Il cuore compassionevole di bodhicitta

Mi è stato chiesto di parlare del bodhicitta questa sera. È un argomento vasto che riguarda la nostra motivazione, in particolare il motivo per cui vogliamo seguire un percorso spirituale. È una motivazione che costruiamo gradualmente dentro di noi; è difficile generarla immediatamente. Bodhicitta si riferisce a un cuore che aspira a diventare un Buddha, un cuore che ha una ferma determinazione: "Devo superare tutti i miei limiti e realizzare tutti i miei potenziali per poter essere di beneficio a tutti", si sforza per l'illuminazione non solo perché è lo stato migliore e più elevato, ma per aiutare tutti raggiungendola. Anche se spesso possiamo dire verbalmente che stiamo lavorando per diventare un Buddha per beneficiare tutti gli esseri senzienti, è molto difficile sentirlo continuamente e sinceramente nei nostri cuori. Tuttavia, sviluppando ripetutamente questa aspirazione, possiamo raggiungere uno stadio in cui sorge spontaneamente dentro di noi. Un bodhisattva è una persona con autentico bodhicitta come sua principale motivazione, giorno e notte.

Dato che probabilmente avete ricevuto insegnamenti e spiegazioni sui modi per sviluppare bodhicitta, non mi soffermerò su questi; parlerò invece dell'importanza di attraversare tutte le fasi che portano a questa motivazione. È abbastanza facile saltare queste fasi e provare ad andare direttamente a questa più alta motivazione mahayana. Potremmo dire: “Pratico perché voglio aiutare gli altri. È la mia responsabilità sociale" e, poiché è qualcosa di ovviamente benefico da fare, proviamo immediatamente a farlo. Tuttavia, se non abbiamo attraversato le fasi precedenti, ci mettiamo nei guai. Vorrei discutere su come evitare queste difficoltà quando stiamo sviluppando una motivazione di amore e compassione per aiutare gli altri.

Con il lam rim, il percorso graduale verso l'illuminazione, lavoriamo attraverso sentieri graduali al più alto livello di sviluppo spirituale. La motivazione spirituale iniziale implica il lavorare per la felicità delle nostre vite future. Sforzarsi solo per la felicità di questa vita è ciò che fanno tutti, anche gli animali lo fanno: si preoccupano per il cibo e di prendersi cura dei loro piccoli. Sebbene questa sia una preoccupazione essenziale, non implica necessariamente una pratica spirituale.

Tuttavia avere a cuore questa vita è importante. Alcune persone non prendono sul serio loro stesse, le loro situazioni e non vogliono mai guardare a ciò che accade nelle loro vite. Pertanto, non vogliono nemmeno migliorare la loro situazione presente, accettano semplicemente quello che succede e non mirano mai a qualcosa di meglio. È così importante almeno iniziare a preoccuparsi di noi stessi, delle nostre famiglie e delle nostre situazioni, anche se questa non è una motivazione particolarmente spirituale. Quando abbiamo problemi, li ammettiamo; esaminiamo le nostre vite per vedere quali difficoltà stiamo incontrando. "Sono felice? Sono infelice? Ci sono difficoltà che sto affrontando che rendono la mia vita spiacevole?”

Le vite future

Il confine che indica che siamo effettivamente entrati nella pratica spirituale è quando siamo interessati e preoccupati principalmente delle nostre vite future. Tutti i testi concordano su questo. Quando ci occupiamo delle vite future, vogliamo evitare di avere problemi peggiori di quelli che abbiamo ora. Osserviamo le situazioni che potrebbero avvenire come conseguenza di ciò che stiamo facendo ora. Pensiamo alle nostre preziose vite umane: “Quanto sono fortunato! Non sto morendo di fame. Non sono in un campo di concentramento. Non sono mentalmente disabile. Non sono in una situazione barbara in cui tutti si attaccano a vicenda. Sono molto fortunato di essere libero da tutte queste circostanze e ho l'opportunità di evolvermi spiritualmente. Tuttavia non durerà per sempre, la morte arriverà di certo. È così per tutti e non è certo quando accadrà. Un camion potrebbe investirmi in qualsiasi momento, non serve essere anziani per morire: potrei morire giovane". Quindi pensiamo a cosa potrebbe accadere dopo la morte: una situazione migliore o una peggiore. Guardando le situazioni peggiori – come essere un insetto o uno spirito famelico – sviluppiamo un grande senso di timore. Non paura, bensì timore.

Nel Buddhismo non vogliamo alimentare la paura. Dire che abbiamo paura di rinascere nei regni inferiori è una traduzione errata: dire che temiamo una rinascita inferiore trasmette meglio il significato. La paura è uno stato mentale paralizzante che ci fa solidificare la situazione che non ci piace trasformandola in qualcosa di mostruoso e orribile. Ci congeliamo, non siamo in grado di gestirla. Questo non è ciò che si intende nel Buddhismo; si intende il timore, il non desiderare che accada una situazione terribile. La differenza tra timore e paura è come la situazione di dover trascorrere un pomeriggio con una persona odiosa e orribile che renderà il pomeriggio molto spiacevole. Noi non ne abbiamo paura, bensì la temiamo. Il timore è il forte desiderio che qualcosa non accada.

Prendere una direzione sicura

Temendo queste situazioni peggiori in futuro, cerchiamo una direzione per evitarle prendendo rifugio. Il rifugio è una direzione sicura che prendiamo nella nostra vita, andiamo nella direzione del Dharma. Il Dharma completo è lo stato in cui tutti i nostri limiti e problemi sono eliminati e tutti i nostri potenziali sono realizzati.

Dharma significa misure preventive che attuiamo per evitare problemi. La cosa più grande e definitiva che potremmo fare per evitare tutti i nostri problemi è liberarci dei limiti che li causano. “Se sono arrabbiato, nervoso o preoccupato, questo mi causerà molti problemi. Tuttavia, se potessi realizzare tutti i miei potenziali, sarei in grado di gestire tutte le situazioni e di aiutare tutti nel miglior modo possibile”. Quando lo capiamo, allora vorremo andare in quella direzione.

Andare in quella direzione è positivo e benefico; è la direzione che i Buddha hanno preso e quella che la comunità Sangha sta percorrendo. Il Sangha è la comunità di esseri altamente realizzati che hanno visto la realtà in modo diretto e non concettuale; la comunità monastica di monaci e monache li rappresenta per noi. Prendere quella direzione sicura e positiva nelle nostre vite è la soluzione per evitare di andare in una direzione peggiore nelle vite future.

In particolare, dobbiamo pensare a causa ed effetto comportamentale. Dobbiamo vedere che se agiamo in modo distruttivo, ciò si traduce in danni e problemi; creiamo molta energia negativa che poi sperimentiamo noi stessi e che ci blocca. Invece, se ci tratteniamo dall'agire in modi distruttivi e agiamo invece in modi costruttivi accumuliamo potenziale positivo e, di conseguenza, le cose andranno meglio in futuro. In questo modo, lavoriamo per migliorare le vite future.

La determinazione ad essere liberi

Indipendentemente dal tipo di vita futura che otterremo, ci saranno ancora problemi ricorrenti e incontrollabili: frustrazioni, scontri e conflitti con le persone, non ottenere ciò che vogliamo, ottenere ciò che non vogliamo e così via. È inevitabile, sopraggiungono a causa della nostra mancanza di consapevolezza di chi siamo, di come esistiamo e di come esistono le altre persone. Poiché non ne siamo consapevoli diventiamo molto confusi e, poiché siamo confusi, ci sentiamo insicuri; sentendoci insicuri, ci afferriamo a un'identità per darci una qualche forma di sicurezza. Ci afferriamo a qualche aspetto di noi stessi, vero o immaginario e ci identifichiamo con esso: "Questo sono IO".

Potremmo identificarci con determinati ruoli o professioni sociali: “Sono un UOMO D'AFFARI; è quello che sono". Oppure con "Sono una MADRE" o "Sono un PADRE". Basiamo la nostra intera identità su questo e, continuando a sentirci insicuri, proviamo a difendere quelle identità o ad affermarle. Nel fare ciò, agiamo in modo molto impulsivo e compulsivo, maltrattando gli altri "Sono un PADRE e devo essere rispettato!" Certo, nostro figlio avrà difficoltà con questo e sorgerà un grande conflitto; il bambino pensa “Sono una persona indipendente. So cosa voglio fare!” basando la sua identità sull'essere una persona indipendente, un adolescente. Quindi il padre deve mantenere la propria identità e dice: "No, DEVI obbedirmi!" Ognuno è insicuro e si afferra sempre di più al suo ruolo sociale, il che produce discussioni, conflitti, rancori ricorrenti e incontrollabili. Questo è ciò che è noto come samsara: i problemi ricorrenti e incontrollabili.

Dobbiamo sviluppare una determinazione per essere liberi da questo ciclo di problemi costantemente ricorrenti. Questo è spesso tradotto come rinuncia, sebbene sia fuorviante. In inglese ha la connotazione che dovremmo rinunciare a tutto e andare a vivere in una grotta. Buddha non l’ha detto. Abbiamo questa idea perché leggiamo di persone come Milarepa, che hanno lasciato la famiglia e il villaggio per vivere in una grotta e pensiamo di doverlo fare anche noi. Questo non è il significato di rinuncia. Ovviamente, dobbiamo rinunciare ai nostri attaccamenti grossolani e al nostro aggrapparci a ciò che abbiamo, ma ciò non significa che dobbiamo buttare tutto fuori dalla finestra.

Piuttosto, l'idea tradotta come "rinuncia" in realtà significa "determinazione a essere liberi". La nostra mente è decisa e determinata: “Tutti i problemi che ho, tutti questi scontri con la mia famiglia, le difficoltà a lavoro – basta! Sono stufo! Sono disgustato! Devo uscirne!” Basandoci su questo, cerchiamo di sviluppare la consapevolezza discriminante che vede la realtà e capisce come esistiamo in quanto, di fatto, non esistiamo bloccati all'interno di queste solide identità. Le cose sono molto più aperte di così; non esistiamo in questi modi strani, fantasiosi, impossibili. Non siamo solo genitori; siamo anche amici e figli dei nostri genitori. Siamo molte cose in relazione agli altri. Pertanto, vogliamo sviluppare questa determinazione ad essere liberi che ci spingerà a seguire una pratica spirituale e ad acquisire saggezza.

La responsabilità universale

Dopodiché pensiamo: “Non sono l'unico in questo universo, ci sono anche tutti gli altri. Ho delle responsabilità nei loro confronti?" Potremmo dire: "No, chi se ne importa? Non sono veramente connesso a loro. Lavoro solo per me". Tuttavia questo è molto irrealistico. Il grande maestro indiano Shantideva usò l'esempio della mano e del piede: se abbiamo una spina nel nostro piede e se la nostra mano dovesse dire al piede: “Buona fortuna, piede! Questo è un tuo problema, io sto bene quassù”, sarebbe molto sciocco. La mano deve aiutare il piede perché sono interconnessi. Allo stesso modo, non possiamo lavorare per noi soli perché siamo strettamente interconnessi con tutti gli altri.

Possiamo facilmente vederlo se pensiamo a tutto ciò che utilizziamo nel corso della giornata, ad esempio, quello che abbiamo mangiato a colazione questa mattina. Potremmo aver mangiato una ciotola di cereali caldi. Da dove viene? Molte sono le persone coinvolte nella coltivazione del grano, nella raccolta e nel portarlo al mulino dove è stato trasformato in farina; altre persone l’hanno trasformato in cereali e altri l’hanno impacchettato. Tutte queste persone sono state coinvolte nella preparazione dei cereali per noi. Poi la scatola di cereali è stata trasportata qui in aereo, in nave o via terra. Chi ha costruito le strade e gli aeroplani? Da dove provengono i materiali per costruire i camion o gli aeroplani? E il carburante? Pensa a tutti i dinosauri i cui corpi decomposti hanno prodotto la benzina! Sono così tante le persone e gli animali coinvolti nel produrre questo pacco di cereali.

Come li abbiamo preparati? Devono esserci l’elettricità e il gas in cucina, questo è grazie alle persone che lavorano negli impianti elettrici e a coloro che perforano e pompano il gas. Ci sono così tante persone coinvolte in tutte queste attività, e stiamo solo prendendo in considerazione una piccola ciotola di cereali! Che dire di tutto ciò che mangiamo? E dei vestiti che indossiamo? Che dire di tutti gli oggetti in casa, della ciotola dei cereali? E da dove provengono il sacchetto di plastica e il cartone dei cereali? Pensa a tutte le persone del settore del legname, della carta, della plastica e della stampa coinvolte nella realizzazione dell'involucro.

Centinaia di migliaia di persone rendono la nostra vita possibile ogni giorno. Lavorare da soli non ha alcun senso, perché siamo così interconnessi con tutti gli altri. Se tutti gli altri si trovano in una situazione terribile e noi stiamo bene, non funzionerà. Allo stesso modo, non funzionerà se siamo gli unici sopravvissuti di una guerra nucleare, soli nel rifugio antiaereo indossando una maschera antigas quando tutti gli altri sono morti. Quanto possiamo durare così? Non molto lungo e, inoltre, non sarà molto divertente.

In questo modo iniziamo a pensare agli altri, ricordiamo la loro gentilezza e vogliamo ripagarla. Sviluppiamo amore, desiderando che siano felici e compassione, un sincero desiderio che siano liberi dai loro problemi. Inoltre, ci assumiamo la responsabilità di fare effettivamente qualcosa al riguardo. Non è sufficiente stare a bordo piscina mentre guardiamo il nostro bambino affogare e dire: “Che peccato! Vorrei che ciò non accadesse”. La compassione non è abbastanza, dobbiamo davvero fare qualcosa, tuffarci e aiutare nostro figlio; ci assumiamo la responsabilità di salvarlo. Questa è una risoluzione eccezionale "Ho intenzione di fare qualcosa per aiutare gli altri".

Quindi ci chiediamo: “Sono davvero in grado di aiutarli al meglio? Onestamente, no. Difficilmente riesco ad aiutare me stesso, quindi come posso aiutare gli altri? L'unico modo è diventare io stesso un Buddha e, per questo, ho bisogno di superare tutti i miei limiti e realizzare tutti i miei potenziali. Allora potrò davvero aiutare tutti nel miglior modo possibile”. Generiamo bodhicitta: decidiamo che il nostro cuore diventi un Buddha per aiutare tutti. Lo sviluppo di bodhicitta si riferisce all'espansione dei cuori sempre più verso gli altri, verso l'obiettivo di raggiungere i nostri pieni potenziali e superare tutti i nostri limiti in modo da poter aiutare gli altri nel miglior modo possibile.

Questo è il percorso graduale attraverso il quale ci sviluppiamo. Innanzitutto, vogliamo assicurarci di avere buone vite future così sviluppiamo la determinazione a essere completamente liberi da tutti i problemi. Infine, dedichiamo il nostro cuore a diventare Buddha per poter aiutare tutti. Ci assumiamo questa responsabilità basata sull'amore e sulla compassione, prendendoci cura della felicità di tutti gli altri e non volendo che siano infelici.

Senza prendere sul serio le vite future

Cosa succede se proviamo a saltare a quella fase finale dell'aspirazione a diventare Buddha senza passare per le fasi iniziali? Abbiamo dei problemi. Ad esempio, il primo passo importante è pensare alle vite future e prenderle sul serio. Forse non ci abbiamo pensato molto o forse le abbiamo accettate in un modo molto vago, senza prenderle a cuore. Se non abbiamo pensato al fatto che abbiamo vite infinite, potremmo pensare: “Beh, le cose non vanno bene nel mio rapporto con quella persona. Quindi perché non rinunciare a lei e lasciarsi coinvolgere da qualcun altro?" Potremmo avere questo atteggiamento verso le persone che non conosciamo bene o con gli amici con cui le cose vanno male – vogliamo solo lasciarle. Quando ci stanchiamo dei nostri partner o abbiamo difficoltà con loro, cambiamo semplicemente marito o moglie. In alcuni paesi, il 50% di tutti i matrimoni finisce con il divorzio. È davvero scioccante e anche molto triste.

Cosa c'è dietro questo? L'idea che non abbiamo connessioni con gli altri e che quindi possiamo buttarli via come vecchi cavoli “Bene, non aiuterò più questa persona, la lascio da parte. Non importa". Tuttavia, se abbiamo pensato alle vite future e alle vite infinite, allora ci rendiamo conto che non possiamo evitare una relazione con qualcuno. Se la relazione non funziona bene, non possiamo andarcene ignorando quella persona e non rivedendola mai più. Se non risolviamo questo rapporto ora in questa vita, allora, nelle vite future si ripresenteranno situazioni simili. Se abbiamo problemi con questa persona ora e ce ne andiamo, nelle vite future incontreremo qualcuno molto simile – la continuità di quella stessa persona – e di nuovo vivremo le stesse difficoltà e problemi. Non possiamo evitarlo.

Se abbiamo difficoltà con qualcuno, ciò non significa che dobbiamo sempre stare con quella persona. A volte, potrebbe essere difficile. Ma almeno cerchiamo di migliorare la situazione o di separarci in buoni rapporti. Cerchiamo di migliorarne un po' la qualità perché nelle vite future continuerà. Forse non siamo completamente preparati ad affrontare queste situazioni ora ma, si spera, nelle vite future lo saremo.

Quando cerchiamo di espandere i nostri cuori a tutti e di raggiungere lo stato di Buddha per aiutarli, è molto utile se abbiamo pensato alle vite future. Altrimenti potremmo avere il problema di "Sto espandendo il mio cuore a tutti ma non mi piace quella persona, quindi me ne dimenticherò e lavorerò con altri". Ci aiuta a espandere il nostro cuore a tutti quando ci rendiamo conto che non possiamo fuggire da nessuno e che, nelle vite future, continueremo a incontrarle. Pertanto, dobbiamo affrontarle, essere in grado di sviluppare più amore, più calore e più gentilezza verso tutti. Questo è un punto importante.

Un altro aspetto è che molto spesso ci identifichiamo con i nostri piccoli gruppi. Ci identifichiamo solo con americani, cinesi o buddhisti, con le nostre famiglie, il nostro sesso o con le nostre fasce di età – adolescenti, adulti o anziani – e riteniamo che “Posso relazionarmi solo con le persone del mio gruppo, posso solo capire i loro problemi quindi posso aiutare solo loro. Posso solo aiutare gli altri americani. Come posso capire le persone in Africa?” “Posso solo aiutare gli altri buddhisti, perché è impossibile capire le persone di altre religioni”. “Posso solo aiutare gli altri uomini, perché come posso capire le donne?” “Posso solo aiutare le donne perché tutti gli uomini sono sciovinisti e mi molestano. Come posso relazionarmi a loro?” “Posso solo capire e aiutare gli altri adolescenti, perché i genitori non hanno idea di cosa stia succedendo. Loro non capiscono". "Posso solo aiutare gli adulti maturi, perché tutti i bambini sono marci e non puoi dire loro niente".

Pertanto, ci limitiamo quando pensiamo solo a questa vita e alle situazioni particolari in cui ci troviamo ora in termini di età, sesso, famiglia, nazione e così via. Se pensiamo alle vite infinite – le vite future passate – realizziamo: “Ho vissuto ogni età, sono stato giovane, di mezza età e anziano. Posso relazionarmi con persone di tutte le età perché lo sono stato io stesso. Li posso apprezzare. Sono stato di ogni razza e di ogni nazionalità. Vengo da ogni tipo di retaggio culturale". Questa realizzazione ci consente di essere in grado di relazionarci con tutti i gruppi e sentire una certa connessione con loro.

Possiamo estenderlo e ricordare che nelle vite passate siamo stati anche animali "Come mi sono sentito quando qualcuno mi ha preso a calci o schiacciato?" In questo modo, ricordiamo che anche gli animali provano dolore e piacere e così siamo più attenti al modo in cui li trattiamo.

Pensare alle vite passate e future è quindi molto utile nel darci una sensazione di connessione con tutti. Possiamo anche relazionarci ad entrambi i sessi: "Sono stato sia uomo che donna in passato". Possiamo apprezzare, entrare in empatia e comprendere i problemi e le situazioni di tutti i gruppi. Questo è molto utile per espandere i nostri cuori per aiutare tutti e per voler raggiungere lo stato di Buddha per farlo nel miglior modo possibile. Questi sono alcuni punti importanti che derivano dal pensare alle vite future. Senza di essi, il modo in cui espandiamo i nostri cuori diventa molto limitato.

Senza la determinazione ad essere liberi

Quando dedichiamo il nostro cuore a beneficio degli altri, un altro aspetto importante è la determinazione a essere liberi. Quando siamo coinvolti nell'aiutare gli altri, spesso lo facciamo per determinate ragioni nevrotiche, perché vogliamo sentirci amati “Ti aiuterò per diventare molto popolare”. “Piaccio a tutti perché sto aiutando quella persona, lo faccio per essere amato e apprezzato”. “Lo sto facendo perché tutti gli altri penseranno che brava persona sono. Allora avrò una buona reputazione”. “Lo sto facendo perché, se non lo faccio, perderò la faccia e la gente penserà male di me; mi sento obbligato a farlo". Oppure, vogliamo sentirci necessari: “Ti aiuterò per sentirmi importante. Sarò amato in cambio dell'aiuto che sto dando”. I genitori a volte hanno questo atteggiamento “Anche se i miei figli hanno trenta o quaranta anni, devo ancora dire loro cosa indossare e cosa mangiare per sentirmi necessario, per sentire di avere una funzione, per essere importante nella loro vita”. Aiutare gli altri per sentirci necessari è sfruttarli.

Con la determinazione ad essere liberi guardiamo tutte queste situazioni incontrollabili e ricorrenti, queste relazioni nevrotiche e i problemi che causano. Quindi sviluppiamo una determinazione per esserne liberi “Ora basta! Devo uscirne, è semplicemente ridicolo! Questo sta causando così tanta ansia e tensione!”

Quando abbiamo quella determinazione ad essere liberi, vogliamo anche essere liberi da qualsiasi tipo di interazione nevrotica con le persone che stiamo aiutando. “Aiuto così tutti penseranno che sono una persona meravigliosa. Mi preoccupo di ciò che pensa questa e quella persona. Aiuto gli altri solo quando c'è qualcuno che possa testimoniarlo, in modo che possa dirlo agli altri. Lo faccio per impressionare le persone. Faccio beneficenza, ma certamente non in modo anonimo, che tutti sappiano che ho donato. In effetti, metterò una targa con il mio nome per mostrare che ho dato questo importo!” Con la determinazione ad essere liberi, vediamo lo svantaggio di pensare "Sto aiutando gli altri in modo che dipendano da me e mi sentirò importante". Se abbiamo una forte determinazione ad essere liberi da questi problemi, abbandoneremo i secondi fini nell’aiutare gli altri.

Anche se potremmo non essere in grado di cambiare immediatamente, almeno vediamo che aiutare gli altri per ragioni nevrotiche crea problemi. L'altra persona alla fine se ne risentirà, si renderà conto di ciò che stiamo facendo e forse ciò sarò un problema, che potrà minare il nostro sforzo nell’aiutare gli altri. Mettendo in discussione non solo i nostri motivi nevrotici, ma tutte le nostre attività per aiutare gli altri, possiamo rinunciare anche solo a cercare di aiutare.

Dobbiamo eliminare tutte le motivazioni nevrotiche che abbiamo. Il modo in cui lo facciamo è attraverso la determinazione ad essere liberi da tutto l'aggravamento e la finzione di quando agiamo con una motivazione impura. Sviluppare questa determinazione ad essere liberi in modo che la nostra interazione con gli altri non sia così fortemente contaminata da motivazioni nevrotiche è molto importante. Sebbene sia importante, tendiamo a ignorarlo.

Lavorare su noi stessi

Lo scopo principale del Dharma è riconoscere i nostri difetti, correggerli e sviluppare le nostre buone qualità. Lavorando per migliorare noi stessi, progrediamo attraverso una serie graduale di metodi e utilizziamo le nostre esperienze personali per conoscerci. Supponiamo che abbiamo l'abitudine di assillare i nostri partner o figli “Perché non fai questo? Perché non fai quello? Perché non sei tornata a casa in tempo? Perché non hai chiamato? Perché non porti fuori la spazzatura?” ecc. Sappiamo che questo è molto distruttivo, crea molta tensione nella relazione. Probabilmente il risultato sarà che i nostri partner o bambini saranno più freddi e distanti e diranno: "Lasciami in pace". Oppure, pur non esprimendolo, ci ignoreranno e saranno completamente freddi. Così noi diremo “Perché non mi parli? Perché non fai questo? Perché non fai quello?” e loro diventeranno ancora più silenziosi, più ritirati e non torneranno affatto a casa. Questo produce così tanta infelicità. Come lo fermiamo?

Innanzitutto, cerchiamo di usare l'autocontrollo: "So che non dovrei dirlo, quindi non lo dirò". Ci controlliamo strettamente, ma spesso è difficile da fare e scopriamo che iniziamo comunque ad assillare “So intellettualmente che non dovrei farlo, ma non riesco a smettere. Non ho la forza di fermarlo”, così ci arrabbiamo con noi stessi “È terribile! Ho provato a trattenermi ma non ci sono riuscito”. In quello stato di rabbia, è molto difficile per noi cambiare o migliorarci perché siamo molto arrabbiati.

La rabbia si trasforma rapidamente in colpa "Ho rovinato tutto! Mi sento così in colpa! Sono terribile! Non avrei dovuto assillarlo. Ho causato un altro problema". Il senso di colpa è uno stato mentale molto sfortunato e infelice, in cui ci identifichiamo fortemente con l'essere un bambino cattivo “Sono così cattivo. Guarda cosa ho fatto! A mamma e papà non piacerò più” e ci sentiamo male. Più ci sentiamo in colpa, più ci identifichiamo con l'essere un bambino cattivo e più ci identifichiamo con l'essere un bambino cattivo, più ci sentiamo in colpa: è un circolo vizioso. Ancora una volta, è difficile per noi cambiare la situazione quando ci sentiamo in colpa.

Se andiamo oltre la colpa c’è la noia “Sono così stanco di tutte queste discussioni, di tutte queste scene che accadono quando lo tormento e quando, in risposta, il mio partner o mio figlio si chiude con risentimento e mi dice di smettere di tormentarlo. Sono stufo! Che noia! BASTA! Devo uscirne”.

Questi sono i passi che seguiamo per sviluppare la determinazione ad essere liberi. Non cambiamo quando siamo arrabbiati con noi stessi. Non cambiamo quando ci sentiamo in colpa. Cambiamo in uno stato di noia che pensa "Questo è stupido!": qui è quando proviamo a uscirne.

Se non abbiamo attraversato tutte queste fasi del lavoro su noi stessi allora, quando proviamo ad aiutare gli altri, tendiamo a proiettare su di loro tutte queste emozioni distruttive. Questo diventa molto ingiusto. Ad esempio, sto cercando di aiutare qualcuno e la prima cosa che faccio è essere prepotente “Io voglio esercitare l'autocontrollo su me stesso, quindi anche tu DEVI cambiare, DEVI smettere di fare così”.

Molto spesso, ci comportiamo così con i nostri figli. È facile maltrattarli e cercare di imporre la nostra volontà e il controllo su di loro. A nessuno piace essere trattato come un bambino, soprattutto se non è nostro figlio.

A nessuno piace essere vittima di bullismo nel cambiare o migliorare sé stesso. Quando spingiamo gli altri “Devi cambiare. Devi andare a scuola. Devi trovare un lavoro. Devi fare questo. Devi fare quello” è troppo invadente. È un nostro “film di potere”. Quello che succede è che lui o lei non segue i nostri consigli o non accetta il nostro aiuto. Quindi, proprio come ci saremmo arrabbiati con noi stessi, ora ci arrabbiamo con l'altra persona: “Tu persona terribile! Ti avevo detto di farlo e tu non l'hai fatto. Guarda tutti i problemi che hai causato a te stesso!” Non è questa l'interazione ideale da avere con qualcuno che stiamo cercando di aiutare. Arrabbiarsi quando lui o lei non accetta il nostro consiglio provoca solo molto risentimento.

Quindi, passiamo al passo successivo. Proprio come noi ci siamo sentiti in colpa, ora proviamo a far sentire in colpa l'altra persona. “Non apprezzi quello che sto cercando di fare per te. Guarda tutte le difficoltà che ho attraversato! Il minimo che puoi fare è apprezzarlo, il minimo che puoi fare è provare”. Diventiamo il "genitore" e proviamo a farlo sentire in colpa.

Poi la fase successiva “Sono così stanco, così stanco di avere tutti questi problemi e difficoltà. Devo uscirne”. Allo stesso modo, guardiamo l'altra persona e pensiamo: “Dobbiamo uscire da questo. È davvero troppo!” In questo modo, lavoriamo per aiutarlo. Proprio come ci siamo determinati a liberarci dai problemi, allo stesso modo abbiamo questa determinazione ad aiutare anche l'altro a essere libero dai suoi problemi. È molto importante. Se non abbiamo affrontato le tappe da soli attraverso le nostre esperienze allora, quando proviamo ad aiutare gli altri, tendiamo a proiettare tutti i nostri problemi sull'altra persona, proviamo a cambiarla con il bullismo, arrabbiandoci o facendola sentire in colpa. Questi sono grandi ostacoli nella relazione d’aiuto.

Rispetto per sé stessi

Un altro aspetto da tenere presente quando si aiutano gli altri è la situazione che si verifica quando qualcuno ci presenta un problema, ci racconta la sua storia e, dopo un po', ci stanchiamo. È come un brutto programma televisivo, vogliamo cambiare il canale scegliendo uno spettacolo diverso perché questo è un programma molto spiacevole e poco interessante. Ciò si verifica perché non stiamo prendendo sul serio l'altra persona, che ci parla di un problema e noi pensiamo: “Questo programma televisivo dura troppo a lungo! Ho fame. Fammi premere il pulsante e spegnere la tv”. Non la stiamo prendendo sul serio, anche se quei problemi sono reali per lei e lei sta male. Spesso non prendiamo sul serio gli altri perché nelle prime fasi del percorso non ci siamo presi sul serio.

Prendersi sul serio, esaminare i propri problemi cercando di affrontarli, è molto importante. Se non possiamo prendere sul serio noi stessi e i nostri problemi, come possiamo prendere sul serio chiunque altro e le sue difficoltà? Se non ci interessa di essere felici, come possiamo sviluppare la mente che vuole che tutti gli altri lo siano?

Preoccuparsi di noi stessi non significa essere egoisti, non significa "Devo ottenere un milione di dollari e comprare questo e quello". Piuttosto, rispettiamo noi stessi come esseri viventi.

Molte persone hanno idee e atteggiamenti negativi su sé stessi “Io non sono buono; non merito di essere felice; non merito di essere amato”. Se è così che sentiamo per noi stessi, allora sorge facilmente il pensiero "Se io non merito di essere felice, perché tu dovresti meritare di esserlo?" Tuttavia, se guardiamo noi stessi e pensiamo “Ho la natura di Buddha. Ho tutti i fattori dentro di me che mi permettono di essere in grado di svilupparmi e crescere per diventare un Buddha, di essere in grado di aiutare tutti: ho una mente, ho energia, ho la capacità di comunicare, ho un certo livello di buon cuore. Tutto questo può essere sviluppato. Quindi, ovviamente, merito di essere felice. Merito di avere una vita migliore”.

In questo modo ci prendiamo sul serio e ci rispettiamo, riconoscendo "Merito di essere felice e di uscire dai miei problemi". Con questo come base possiamo trasferire tale rispetto ad altri. Vediamo che hanno anche la capacità di migliorare, hanno la natura di Buddha, hanno tutti i potenziali. Su questa base, anche loro meritano di essere felici e liberi da tutti i loro problemi. Li prendiamo sul serio.

Dall'inizio

Questi sono alcuni dei punti principali che sono importanti quando sviluppiamo una motivazione di bodhicitta per aiutare gli altri e raggiungere l'illuminazione al fine di essere di beneficio nel miglior modo possibile. Ciò non significa che non li aiutiamo all'inizio, che dobbiamo solo lavorare su noi stessi e solo quando abbiamo raggiunto un livello avanzato, aiutiamo gli altri. Dal punto di vista del mahayana aiutiamo gli altri dall'inizio, tuttavia non lo facciamo pensando "Posso saltare tutte le fasi precedenti e aiutare gli altri". Aiutiamo al meglio delle nostre capacità lungo il percorso. Questo è essenziale nel sentiero buddhista.

Tuttavia, pur aiutando gli altri il più possibile ora, dobbiamo essere sicuri di dedicare del tempo allo sviluppo delle precedenti motivazioni ed esperienze fondamentali. Se non lo facciamo, è probabile che avremo problemi nell'aiutare gli altri. Potremmo pensare che quando abbiamo problemi con gli altri, possiamo ignorarli. Non possiamo. Abbiamo vite infinite e li incontreremo sempre di nuovo. Oppure, possiamo pensare di poter aiutare solo persone della nostra stessa età e del nostro ambiente culturale. Non è così. Siamo stati tutto, di tutte le età, di tutte le culture e di entrambi i sessi. Quindi, possiamo relazionarci a tutti.

Inoltre, non vogliamo aiutare gli altri solo per essere amati, sentirci importanti o necessari. Abbiamo la determinazione ad essere liberi da tali interazioni nevrotiche perché vediamo che causano problemi ricorrenti e incontrollabili. Non entreremo in film di potere con gli altri quando li aiutiamo, provando a costringerli a seguire i nostri consigli. Non ci arrabbieremo con loro e non li faremo sentire in colpa quando non seguiranno il nostro consiglio. Questo perché abbiamo attraversato l'intero processo di lavorare su noi stessi: abbiamo provato l'autocontrollo, ci siamo arrabbiati con noi stessi, ci siamo sentiti in colpa, ma poi siamo diventati così stufi che siamo determinati a essere liberi. Abbiamo deciso fermamente di uscirne. Avendolo vissuto, non lo proietteremo sugli altri.

Durante l'intero processo, ci siamo anche presi sul serio. Riconosciamo la nostra natura di Buddha e sappiamo di avere l'abilità e tutti i fattori che ci consentono di crescere, diventare illuminati e aiutare tutti. Prendendoci sul serio, abbiamo rispetto per noi stessi. Nel Buddhismo, rispettare qualcuno non significa temerlo; rispetto significa: “Mi prendo sul serio e mi considero positivamente. Merito di essere felice". Possiamo quindi sinceramente avere lo stesso atteggiamento verso gli altri “Anche io ti rispetto. Rispetto che tu hai la natura di Buddha. Anche se ora ti comporti come un idiota tuttavia vedo che hai il potenziale per diventare una persona compassionevole e saggia. Proprio come prendo sul serio i miei problemi, prendo sul serio i tuoi. Proprio come ho visto come mi fanno male i miei problemi, allo stesso modo posso capire che anche i tuoi problemi ti facciano del male”. Un simile atteggiamento ci consente di beneficiare e aiutare gli altri in un modo molto più sincero.

Comprendere il karma

Un'altra fonte di problemi è che a volte proviamo ad aiutare qualcuno e non funziona e così ci scoraggiamo. Un esempio drastico è cercare di aiutare qualcuno nella nostra famiglia che poi si suicida. È una situazione terribile ed è facile incolpare noi stessi "Se solo avessi fatto questo o quello, allora questa persona non si sarebbe suicidata". Possiamo scoraggiarci molto nel processo di cercare di agire come un bodhisattva. Quando sembra di aver fallito, ci sentiamo così in colpa e orribili che potrebbe diventare un grande ostacolo lungo il nostro percorso.

Il problema qui è che pensiamo in termini di modelli inappropriati. Pensiamo di essere Dio o che avremmo dovuto essere Dio, e avremmo dovuto essere in grado di impedire che qualcosa accadesse a qualcun altro. Nel Buddhismo diciamo: "Questo non è possibile. Nessuno è onnipotente. C'è solo una certa quantità di energia nell'universo". Anche gli scienziati concordano su questo. Un aspetto dell'energia nell'universo è la forza dell'attività del Buddha, che è l'influenza illuminante che un Buddha può esercitare su chiunque. L'altra è l'energia degli impulsi della mente delle persone, in altre parole il karma. Karma si riferisce agli impulsi che sorgono nella nostra mente in base alle precedenti abitudini comportamentali. Poiché nell'universo esiste solo una certa quantità di energia, una non può prevalere sull'altra. Tutto ciò che un Buddha o un bodhisattva possono fare è cercare di influenzare qualcuno in modo positivo. Lui o lei non possono impedire a qualcuno di fare qualcosa: se l'impulso a suicidarsi è così forte nella mente di qualcuno, la persona lo farà comunque.

Un esempio molto interessante è accaduto un giorno quando mi trovavo a Dharamsala in India. Davanti alla biblioteca dove lavoravo c'era un topo che affogava in uno scarico. Uno dei miei amici lo salvò mettendolo poi a terra perché si riprendesse. Non appena se ne andò, un grosso falco planò giù e lo prese.

Non dobbiamo pensare da questo esempio che non possiamo aiutare nessuno perché è il suo karma ciò che accadrà. Non pensare che il karma sia il destino. “Morire è il destino del topo. Non serve aiutarlo perché il karma del topo è quello di morire”. Facciamo del nostro meglio. Se la persona che stiamo cercando di aiutare ha qualche seme o potenziale dalla sua parte per essere aiutata, allora il nostro aiuto si collegherà con quello e saremo in grado di esserle di beneficio. Se non ci sono dei semi, allora è come nell'esempio del topo: lo salviamo, ma muore comunque.

È uguale quando proviamo ad aiutare gli altri. Aspirando ad essere bodhisattva, facciamo del nostro meglio per aiutarli. Se funziona, bene. Non ci congratuliamo con noi stessi né andiamo in giro a dire agli altri quanto siamo compassionevoli e meravigliosi. Se non funziona, non dobbiamo sentirci in colpa. Non abbiamo bisogno di bastonarci emotivamente o punirci. Abbiamo fatto del nostro meglio e, se l’altro fosse stato ricettivo, avrebbe funzionato. Non lo era, quindi non c'è nulla che avremmo potuto fare. Nessuno è un Dio onnipotente. Certamente non lo siamo. Nessuno può impedire a qualcuno di fare qualcosa se gli impulsi nella mente di quella persona sono così forti.

È importante essere realistici quando cerchiamo di aiutare gli altri e renderci conto che non possiamo eliminare i problemi di tutti. Sviluppiamo il desiderio di poterlo fare. Ce ne prendiamo sinceramente cura e ci assumiamo davvero la responsabilità di aiutarli. Se funziona, funziona; se non funziona, abbiamo fatto del nostro meglio. Non ci scoraggiamo.

Lo scopo dell'illuminazione

Sua Santità il Dalai Lama dice che quando recitiamo "Che io possa raggiungere l'illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti", è un po' pericoloso l'ordine delle aspirazioni. Spesso l'enfasi principale per noi è "possa raggiungere l'illuminazione". Perché? Perché è il massimo, il meglio, la beatitudine. Dopotutto, dobbiamo avere il grado più alto, il titolo più elevato. Ma "possa raggiungere l'illuminazione" è seguito da "per il beneficio di tutti gli esseri senzienti", che sembra una brutta tassa che dobbiamo pagare in seguito. Non è proprio quello che vogliamo, ma se vogliamo diventare un Buddha questo è ciò che siamo obbligati a fare. Dobbiamo beneficiare tutti gli esseri senzienti. Sua Santità ha affermato che l'enfasi deve essere al contrario: "Voglio aiutare tutti gli esseri senzienti al massimo e, per farlo, devo diventare un Buddha". L'enfasi principale deve essere "Voglio aiutare tutti".

A volte, quando pensiamo di essere di beneficio per gli altri, potremmo affrontare l'ostacolo di non essere sinceri nella nostra pratica. Diciamo "Ho intenzione di aiutare e amo tutti gli esseri senzienti" ma, quando i nostri genitori o i nostri figli ci chiedono di fare qualcosa, li aggrediamo "Smettila di disturbarmi! Sto cercando di aiutare tutti gli esseri senzienti!” Come si dice negli insegnamenti per purificare i nostri atteggiamenti (allenare la mente) del lojong, dobbiamo prima iniziare ad aiutare noi stessi; quindi, espandere l’aiuto alle nostre famiglie, alle persone intorno a noi e così via. In altre parole, dobbiamo aiutare coloro che ci sono vicini, senza ignorarli. Spesso, le persone coinvolte nel lavoro sociale hanno figli risentiti perché sono così coinvolte nell'aiutare gli altri che non hanno mai tempo per le proprie famiglie. È molto ingiusto. Se seguiamo i consigli del Buddha, inizieremo prima con le nostre famiglie e ci prenderemo cura di loro.

Sviluppare l'equanimità non significa: "Ora ignorerò i miei figli e lavorerò solo per tutti gli altri", significa "Proprio come ho un intenso atteggiamento amorevole verso i miei figli, lo espanderò per includere sempre più persone. Invece di avere due figli, ora ne ho cinque, dieci, cento, mille!” Ampliamo l’orizzonte della nostra preoccupazione amorevole. Non ci prendiamo cura e amiamo da lontano un'altra area. È importante prenderci cura di coloro che ci sono vicini e poi estenderlo agli altri: i nostri amici, estranei e persone che non ci piacciono, animali, spiriti ed esseri in tutti i diversi regni.

Sviluppare bodhicitta significa espandere il nostro cuore. Espandere il nostro cuore non significa che possiamo passare d’un tratto dall'essere egoisti al prenderci cura di tutti gli esseri senzienti. Dobbiamo farlo gradualmente e, così, saremo più sinceri. Non possiamo essere sinceri quando diciamo "Sto lavorando per il beneficio di tutti gli esseri senzienti", ma non ci prendiamo cura dei nostri genitori o dei nostri figli. Bodhicitta non è affatto in contraddizione con i nostri valori culturali come l'importanza della famiglia, dei genitori e dei figli. Si basa su quelli e li estende sempre di più.

Questi sono alcuni punti importanti di cui tenere conto quando ci impegniamo nel sentiero mahayana espandendo i nostri cuori verso gli altri, ponendoli sull'obiettivo di eliminare tutti i nostri limiti e realizzare tutti i nostri potenziali in modo che possiamo aiutare tutti nel migliore dei modi possibili. Se ne siamo coscienti incontreremo meno difficoltà lungo quel sentiero.

Domande

È possibile, dopo aver acquisito esperienza nelle vite passate, saltare alcuni di questi passaggi prendendo una scorciatoia in questa vita?

Sì è possibile. Esistono due tipi di praticanti: quelli ai quali tutto accade in una volta e quelli che seguono un sentiero graduale. Quindi, c'è il sentiero veloce e il sentiero graduale. Uno dei grandi maestri tibetani che scrisse un commento su questo particolare punto, tuttavia, disse sono molto rare le persone a cui tutto accade in una volta. È molto raro aver accumulato tutte le abitudini e gli istinti positivi nelle vite passate in modo che in questa vita siamo in grado di saltare i passi. Spesso è perché siamo pigri e non vogliamo attraversare tutte le fasi con la scusa “Sono una persona che ha accumulato così tanto potenziale nelle vite passate. Sono uno dei pochi eletti per i quali tutto accade in una volta, quindi posso saltare alcune tappe e progredire”. Dobbiamo essere completamente onesti con noi stessi. È estremamente raro che qualcuno abbia accumulato un potenziale molto positivo nelle vite passate. Non c'è nulla di male nel percorrere tutti i passaggi, anche se non dobbiamo trascorrere anni e anni in ognuno di essi. Uno dei testi relativi al sentiero graduale verso l'illuminazione afferma che, anche se ci sono gli istinti, è bene riconfermarli attraversando rapidamente i passi, non solo saltando avanti.

Possiamo essere gentili e compassionevoli senza essere sfruttati?

Chögyam Trungpa ha coniato un'espressione eccellente che è rilevante per questa domanda: "la compassione idiota" cioè la compassione senza saggezza. Ad esempio, il bambino chiede sempre caramelle. Per compassione idiota, daremmo costantemente al bambino caramelle solo perché ce le chiede. Oppure, arriva un pazzo che dice "Dammi una pistola, voglio sparare a qualcuno". Se noi diciamo "Sto praticando la generosità, quindi gli darò una pistola”, questa è compassione idiota.

Allo stesso modo, quando le persone si approfittano di noi e noi continuiamo a dare, questo non le aiuta. In effetti, è dannoso per la loro crescita. A volte, è importante essere molto fermi e severi. Dobbiamo dare ciò di cui gli altri hanno bisogno e ciò di cui potrebbero aver bisogno è la disciplina. Potrebbero aver bisogno di qualcuno che dica loro "No"; potrebbero aver bisogno di qualcuno che stabilisca dei limiti per loro. Ad esempio, un bambino indisciplinato ha bisogno di disciplina. C'è una generazione in occidente che è stata cresciuta con la filosofia di niente disciplina: "Lascia che i bambini facciano ciò che vogliono, lasciali liberi". Questa politica è stata disastrosa. Molti dei bambini si sentivano non amati e insicuri perché altri genitori avrebbero stabilito delle regole, ma i loro no. Sentivano che i loro genitori non li amavano abbastanza da stabilire delle regole. A volte è molto importante dire “No”.

La compassione idiota non è benefica. Abbiamo bisogno di compassione con saggezza. Questo è fondamentale negli insegnamenti buddhisti ed è espresso nel mantra om mani padme humMani è "gioiello", che rappresenta la compassione e padme significa "nel loto", si riferisce alla saggezza. I due sono insieme.

A volte, quindi, è necessario dire "No." Tuttavia, ciò potrebbe far star male l'altro perché non capisce. Questo va bene? Negli insegnamenti sul karma è detto che se è un po' dannosa a breve termine, ma molto utile a lungo termine, quell'azione dovrebbe essere compiuta. Ovviamente, se è vantaggiosa sia a breve che a lungo termine, questo è il caso migliore. Ma, se dò caramelle ai bambini, per esempio, in modo che smettano di urlare e io possa andare a dormire, questo è utile ora ma a lungo termine li danneggia perché si ammaleranno mangiando costantemente caramelle. Inoltre, saranno viziati e monelli. In questo caso, è meglio causare un po' di danno e spiacevolezza a breve termine; perché a lungo andare è vantaggioso. Ciò richiede la saggezza di vedere cosa è di beneficio e cosa non lo è, tuttavia si basa sul buon senso.

Se le nostre vite finiscono prematuramente, saremo di nuovo mariti o mogli delle stesse persone nelle nostre prossime vite?

Non necessariamente, sebbene sia possibile. Potrebbe accadere se la connessione è molto forte. Ci sono esempi: un bambino è nato in una famiglia ed è morto da piccolo, ma aveva un legame così forte con la famiglia che è nata come un altro figlio in quella famiglia. Ciò accade ma, in generale, ci sono molte diverse possibilità karmiche. Al momento della morte, diverse impronte karmiche possono essere attivate per spingerci in diverse rinascite.

Inoltre, non abbiamo una relazione con una sola persona come moglie o marito. Abbiamo avuto relazioni con molte persone diverse in molte vite diverse. Queste relazioni cambiano continuamente. In una vita, si verificano determinate interazioni con una persona e la nostra relazione cambia. Pertanto, la continuità di tale relazione potrebbe non necessariamente essere nella stessa forma di marito e moglie. Forse diventerete due mucche che masticano l'erba insieme o due formiche in un formicaio che lavorano insieme. Dipende da come si è sviluppata la relazione prima. Inoltre, potremmo non incontrare quella persona nella prossima vita o nella vita successiva. Potrebbero essere migliaia di vite in futuro.

È importante combinare la comprensione della rinascita con gli insegnamenti di base sulla mancanza del sé o della persona veramente esistente e solida. Non è che incontrerò mio marito, qualunque sia il suo nome, o mia moglie, qualunque sia il suo nome, in una vita futura. Ogni persona è una continuità – una continuità di energia, una continuità di coscienza, una continuità di tendenze e abitudini. In alcune vite future, le continuità delle due persone si incontreranno, ma non saremo io e te esattamente come siamo ora.

Tutti noi abbiamo sperimentato di camminare in una stanza affollata e di avere una o due persone che attirano la nostra attenzione. Ci suscitano una sensazione intima e calorosa e vogliamo parlare con loro. D'altra parte, qualcun altro ci dà la sensazione di "Ugh! Non voglio avere a che fare con lui o lei". Perché succede? Questa è un'indicazione di una precedente connessione con quella persona. Abbiamo connessioni con milioni e milioni di esseri. Alcune connessioni sono più recenti o più forti, quindi le nostre esperienze con loro ci influenzano maggiormente. Altre connessioni potrebbero essere deboli: potremmo nascere nella stessa città ma mai incontrarci.

Alcune persone qui a Singapore portano con loro piccole statue di Buddha come protezione. Come funziona?

Qui sono coinvolti due fattori. Uno è dal lato dell'oggetto: tali statue sono consacrate da altissimi lama. Molti maestri possono riunirsi e recitare om mani padme hum dieci milioni di volte e soffiare sugli oggetti. Un lama potrebbe anche fare questo, oppure potrebbe sedere in meditazione profonda e concentrata. Per usare un'analogia scientifica, la recitazione del mantra e della concentrazione cambia il campo magnetico – il campo energetico – degli oggetti in modo che abbiano una certa qualità magnetica spirituale.

Il secondo fattore è la fede e la fiducia delle persone che li usano, nonché le loro azioni o karma precedentemente creati. Se le persone hanno fede e fiducia nel fatto che qualcosa li proteggerà, allora la loro stessa fiducia può proteggerli. Potrebbe non proteggerli da una bomba atomica, ma potrebbe proteggerli in eventi in cui potrebbero non avere la sicurezza di affrontare una situazione in modo benefico.

Se un cordino benedetto o un'immagine venissero messi al collo di un maiale, non so se potrebbero proteggerlo dall'essere massacrato. Tuttavia, se una persona ha il potenziale che permetterà a questa benedizione di funzionare, allora funziona. Sono necessari entrambi i fattori, come due pezzi di un puzzle che si incastrano insieme.

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