Conseguire lo shamatha

[Per il contesto, vedi: Shamatha e Vipashyana: una presentazione generale. Vedi anche: Terminologia della concentrazione

Oggetti dello shamatha

Lo shamatha (zhi-gnas, calma dimorante) è uno stato mentale calmo e stabile che possiede il fattore mentale incluso (sems-byung, consapevolezza secondaria) di una sensazione di benessere fisico e mentale (shin-sbyangs, flessibilità). Questa è una sensazione inebriante della capacità di concentrarsi su qualunque cosa per tutto il tempo che vogliamo.

Lo shamatha si stabilizza su di un oggetto o uno stato mentale. Potrebbe essere un oggetto sensoriale, come il respiro, oppure un oggetto mentale visualizzato, come un Buddha. Nel testo Antologia di argomenti speciali di conoscenza (Chos mngon-pa kun-las btus-pa, scr. Abhidharma-samuccaya), il maestro indiano del IV o V secolo Asanga sottolinea la concentrazione esclusiva su un oggetto mentale. 

  • Seguendo questa istruzione, la tradizione Gelug principalmente utilizza un Buddha visualizzato come oggetto di concentrazione.
  • Le tradizioni Kagyu e Sakya impiegano anche ciò che i Gelugpa considererebbero oggetti sensoriali, come dipinti dei Buddha, fiori, ciottoli, eccetera. Questo non viola l’istruzione di Asanga. Nelle tradizioni non-Gelug, gli oggetti di cognizione sensoriale sono soltanto stimoli (sensibilia) come chiazze di forme colorate, non decisamente stabilite come “questo” o “quello”. Poiché tali chiazze devono essere mentalmente fabbricate nell’immagine di un Buddha o di un fiore, la concentrazione sull’immagine di un Buddha o un fiore avviene esclusivamente con la cognizione mentale.

Ciononostante, la gran parte dei maestri di meditazione di tutte le tradizioni tibetane raccomanda di scegliere un Buddha – che si tratti di una visualizzazione o di un’immagine effettiva – siccome aiuta con la direzione sicura (il rifugio), il bodhichitta, e il tantra. Mentre ci concentriamo su di un Buddha, potremmo anche concentrarci sulle buone qualità di un Buddha (yon-tan). Potremmo allora accompagnare la nostra concentrazione con la fiducia nel fatto (dad-pa, “fede”) che i Buddha hanno queste qualità, e potremmo prestare attenzione ad esse come caratteristiche che aspiriamo ad ottenere noi stessi.

Per ottenere lo shamatha, potremmo anche focalizzarci su altri oggetti, prestare attenzione ad essi in altri modi utili, e accompagnare la nostra concentrazione con altre emozioni ed atteggiamenti costruttivi. Ad esempio:

  • Con in quattro atteggiamenti incommensurabili (tshad-med bzhi), ci concentriamo progressivamente su noi stessi, gli amici, gli sconosciuti, e coloro che non ci piacciono, e prestiamo attenzione a loro con equanimità, amore, compassione, e poi gioia.
  • Equiparando e scambiando i nostri atteggiamenti verso noi stessi e gli altri (bdag-gzhan mnyam-brje), ci focalizziamo su noi stessi e tutti gli altri, e prestiamo attenzione a tutti con imparzialità. Continuando la nostra concentrazione, in seguito prestiamo attenzione agli altri con il forte interesse amorevole che in precedenza avevamo riservato a noi, e a noi stessi con il debole interesse amorevole che in precedenza avevamo per gli altri. Questi sono gli oggetti di concentrazione che Shantideva spiega nel suo testo Impegnarsi nel comportamento dei bodhisattva.
  • Con i quattro piazzamenti ravvicinati della presenza mentale (dran-pa nyer-bzhag bzhi), ci concentriamo sul corpo come [qualcosa di] sporco, sulle sensazioni come sofferenza, sugli stati mentali come impermanenti, e su tutti i fenomeni come privi di identità reali.
  • Con le quattro nobili verità, ci concentriamo sui nostri aggregati mutevoli in termini di veri problemi e vere cause dei problemi, e sulle nostre menti in termini di veri arresti (cessazioni) e veri sentieri.

Alternativamente, la nostra concentrazione potrebbe rimanere non indirizzata verso qualche oggetto specifico (dmigs-med). Potremmo rimanere focalizzati:

  • In uno stato di amore e compassione, non indirizzato verso qualche essere specifico, ma che si estende a tutti, come i raggi di sole che si emanano dal sole,
  • Sulla vacuità, non indirizzata nel senso di non essere rivolta all’esistenza reale,
  • Sulla mente (attività mentale) stessa, non rivolta ad oggetti di cognizione come se esistessero per conto proprio.

Quest’ultimo metodo di concentrazione per ottenere lo shamatha è utilizzato nelle meditazioni mahamudra (phyag-chen, grande sigillo) e dzogchen (rdzogs-chen, grande completezza). Ci sono almeno quattro modalità principali di meditazione:

  1. Nella tradizione Karma Kagyu della mahamudra, ci concentriamo innanzitutto su oggetti di senso comune fabbricati dagli stimoli (sensibilia) di ciascuno dei sensi (la vista di un’arancia, l’odore di un’arancia, il sapore di un’arancia, eccetera) e poi su un oggetto visualizzato. Quando otteniamo un livello stabile di concentrazione, allora ci focalizziamo con esso sulla mente stessa, ma senza rivolgersi alla mente come fosse un oggetto. Facciamo questo stabilizzandoci nello stato naturale della mente di beatitudine (bde-ba), chiarezza (gsal-ba, luminosità), e nudità (stong-pa, non concettualità).
  2. Nella tradizione Sakya della mahamudra, osserviamo un oggetto visivo e poi ci concentriamo soltanto sull’aspetto della chiarezza (gsal-ba) della cognizione, che è l’aspetto che sta dando origine all’apparenza cognitiva.
  3. Nella tradizione Gelug/Kagyu della mahamudra, ci focalizziamo sulla natura superficiale (kun-rdzob, la natura convenzionale) della mente come l’attività mentale di semplicemente dare origine ad apparenze cognitive e di interagire cognitivamente con esse (gsal-rig-tsam, mera chiarezza e consapevolezza).
  4. Nella tradizione Nyingma dello dzogchen, ci stabilizziamo nello stato naturale tra i pensieri.

A prescindere dall’oggetto che scegliamo, abbiamo bisogno di rimanere con quell’oggetto finché non conseguiamo lo shamatha, e non cambiare oggetti a metà strada nel processo.  

Condizioni favorevoli

Per praticare e conseguire lo shamatha, abbiamo bisogno di riunire sei condizioni favorevoli:

  1. Un luogo favorevole (yul).
  2. Poco attaccamento – a persone, amici, e cari, cibo, abbigliamento, i nostri corpi, affetto, conforto, complimenti, accuse, sonno, eccetera.
  3. Accontentarsi del cibo, dell’abbigliamento, delle condizioni metereologiche eccetera, che abbiamo.
  4. Sbarazzarsi dei lavori impegnativi (‘du-‘dzi) di avere molte attività che distraggono, come vari affari mondani, il giardinaggio, cucina elaborata, parlare con altri praticanti, parlare al telefono, scrivere lettere, email eccetera.
  5. Autodisciplina etica pura.
  6. Liberarsi da pensieri ossessivi prevenuti (rnam-rtog) su ciò che solitamente consideriamo desiderabile fare, come vedere la televisione, andare su internet, ascoltare musica, leggere romanzi, leggere astrologia, medicina, eccetera.

Nel testo Filigrana per i sutra mahayana (mDo-sde rgyan, scr. Mahayanasutra-alamkara), Maitreya offre cinque qualità per la prima delle sei condizioni favorevoli sopramenzionate (un luogo favorevole):

  1. Facile disponibilità di cibo e acqua.
  2. Un’eccellente situazione spirituale (gnas), che è stata approvata e consacrata dal nostro mentore spirituale o da maestri precedenti che hanno meditato in tale luogo.
  3. Una situazione geografica eccellente (sa), appartata, calma, distante da persone che ci turbano, con una piacevole vista panoramica della natura, nessun suono di acqua corrente o dell’oceano che possa incantarci, e un buon clima.
  4. L’eccellente compagnia di amici impegnati in questo stesso modo che vivono nelle vicinanze o praticano con noi.
  5. Gli elementi necessari per un legame felice (scr. yoga) con la pratica, ovvero avere gli insegnamenti e le istruzioni complete per la pratica e aver compreso e aver riflettuto su tali insegnamenti in precedenza in modo tale da non avere domande e dubbi.

I cinque deterrenti della concentrazione

Avere gli insegnamenti e le istruzioni complete per lo shamatha si riferisce principalmente ad avere insegnamenti dettagliati sui cinque deterrenti della concentrazione (nyes-pa lnga) e gli otto fattori mentali di composizione (‘du-byed brgyad) per superarli. Maitreya ha delineato questi deterrenti e fattori nel testo Differenziare l’intermedio dagli estremi (dBus-mtha’ rnam-‘byed, scr. Madhyanta-vibhanga).

I cinque deterrenti della concentrazione sono:

la pigrizia (le-lo), di tre tipi:

1. procrastinare la meditazione perché non abbiamo voglia di farla (sgyid-lugs),

  • attaccarsi ad attività/cose negative o irrilevanti (bya-ba ngan-zhen), come il gioco d’azzardo, bere, amici che sono una cattiva influenza su di noi, andare a feste, eccetera.
  • sentimenti di inadeguatezza (zhum-pa).
  • Dimenticare le istruzioni guida o perdere l’oggetto di concentrazione 

gdams-ngag brjed-pa)

2. Interruzioni causate da volubilità mentale o torpore mentale (bying-rgod)

3. Non applicare opponenti per essi (‘du mi-byed)

4. Non smettere di applicare opponenti quando non sono più necessari (‘du-byed).

Livelli di volubilità mentale e torpore mentale

La presa mentale (‘dzin-cha) su un oggetto di concentrazione ha due aspetti, il piazzamento mentale (gnas-cha, dimorare mentale) e la creazione di apparenza (gsal-cha, chiarezza). Quest’ultimo aspetto dà origine all’apparenza cognitiva dell’oggetto.

La volubilità mentale (rgod-pa, agitazione), una sottocategoria della divagazione mentale (rnam-g.yeng) o distrazione (‘phro-ba), è un difetto del piazzamento mentale sull’oggetto a causa di desiderio o attaccamento. Ce ne sono di due livelli:

  • Con una volubilità mentale grossolana, perdiamo completamente il piazzamento mentale sull’oggetto perché la nostra presa mentale su di esso è così debole che la perdiamo.
  • Con una volubilità mentale sottile, noi manteniamo la presa ma non in modo sufficientemente stretto, tale per cui c’è un sottofondo di pensiero sull’oggetto o qualcos’altro. Anche se non c’è nessun sottofondo di pensiero, tuttavia siccome la presa è leggermente troppo stretta, ci sentiamo irrequieti e abbiamo la smania di lasciare [l’oggetto].

Il torpore mentale (bying-ba, sprofondare) è un’interruzione della concentrazione a causa di un difetto nel fattore di creazione dell’apparenza della presa mentale. Esso ha tre livelli:

  • Con il torpore mentale grossolano, noi perdiamo l’oggetto perché il fattore di creazione dell’apparenza è troppo debole per dare origine ad esso. Questo può essere con o senza annebbiamento mentale (rmugs-pa) (pesantezza di corpo e mente), e con o senza sonnolenza (gnyid).
  • Con il torpore mentale intermedio diamo origine ad un’apparenza dell’oggetto, ma la presa non è stretta e pertanto è priva di una concentrazione acuta (ngar).
  • Con il torpore mentale sottile, diamo origine ad un’apparenza dell’oggetto e abbiamo una concentrazione acuta, ma poiché la presa mentale non è ancora sufficientemente stretta, non è fresca (gsar). Essere “svagati” può riferirsi a tutti i tre livelli di torpore mentale.

Gli otto fattori mentali di composizione

Per superare la pigrizia, abbiamo bisogno di applicare i primi quattro degli otto fattori mentali di composizione:

(1) Credere in un fatto (dad-pa), ovvero i vantaggi di conseguire lo shamatha.

(2) Questo porta all’intenzione cosciente (‘dun-pa) di concentrarsi.

(3) Ciò porta alla perseveranza (brtson-‘grus), compiere uno sforzo vigoroso per fare qualcosa di costruttivo.

(4) Questo porta a un senso di benessere (shin-sbyangs), che ci dà la flessibilità per impegnarci nella pratica.

Shantideva spiega quattro sostegni (dpung-bzhi) e due forze (stobs-gnyis) per incrementare la perseveranza:

  • Una solida aspirazione (mos-pa) – essere fermamente convinti dei benefici dell’obiettivo e degli svantaggi di non conseguirlo, affinché l’aspirazione a raggiungerlo non può essere influenzata
  • Risolutezza (brtan) o fiducia in sé stessi (nga-rgyal) – esaminando se siamo capaci di raggiungere l’obiettivo, e convincendo noi stessi che ne siamo capaci, ci applichiamo assiduamente, sebbene il progresso abbia alti e bassi
  • Gioia – non essere soddisfatti soltanto per un po’ di progresso, ma trarre piacere nell’avanzare, con un senso di soddisfazione
  • Riposo (dor) – prendersi delle pause quando siamo stanchi, ma non per pigrizia, ma per rinvigorirci
  • Accettare naturalmente (lhur-len) – accettare naturalmente ciò che abbiamo bisogno di praticare e ciò che abbiamo bisogno di eliminare per raggiungere i nostri obiettivi, e accettare naturalmente le difficoltà coinvolte, avendole esaminate in modo realistico
  • Prendere il controllo (dbang-sgyur) – assumere il controllo di noi stessi e impegnarci in ciò che vogliamo raggiungere.

Per superare il fatto di dimenticarsi le istruzioni o perdere l’oggetto di concentrazione, abbiamo bisogno di applicare:

(5) La presenza mentale (dran-pa) – ricordare, mantenere la presa mentale sull’oggetto di concentrazione (dmigs-rten), come una “colla mentale”.

Per superare la volubilità mentale o il torpore mentale, abbiamo bisogno di applicare:

(6) la vigilanza (shes-bzhin) – per controllare la condizione della nostra presenza mentale. Se la colla mentale si disintegra a causa della volubilità o torpore grossolani, in modo tale da perdere l’oggetto, la vigilanza (introspezione) innesca l’attenzione di recupero (chad-cing ‘jug-pa’i yid-byed) per concentrarsi ancora una volta sull’oggetto. In alternativa, essa innesca una stretta o un allentamento della presenza mentale nel caso del torpore o volubilità intermedi e sottili.

Per superare il deterrente di non applicare gli opponenti per essi, abbiamo bisogno di applicare:

(7) La prontezza nell’applicare gli opponenti (‘du-byed) – ciò proviene dai due poteri per incrementare la perseveranza: accettare naturalmente cosa deve essere fatto e cosa deve essere eliminato, e assumere il controllo per impegnarci.

Per superare il fatto di non smettere di applicare gli opponenti quando non sono più necessari, abbiamo bisogno di applicare:

(8) Il rilassamento degli opponenti (‘du mi-byed) – sapere quando riposare, sapere di non insistere più del necessario.


La concentrazione e la vigilanza come caratteristiche automatiche della presenza mentale

Per conseguire lo shamatha, abbiamo bisogno di mettere la nostra energia principale sul mantenere la presenza mentale (la colla mentale) sul nostro oggetto di concentrazione. Questo significa sforzarsi principalmente per trattenere l’oggetto. Con la colla mentale, abbiamo automaticamente concentrazione. La colla mentale e la concentrazione sono semplicemente due modi di descrivere la stessa attività mentale. La colla mentale la descrive dal punto di vista della presa mentale sull’oggetto di concentrazione; la concentrazione la descrive dal punto di vista del piazzamento mentale (persistenza mentale) sull’oggetto.

Inoltre, se paragoniamo la colla mentale al sole, allora la vigilanza (introspezione) è come la luce del sole – è automaticamente presente. In altre parole, se siamo in grado di mantenere una presa mentale sull’oggetto di concentrazione con la colla mentale, ciò implica che stiamo automaticamente mantenendo un controllo per vedere se la presa è appropriata.

Di tanto in tanto, tuttavia, abbiamo bisogno di applicare una terza tipologia di vigilanza, una che compie un controllo causale della condizione della presa mentale sull’oggetto. Quando facciamo così, tuttavia, utilizziamo soltanto un angolo della nostra attenzione, per non distrarsi dal mantenere l’oggetto principale della nostra attenzione: l’oggetto della meditazione.

Le nove fasi per stabilizzare la mente

Ci sono nove fasi per stabilizzare la mente (sems-gnas dgu) in uno stato di shamatha:

  1. Stabilire la mente (sems ‘jog-pa) sull’oggetto di concentrazione. In questa fase, siamo semplicemente in grado di porre o piazzare la nostra attenzione sull’oggetto di concentrazione, ma non siamo in grado di mantenerlo.
  2. Stabilire con un po’ di continuità (rgyun-du ‘jog-pa). Qui siamo in grado di mantenere la nostra presa mentale sull’oggetto con un po’ di continuità, ma soltanto per un breve periodo di tempo prima di perderla. Ci vuole un po’ di tempo prima di riconoscere che abbiamo perso l’oggetto e prima di poter ristabilire la nostra concentrazione.
  3. Ristabilire (glan-te ‘jog-pa). Non appena perdiamo la nostra presa mentale sull’oggetto, siamo in grado di rendercene conto, e siamo capaci di ristabilire o recuperare immediatamente la nostra concentrazione.
  4. Stabilire accuratamente (nye-bar ‘jog-pa). Qui non perdiamo la nostra presa mentale sull’oggetto, ma poiché la sottile volubilità mentale di un sottofondo di pensiero e il torpore mentale intermedio sono grandi pericoli che possono ancora avvenire, abbiamo bisogno di mantenere i loro opponenti con forza.
  5. Domare (dul-bar byed-pa). Qui non sperimentiamo più la volubilità grossolana, la sottile volubilità di un sottofondo di pensiero, oppure il torpore mentale grossolano o intermedio. Tuttavia, siccome ci siamo sforzati troppo per concentrarci e siamo sprofondati troppo all’interno, abbiamo rilassato il fattore di produzione dell’apparenza che dà origine all’apparenza dell’oggetto di concentrazione. Di conseguenza, sperimentiamo il torpore sottile. Abbiamo bisogno di rinvigorire e risollevare (gzengs-bstod) la presa mentale ricordando i benefici di conseguire lo shamatha.
  6. Pacificare (zhi-bar byed-pa). In questa fase, sebbene non ci sia più il grande pericolo del torpore mentale sottile, ciononostante risollevando la mente diventiamo troppo eccitati e la presa mentale diventa troppo stretta. Di conseguenza sperimentiamo la sottile volubilità di avere una gran voglia di lasciare l’oggetto di concentrazione. Abbiamo bisogno di utilizzare una forte vigilanza per rilevarlo e per rilassare leggermente la nostra presa mentale.
  7. Pacificare completamente (rnam-par zhi-bar byed-pa). In questa fase, sebbene il pericolo della volubilità o torpore sottili sia minimo, abbiamo ancora bisogno di sforzarci per liberarci da essi completamente.
  8. Esclusività (rtse-gcig-tu byed-pa). In questa fase, affidandoci soltanto a un piccolo sforzo per applicare la colla mentale all’inizio della sessione, siamo in grado di sostenere la nostra concentrazione ininterrottamente per tutta la sessione, senza sperimentare nessun livello di volubilità o torpore.
  9. Stabilità assorta (mnyam-par ‘jog-pa). In questa fase siamo in grado di mantenere la concentrazione senza nessuno sforzo, senza nessuna interruzione, per tutta la sessione. Questo è il conseguimento della concentrazione assorta (ting-nge-‘dzin, scr. samadhi.)

Quando, in aggiunta alla concentrazione assorta, otteniamo il fattore mentale di una sensazione esilarante di benessere fisico e mentale di concentrarsi perfettamente su qualunque cosa per tutto il tempo che vogliamo, conseguiamo lo shamatha.

 


I sei poteri

Otteniamo le nove fasi per stabilizzare la mente affidandoci ai sei poteri (stobs-drug):

  1. Otteniamo la prima fase affidandoci al potere di ascoltare le istruzioni (thos-pa’i stobs).
  2. Otteniamo la seconda fase affidandoci al potere di pensare alle istruzioni (bsam-pa’i stobs).
  3. Otteniamo la terza e la quarta fase affidandoci al potere della presenza mentale (dran-pa’i stobs).
  4. Otteniamo la quinta e la sesta fase affidandoci al potere della vigilanza (shes-bzhin-gyi stobs).
  5. Otteniamo la settima e l'ottava fase affidandoci al potere della perseveranza (brtson-‘grus-kyi stobs).
  6. Otteniamo la nona fase affidandoci al potere della familiarità completa (yongs-su ‘dris-pa’i stobs).

I quattro tipi dell’attenzione

Nel processo di avanzare attraverso le nove fasi per stabilizzare la mente, utilizziamo quattro tipi di attenzione (yid-byed bzhi), che sono quattro modi per tenere a mente l’oggetto della concentrazione: 

  1. Durante le prime due fasi, utilizziamo l’attenzione meticolosa (bsgrims-te ‘jug-pa’i yid-byed), con cui ci adoperiamo con grande sforzo e controllo per tenere a mente l’oggetto di concentrazione.
  2. Dalla terza alla settima fase, utilizziamo il ripristino dell’attenzione (chad-cing ‘jug-pa’i yid-byed), con cui ripetutamente riportiamo la nostra concentrazione sull’oggetto o ripristiniamo la nostra concentrazione se c’è qualche difetto.
  3. Durante l’ottava fase, utilizziamo l’attenzione ininterrotta (chad-pa med-par ‘jug-pa’i yid-byed), con cui possiamo focalizzarci sull’oggetto senza interruzioni.
  4. Durante la nona fase, utilizziamo l’attenzione spontanea (lhun-gyi ‘grub-pa’i yid-byed), con cui possiamo mantenere la nostra concentrazione sull’oggetto senza sforzarci.
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