opponente efficace, un vero percorso della mente. Non andranno via semplicemente da soli.

Quando diventiamo un arya, raggiungiamo un vero arresto di una porzione di oscuramenti emotivi. Man mano che avanziamo per ottenere stadi sempre più elevati di un percorso mentale di familiarizzazione, il sentiero della meditazione, elimineremo sempre di più gli oscuramenti emotivi. Quando avremo ottenuto un vero arresto di tutti questi, diventeremo un arhat, e quando, in aggiunta a questo, raggiungeremo un vero arresto, passo dopo passo, degli oscuramenti cognitivi, diventeremo un Buddha. Questi sono i veri arresti, e per tutte le fasi che portano alla loro realizzazione, la natura convenzionale della mente rimane la stessa. Questi veri arresti durano per sempre, e non cambieranno o saranno influenzati da nulla. Questo perché la natura convenzionale della mente era sempre libera dai due oscuramenti. Possiamo vedere come questo si connette alla discussione sulla natura di Buddha, la natura pura della mente.

Quali sono i quattro aspetti dei veri arresti?

Il primo aspetto è che la natura convenzionale della mente possiede per sua natura un arresto. La natura convenzionale della mente non è mai stata macchiata o oscurata dalle macchie passeggere dei due oscuramenti.

Il secondo aspetto è che la natura convenzionale della mente ha una pacificazione. Pacificazione significa che gli oscuramenti sono stati calmati e rimossi in modo tale che non sorgeranno più. La natura convenzionale della mente è uno stato perenne di pace.

Il terzo aspetto è che la condizione della natura convenzionale della mente è uno stato superiore. È superiore a una rimozione semplicemente temporanea di una porzione di sofferenza, come la rimozione della sofferenza dell’infelicità quando otteniamo la rinascita di un dio sul piano degli esseri eterei, il cosiddetto “regno della forma”. A differenza della mente di tale rinascita, tale stato possiede la naturale beatitudine di essere libero per sempre dalla sofferenza.

Il quarto aspetto è che la natura convenzionale della mente possiede un’emersione definitiva. Ha superato definitivamente lo stato di sperimentare la vera sofferenza e le sue vere origini. L’emersione definitiva è per sempre.

I quattro aspetti dei veri percorsi mentali

Infine, la quarta nobile verità consiste nei veri percorsi mentali, che si riferiscono alla consapevolezza discriminante che accompagna i livelli della mente di un arya focalizzato non concettualmente sulla vacuità. Questa nobile verità non sta parlando di un sentiero o una strada come quelle su cui camminiamo. Sta parlando di una mente che funge da sentiero per ottenere i veri arresti, in modo tale da raggiungere gli obiettivi della liberazione e dell’illuminazione.

Dall’ottenimento di un percorso mentale del vedere fino all’ottenimento di un percorso mentale che non ha bisogno di addestramenti ulteriori, la stessa consapevolezza discriminante della vacuità accompagna la cognizione non concettuale della vacuità. Ma con livelli sempre più elevati di forza positiva proveniente dalla rinuncia e dal bodhichitta che sorgono spontaneamente, e grazie a livelli sempre maggiori di consapevolezza profonda che provengono da sempre più momenti di cognizione non concettuale della vacuità, la consapevolezza discriminante elimina quantità sempre più ampie di oscuramenti.

Quali sono i quattro aspetti di un vero percorso mentale? Il primo aspetto è che la consapevolezza discriminante delle quattro nobili verità e la vacuità o assenza di un “io” impossibile che li sperimenti è un percorso mentale nel senso che serve per smettere di essere un individuo comune, e ci consente di diventare un arya e poi un arhat e infine un Buddha.

Il secondo aspetto è che la consapevolezza discriminante è un metodo appropriato. È un modo appropriato e adatto per sbarazzarci degli oscuramenti emotivi e cognitivi. C’è una lunga discussione su come e perché questo metodo funziona, che è importante comprendere, ma in questa lezione non esploreremo questo aspetto.

Il terzo aspetto è che la consapevolezza discriminante è un mezzo per la realizzazione. È un modo per far accadere realmente questi vari conseguimenti di un arya. È un modo per conseguire effettivamente la liberazione e l’illuminazione.

Il quarto aspetto è che è un mezzo per le rimozioni certe. È un metodo per rimuovere definitivamente, per sempre, i due oscuramenti, rimuovendo così per sempre le vere sofferenze e le loro vere origini.

Sintesi dei sedici aspetti

Questi sono i sedici aspetti delle quattro nobili verità su cui ci concentriamo nelle nostre meditazioni con un percorso mentale dell’accumulazione fino a un percorso mentale che non ha bisogno di addestramenti ulteriori. Nella meditazione ci concentriamo sia sui dettagli dei sedici sia sulla vacuità di un “io” impossibile che li sperimenta. Lo facciamo con la rinuncia, l’intento forte di superare questa sofferenza e le sue origini, e la disponibilità di rinunciare a tutto. Lo facciamo da praticante Mahayana con bodhichitta. Puntiamo alla nostra illuminazione con i percorsi mentali che generano tutti questi veri arresti. Puntiamo a tutta la comprensione di un Buddha che genera questi arresti, in modo tale da poter aiutare tutti, il più possibile, a superare anche le loro vere sofferenze e le loro origini. Sulla base di tale motivazione di rinuncia e bodhichitta, assieme alla disciplina, la concentrazione perfetta e molti altri strumenti, possiamo lavorare con questi sedici aspetti sempre di più, andando sempre più in profondità fino a quando non siamo consapevoli di essi, in maniera non concettuale, tutto il tempo.

Abbiamo bisogno di comprendere i dettagli delle vere sofferenze che affrontiamo, illustrate dal nostro corpo macchiato che otteniamo di continuo con ciascuna rinascita che si ripete in modo incontrollabile, e le sue vere origini, illustrate dalle nostre sensazioni macchiate che desideriamo fortemente, afferrandoci a un “io” impossibile che le prova al momento della nostra morte, con la conseguenza di innescare tali rinascite.

Fondamentalmente, ciò significa che vogliamo sbarazzarci del fraintendimento su come “io” esisto e su come esista ogni cosa. Vogliamo sbarazzarci di questo perché, sulla base di tale incomprensione, desideriamo ardentemente un “io” impossibile a cui ci aggrappiamo. Ci concentriamo sulla verità che non esiste una cosa come questo “io” impossibile, un “io” vero e solido che è sofferenza, che è afflitto dall’origine di questa sofferenza, che otterrà questi veri arresti, e che farà questo attraverso i veri percorsi mentali. Non c’è nessun “io” vero e solido coinvolto in questo.

Nel comprendere tutto questo, lavoriamo per sbarazzarci di tutti i modi errati e distorti della nostra comprensione attuale. Ora, questo è molto interessante da indagare e su cui fare una discussione. Cosa ne pensiamo? Qual è il nostro modo normale e distorto di vedere la vita?

I quattro modi distorti di abbracciare le vere sofferenze

La prima distorsione è la seguente: secondo noi, quello che è sporco, in realtà è pulito. In altre parole, il modo in cui vediamo il nostro corpo come pulito è una visione distorta. Se ci riflettiamo, quando nella nostra mente stacchiamo la pelle, vediamo che il corpo è pieno di ogni sorta di cose sgradevoli. Se guardiamo cosa c’è dentro nel nostro stomaco e nell’intestino, vedremmo certamente che non sono cose molto belle. Eppure, a un livello molto superficiale pensiamo che il corpo sia bellissimo. Questo modo di pensare che il nostro corpo è pulito e meraviglioso è errato. Non è pulito, e non è bellissimo.

Shantideva, il grande maestro indiano, lo disse in modo molto concreto. Disse che se prendiamo un po’ di cibo, anche il cibo più delizioso che possiamo immaginare, e lo mettiamo in bocca – la nostra o quella di qualcun altro – e lo mastichiamo qualche volta per poi sputarlo, nessuno considererebbe più quel cibo come qualcosa di pulito. Pertanto, come possiamo considerare il corpo che ha fatto questo come qualcosa di pulito? Se pensiamo a cosa accade quando attraversa il nostro sistema digestivo e passa dall’altra parte, allora nuovamente cos’è questo corpo se non una meravigliosa fabbrica che crea rifiuti? È questo ciò che fa. Diamo al corpo del cibo, che poi lo tramuta in rifiuti che escono dall’altra parte. Chiaramente, non è qualcosa di pulito.

Non beatifichiamo il corpo pensando che sia così meraviglioso. I tibetani utilizzano espressioni molto colorite. Come possiamo dirlo in maniera carina? Loro dicono che non importa quanto riusciamo a pulire un pezzo di cacca, non diventerà pulita. La cacca è cacca; non possiamo pulirla e fare in modo che sia qualcosa di diverso. Questa è una visione errata del nostro corpo.

La seconda distorsione è considerare felicità ciò che invece è sofferenza. Pensiamo che il nostro corpo sia una fonte di felicità. Crediamo che se ce ne prendiamo cura, facciamo ginnastica, seguiamo una dieta vegetariana appropriata, abbiamo una buona vita sessuale, lo vestiamo all’ultima moda, indossiamo il trucco corretto eccetera, saremo felici. Ma qualunque sia la felicità mondana che otteniamo in questi modi, non dura mai. Questi sono solo esempi della sofferenza del cambiamento.

Se esaminiamo questa faccenda, non vogliamo mangiare solo una volta nella vita; non vogliamo fare sesso solo una volta ed è sufficiente; ne vogliamo di più. È una domanda interessante. Pensiamo al nostro cibo preferito, quello più delizioso. In che quantità dobbiamo mangiarlo in modo tale che ci soddisfi? Non pensiamo che semplicemente un assaggio sia sufficiente, giusto? Ne vogliamo di più, almeno una seconda portata sicuramente. E poi ovviamente se ne mangiamo troppo ci sentiamo male. Anche se l’abbiamo mangiato, poi vorremo mangiarlo di nuovo. Qualunque felicità che otteniamo con il nostro corpo porta alla sofferenza della frustrazione perché finisce sempre e non ci soddisfa mai.

La terza visione distorta consiste nel considerare statico quello che non è statico. Pensiamo che il nostro corpo rimarrà per sempre giovane e in salute. Vogliamo che rimanga sempre lo stesso, ma in effetti il nostro corpo è molto fragile. È influenzato da cause e condizioni e il più lieve errore può causarci lesioni e dolore. Non importa quello che facciamo, il nostro corpo svilupperà malattie e si indebolirà sempre di più man mano che invecchiamo. I nostri sensi si affievoliranno. Siccome il corpo non dura per sempre, ma lentamente si deteriora e inevitabilmente avrà un termine, come una bottiglia di latte di cui non conosciamo la data di scadenza, è errato considerarlo come qualcosa di statico.

La quarta distorsione è considerare ciò che non è stabilito come “un’anima” impossibile come se fosse “un’anima” impossibile. Ci identifichiamo con questo corpo, pensando che si tratti di “me”. Pensiamo al nostro corpo giovane e snello e pensiamo ancora che questo sono “io”. Poi, quando ci guardiamo allo specchio man mano che invecchiamo e siamo un po’ più grassi e ci vengono i capelli grigi, pensiamo: “Questo non sono io. Io non assomiglio a questa persona. Questo non posso essere io”. Ci sentiamo ancora come quell’io giovane e attraente. Noi tutti pensiamo così. Questa è una visione errata. Le comprensioni corrette dei quattro aspetti della nobile verità della vera sofferenza ci libera da queste visioni errate.

I quattro modi distorti di abbracciare le vere origini

Il modo distorto di riflettere sulle vere origini è molto interessante. Il primo ha due parti: sostenere che la sofferenza non abbia nessuna causa o che provenga da una causa discordante. Pensiamo che i nostri problemi siano semplicemente il modo in cui sono le cose nella vita e che non ci sia nessuna causa. Inoltre, possiamo pensare in termini di “sfortuna” o che la sofferenza provenga da qualche altra causa discordante. In altre parole, da una causa non appropriata. Questo vuol dire, ad esempio, pensare che tutta la nostra sofferenza provenga da problemi materialistici. Pensiamo che se avessimo una casa bellissima e molti soldi, allora saremmo felici. Tutta la nostra infelicità dipende da motivi materiali. Questa è una visione errata.

La seconda visione distorta consiste nel pensare che la sofferenza provenga da una singola causa. Lo facciamo tutto il tempo. Le sofferenze e i problemi provengono da una combinazione di moltissime cause e condizioni, ma noi pensiamo soltanto a una. Potremmo pensare che non abbiamo fatto abbastanza per aiutare nostro figlio quando non andava bene a scuola; è colpa nostra. L’unica ragione per cui le cose avvengono nel mondo siamo noi. Pensiamo di essere la singola causa. Non eravamo abbastanza bravi. Abbiamo fatto un errore, ed è per questo motivo che tutto è fallito. Pensiamo così, vero? È qui che entra in gioco la colpa. Tuttavia, questo è falso. Le cose accadono per via di un milione di cause e condizioni differenti che convergono tutte insieme, non per una singola causa.

La terza distorsione è che la sofferenza sia creata e inviata dalla mente di qualche altro essere, come ad esempio Ishvara, il dio creatore in alcune filosofie induiste. Questo vuol dire credere che la sofferenza provenga da un creatore, un dio nel cielo che a volte sente di volerci mandare della sofferenza, e altre volte no. È perché siamo un bravo ragazzo o una brava ragazza; oppure se non gli abbiamo obbedito, siamo un ragazzo o una ragazza cattiva. Potrebbe anche essere che Dio sentiva di fare questo per nessuna ragione. Questa è una visione falsa.

La quarta visione errata si riferisce a qualcosa di specifico della filosofia giainista, un’altra scuola filosofica indiana. Riguardo la causa della sofferenza, c’è qualcosa di permanente per natura, ma che temporaneamente cambia secondo l’occasione. Questo vuol dire pensare che abbiamo un’anima permanente che è beata ed è sempre presente tutto il tempo. Pensiamo che è per via della nostra associazione con le cose materiali e le questioni del mondo che abbiamo sofferenze e problemi. Se potessimo semplicemente rimuovere noi stessi, staccarci completamente da queste situazioni, e praticamente non fare nulla, potremmo ottenere la liberazione. I sostenitori di questa scuola pensano che potremmo aver bisogno di morire di fame perché se mangiamo, potremmo inghiottire qualche piccolo essere vivente. Oppure potremmo pensare di dover stare seduti perché se camminiamo, potremmo calpestare qualcosa. Se non facciamo nulla, questa è liberazione. Se potessimo staccarci da tutte queste cose materiali, allora la sofferenza temporanea che avviene non accadrebbe più. Giungeremmo alla natura fondamentale dell’anima, che è beata. Questa è una visione falsa.

Il Buddha rifiutò questa visione, considerandola fanatica ed estrema. Abbiamo un tipo di corpo tale per cui a prescindere da quello che facciamo, se camminiamo sulla terra, uccideremo qualche cosa. È questo il problema di avere corpi del genere. Se mangiamo, beviamo, o respiriamo, inevitabilmente uccideremo qualche organismo vivente. La via d’uscita non consiste nel sedersi senza fare nulla. Vuol dire interrompere il meccanismo che ci proietta continuamente in un’altra rinascita con questo tipo di corpo. Invece vogliamo ottenere da arhat un “corpo di luce”; ma questo è un altro argomento.

I quattro modi distorti di abbracciare i veri arresti

La prima visione errata riguardante i veri arresti è che non esiste la liberazione. Molte persone la pensano così. Non c’è nessuna via d’uscita, e quindi dobbiamo semplicemente smetterla e accettare che ci sia la sofferenza. Fate del vostro meglio e conviveteci. Questo è un punto di vista interessante. Pensiamo in questo modo? Cerchiamo di minimizzare la nostra sofferenza, ma fondamentalmente crediamo di dover imparare a conviverci. Questa non è la visione buddhista. È considerata una visione errata. La liberazione certamente esiste. Certamente c’è un vero arresto. Possiamo fermare la sofferenza e le sue cause per sempre.

La seconda visione distorta consiste nel sostenere che certi fenomeni specifici macchiati siano la liberazione. Questo si riferisce agli stati più profondi della concentrazione assorbita ottenuti nella meditazione, ciò che in sanscrito chiamiamo dhyana. Una volta che un praticante ha raggiunto la concentrazione perfetta, può andare sempre più in profondità in livelli sempre più sottili di assorbimento in cui certi fattori mentali, come ad esempio alcune sensazioni, vengono temporaneamente fermate. Non è necessariamente una pratica buddhista, gli induisti fanno anche queste meditazioni. In questi stati, temporaneamente non abbiamo nessuna sofferenza o infelicità fisica o mentale. Potremmo semplicemente provare felicità mentale oppure uno stato neutro della mente. In ciascuno di questi livelli differenti, raggiungiamo temporaneamente un arresto di questi altri livelli. Il nostro stato diventa sempre più raffinato. Semplicemente siamo lì seduti e non facciamo altro in questi stati assorbiti. La visione falsa consiste nel pensare che questi stati siano la liberazione. Non lo sono. Quando usciamo dalla meditazione, ci sono nuovamente tutte le stesse tipologie di problemi e sofferenza.

La terza distorsione consiste nel sostenere che alcuni stati specifici di sofferenza siano la liberazione. Questo si riferisce agli stati più elevati degli esseri divini, gli dèi. I regni degli dèi si suddividono in tre piani, e il più alto tra questi è il piano degli esseri senza forma, il cosiddetto “regno del senza forma”. Gli dèi su questo piano dell’esistenza sono privi di corpi grossolani. I loro corpi sono composti da energia molto sottile. La visione distorta consiste nel pensare che se otteniamo una rinascita del genere, avremo raggiunto la vera liberazione. Tuttavia, questo non è il caso, perché persino questo tipo di rinascita giunge al termine.

La quarta visione errata consiste nel sostenere che sebbene ci sia un esaurimento della sofferenza, è qualcosa che si ripeterà. In altre parole, questo significa pensare che possiamo sbarazzarci della sofferenza, ma soltanto per un breve periodo di tempo perché tornerà di nuovo. Crediamo che non possiamo liberarci per sempre dalla sofferenza. Questo non è vero. Queste sono le quattro visioni errate riguardanti i veri arresti.

È davvero interessante pensare e comprendere realmente ciò che intendiamo per liberazione. È molto importante negli studi buddhisti, se puntiamo alla liberazione e all’illuminazione, essere convinti che sia effettivamente possibile. Se non pensiamo che sia possibile, e se non pensiamo che potremmo farcela, non avremo mai questo come obiettivo. Se pensiamo che sebbene alcuni di questi Buddha in tempi antichi fossero riusciti a raggiungere l’illuminazione, ma noi non possiamo farlo, dobbiamo esaminare questo punto di vista. È molto importante essere convinti che i veri arresti possano effettivamente avvenire e che noi stessi possiamo realizzarli, e dobbiamo anche essere convinti che queste visioni errate siano false.

I quattro modi distorti di abbracciare i veri percorsi mentali

Per quanto riguarda i veri percorsi mentali, la prima visione errata consiste nel sostenere che non esista un percorso mentale che porti alla liberazione. In altre parole, non c’è nessuna via d’uscita. Non importa ciò che comprendiamo, pensiamo che non ci sia nulla che ci possa liberare dalla rinascita e dalla sofferenza che si ripetono in modo incontrollabile.

La seconda distorsione o visione errata consiste nel sostenere che un percorso mentale di meditazione sulla mancanza di “un’anima” impossibile sia un metodo inappropriato. In altre parole, pensiamo che se meditiamo sul fatto che non esiste quest’anima statica e immutabile che è la scintilla della vita, o la misura dell’universo, o una qualunque di queste caratteristiche errate, ciò non sarà di alcun aiuto. Non pensiamo che confutare un’anima o sé del genere ci porterà alla liberazione, e inoltre non pensiamo che sia un metodo appropriato.

La terza visione errata consiste nel sostenere che certi stati specifici di stabilità, i dhyana, siano da soli percorsi mentali che portano alla liberazione. Pensiamo che se possiamo ottenere semplicemente questi profondi assorbimenti meditativi, ciò sarà sufficiente, e che ottenere solo questi da soli porti alla liberazione. Questo non è vero, perché questi stati mentali sono solo strumenti che ci aiutano; non sono i metodi effettivi.

Il quarto punto di vista errato consiste nel credere che non esista un percorso mentale che possa portare all’arresto della sofferenza affinché non continui mai più. In altre parole, non c’è nulla che possiamo fare che ci possa portare alla totale eliminazione per sempre delle vere sofferenze e delle loro vere origini. 

Queste sono le sedici visioni errate. Questo tipo di studio e meditazione su di esse sono il fondamento del sentiero buddhista secondo questa presentazione testuale. È così anche per altre forme del Buddhismo. Fondamentalmente, le quattro nobili verità sono ciò che ha insegnato il Buddha. Il testo di Maitreya che abbiamo esaminato contiene molti più dettagli.

Applicazione dei sedici aspetti delle quattro nobili verità nel tantra

Completiamo questa discussione considerando i sedici aspetti delle quattro nobili verità dal punto di vista del Vajrayana, ovvero del tantra. Innanzitutto, il tantra è un argomento molto complesso e complicato. Ci sono quattro classi di pratica in questo sistema, e tra queste, quella rilevante qui è la classe più elevata, l’anuttarayoga tantra.

Come per il sutra, il tantra è un veicolo mentale Mahayana che conduce all’illuminazione. Ciò che impedisce l’illuminazione è il fatto che la mente fa apparire le cose come se esistessero in maniera solida, tutte da sole incapsulate nella plastica, non connesse a nulla, come se ci fossero delle linee attorno a tutto. È questo ciò di cui dobbiamo davvero sbarazzarci perché, sulla base di questo, noi crediamo che le apparenze corrispondano alla realtà, e poi agiamo come se le cose esistessero in quel modo.

Cosa crea questa apparenza discordante? Ciò ha a che fare con livelli molto sottili della mente. Noi parliamo nella classe più elevata del tantra del livello più sottile della mente, che è conosciuto come il livello della mente di chiara luce. Questo livello di chiara luce fornisce la continuità alla nostra attività mentale soggettiva. Alla base di tutti i livelli più grossolani dell’attività mentale, questo livello di chiara luce continua da un momento all’altro, attraverso la morte e nella vita seguente. Tale livello continua nel nirvana e anche nell’illuminazione. È ciò che fornisce la continuità.

Questo livello più sottile di attività mentale può essere descritto in termini di una radio, dove la radio può essere su canali differenti, può avere un volume più o meno alto, eccetera. Tuttavia, questa mente di chiara luce è semplicemente al livello della radio che è accesa. La radio è accesa. Non importa in che stato di rinascita ci troviamo, in che stazione radio siamo. Non importa se il volume è alto o basso, oppure quanta sofferenza abbiamo, la radio è sempre accesa. Questo è il livello della mente di chiara luce.

Questo livello della mente di chiara luce, in sé e per sé, nel suo stato naturale, è proprio ciò che intendiamo quando parliamo della natura di Buddha. Non dà origine alle apparenze dell’esistenza solida. Non fa apparire le cose come solide e, ovviamente, non crede che esse corrispondano a come le cose esistono effettivamente. Non ha nessun concetto. È non concettuale. Nella tradizione dzogchen, si chiama “consapevolezza pura”, rig pa. Questo livello della mente di chiara luce non comprende necessariamente che queste apparenze folli non si riferiscono a nulla di reale. Non ha necessariamente una comprensione di questo. Tuttavia, in sé e per sé, per sua natura, non genera nessuna apparenza discordante.

Ciò che vogliamo fare nel tantra è la stessa cosa del sutra, puntiamo a eliminare per sempre le vere sofferenze e le loro vere origini. Quali sono le vere origini qui? Ricordate, abbiamo discusso brevemente i dodici anelli dell’origine dipendente, e che abbiamo potenziali karmici che sono rimasti dal nostro comportamento karmico compulsivo. La nostra brama per le sensazioni e il fatto che ci aggrappiamo a un “io” impossibile che li sperimenta attiva alcuni di questi potenziali karmici proprio prima della nostra morte, dando origine a un impulso karmico proiettante che getta il nostro continuum mentale in una rinascita successiva.

Al momento della nostra morte, tutto ciò che abbiamo è un livello della mente di chiara luce e un livello molto sottile di energia che la supporta, come ad esempio l’elettricità che attiva la radio quando è accesa. Quando inizia la rinascita successiva, questo livello molto sottile di energia comincia a diventare più grossolano, e la nostra attività mentale comincia anche a diventare più grezza. Il livello sottostante di chiara luce tuttavia rimane. La radio è sempre accesa, ma con un nuovo stato di rinascita, è ora sintonizzata su un canale differente rispetto a quello della vita precedente. Di nuovo, con questi livelli più grossolani di attività mentale, la nostra mente comincia nuovamente a generare queste apparenze folli di un’esistenza solida. Questa è la vera sofferenza.

Ovviamente, ciò che vogliamo fare, come discusso in precedenza, è di arrestare la rinascita che si ripete in maniera incontrollabile e, nel caso del tantra, arrestare la generazione di apparenze di un’esistenza solida che avvengono con la rinascita. Come nel sutra, abbiamo bisogno di avere la cognizione non concettuale del fatto che non esista un’anima, un “io” impossibile, che genera e sperimenta queste apparenze ingannevoli. Ciò a cui puntiamo è di essere in grado di arrestare il livello più grossolano dell’attività mentale e di attivare quella mente di chiara luce, e di farlo nella meditazione e non soltanto al momento della morte. Vogliamo stabilizzare e mantenere questo livello della mente di chiara luce affinché la mente non diventi più grezza e cominci a generare nuovamente tutte queste apparenze folli, credendo che corrispondano a come le cose effettivamente esistono. Affinché la mente di chiara luce faccia questo, è necessario che essa conosca la vacuità di queste apparenze e dell’io che le sperimenta.

In un certo senso, potremmo dire che nel tantra, la vera sofferenza consiste nella creazione delle apparenze di esistenza solida e nel credere in queste apparenze ingannevoli che abbiamo con la rinascita. La vera origine di questo è da trovarsi nei livelli più grezzi della mente che dà origine ad esse. Questi livelli più grezzi della mente sono macchiati dagli oscuramenti emotivi e cognitivi, e questi oscuramenti avvengono soltanto a questi livelli. Il vero arresto consiste nel livello della mente di chiara luce che è naturalmente libero dal generare queste apparenze e dal credere in esse. E i veri percorsi mentali sono, come nel sutra, la consapevolezza discriminante della vacuità, ma che nel tantra è unita non solo alla rinuncia e al bodhichitta, ma anche a vari metodi per arrestare i livelli più grossolani della mente.

Nel Vajrayana, allora, pensiamo maggiormente a tutto questo processo di come la mente generi queste apparenze folli. Vogliamo impedire che la mente crei queste apparenze, e il metodo più efficiente è di arrestare questi livelli più grossolani della mente mediante il potere della meditazione.

Ciò che avviene comunemente è che le nostre energie vanno da tutte le parti dentro il nostro corpo. Noi proviamo questo quando ci sentiamo nervosi, insicuri, turbati, e così via. Per dirlo in maniera semplice, ciò a cui stiamo puntando nelle pratiche avanzate del tantra è fondamentalmente di centralizzare tutta questa energia e di dissolverla. Quando lo facciamo, pure questi livelli più grossolani della mente svaniscono. Quando siamo molto preoccupati e nervosi, se possiamo calmare questa energia, allora la mente che si preoccupa e che pensa a tutte queste cose si ferma. Questi sono metodi di yoga molto avanzati che consentono di centralizzare, calmare, e dissolvere questa energia.

Stiamo parlando qui di percorsi che conducono a un vero arresto di queste energie, in modo tale che non fuoriescano diventando più grezze rispetto al livello della mente di chiara luce. Vogliamo avere tutta la comprensione di cui abbiamo parlato con il livello della mente di chiara luce, perché è il metodo più efficace per sbarazzarsi degli oscuramenti emotivi e cognitivi.

Questo in breve è l’essenza di ciò che stiamo cercando di fare nel tantra. Tutto questo si basa sulla comprensione dei sedici aspetti delle quattro nobili verità nel sutra, e sull’eliminazione dei sedici punti di vista errati. Non consiste semplicemente nel comprenderne i dettagli, ma anche nel comprendere l’assenza di un’anima impossibile, un “io” impossibile, che li sperimenta.

Considerazioni conclusive

Nel lavorare con questi sedici aspetti delle quattro nobili verità, è molto importante comprendere come esiste la relazione causa-effetto e come funziona. Una causa non è come una pallina di ping-pong, un pezzo di plastica solida da questa parte, e l’effetto un’altra pallina di ping-pong dall’altra parte. Se causa ed effetto fossero così, come potrebbe una generare l’altra? Cosa sta connettendo la causa con l’effetto? È come in una delle scuole indiane di filosofia in cui si dice che c’è un connettore, qualcosa come un bastoncino che li connette? Il Buddhismo dice che questo è impossibile. L’unico modo in cui possono connettersi l’uno con l’altro è se non sono queste palline solide di ping-pong.

La causa è una combinazione di un milione di cose che cambiano tutto il tempo, e l’effetto è anche qualcosa che è fatto da milioni di parti differenti che cambiano tutto il tempo. È per via di questo che possono interagire, e una causa può produrre un effetto. Se pensiamo alle vere origini in maniera errata, che questa pallina di ping-pong è il problema e quest’altra pallina di ping-pong è la causa, creando due cose solide, come potremmo mai sbarazzarcene? Un vero percorso mentale come potrebbe mai aiutarci a eliminare la sofferenza e le sue cause? Se pensiamo al percorso mentale, ci rendiamo conto che “Questo è l’antidoto, Questa è la cessazione. Questo è il risultato che voglio ottenere”. Tuttavia, se trasformiamo queste due in qualcosa di solido, come palline di ping-pong che stanno lì sedute da sole, non arriveremo mai a un vero arresto.

Abbiamo davvero bisogno di comprendere cosa sono questi fattori, come esistono, e come ciascuno di noi esiste in relazione ad essi. Per fare questo, ovviamente, cominciamo con il nostro livello ordinario della mente. Tuttavia, nel tantra, vogliamo farlo con il livello più sottile della mente, quella mente di chiara luce, che otteniamo in meditazione attraverso complicati metodi di yoga. Utilizziamo questi metodi per ottenere realmente e nel modo più efficiente la consapevolezza discriminante della vacuità in maniera non concettuale. Tutto questo è ciò di cui parla il tantra.

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