L’etica buddhista nel servizio sociale

Il ruolo dell'etica nell’ambito del servizio sociale è un argomento molto importante se desideriamo impegnarci in vari tipi di professioni per aiutare gli altri. Che si tratti proprio di servizi sociali, di istruzione o assistenza sanitaria, l'etica è un aspetto molto importante di ciò. Ovviamente, quando cerchiamo di aiutare gli altri, dobbiamo astenerci dal causare danni e fare del nostro meglio per assisterli in qualsiasi modo possibile, anche se potremmo non conoscere davvero i metodi migliori. Perché ogni persona che cerchiamo di aiutare ovviamente è un individuo, e ciò che potrebbe essere appropriato per una persona potrebbe non necessariamente adattarsi a un'altra. Pertanto, nel lavorare in qualsiasi tipo di professione sociale, la professione d’aiuto richiede molta conoscenza, sensibilità verso gli altri e la base di tutto ciò è l'etica.

Video: Thubten Chodron — “Il Buddhismo nella vita professionale”
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Autodisciplina etica

Il Buddhismo parla di etica in termini di autodisciplina etica. Per mettere in pratica un sistema etico ovviamente abbiamo bisogno di disciplina. Quindi le due sono intimamente connesse. Questa disciplina non consiste nell’essere un poliziotto o una poliziotta che impongono la disciplina o la legge sugli altri, ma piuttosto la dirigiamo a noi stessi, il che ovviamente richiede il superamento della pigrizia, dell'indifferenza e di ogni sorta di ostacoli per poter essere disciplinati. Ciò significa che, anche se sappiamo quali sono i principi etici da seguire e abbiamo una motivazione per seguirli effettivamente, dobbiamo comunque superare le difficoltà che potremmo avere nel metterli in pratica. Quindi questo argomento di etica è un argomento molto ampio, e ci sono molti aspetti diversi in cui ci dobbiamo allenare per poterli mettere in pratica.

Il Buddhismo differenzia tre tipi di autodisciplina etica. La prima è la disciplina per astenersi dal comportamento distruttivo, il quale non si limita alle azioni fisiche effettive, ma anche al linguaggio – il modo in cui comunichiamo agli altri – e include anche il nostro atteggiamento, il nostro modo di pensare. Potremmo semplicemente per routine aiutare qualcuno, ma nella nostra mente avere ogni sorta di cattivi pensieri su di lui: quindi ciò richiede anche una disciplina etica per astenersi da ciò.

Il secondo tipo di disciplina è per impegnarsi in comportamenti costruttivi, e questo si concentra principalmente su ciò che facciamo noi stessi al fine di formare le nostre capacità per essere in grado di aiutare gli altri. Ciò significa studiare, addestrarsi, fare tutte le varie cose necessarie per essere ben qualificati nella nostra professione. Ciò significa che dobbiamo tenerci aggiornati in termini di carriera e non fare affidamento solo su ciò che abbiamo imparato molti anni fa: ciò richiede molta disciplina, in realtà, al fine di proseguire gli studi e continuare ad apprendere i nuovi metodi che si sviluppano nel nostro campo. In realtà non è così facile perché, se lavoriamo tutto il giorno e aiutiamo gli altri, è piuttosto faticoso e questo lavoro di aggiornamento è ciò che dobbiamo fare più tardi.

Il terzo tipo di autodisciplina etica si impegna effettivamente ad aiutare gli altri.

Quindi astenersi da comportamenti distruttivi, impegnarsi in comportamenti costruttivi ed educativi e aiutare effettivamente gli altri. Queste sono le tre aree di autodisciplina etica che il Buddhismo enfatizza e penso che siano abbastanza rilevanti per tutte le aree del servizio sociale. Diamo un'occhiata un po' più in profondità a questi tre ambiti.

Astenersi dal comportamento distruttivo e impegnarsi nel comportamento costruttivo

Astenersi dal comportamento distruttivo. Che cos'è il comportamento distruttivo? È spiegato negli insegnamenti buddhisti come un tipo di azione – fisica, verbale o mentale che sia – motivata da un'emozione o da un’attitudine disturbante. Non possiamo davvero dire con certezza come può influenzare gli altri perché, a volte, anche ciò che facciamo con una buona motivazione può danneggiare qualcuno – ad esempio commettiamo un errore e cerchiamo di aiutarlo, ma lui non accetta davvero i nostri consigli; questo tipo di cose.

Agire sotto l'influenza della rabbia

Quello che possiamo dire con certezza è che è distruttiva se la nostra motivazione è distruttiva o disturbata. Ad esempio, possiamo agire sotto l'influenza della rabbia: siamo infastiditi dal modo in cui qualcuno si sta comportando o sta conducendo la propria vita e così, nel tentativo di aiutarlo in quanto assistenti sociali, gridiamo loro: “Non comportarti così! Non drogarti!" o qualunque cosa possa essere. Tuttavia, se c'è rabbia nel nostro modo, ciò non solo ci impedisce di pensare chiaramente a cosa potrebbe essere di miglior aiuto, ma l’altra persona è sensibile e può percepire la nostra rabbia, rispondendo molto male. Non è facile, il lavoro nel sociale richiede molta pazienza. Cerchiamo di aiutare gli altri, diamo loro buoni consigli, ecc. e loro non lo accettano. Ne siamo frustrati, ovviamente, perché non siamo pazienti e così è molto facile arrabbiarsi con loro, sgridarli e urlare. O se facciamo parte dell’assistenza sanitaria: “Perché non stai prendendo le tue medicine? Cos'hai che non va?" ecc., è molto facile perdere la calma.

Sviluppare compassione per gli altri

In tali situazioni abbiamo davvero bisogno di sviluppare compassione: questa povera persona è confusa, in uno stato così difficile da non poter nemmeno ascoltare un buon consiglio. Non possiamo costringere gli altri a seguire i nostri consigli. L'unica cosa su cui possiamo effettivamente lavorare è noi stessi, per trovare un metodo più abile, per vedere come possiamo davvero convincere questa persona a cambiare modi. Ma se siamo sopraffatti dalla rabbia, dalla frustrazione e dall'impazienza, questo diventa davvero un grande ostacolo per pensare chiaramente a quale potrebbe essere un modo migliore di comunicare con questa persona?

Agire sotto l'influenza dell'attaccamento

Il secondo tipo di emozione disturbante è l'attaccamento e il desiderio. Siamo tutti esseri umani, dopo tutto e abbiamo desideri. Siamo attratti da alcune persone, potrebbe essere un'attrazione sessuale per qualcuno che stiamo cercando di aiutare come nostro cliente, oppure potrebbe essere un tipo di attrazione materna o paterna per un bambino piccolo: "Oh che dolce, che cara" e così via. In entrambi i casi, ciò potrebbe impedirci di essere severi con questa persona, a volte dobbiamo esserlo quando cerchiamo di aiutarla. O per via dell’esserne attratti, in un certo senso la rendiamo consciamente o inconsciamente dipendente da noi, in modo da poter trascorrere più tempo insieme. Ciò va evitato ma ovviamente non è così facile perché, come ho detto, siamo umani e naturalmente proprio come perdiamo la calma, troviamo anche alcune persone attraenti.

Sviluppare l'equanimità

Ciò che viene sempre sottolineato nell'addestramento buddhista è lo sviluppo dell'equanimità, che significa non essere sotto l'influenza dell'attrazione o della repulsione verso chiunque stiamo cercando di aiutare, o ignorare alcune persone che hanno bisogno di aiuto (questa è la terza variante qui), ma piuttosto avere un atteggiamento aperto, uguale nei confronti di tutti. Ciò significa un atteggiamento aperto, equo nei confronti di coloro che sono facili o difficili da aiutare, verso quelli con cui ci piace e non ci piace stare. Il metodo per essere in grado di svilupparlo è considerare che siamo tutti uguali: tutti vogliono essere felici, nessuno vuole essere infelice, proprio come me. Tutti vogliono essere curati, proprio come me. Nessuno vuole essere ignorato.

In realtà, ci sono alcune persone che vogliono solo essere lasciate in pace, non vogliono il nostro aiuto e queste sono le più difficili. È una sfida sentirsi rifiutati e non prenderlo sul personale. In particolare, sto pensando alle persone anziane nelle case di cura che non sono molto collaborative nel prendere le medicine o nel fare varie altre cose che devono fare. Ma, anche se non vogliono il nostro aiuto e vogliono essere lasciati sole, dobbiamo comunque avere lo stesso atteggiamento nei loro confronti e non ignorarle semplicemente.

Ancora più forte del solo pensare: "Tutti vogliono essere felici, nessuno vuole essere infelice" è guardare tutti come se fossero nostri genitori o amici più cari. Questa persona nella casa di cura potrebbe essere mia madre o mio padre, così non vorrò ignorarla o trattarla male. Possiamo anche pensare: "Un giorno sarò nella casa di cura e non vorrei che qualcuno mi ignorasse o mi trattasse male". Se abbiamo a che fare con i bambini, "Questo potrebbe essere mio figlio" oppure, se è qualcuno della nostra stessa età, "Questo potrebbe essere mio fratello, mia sorella, la mia cara amica": ciò ci aiuta a sviluppare un atteggiamento più aperto e uguale rispetto al fatto che tutti sono ugualmente importanti.

Agire sotto l'influenza dell'ingenuità

Un altro stato d'animo disturbante è l'ingenuità che significa, ad esempio, essere troppo occupati per scoprire davvero tutti i dettagli su qualcuno con cui stiamo lavorando e quindi, a causa della nostra inconsapevolezza, della nostra ingenuità sulla sua situazione, non lo gestiamo molto bene. Ricorda, ognuno è un individuo con una propria storia, il proprio retaggio e non è molto facile quando abbiamo a che fare con così tanti clienti durante il giorno che non abbiamo davvero il tempo di prestare attenzione ad alcuno di loro. Tuttavia, qualunque sia il tipo di situazione lavorativa in cui ci troviamo, per quanto tempo abbiamo a che fare con ogni individuo, è importante cercare di imparare il più possibile su questa persona. Più sappiamo, più siamo in grado di aiutarla. Ma se non ci interessa o siamo troppo stanchi o pigri, allora la nostra capacità di aiutarla è molto limitata. Ciò significa che mentre stiamo lavorando non dobbiamo sempre pensare a noi e ai nostri problemi personali, ma essere davvero preoccupati per l'altra persona. Ciò implica astenersi dal pensare in un modo che renderà il nostro lavoro inefficace, in un modo in un certo senso distruttivo, dannoso per il nostro lavoro. Se penso, "Oh, ho un problema a casa con questo e quello" non presto attenzione al cliente.

Agire quando è si è troppo emotivi e sopraffatti

Ci sono molti stati mentali ed emotivi che possono rendere il nostro lavoro meno efficace. A parte le emozioni disturbanti che ho appena menzionato, c'è anche l’essere troppo emotivi. Se siamo troppo emotivi e sopraffatti da forti sentimenti, quando abbiamo a che fare con persone che sono state ferite in un incidente e così via, se noi stessi iniziamo a piangere e così via, non possiamo assolutamente aiutarli. Ciò richiede un equilibrio molto delicato tra il non andare nei due estremi. Uno è essere emotivamente freddi, non sentire nulla e l'altro è una reazione eccessiva così che non possiamo davvero svolgere il nostro lavoro.

Per non cadere nell'estremo dell’essere freddi e non sentire nulla, dobbiamo ricordare che tutti rispondono calorosamente al contatto umano e non vogliono qualcuno che è come una macchina. Se sorridiamo, tenendoli per mano, se sono in un letto d'ospedale – queste cose aggiungono un tocco umano e caloroso, molto importante nella relazione d’aiuto.

D'altra parte, se siamo troppo emotivi allora dobbiamo renderci conto che essere così significa essere preoccupati solo per noi: “Oh, non ce la faccio. È troppo. È terribile"; fondamentalmente stiamo pensando solo a noi e a come ci sentiamo, non all'altro. Se nostro figlio si fa male e noi diventiamo isterici e piangiamo, non lo potremo nemmeno aiutare e lo spaventeremo. Dobbiamo mantenere la calma per poterlo tranquillizzare e pensare chiaramente a cosa dobbiamo fare per aiutarlo (diciamo che si è tagliato e sanguina molto).

Tutti questi punti che sto citando ora rientrano nella categoria dell'autodisciplina etica per impegnarsi in comportamenti costruttivi. In altre parole, dobbiamo allenarci in questi metodi che ci aiuteranno a non cadere in questi tipi di estremi di cui abbiamo appena discusso. Il comportamento costruttivo non è solo una formazione continua ma anche un lavoro su noi stessi per essere in grado di sviluppare anche le capacità emotive e di aiutare gli altri in modo efficace ed equilibrato. Il Buddhismo offre un'ampia varietà di metodi che possono aiutarci in questo settore.

Impegnarsi ad aiutare gli altri

Superare la pigrizia

Per impegnarci nel terzo tipo di autodisciplina etica, aiutare realmente gli altri, dobbiamo ovviamente superare la pigrizia. La pigrizia ha molti aspetti. Uno è l’essere distratti da altro "C’è il mio programma televisivo preferito quindi preferisco guardarlo che alzarmi e aiutarti", ad esempio. L’essere distratti da cose che sono piuttosto banali è una forma di pigrizia "Preferisco stare a letto un po' più a lungo che alzarmi e andare al lavoro", questa è pigrizia.

Un'altra forma di pigrizia è la procrastinazione, il rimandare a dopo, il non fare ora. Sapete che in qualsiasi tipo di lavoro il lavoro tende ad accumularsi, non si ferma mai. Se non ci occupiamo delle cose quando arrivano – al nostro computer se si tratta di e-mail, sulla nostra scrivania o altro – allora si accumula sempre di più e in seguito uno tsunami di lavoro ci investe travolgendoci perché c'è così tanto da fare. In una professione impegnativa non possiamo rimandare le cose al domani, dobbiamo prendercene cura giorno per giorno.

Ora, naturalmente, ciò richiede ciò che chiamiamo perseveranza entusiasta. Perseveranza – per continuare anche se siamo stanchi; dobbiamo finire. Ma c'è un certo punto in cui dobbiamo davvero riposarci, perché non affrontiamo più il nostro lavoro o gli altri in modo efficace; siamo troppo stanchi. Uno dei principi importanti nel riuscire a sostenere i nostri sforzi per lungo tempo è sapere quando dobbiamo riposare e farlo senza sentirci in colpa. Ovviamente questo significa non andare all'estremo di fare come i bambini e riposarci troppo. È una forma di pigrizia il riposare perché è più piacevole che lavorare.

Riposare richiede anche conoscerci abbastanza bene da sapere cosa ci aiuterà a rilassare e rigenerare la nostra energia. Per alcuni potrebbe semplicemente fare un pisolino o andare a dormire, per altri andare fuori e prendere un po' di aria fresca, fare una passeggiata. Per altri potrebbe essere guardare un film o la televisione, per altri ancora cucinare. Ci sono così tante cose che ognuno di noi potrebbe trovare rilassanti – leggere, ecc., non importa cosa. Il punto è conoscere noi stessi, sapere quando dobbiamo riposarci e cosa ci aiuterà a rilassarci e, inoltre, quando ci siamo riposati abbastanza, avere la disciplina per alzarsi e tornare al lavoro.

Una delle cose che ci impedisce di tornare al lavoro è: "Non ne ho proprio voglia": per questo dobbiamo lavorare sulla nostra motivazione; stiamo cercando di aiutare gli altri, quello che facciamo è di aiuto per gli altri. Se avessimo bisogno di aiuto, non ci piacerebbe se la persona su cui facciamo affidamento fosse troppo occupata, troppo stanca o dovesse finire di guardare il programma televisivo prima di poterci aiutare. Proprio come non vorremmo che qualcuno su cui facciamo affidamento per essere aiutati agisse in quel modo, così non lo vorrebbero tutti coloro che dipendono da noi. Questo è un metodo buddhista molto importante: metterci al posto dell'altra persona e vedere se ci piacerebbe se qualcuno ci trattasse nel modo in cui lo stiamo trattando.

Abbiamo affrontato due delle forme di pigrizia, l’essere distratti da cose banali e il rimandare. Il terzo tipo di pigrizia consiste nei sentimenti di inadeguatezza: “Non sono abbastanza bravo, non posso farlo, è troppo", che sono un grande ostacolo. Capita di non sapere cosa fare per aiutare qualcuno e potrebbe accadere abbastanza frequentemente quando siamo nei servizi sociali. Ma pensare: “Sono inadeguato. Non valgo” mortificandoci psicologicamente ed emotivamente non ci aiuterà affatto, perché in realtà è una forma di pigrizia, nel senso che non ci proviamo nemmeno e concludiamo semplicemente: "Non sono abbastanza bravo".

Non siamo dei Buddha – almeno non ancora – e quindi ovviamente non sappiamo cosa sia meglio per gli altri. Commettiamo errori, siamo umani. Ma il punto è continuare a provare, non mollare per pigrizia e consultare gli altri, se sono disponibili, per avere consigli su come aiutare, se non riusciamo a trovare da noi qualcosa di efficace. Anche se dobbiamo assumerci la responsabilità di aiutare gli altri, dobbiamo evitare l'estremo: "Sono il santo salvatore e salverò tutti" perché questo devia facilmente in un impulso inconscio di rendere tutti dipendenti da noi e riconoscenti per averli salvati, diventando gelosi e invidiosi se qualcun altro li aiuta e non siamo stati noi a farlo. Ma se la nostra motivazione è davvero che l'altra persona sia aiutata, allora non importa chi la aiuti, l’importante è che superi il suo problema. Se scopriamo che non siamo obiettivamente in grado di aiutare questa persona, è molto importante non essere orgogliosi e lasciare che il nostro orgoglio ci impedisca di raccomandarle di andare da qualcun altro che pensiamo possa aiutarla meglio di noi.

Quindi riaffermare la nostra motivazione è un metodo molto importante, enfatizzato più volte nel Buddhismo. Qui la nostra motivazione nello svolgere qualsiasi tipo di lavoro sociale è aiutare gli altri a risolvere i loro problemi. Tuttavia ciò non significa che dobbiamo necessariamente essere noi a farlo, anche se ce ne assumiamo la responsabilità: "Cercherò di fare del mio meglio per aiutarla".

Sviluppare un atteggiamento premuroso

L'etica dipende molto dall'avere quello che chiamiamo un atteggiamento premuroso: "Mi interessa l'effetto del mio comportamento sugli altri". Non si tratta solo di lavorare, guadagnare e non mi interessa degli altri o se ciò che faccio sia utile o meno. Dobbiamo anche preoccuparci dell'effetto del nostro comportamento su noi stessi; questo atteggiamento premuroso si basa sulla vera comprensione e sul prendere sul serio causa ed effetto. Se agiamo in un certo modo, con un certo tipo di motivazione ciò comporterà un certo tipo di effetto e siamo pienamente convinti che ci sarà. Questo è ciò che significa essere seri e preoccuparsene, quello che facciamo ha davvero un effetto sugli altri e anche su di noi.

Quindi, quando siamo impegnati in questa disciplina etica per aiutare gli altri, il terzo tipo di disciplina etica, allora qui in particolare dobbiamo avere questo atteggiamento premuroso, su cui si basa anche l'impegno nel comportamento costruttivo, questo tipo di disciplina etica. "Mi interessa essere efficace nel mio lavoro, quindi avrò la disciplina per continuare la mia istruzione e formazione", ad esempio. Questo atteggiamento premuroso è anche alla base della disciplina etica dell’astenersi dal comportamento distruttivo, "Perché mi interessa l'effetto del mio comportamento sugli altri e su me stesso, non voglio causare danni". Più specificamente: "Non voglio causare danni agendo sotto l'influenza della rabbia, dell'attrazione, dell'ingenuità e della gelosia" e di tutto questo genere di cose, o dell’orgoglio: "Anche se non so come aiutare, faccio finta".

Per avere questo atteggiamento premuroso, dobbiamo avere un senso di base di valori etici e un senso di rispetto per le buone qualità e per coloro che le possiedono. In altre parole, guardiamo a coloro che sono eccellenti nel campo dell’aiutare gli altri – come Madre Teresa o chiunque altro – e nutriamo grande ammirazione e rispetto per una persona simile, che è il nostro modello. È molto importante avere una sorta di figura che ci dia ispirazione nel nostro campo, che possiamo prendere come esempio e che funga da modello. Non importa se l’abbiamo effettivamente incontrata: la stimiamo perché abbiamo un senso dei valori; consideriamo che il modo in cui ha condotto la sua vita sia qualcosa di prezioso, che rispettiamo. Inoltre, ci rendiamo conto che abbiamo tutti i materiali di base per diventare come lei: ciò che viene indicato come fattori della natura di Buddha negli insegnamenti buddhisti, “Ho un corpo, capacità di comunicare, un cuore, sentimenti, un intelletto: posso capire le cose, ho delle abilità, sono in grado di imparare". Quindi abbiamo tutte queste qualità dentro di noi, questi sono i nostri materiali di lavoro e così ci rendiamo conto che possiamo effettivamente diventare come queste figure ispiratrici. Così abbiamo rispetto per noi stessi, un senso di dignità personale e ciò ci consente di preoccuparci davvero dell'effetto di come agiamo e di esercitare l'autodisciplina etica. È questa sensazione che: “Certo che posso sempre fare di meglio, certo che posso aiutare” e lo consideriamo un valore positivo. 

Questi sono alcuni dei miei pensieri, basati sugli insegnamenti buddhisti, sul ruolo dell'etica nel sentiero del servizio sociale. Se è il tipo di campo che state affrontando nei vostri studi, questa è una meravigliosa opportunità per fare davvero qualcosa di positivo, per dare un grande contributo alla vostra vita. Svolgere questo tipo di lavoro rende la vita molto significativa e utile perché si è effettivamente utili per gli altri. A Berlino, in Germania, città dove vivo, ho alcuni studenti impegnati in questo tipo di lavoro, uno dei quali lavora in una casa, una struttura per bambini che sono disabili mentali affetti dalla sindrome di Down e se ne prende cura, aiutandoli nella loro vita. Un’altra studentessa è un'infermiera che si prende cura delle persone disabili anziane: sono occupazioni meravigliose che richiedono, ovviamente, molta pazienza, molta disciplina e, naturalmente, un forte senso etico ma sono davvero utili. Vi ammiro molto se questa è la direzione in cui state andando nelle vostre vite.

Domande

Esistono metodi buddhisti che possono aiutarci a gestire stati mentali distruttivi come la diffidenza?

Essere sospettosi degli altri è simile alla paranoia che pensa sempre: “Le persone sono contro di me. Mi chiedo davvero quali siano le loro intenzioni” e così via. Ci sono due aspetti qui: uno è l'insicurezza che ci spinge a preoccuparci sempre che ci sia qualcuno contro di noi, che ci farà del male. Questo si basa sull'insicurezza, mentre l'altro aspetto è l'ipersensibilità, la reazione eccessiva.

Ora, per superare l'insicurezza, ci sono molti livelli che possiamo affrontare: uno consiste semplicemente nell’avere fiducia nella nostra capacità di gestire qualsiasi cosa accada nella vita. Trovo molto utile l'esempio di Buddha Shakyamuni, “Se non è piaciuto a tutti il Buddha, cosa mi aspetto da me stesso? Mi aspetto di piacere a tutti?”. È totalmente irrealistico, è impossibile piacere a tutti. Buddha non ci riuscì, quindi non dovrei aspettarmi di essere in grado di soddisfare e di piacere a tutti. Faccio del mio meglio – ho una buona intenzione – e se a loro piace o non piace, questo è il loro problema; trovo che sia molto utile. Naturalmente più ci alleniamo, più esperienza acquisiamo man mano che si invecchia, più ci si sente sicuri. Da giovani, da adolescenti, è normale essere più insicuri, ricercare conferme, voler piacere agli altri, ecc.

Dobbiamo riaffermare le buone qualità che abbiamo, che non significa negare o ignorare le nostre carenze, tuttavia, se enfatizziamo eccessivamente queste carenze diventiamo molto insicuri. Nessuno ha solo carenze, tutti noi abbiamo delle buone qualità ed è importante ricordarcele sempre: non significa essere orgogliosi e arroganti, ma avere un po' di fiducia in sé stessi.

Essere troppo sensibili, reagire in modo eccessivo, arrabbiarsi tanto per questo o quello – ancora una volta, dobbiamo pensare in termini di "Questo non è di alcun aiuto per nessuno"; ci impedisce di essere in grado di affrontare la vita e fa stare tutti a disagio. Più pensiamo agli altri in qualsiasi tipo di situazione, più saremo premurosi, calmi nel modo di rispondere emotivamente. Come una madre: una madre può essere molto arrabbiata ma se si deve prendere cura dei figli, come preparare loro la cena, supera la rabbia e fa quello di cui c’è bisogno per loro.

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