Equiparare e scambiare sé stessi con gli altri

Due mesi prima della sua morte, Tsenciab Serkong Rinpoche dettò questi insegnamenti al Dott. Berzin, fece in modo che li scrivesse parola per parola, e gli disse di preservarli come i suoi insegnamenti più importanti. Essi spiegano dettagliatamente le meditazioni per superare la più grande fonte della nostra infelicità e dei nostri problemi (il nostro atteggiamento auto-referenziale ed egocentrico) e sviluppare, dall'altro lato, un atteggiamento di cura sincera per gli altri, la fonte di tutta la felicità.

Ci sono due tradizioni sul modo di sviluppare la bodhicitta, un cuore dedicato interamente agli altri e all’ottenimento dell’illuminazione al fine di beneficiarli il più possibile: la tradizione dell’insegnamento di causa ed effetto in sette parti, e la tradizione dell’equiparare e scambiare i propri atteggiamenti verso se stessi e verso gli altri. Ciascuna ha il proprio modo separato o distinto di sviluppare l’equanimità, come fase preliminare. Sebbene si tratti dello stesso nome, equanimità, il tipo di equanimità sviluppata è differente.

  1. L’equanimità, che viene prima di riconoscere come ognuno sia stato nostra madre nella meditazione di causa ed effetto in sette parti, prevede la visualizzazione di un amico, di un nemico e di uno sconosciuto, ed è l’equanimità con la quale si cessa di provare sentimenti di attaccamento e repulsione. Uno dei suoi nomi è infatti “la mera equanimità con cui si cessa di provare attaccamento e repulsione verso amici, nemici, e sconosciuti”. La parola mera qui implica che esiste un secondo metodo, il quale comporta qualcosa di ulteriore.

    Un altro nome per questo primo tipo di equanimità è “la mera equanimità che è la maniera di sviluppare l’equanimità comune agli shravaka e ai pratyekabuddha”. Gli shravaka (ascoltatori) e i pratyekabuddha (auto-realizzati) sono due tipi di praticanti del veicolo Hinayana (veicolo modesto) degli insegnamenti del Buddha. In questo caso, mera implica che con questo tipo di equanimità non abbiamo e non siamo coinvolti con un cuore premuroso della bodhicitta.
  2. L’equanimità che sviluppiamo come preliminare per equiparare e scambiare i nostri atteggiamenti verso noi stessi e gli altri non è solamente il tipo di equanimità suddetto. È l’equanimità con la quale non abbiamo sentimenti di vicinanza o lontananza nei nostri pensieri o nelle nostre azioni coinvolte nel beneficiare e aiutare tutti gli esseri limitati e nell’eliminare i loro problemi. Questo è il metodo Mahayana (veicolo vasto), particolarmente eminente e raro, di sviluppare l’equanimità.

Mera equanimità

Se chiediamo quale sia la maniera di sviluppare l’equanimità che viene prima del riconoscere come tutti siano stati nostra madre nel metodo di causa ed effetto in sette parti, le fasi seguenti sono coinvolte.

La visualizzazione di tre persone

Innanzitutto visualizziamo tre persone: una persona totalmente brutta e sgradevole, che disprezziamo o consideriamo nostra nemica; una persona molto cara e amata, o amica; ed una persona sconosciuta, o qualcuno nel mezzo per cui non proviamo nessuno di questi sentimenti. Visualizziamo tutte e tre queste persone assieme.

Che tipo di atteggiamento sorge normalmente quando ci focalizziamo una alla volta su ciascuna di esse? Verso la persona che disprezziamo sorge una sensazione di sgradevolezza, disagio e repulsione. Verso l’amico caro sorge un sentimento di attrazione e attaccamento. Un sentimento d'indifferenza, di non voler né essere d’aiuto né ferire, sorge invece verso chi non è né nemico né amico, dal momento che non troviamo lo sconosciuto né attraente né ripugnante.

Cessare la repulsione per qualcuno che disprezziamo

[Per facilitare la discussione in inglese, supponiamo che tutte e tre le persone che visualizziamo siano donne.]

Per prima cosa lavoriamo con la persona che disprezziamo, quella che potremmo anche considerare un nemico.

  1. Lasciamo che sorga in noi la sensazione di trovarla spiacevole e ripugnante. Quando è sorta in modo chiaro,
  2. notiamo che sorge un’ulteriore sensazione, ovvero sentiamo che sarebbe bello se le capitasse qualcosa di brutto, o se provasse qualcosa che lei non vorrebbe accadesse.
  3. Esaminiamo quindi le ragioni per cui sorgono questi sentimenti e desideri negativi. Di solito si scopre che accadono perché lei ci ha ferito, ci ha fatto qualcosa di male, o ha fatto o detto qualcosa di brutto a noi o ai nostri amici. Questo è il motivo per cui vogliamo che le accada qualcosa di brutto o che non ottenga quello che vuole.
  4. Ora, pensiamo alla ragione per cui vogliamo che accada qualcosa di brutto a questa donna che disprezziamo così tanto, e controlliamo per vedere se si tratta veramente di una buona ragione. Consideriamo quanto segue:

    • Nelle vite passate, questa cosiddetta nemica, è stata molte volte mia madre e mio padre, così come mio parente e amico. Mi ha aiutato moltissimo, innumerevoli volte.
    • Non è certo quello che succederà in questa vita. Può anche diventare di grande aiuto ed essere un buon amico, più avanti in questa vita. Cose del genere sono davvero possibili.
    • In ogni caso, lei ed io avremo vite future infinite, ed è totalmente certo che lei sarà, ad un certo punto, mia madre o mio padre. In quanto tale, mi aiuterà un sacco, ed io dovrò riporre tutte le mie speranze in lei. Pertanto nel passato, nel presente e in futuro, dal momento che mi ha aiutato, mi aiuta e mi aiuterà in innumerevoli modi, è in definitiva un buon amico. Questo è certo. Per cui, se per ragioni irrisorie come il fatto d'avermi ferito un poco in questa vita la considero un nemico e desidero che si ammali, questo non va bene affatto.
  5. Pensiamo ad alcuni esempi. Supponiamo che un funzionario di banca o qualche persona facoltosa col potere di darmi un sacco di soldi e con il desiderio e l’intenzione di farlo, e magari avendolo già fatto un poco in passato, un giorno dovesse perdere la pazienza e arrabbiarsi e darmi uno schiaffo in faccia. Se dovessi arrabbiarmi e mantenere la mia ira, questo potrebbe portalo a riconsiderare la sua intenzione di darmi ancora soldi. Potrebbe anche esserci il pericolo che lui cambi idea e decida di darli a qualcun altro. D’altro canto, se io sopportassi lo schiaffo, tenessi lo sguardo basso e la bocca chiusa, egli potrebbe diventare addirittura più compiaciuto con me in seguito, per il fatto che non mi sono agitato. Magari potrebbe addirittura darmi più di quanto avesse inteso in origine. Se invece m'arrabbiassi e facessi una grande scenata, allora sarebbe come recita il detto tibetano: “hai il cibo in bocca e la tua lingua lo caccia fuori”.
  6. Perciò, devo prendere in considerazione il lungo termine quando ho a che fare con questa persona che disprezzo, e lo stesso è vero con tutti gli esseri limitati. Nel lungo termine, il loro aiuto nei miei riguardi è sicuro al cento per cento. Pertanto, è totalmente inappropriato che io mantenga la mia rabbia per un qualche danno lieve e banale che chiunque possa avermi causato.
  7. Successivamente, prendiamo in considerazione come uno scorpione, un animale selvaggio, o uno spirito, alla minima provocazione o colpo, colpisca immediatamente a sua volta. Quindi, considerando noi stessi, vediamo come agire al pari di queste creature sia errato. In questo modo disinneschiamo la nostra rabbia. Dobbiamo pensare che qualunque danno questa persona mi abbia causato, non perderò la pazienza né mi arrabbierò, altrimenti non sarò meglio di un animale selvaggio o di uno scorpione.
  8. In conclusione, poniamo tutto questo nella forma di un sillogismo di logica. Dovrei smettere di arrabbiarmi con gli altri perché mi hanno arrecato qualche danno, in quanto:

    • nelle vite precedenti sono stati miei genitori;
    • più avanti in questa vita non è certo che non diventeranno i miei più cari amici;
    • in futuro rinasceranno prima o poi come miei genitori, e mi aiuteranno un sacco, perciò sono stati d’aiuto per me in tutti e tre i tempi;
    • e se mi arrabbio a mia volta, allora non sono migliore d'un animale selvaggio. Pertanto, smetterò d'arrabbiarmi per il piccolo danno che hanno potuto causarmi in questa vita.

Cessare l'attaccamento verso qualcuno che ci piace

  1. Ci concentriamo su di un amico o una persona amata, all’interno del gruppo di nemici, amici e sconosciuti che abbiamo visualizzato inizialmente.
  2. Lasciamo che i nostri sentimenti di attrazione e attaccamento sorgano verso di lei.
  3. Facendo in modo di sentire con ancora più intensità quanto desideriamo stare con questa persona,
  4. esaminiamo le nostre ragioni nel provare tale infatuazione e attaccamento. È perché lei mi ha dato qualche piccolo aiuto in questa vita, ha fatto qualcosa di carino per me, mi ha fatto star bene, o qualcosa del genere, e quindi mi sento attratto ed attaccato a lei.
  5. Ora, esaminiamo se si tratta di una motivazione valida per provare tale sentimento. Non è neanche una buona motivazione, perché:

    • indubbiamente in qualche vita precedente è stata un mio nemico, mi ha ferito, e ha addirittura mangiato la mia carne e bevuto il mio sangue.
    • Più avanti in questa vita, non è certo che non possa diventare il mio peggior nemico.
    • Nelle vite future, è sicuro che ad un certo punto mi ferirà o farà qualcosa di veramente brutto nei miei confronti.
  6. Se divento infatuato e attaccato a lei per la ragione irrisoria d'aver fatto in questa vita qualcosa di carino, ma insignificante nei miei confronti, allora non sono migliore di quegli uomini che sono attratti dai canti delle donne sirena cannibali. Tali sirene assumono un aspetto grazioso, attraggono gli uomini con le loro maniere, e poi se li divorano.
  7. Perciò, decidiamo di non sviluppare attaccamento per nessuno per piccole gentilezze che possano fare nei nostri confronti in questa vita. 

Cessare l’indifferenza verso qualcuno di neutrale

In terzo luogo, seguiamo lo stesso procedimento con la persona che sta nel mezzo: lo sconosciuto che non è né un amico né un nemico.

  1. Concentrandosi su questa persona della nostra visualizzazione,
  2. lasciamoci non sentire niente, né il desiderio di ferire né quello di aiutare, né di sbarazzarcene, né di stare con questa persona,
  3. e sentiamo ulteriormente l’intenzione di ignorarla.
  4. Esaminiamo la ragione per cui proviamo questo. È perché non ha fatto nulla, né per aiutarmi né per ferirmi, e perciò non ho alcuna relazione con lei.
  5. Quando esaminiamo ulteriormente se si tratta di una ragione valida per provare ciò, vediamo che in ultima analisi questa persona non sia una sconosciuta, in quanto in innumerevoli vite precedenti, più avanti in questa vita, e in vite future, è stata e ci sarà vicina, sarà un amico, e così via.

In questo modo, saremo in grado di cessare tutti i sentimenti di rabbia, attaccamento, o indifferenza nei confronti di nemici, amici e sconosciuti. Questa è la maniera per sviluppare la mera equanimità che è in comune agli shravaka e ai pratyekabuddha e che viene sviluppata come preliminare per riconoscere come tutti siano stati nostre madri nel metodo di causa ed effetto in sette parti per lo sviluppo del cuore premuroso della bodhicitta.

L’eminente equanimità del Mahayana

Il metodo per sviluppare l’equanimità in termini di equiparare e scambiare in nostri atteggiamenti rispetto a noi stessi e agli altri, è suddiviso in due parti:

  • Il modo per attuare l’equanimità che dipende dal punto di vista relativo,
  • Il modo per attuare l’equanimità che dipende dal punto di vista più profondo.

Il modo che dipende dal punto di vista relativo è suddiviso in due parti:

  • Il modo per attuare l’equanimità che dipende dal proprio punto di vista,
  • Il modo per attuare l’equanimità che dipende dai punti di vista altrui.

Il modo per attuare l’equanimità che dipende dal proprio punto di vista

Questo si fa in tre punti.

  1. Dal momento che tutti gli esseri limitati sono stati nostri genitori, parenti e amici in innumerevoli vite, è errato provare che alcuni siano vicini e altri lontani, che questa persona sia un amico e quell’altra un nemico, accoglierne alcuni e respingerne altri. Dobbiamo pensare che, dopotutto, se non vedo mia madre da dieci minuti, dieci anni, o dieci vite, è pur sempre mia madre.
  2. È comunque possibile che proprio come questi esseri mi abbiano aiutato, a volte mi abbiano anche ferito. Confrontando il numero di volte che mi hanno aiutato con quello delle volte in cui mi hanno ferito, tuttavia il danno che hanno provocato è insignificante. Pertanto, è inadatto considerare una persona vicina e respingerne un’altra in quanto si considera distante.
  3. Dovremo sicuramente morire, ma il momento della nostra morte è del tutto incerto. Supponiamo, ad esempio, di essere stati condannati ad essere giustiziati domani. Sarebbe assurdo se usassimo il nostro ultimo giorno di vita per arrabbiarci e far del male a qualcuno. Scegliendo qualcosa di banale, perderemmo la nostra occasione di compiere qualcosa di positivo e significativo nel nostro ultimo giorno. Per esempio, una volta c’era un alto ufficiale il quale si infuriò con qualcuno e pensò di punirlo severamente il giorno dopo. Spese tutto quel giorno a pianificare la punizione e poi, la mattina seguente, prima che potesse fare qualunque cosa, morì lui stesso improvvisamente. La sua rabbia era proprio assurda. Lo stesso sarebbe vero se l’altra persona fosse stata condannata a morire il giorno seguente. Sarebbe insensato ferirlo oggi.

Il modo per attuare l’equanimità che dipende dai punti di vista altrui

Anche questo è suddiviso in tre punti.

  1. Per quanto mi riguarda, bisogna considerare come io stesso non voglio soffrire, neanche nei miei sogni, e non importa quanta felicità abbia, sento che non è mai abbastanza. Lo stesso è assolutamente vero per chiunque altro. Ogni essere limitato, a partire da un minuscolo insetto, desidera essere felice e non soffrire mai, o avere problemi. Pertanto, è inappropriato rifiutarne alcuni e accoglierne altri.
  2. Supponiamo che dieci mendicanti bussino alla nostra porta. È del tutto improprio e ingiusto dare del cibo solamente ad alcuni e non a tutti gli altri. Sono tutti uguali nell’aver fame e aver bisogno di cibo. Allo stesso modo, per quanto riguarda la felicità incontaminata dalla confusione – beh, chi ne è in possesso? Ma anche la felicità contaminata dalla confusione – tutti gli esseri limitati non ne posseggono a sufficienza. È qualcosa che ognuno di noi è interessato fortemente a cercare. Perciò è inappropriato respingerne alcuni come lontani, e accoglierne altri come vicini.
  3. Un altro esempio: supponiamo che vi siano dieci persone malate. Sono tutte uguali nell’essere miserevoli e patetiche. Dunque è ingiusto favorirne alcune, curando solamente queste, e dimenticarsi delle altre. Allo stesso modo, tutti gli esseri limitati sono ugualmente miserevoli, ciascuno con le sue particolari difficoltà individuali e con i problemi generali dell’esistenza che si ripete incontrollabilmente o samsara. Per questo motivo, è ingiusto e inappropriato rifiutarne alcuni come lontani, e accoglierne altri come vicini.

Il modo per attuare l’equanimità che dipende dal punto di vista più profondo

Anche questo metodo implica tre punti di riflessione.

  1. Pensiamo a come, a causa della nostra confusione, designiamo qualcuno che ci aiuta o che è carino con noi come un vero amico, e chi ci ferisce come un vero nemico. Tuttavia, se fossero realmente esistenti nelle maniere in cui noi li designiamo, allora il Tathagata (Così Trasformato), il Buddha stesso, avrebbe dovuto vederli nello stesso modo. Ma non fu mai così. Come afferma Dharmakirti ne “Un commentario sul (Compendio di Dignaga delle) menti validamente conoscenti” (sct. Pramanavarttika): “il Buddha prova lo stesso verso chi gli sta versando acqua profumata da un lato del suo corpo, e verso chi lo sta tagliando con una spada dall’altro”. 

    Possiamo vedere questa imparzialità anche nell’esempio di come Buddha trattò il cugino, Devadatta, il quale cercava sempre di danneggiarlo a causa della sua gelosia. Dunque, anche noi dobbiamo evitare di essere di parte e di schierarci a favore o contro le persone: ciò è dovuto al confuso pensiero che esse esistano realmente all’interno delle categorie in cui noi le designiamo. Nessuno esiste in quel modo. Dobbiamo lavorare per cessare la nostra [abitudine] di afferrarci ad una vera esistenza. Questo afferrarsi proviene dalle nostre menti confuse, le quali ci fanno apparire le cose in modi che non sono reali.
  2. Inoltre, se gli esseri limitati esistessero realmente nelle categorie di amici e nemici, proprio nel modo in cui noi ci afferriamo alla loro esistenza, dovrebbero rimanere sempre in quel modo. Consideriamo, ad esempio, un orologio che pensiamo segni sempre l’ora corretta. Proprio allo stesso modo in cui è possibile che la sua condizione a volte cambi ed esso prenda a funzionare più lentamente, allo stesso modo lo stato degli altri non rimane fisso, ma può anch’esso cambiare.

    Risulta qui d’aiuto pensare agli insegnamenti che riguardano la mancanza di certezza nelle situazioni del samsara che si ripetono incontrollabilmente, come l’esempio del figlio che si ciba del padre, colpisce la madre, e culla il suo nemico. Tale esempio si trova nelle istruzioni per lo sviluppo di una motivazione di livello intermedio nel sentiero graduale verso l’illuminazione (lam-rim). Una volta, l’arya (un essere altamente realizzato) Katyayana giunse in una casa in cui il padre era rinato come un pesce nello stagno, e suo figlio lo stava mangiando. Il figlio poi colpì il cane, il quale era stato sua madre, con le lische del pesce, che era suo padre, e cullò il bambino che teneva in braccio, il quale era stato suo nemico. Katyayana rise all’assurdità di questi cambiamenti nello stato degli esseri che vagano all’interno del samsara. Per cui, dobbiamo cessare di mantenere o di aggrapparci all’idea che le persone esistano nelle categorie fisse e permanenti dell’essere amici o nemici, e poi sulla base di questo, accogliere i primi e rifiutare i secondi.
  3. Ne Un compendio di addestramenti (sct. Shikshasamuccaya), Shantideva spiega come l'io e l’altro dipendano l’uno dall’altro. Come l’esempio delle montagne lontane e vicine, si tratta di designazioni che sono relative, l’una rispetto all’altra. Quando ci troviamo sulla montagna vicina, l’altra sembra essere quella lontana, e questa in cui siamo quella vicina. Quando andiamo dall’altra parte, questa diventa la montagna lontana e l’altra diventa quella vicina. Allo stesso modo, la nostra esistenza non è stabilita come “io” per sua natura, perché quando guardiamo a noi stessi dal punto di vista di qualcun altro, diventiamo l’“altro.” Similmente, amico e nemico sono soltanto maniere diverse di guardare o considerare una persona. Qualcuno può essere allo stesso tempo l’amico di una persona e il nemico di un’altra. Come la montagna vicina o lontana, tutto dipende dal nostro punto di vista.

Le cinque decisioni

Avendo riflettuto in tal modo sui punti di cui sopra, dobbiamo prendere cinque decisioni.

Cesserò di essere di parte

Sia che lo si guardi dal punto di vista relativo, o dal punto di vista più profondo, non vi è alcuna ragione per considerare certe persone o esseri come vicini, e altri lontani. Perciò, dobbiamo prendere una ferma decisione: cesserò di essere di parte. Mi libererò da quei sentimenti di parzialità con i quali respingo alcune persone e ne accolgo altre. Dal momento che l’ostilità e l’attaccamento mi danneggiano sia in questa vita che nelle vite future, sia temporaneamente che in maniera definitiva, sia nel breve che nel lungo termine, non sono di alcun beneficio. Sono alla base di centinaia di differenti tipi di sofferenza. Sono come guardie che mi costringono a vagare all’interno della prigione dei miei problemi samsarici che si ripetono incontrollabilmente.

Pensiamo all’esempio di coloro che rimasero in Tibet dopo la rivolta del 1959. Chi era attaccato ai propri monasteri, alle proprie ricchezze, possedimenti, abitazioni, famigliari, amici, e via dicendo, non poté sopportare di lasciarsi tutto questo alle spalle. Di conseguenza, a causa del loro attaccamento, furono internati in prigioni o in campi di concentramento per vent’anni o più. Tali sentimenti di parzialità sono i carnefici che ci conducono nel fuoco dei reami infernali senza gioia. Sono i nostri purulenti demoni interiori che c'impediscono di dormire la notte. Dobbiamo sradicarli con tutti i mezzi.

D’altro canto, un atteggiamento d’equità verso tutti, con il quale desideriamo che tutti gli esseri limitati siano felici e liberi dai loro problemi e sofferenze, è importante da qualsiasi punto di vista, sia temporaneo che definitivo. È la strada principale percorsa da tutti i Buddha e i bodhisattva per raggiungere le loro realizzazioni. È l’aspirazione e il desiderio più profondo di tutti i Buddha dei tre tempi. Perciò, dobbiamo pensare che non ha importanza quale danno o aiuto certi esseri limitati mi abbiano fatto da parte loro; per quanto mi riguarda, non ho alternative. Non mi arrabbierò o non mi attaccherò. Non considererò alcuni distanti e altri vicini. Non può esserci altro modo o metodo oltre a questo per gestire le situazioni. Sono fermamente deciso. Avrò un atteggiamento di equità nel mio modo di pensare e nelle mie azioni nei confronti di tutti, dal momento che ognuno desidera essere felice e non soffrire mai. Questo è quanto mi sforzerò il più possibile di fare. O guida spirituale, per favore ispirami a far questo nel miglior modo possibile. Questi sono i pensieri che dobbiamo avere quando recitiamo la prima delle cinque strofe ne Una cerimonia d’offerta alle guide spirituali (Lama Chopa, Guru Puja), che sono associate a tale pratica:

Ispiraci a incrementare il benessere e la gioia altrui, pensando a come gli altri non siano differenti da noi stessi: nessuno desidera nemmeno la più piccola delle sofferenze, né è mai soddisfatto della felicità che ha.

Quindi, con questo primo verso preghiamo di sviluppare un atteggiamento equo, senza avere alcuna sensazione di vicinanza o lontananza nei nostri pensieri o azioni mirate al rendere tutti felici ed eliminare la sofferenza di tutti, in ugual modo. Tale atteggiamento di equità soddisfa la definizione del tipo di equanimità o atteggiamento equo di cui ci stiamo occupando qui. Prendiamo la ferma decisione di sviluppare e realizzare tale atteggiamento, nello stesso modo in cui quando vediamo un bellissimo articolo all’interno di un negozio, decidiamo di comprarlo.

Libererò me stesso dall’egoismo

Successivamente, pensiamo ai difetti dell’avere un atteggiamento egoistico. A causa della preoccupazione egoistica di un atteggiamento autoreferenziale, agiamo in maniera distruttiva, commettiamo le dieci azioni negative, e ci causiamo conseguentemente rinascite infernali. Da lì, fino ad arrivare alla condizione di un arhat (essere liberato) che non ha ottenuto l’illuminazione, tale preoccupazione egoistica causa la perdita di tutta la felicità e la pace. Sebbene i bodhisattva siano vicini all’illuminazione, alcuni ne sono più vicini di altri. Le differenze tra di loro sono dovute alla quantità di egoismo che ancora posseggono. Dalle dispute tra paesi alla discordia tra maestri spirituali e discepoli, tra famiglie o tra amici, tutto questo è dovuto all’egoismo. Pertanto, dobbiamo pensare al fatto che se non mi libero da questo subbuglio purulento interiore di egoismo ed egocentrismo, non potrò godere mai di alcuna felicità. Dunque, non permetterò mai di cadere sotto l’influenza dell’egoismo. O guida spirituale, ispirami affinché possa liberare me stesso da tutte le preoccupazioni egoistiche. Questi sono i pensieri per il secondo verso:

Ispiraci a capire come questa cronica malattia dell’egoismo sia la causa che dà vita alla nostra indesiderata sofferenza, e quindi, portandone rancore come cosa da incolpare, [ispiraci] a distruggere il mostruoso demone dell’egoismo.

Quindi, con il secondo verso, prendiamo la ferma decisione di liberarci dall’atteggiamento autoreferenziale della preoccupazione egoistica.

Prendersi cura degli altri sarà la mia pratica principale

Successivamente, pensiamo ai benefici e alle buone qualità che provengono dal prendersi cura degli altri. In questa vita, tutta la felicità e tutto ciò che va bene; nelle vite future, la rinascita come esseri umani o come divinità; e in generale, tutta la felicità fino all’ottenimento dell’illuminazione proviene dall'avere cura per gli altri. Dobbiamo pensare molto a questo tramite numerosi esempi. Ad esempio, la popolarità di un funzionario ben voluto è dovuta al suo interessarsi e prendersi cura degli altri. La nostra autodisciplina etica dell'astenersi dal togliere la vita a qualcuno o dal rubare deriva dalla nostra cura per gli altri, e questo è quanto ci può portare a rinascere come essere umani.

Ad esempio, Sua Santità il Dalai Lama pensa sempre al benessere di tutti ovunque, e tutte le sue buone qualità derivano proprio da questa sua considerazione per gli altri. Il bodhisattva Togmey-zangpo non poté essere danneggiato da Kama, il dio del desiderio, il quale aveva deciso di causargli interferenze. Questo grande praticante tibetano era il tipo di persona che sarebbe scoppiata in lacrime se un insetto fosse volato dentro un fuoco. Era sinceramente interessato a tutti gli altri, e per questo neanche gli spiriti e simili ostacoli potevano danneggiarlo. Questo perché, come affermarono gli spiriti stessi, egli pensava soltanto a far loro del bene e ad aver cura di loro.

In una delle precedenti vite del Buddha, nella quale egli era nato come Indra, re degli dei, era in atto una guerra fra gli dei e gli anti-dei. Gli anti-dei stavano vincendo e perciò Indra fuggì a bordo del suo carro. Arrivò ad un punto della strada in cui erano riuniti numerosi piccioni e, temendo di investirne alcuni, fermò il suo carro. Vedendo ciò, gli anti-dei pensarono che si fosse fermato per tornare indietro ad attaccarli, e così scapparono. Se analizziamo questo fatto, vediamo come la loro fuga sia dovuta all’atteggiamento premuroso di Indra nei confronti degli altri. In tal modo dobbiamo pensare ai vantaggi di avere cura per gli altri da numerosi punti di vista.

Quando un magistrato, o un qualsiasi funzionario, siede molto elegantemente nel suo ufficio, la sua posizione, e tutto quanto lo riguarda, sono dovuti all’esistenza degli altri. In quest’esempio, la gentilezza degli altri consiste semplicemente nel fatto che esistono. Se non esistesse alcuna persona al di fuori di lui, non potrebbe essere un magistrato. Non avrebbe nulla da fare. Inoltre, anche se le persone esistono, se nessuno si recasse mai da lui, questo magistrato starebbe solamente seduto lì a far niente. D’altro canto, se molte persone vanno da lui, e si rivolgono a lui per risolvere i loro affari, allora, grazie a queste persone, egli gentilmente si alza e li serve. Lo stesso vale per un lama. Grazie agli altri, egli si siede con gentilezza e insegna. La sua intera posizione è dovuta al fatto che ci sono altri da aiutare. Egli insegna il Dharma per il loro beneficio e pertanto il suo aiuto deriva dal fatto che lui dipende dagli altri, come ad esempio il suo ricordarsi della loro gentilezza.

Allo stesso modo, è per mezzo dell’amore e della compassione, della nostra cura degli altri, che possiamo raggiungere rapidamente l’illuminazione. Ad esempio, se un nemico ci ferisce e noi sviluppiamo la pazienza, e in tal modo ci avviciniamo maggiormente all’illuminazione, ciò è avvenuto in virtù della nostra cura per l’altro. Quindi, dal momento che gli esseri limitati sono la base e la radice di tutta la felicità e il benessere, nessuno escluso, dobbiamo deciderci di prenderci cura di loro, a prescindere da quello che potrebbero commettere o da come potrebbero farci del male. Dal momento che devo prendermi cura di loro, provare un sentimento di perdita quando qualcosa va storto con loro, e non respingerli mai, a qualunque costo, gli altri esseri sono come le mie guide spirituali, dei Buddha, o delle gemme preziose. Dovrò sempre avere verso di loro un cuore gentile e caloroso. Per favore, ispirami, O mia guida spirituale, a non essere separato neanche per un solo momento da un cuore e un sentimento simile verso gli altri. Questo è il significato del terzo verso:

Ispiraci a capire come la mente che ha a cuore le nostre madri e le assicurerebbe alla beatitudine sia la porta che conduce a infinite virtù, e ad avere quindi a cuore questi esseri erranti più delle nostre stesse vite, anche se dovessero profilarsi all'orizzonte come nostri nemici.

In tal modo decidiamo di assumere come nostro obbiettivo centrale la pratica dell’avere cura per gli altri.

Sono certamente in grado di scambiare i miei atteggiamenti riguardo a me stesso e agli altri

Affidandoci alla porta d’accesso che è costituita dal pensare ai molti difetti dell'egoismo, e alle numerose qualità del prendersi cura degli altri, quando sentiamo di dover cambiare i nostri valori rispetto a chi ci sta a cuore, e ci chiediamo dunque se possiamo davvero cambiarli, siamo certamente in grado di farlo. Possiamo cambiare i nostri atteggiamenti, perché il Buddha stesso, prima di raggiungere l’illuminazione, era esattamente come noi. Anch’egli vagava in modo simile di rinascita in rinascita, tra le situazioni e i problemi del samsara che si ripetono incontrollabilmente. Nonostante ciò, il Buddha Capace cambiò i propri atteggiamenti rispetto a chi gli stava a cuore. Mantenendo salda la decisione di prendersi cura degli altri, raggiunse l’apice dell'essere in grado di realizzare i propri obbiettivi e quelli degli altri.

Al contrario, noi siamo stati solo egoisti, e abbiamo ignorato tutti gli altri. Tralasciando di realizzare qualcosa per il beneficio degli altri, non abbiamo realizzato neanche il minimo beneficio per noi stessi. L'essere egoisti e ignorare gli altri ci ha reso totalmente impotenti, incapaci di realizzare nulla che abbia un vero significato. Non possiamo sviluppare una vera rinuncia o una vera determinazione di liberarci dai nostri problemi. Non possiamo neanche impedirci di cadere in uno degli stati peggiori di rinascita. In questo modo, pensiamo ai difetti dell’egoismo e ai benefici del prendersi cura degli altri. Se il Buddha fu capace di cambiare il suo atteggiamento e iniziò come noi, allora anche noi possiamo cambiare i nostri atteggiamenti.

Non solo, ma con sufficiente familiarità è addirittura possibile aver cura dei corpi degli altri nello stesso modo in cui ci prenderemmo cura del nostro. Dopotutto, prendemmo gocce di liquido seminale e ovuli dai corpi di altre persone, i nostri genitori, ed ora ce ne prendiamo cura come il nostro corpo. In origine, non erano nostri. Pertanto, dobbiamo pensare che non è impossibile cambiare il nostro atteggiamento. Posso scambiare gli atteggiamenti che ho verso me stesso e verso gli altri. Quindi, a prescindere da cosa ne penso, non andrà bene a meno che non scambi gli atteggiamenti che mantengo verso me stesso e gli altri. È qualcosa che posso fare, non che non posso fare. Per cui ispirami, O mia guida spirituale, a far ciò. Questa è l'essenza della quarta stanza.

In breve, ispiraci a sviluppare le menti che comprendono le distinzioni tra i difetti degli esseri infantili schiavizzati dai loro soli fini egoistici e le virtù dei Re dei Saggi che lavorano esclusivamente per il bene degli altri, e ad essere così in grado d'equiparare e scambiare i nostri atteggiamenti verso gli altri e noi stessi. 

Quindi, la decisione che prendiamo qui è che certamente possiamo scambiare i nostri atteggiamenti di egoismo verso noi stessi con il prendersi cura degli altri.

Scambierò certamente i miei atteggiamenti riguardo a me stesso e agli altri

Pensiamo ancora una volta ai difetti di un atteggiamento egoistico e ai benefici dell’avere un atteggiamento premuroso verso gli altri, ma ora lo facciamo in modo alternato, mischiando assieme le due cose. In altre parole, passiamo in rassegna le dieci azioni distruttive e le dieci azioni costruttive, a turno una alla volta alternativamente da ciascuna lista, e vediamo i risultati di queste in termini di atteggiamento egoistico e atteggiamento altruistico. Ad esempio, se sono egoista, non esiterò a togliere la vita degli altri. Di conseguenza, rinascerò in un reame infernale privo di gioia e anche una volta rinato, in seguito, come essere umano, avrò una vita breve, segnata dalla malattia. D’altra parte, se mi prendo cura degli altri, smetterò di togliere vite altrui e, di conseguenza, rinascerò in uno stato migliore, avrò una vita lunga, e così via. Quindi ripetiamo la stessa procedura con l’azione di rubare e l’astenersi dal rubare, l’indulgere in comportamenti sessuali non appropriati e l’astenersi da tali azioni, e così via. In breve, come afferma la quinta strofa:

Dal momento che l’egoismo è la porta d’ingresso ad ogni tormento, mentre avere a cuore le nostre madri è il fondamento per ogni cosa positiva, ispiraci a far sì che la nostra pratica centrale sia lo yoga dello scambiare gli altri per noi stessi.

La quinta decisione, pertanto, è quella con cui scambierò certamente i miei atteggiamenti verso me stesso e gli altri. Questo non significa, naturalmente, decidere che ora io sono te e tu sei me. Piuttosto, significa scambiare i punti di vista nel senso di chi ci prendiamo cura. Invece d'essere egoisti e ignorare gli altri, ora ignoreremo le nostre preoccupazioni egoistiche e ci prenderemo cura di tutti gli altri. Se non riusciamo a far questo, non possiamo in nessun modo ottenere qualsiasi cosa. Ma se attuiamo questo scambio nei nostri atteggiamenti, allora sulla base di ciò possiamo proseguire per allenarci con le visualizzazioni in cui diamo la nostra felicità agli altri prendendo su di noi le loro sofferenze, come metodo per sviluppare amore premuroso sincero e comprensione compassionevole. Su questa base, saremo in grado di sviluppare l’impegno eccezionale di alleviare i problemi e le sofferenze di tutti, dar loro felicità e il cuore premuroso della bodhicitta, con il quale ci sforziamo di raggiungere l’illuminazione al fine di essere in grado di far tutto questo il più possibile.

Video: Tsenciab Serkong Rinpoche II — “Il significato della vita”
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