Comprensione intellettuale e comprensione intuitiva
Esaminiamo cos’è una comprensione intellettuale di qualcosa rispetto a una comprensione intuitiva di esso. In primo luogo, dovrei dire che la letteratura buddhista indo-tibetana sull’epistemologia non include queste classificazioni e nemmeno alcuna parola per descriverle. Tuttavia, se guardiamo le definizioni usuali date a questi termini in Occidente, possiamo capire come si possono adattare all’analisi buddhista. Questo è molto importante perché ci sono molte cose che concettualizziamo nelle nostre culture occidentali di cui non si parla esplicitamente nelle presentazioni buddhiste classiche, come la bassa autostima, l’insicurezza e così via. Se vogliamo avere una prospettiva buddhista su di esse, dobbiamo essere in grado di descriverle in termini di concetti buddhisti.
Secondo la maggior parte delle definizioni nel dizionario, la comprensione intellettuale di qualcosa deriva direttamente attraverso un ragionamento logico, questa è la definizione. Forse non la usiamo spesso, ma è quello che dice il dizionario. La comprensione intellettuale può basarsi o meno sulla conoscenza empirica derivante da precedenti esperienze personali. Ma se la nostra comprensione deriva esclusivamente dalla conoscenza empirica, non è chiaro se debba essere classificata come intellettuale o intuitiva.
La conoscenza empirica derivante da precedenti esperienze personali è una cognizione diretta. In altre parole, acquisiamo esperienza guidando un certo tipo di auto o utilizzando un certo tipo di computer e poi, sulla base di quell’esperienza, capiamo per analogia come guidare un’altra macchina o come utilizzare un diverso tipo di computer con il quale potremmo avere o no precedenti esperienze. È un processo intellettuale o è semplicemente intuitivo?
Per ottenere una comprensione intellettuale di qualcosa, però, secondo il dizionario, dovremmo seguire consapevolmente e direttamente un ragionamento, ad esempio “Se c’è fumo, c’è fuoco”. È simile a ciò che abbiamo discusso riguardo all’acquisizione di una comprensione concettuale della vacuità basandosi sull’inferenza logica.
Cos’è una comprensione intuitiva? Ancora una volta, guardiamo il dizionario che dice che si tratta di una comprensione che non si basa direttamente sul ragionamento logico. Questo significa forse che tutte le comprensioni intuitive sono irrazionali? Ciò le invaliderebbe tutte, anche quelle accurate. Sarebbe strano.
In ogni caso, se seguiamo la definizione del dizionario, ci sono molte varietà di comprensioni intuitive. Alcuni sistemi spirituali non buddhisti spiegano le comprensioni che non sono basate sulla logica come mistiche, derivanti da una fonte trascendente come Dio. Questa sarebbe una varietà. Quindi, dobbiamo indagare se esiste qualcosa come “esperienze mistiche” nel Buddhismo?
Il Cristianesimo parla di “grazia di Dio” – “Attraverso la grazia di Dio, ho capito qualcosa”. Il Buddhismo parla di comprensioni derivanti dall’ispirazione dei Buddha o dei nostri maestri spirituali. “Ispirazione” viene spesso tradotta con il termine cristiano “benedizione”, che ritengo inappropriato; è “ispirazione”, che significa “elevare e illuminare”. Adhishthana è il termine sanscrito che significa “uno stadio più elevato”, quindi è elevante. Cinlab (byin-rlabs) – cin (byin), “illuminare”, è il termine tibetano. Non vi è alcuna connotazione che la comprensione provenga dal potere mistico di una “benedizione” o una “grazia”. Penso che “ispirazione” lo denoti abbastanza bene.
Riceviamo ispirazione dai Buddha e dai bodhisattva – da Manjushri, per esempio – come risultato della recitazione di molti mantra di Manjushri o come risultato che matura dalla rete di forza positiva che costruiamo facendo richieste di ispirazione ai Buddha. Inoltre, traiamo ispirazione dalla rete di forza positiva che costruiamo eseguendo pratiche preliminari come le prostrazioni, che ci aiutano a superare i blocchi mentali e quindi a comprendere le cose. Probabilmente dovremmo chiamare queste comprensioni “intuitive” se ci atteniamo alla definizione del dizionario inglese, poiché non derivano direttamente da un ragionamento logico.
Ma mi chiedo davvero se comprendere qualcosa attraverso la grazia di Dio o attraverso l’ispirazione dei Buddha possa davvero essere definito “intuitivo”. Mi sembra che le comprensioni che non dipendono dalla logica possano essere suddivise in quelle che sono causate da altri e quelle che nascono in noi. Per me, solo quelle che derivano da noi e che non si basano sul ragionamento logico si possono qualificare per essere definite “intuitive”.
Ma torniamo agli esempi buddhisti dell’ispirazione che nasce da un’interazione con i Buddha o con i maestri spirituali. Non è l’ispirazione che alcune persone traggono dalla natura, da un tramonto o dalla musica. Recitando i mantra dei Buddha o dei nostri maestri, facendo loro richieste o facendo loro prostrazioni o offerte di mandala, sviluppiamo la forza positiva che può maturare facendoci acquisire nuove intuizioni e comprensioni. Il termine tibetano che traduco come “forza positiva”, sönam (bsod-nams), punya in sanscrito, è spesso tradotto come “merito”. Ma “merito” fa pensare che, se accumuliamo abbastanza punti, vinciamo un premio e quindi otteniamo una comprensione. Oppure può implicare che dobbiamo guadagnarcela dedicando abbastanza ore e lavorando sodo. Non è così. È più come caricare una batteria: maggiore è la forza positiva che accumuli, migliore sarà il funzionamento della batteria così che, una volta caricata, saremo in grado di superare i nostri blocchi mentali e comprendere meglio le cose. Non è particolarmente mistico.
Troviamo questo tipo di comprensione soprattutto nella pratica mahamudra e dzogcen, dove il maestro ci aiuta letteralmente a “incontrare la natura della mente, faccia a faccia” (sems-kyi ngo-sprod). La seconda parola tibetana in questa frase, ngotrö (ngo-sprod) è solitamente tradotta come “presentare”, il che implica che il maestro ci presenta la nostra mente. Ho sempre un’immagine da cartone animato a riguardo “Alex, incontra la tua mente. Attenzione, ti presento Alex”. Tuttavia, la frase tibetana in realtà significa che ci aiuta a “incontrare la mente, faccia a faccia”. Attraverso la loro ispirazione e il nostro accumulo di forza positiva siamo in grado di incontrare la nostra mente nel senso di apprendere la sua natura. Naturalmente, potremmo fare una distinzione tra conoscere, apprendere e comprendere la natura della mente. Ci sono diversi livelli.
Lo dzogcen parla di innata “profonda consapevolezza”, yeshe (ye-she) in tibetano, che fa parte della natura della “pura consapevolezza”, rigpa (rig-pa) che è la mente primordiale. In altre parole, se scendiamo abbastanza in profondità e riusciamo a incontrare la natura della mente, scopriremo che una delle sue caratteristiche è questa innata consapevolezza profonda. Rigpa, la mente della pura consapevolezza, è capace di apprendere e comprendere ogni cosa quando tutti i veli di ignoranza e confusione vengono rimossi dalla sua innata profonda consapevolezza. Anche quando questi veli non sono stati rimossi, possiamo conoscere le cose attraverso di essi. Da notare che rigpa è una sottocategoria della chiara luce, osel (’od-gsal). La chiara luce, osel, può ancora avere l’abitudine di afferrarsi all’esistenza propria basandola sui fenomeni di imputazione; rigpa è il livello base della mente di chiara luce, che non è mai stata macchiata dalle contaminazioni di queste abitudini, per usare il gergo tecnico. Questa è la differenza.
Quando i testi dzogcen parlano di come il livello puro di base della mente, rigpa, abbia questa profonda consapevolezza innata, potremmo dire che la comprensione delle cose con questa profonda consapevolezza è intuitiva. Ma sono intuitivi allo stesso modo in cui sappiamo intuitivamente come guidare la nostra nuova macchina? Diamo un’occhiata più da vicino.
L’ispirazione del nostro maestro ci aiuta a incontrare faccia a faccia questa natura di pura consapevolezza e, consentendoci di identificare e accedere alla pura consapevolezza, ci aiuta a comprendere la sua natura innata di profonda consapevolezza. In questo modo si rimuovono i veli dell’ignoranza che offuscano questa pura consapevolezza, in modo che possa funzionare pienamente con l’onniscienza. Suppongo che potremmo classificare le comprensioni che sorgono con questa innata profonda consapevolezza come intuitive poiché non derivano direttamente dalla logica, ma penso che siano molto più sofisticate delle nostre consuete comprensioni intuitive, come comprendere intuitivamente come guidare la nostra nuova macchina. Non è quel livello di comprensione.
Per quanto riguarda le comprensioni intuitive sperimentate più comunemente, di solito non siamo consapevoli del motivo per cui comprendiamo qualcosa. Non sappiamo veramente come o perché lo abbiamo capito, l’abbiamo semplicemente capito. È più o meno così che funziona, è così che sperimentiamo la comprensione intuitiva di qualcosa, non è vero? Tuttavia, anche se potremmo affermare di comprendere qualcosa in base all’intuizione, tuttavia, se esaminiamo più in profondità, vediamo che la nostra comprensione intuitiva molto probabilmente è nata da un ragionamento inconscio per analogia basato sulla conoscenza empirica derivante da esperienze precedenti in questa vita o in qualche vita precedente.
Il ragionamento per analogia spesso è alla base di molte delle nostre intuizioni, anche che domani pioverà o che il mercato azionario salirà. Ma il ragionamento per analogia è un tipo di logica e, se ci affidiamo a tale ragionamento per acquisire una comprensione di qualcosa, ciò qualifica questa comprensione come intellettuale? Nel contesto Mahayana, Chandrakirti classifica il ragionamento per analogia come un modo valido per conoscere qualcosa – ad esempio, comprendere la vacuità attraverso le analogie dello spazio e delle illusioni. Dharmakirti prima di lui, nel contesto hinayana, non lo accettava come mezzo valido.
Ad esempio, abbiamo un telefono o un portatile un po’datato e ora esce una nuova versione con un nuovo sistema operativo. Comprendiamo intuitivamente come usarlo. Come è possibile? Grazie alla conoscenza empirica che abbiamo acquisito utilizzando il nostro vecchio telefono o laptop e il sistema operativo precedente. Non è che capiamo logicamente come usarlo basandoci su un ragionamento formale ma inconsciamente, per analogia, siamo in grado di capirlo. Diremmo che la nostra comprensione di come usarlo è intuitiva, ma in realtà si basa sul ragionamento per analogia, sebbene quel ragionamento sia inconscio.
Un altro esempio è il capire intuitivamente come guidare una macchina nuova. Non è esattamente la stessa macchina che guidavamo prima ma, per analogia alla guida dell’auto precedente, sappiamo come guidare quella nuova senza pensare consapevolmente “Per avviare una macchina, devo girare la chiave. Qui c’è una chiave, quindi per avviare la macchina devo girarla”. Non lo risolviamo consapevolmente in modo logico, guardiamo semplicemente il cruscotto e inconsciamente sappiamo cosa fare.
Ecco un altro esempio: ho appena acquistato un nuovo scanner per il mio computer. Avrei dovuto leggere il manuale di istruzioni per imparare come installarlo e utilizzarlo questa macchina: sarebbe una comprensione intellettuale acquisita leggendo e scoprendo dalle parole cosa significano. Mentre il mio amico che mi ha aiutato a installarlo non lo ha letto, ha molta esperienza con questo tipo di attrezzatura e, intuitivamente, basandosi sull’analogia, ha capito come utilizzare questo nuovo scanner.
Questo è il tipo di esempio a cui sto pensando. La comprensione intuitiva del mio amico era basata su una conoscenza empirica precedente acquisita dalla cognizione diretta o dall’aver letto in precedenza dei manuali di istruzioni per altri scanner. Se fosse molto giovane, il Buddhismo spiegherebbe che forse in qualche vita precedente aveva acquisito questa conoscenza empiricamente. Vediamo esempi simili con questi piccoli tulku che, senza che nessuno glielo mostri, sanno come tenere il vajra e la campana e come suonare il tamburo damaru grazie alla loro esperienza di vita passata.
Che dire della comprensione intuitiva di impermanenza, vacuità, compassione o bodhicitta? Cos’è? Potremmo anche parlare in termini di esperienze in vite precedenti per spiegare perché comprendere alcune cose è molto facile. Tsensciab Serkong Rinpoce, il mio maestro, è stato uno degli insegnanti di Sua Santità il Dalai Lama quando era piccolo. Una volta mi disse “Con Sua Santità, qualunque fosse l’argomento, bastava spiegarglielo una volta e poi lui lo capiva e se lo ricordava. Né io né gli altri tutori abbiamo dovuto spiegare di più, era come se gli stessimo solo ricordando qualcosa che già sapeva.
Questo non è un fenomeno così misterioso. Non so se avete sperimentato qualcosa di simile a questo, ma a me è capitato. Ho studiato il cinese in modo approfondito da adolescente e da giovane adulto e sono diventato abbastanza fluente, ma non ho utilizzato attivamente la lingua per gran parte della mia vita adulta. Ora, non conosco automaticamente la parola cinese per molte cose, non riesco a ricordarla. Tuttavia, quando qualcuno mi dice come si chiama qualcosa in cinese allora me lo ricordo. Incontriamo qualcuno che non vediamo da molti, molti anni e non lo riconosciamo. Ci dice chi è e poi ce lo ricordiamo. L’abbiamo sperimentato tutti, ne sono sicuro.