Non violenza e valori spirituali

Oggi mi è stato chiesto di parlare della non violenza e dei valori spirituali nel mondo moderno. Questi argomenti sono particolarmente importanti per studenti come voi che pensano, da quello che ho capito, di diventare medici e insegnanti in quanto, come parte dell’aiutare gli altri, è importante che dal vostro lato lo facciate in un modo non violento. Aiutare è naturalmente l’opposto dell’essere violenti. Ed avere dei valori spirituali vi aiuterà a rendere più significativo il vostro lavoro - non è solo per fare soldi - bensì vi aiuterà ad apprezzare l’opportunità che avete nel vostro lavoro di aiutare effettivamente la gente in un modo significativo.

Il Buddhismo ha molto da dire sulla non violenza - come tutte le religioni – e i diversi sistemi naturalmente definiranno il significato della non violenza in molti modi diversi. Spesso pensiamo che la violenza sia qualche tipo d’azione (un’azione violenta), e che non violenza significhi astenersi da quel tipo di comportamento. Tuttavia il Buddhismo affronta [questo argomento] dal lato della mente, [prendendo in considerazione] lo stato mentale coinvolto. Questo perché, sia che mettiamo effettivamente in atto o meno qualche tipo di comportamento violento, tutto questo deriva da uno stato mentale violento, giusto? Pertanto, astenersi semplicemente dal ferire qualcuno quando nella tua mente ci sono pensieri molto violenti che [spingono] a ferirlo non funzionerà. È quindi importante capire quello stato mentale violento e imparare i metodi per superarlo.

Tre tipi di violenza e di non violenza

Negli insegnamenti buddhisti dividiamo la violenza, uno stato della mente violento, in tre diversi tipi. Un altro modo di tradurre la parola violenza potrebbe essere il seguente: “essere crudeli”. Non s’intende solo l’essere forti quando si parla dell’essere violenti, perché a volte bisogna usare metodi forti per evitare che qualcuno danneggi sé stesso o gli altri. Se tuo figlio sta correndo per strada dove potrebbe facilmente essere ucciso da una macchina non dirai: “Oh, caro, non correre verso la strada”, probabilmente lo dovrai afferrare con forza. Non è questo che intendiamo per violenza. Violenza è il desiderio di causare danno e lo possiamo fare in molti modi diversi. Nel Buddhismo sono così menzionati questi tre tipi, ma sono sicuro che possiamo pensarne degli altri.

Non violenza verso gli altri

Il primo tipo di violenza è pensare in modo violento nei confronti degli altri; è definito come una crudele mancanza di compassione per cui si desidera causare danno agli altri. La compassione è il desiderio che gli altri siano liberi dalla sofferenza, dai problemi e dalle loro cause. Qui invece, invece di volere che gli altri siano privi della sofferenza, si desidera che soffrano, che abbiano problemi, sia che li causiamo noi, altri o che semplicemente succedano naturalmente. Per aiutarci a superare questo stato mentale dobbiamo pensare che siamo tutti uguali, nel senso che tutti vogliono essere felici e nessuno vuole l’infelicità.

Così quando qualcuno ci ferisce, per esempio se stai insegnando e in classe uno studente causa dei problemi o disturba gli altri, allora invece che pensare soltanto di punirlo – il che normalmente implica rabbia, mancanza di pazienza ed altri stati mentali destabilizzanti e spiacevoli – sarebbe molto più utile pensare che il bambino è, in un certo senso, ammalato. Vuole essere felice ma non ha la minima idea chiara o corretta su come essere felice e così si comporta in un modo molto disturbante, con uno stato mentale confuso, pensando che ciò lo renderà più felice. Quindi con questo punto di vista verso il bambino, non penseremo che sia cattivo e che dobbiamo punirlo; invece sviluppiamo compassione, il desiderio che superi la sua confusione e i problemi i quali fanno in modo che sia così disturbante e monello in classe.

Questo non significa che non stiamo facendo alcunché, che siamo passivi. Non violenza non significa essere passivi e non fare nulla, significa piuttosto non arrabbiarsi, non desiderare di fare del male a questo bambino che disturba. Certamente dobbiamo fare qualcosa perché lui smetta di comportarsi così, usando ogni metodo accettato dal vostro sistema scolastico. Ma la motivazione, lo stato mentale sottostante, è molto diversa dal voler punire questo bambino perché è cattivo.

Questa parola “motivazione” è molto importante da capire e ha due aspetti. Il primo è il nostro scopo o intenzione e l’altro è l’emozione che ci spinge ad ottenere quello scopo. Lo scopo è aiutare il bambino. Per questo motivo diventiamo un insegnante, ad esempio. È lo stesso se si diventa dottori: il nostro scopo è di aiutare il paziente. Ora, qual è lo stato mentale che ci spinge verso l’ottenimento del nostro obiettivo? Se è solo per guadagnare soldi o perché l’altro ci apprezzi e ci ringrazi, questi sono motivi molto egoistici, no? Egocentrici. E poiché i nostri pensieri si concentrano principalmente su noi stessi, non stiamo davvero prestando attenzione nel modo migliore a ciò che è giusto per l’altra persona. Come un dottore che prescrive un’operazione chirurgica a qualcuno che non ne ha davvero bisogno, ma lo fa solo perché così potrà guadagnare più soldi per l’operazione. Dovremmo piuttosto essere spinti dalla compassione per poter raggiungere questo scopo di aiutare l’altra persona: pensando all’altra persona, pensando al suo benessere, cosa è meglio per lei?

A volte i medici devono ricorrere a trattamenti che possono essere molto dolorosi come iniezioni e chirurgia per poter aiutare gli altri (guarire dalle operazioni chirurgiche è doloroso). Ma non è un metodo violento perché qui l’intenzione non è di causare danno alla persona bensì quella di farla guarire dalla sofferenza, dal problema, dalla malattia.

Anche quando bisogna disciplinare un bambino monello a scuola, la motivazione non è quella di ferirlo bensì di aiutarlo, perché capiamo che lui è un essere umano proprio come noi – vuole essere felice e non vuole essere infelice – e forse gli posso insegnare e mostrare un modo per essere più felice nella vita. Al di là della professione che potrà svolgere in futuro, quello che lo aiuterà sarà la disciplina e il saper collaborare con gli altri. Questi sono aspetti che aiuteranno chiunque in futuro.

Disciplina significa autocontrollo. Quando il ragazzo vuole essere monello, gli si insegna che deve controllarsi. Pertanto quando noi puniamo il bambino l’intenzione, lo scopo, è quello di aiutarlo a sviluppare la sua disciplina. Se abbiamo questo stato mentale quando lo facciamo, questo in un certo senso comunica molto al bambino. È come quando un genitore punisce il figlio; il genitore non genera sentimenti di rabbia per il bambino, giusto?

Ciò che penso sia importante imparare e coltivare interiormente, se svolgiamo mestieri che aiutano il prossimo come il medico o l’insegnante, è un atteggiamento amorevole, compassionevole: tu vuoi aiutare i pazienti e gli studenti a condurre vite migliori, più felici, senza problemi. Esteriormente bisogna essere professionali, che significa essere seri e a volte abbastanza severi. Così possiamo svolgere il nostro lavoro in un modo non violento, sul piano del primo significato di non violenza.

Così invece della mancanza di compassione verso gli altri che ci porta a volerli ferire, abbiamo compassione, il desiderio che siano senza problemi, senza sofferenza. Certamente è molto difficile sapere qual è il miglior metodo per aiutare qualcuno. Ogni bambino, ogni paziente è un individuo. Questo significa che quello che funziona per qualcuno può non funzionare per un altro: è quindi molto importante, come dottore, rispettare l’individualità di ciascun paziente e di ciascuno studente se sei il loro insegnante. Potrebbe non essere così facile quando ci sono tanti pazienti da visitare ogni giorno e quando la classe è molto numerosa. Ma anche se non è possibile conoscere davvero ciascuno individualmente, ciò che è importante ancora una volta è lo stato mentale dell’avere interesse nel conoscerli. L’avere interesse in loro si basa sul rispettarli. E cercate di vederli con lo stesso tipo di interesse e rispetto che avreste per un caro amico o un parente: tuo figlio, i tuoi genitori, tuo fratello o tua sorella, o chiunque, a seconda della loro età e della nostra età.

Secondo me, un punto importante che è sempre estremamente utile da ricordare è che questa persona è un essere umano e ha dei sentimenti proprio come me. Vuole essere felice, come io voglio essere felice, vuole piacere agli altri, proprio come io voglio piacere agli altri. Se nutro pensieri negativi verso di lei, agisco in modo malvagio e provo freddezza nei suoi riguardi la ferirò, proprio come io mi sentirei ferito se qualcuno agisse così nei miei confronti. Questa mente di rispettare gli altri poiché sono delle persone individuali è molto importante.

Non violenza verso noi stessi

Il secondo tipo di non violenza è un po’connessa con quella che ho già spiegato perché qui parliamo della non violenza nei confronti di noi stessi (il primo tipo è nei confronti degli altri). Qui si tratta di non distruggersi da soli. Quando ci distruggiamo da soli questa è una mancanza di amore per noi stessi, con cui desideriamo cacciarci nei guai o danneggiarci. Il danno che causiamo a noi stessi potrebbe essere intenzionale o non intenzionale: ad esempio potrebbero essere pensieri come “Sono cattivo”, “Non sono bravo”, “Non sono abbastanza bravo”.

Quando siamo medici e un nostro paziente muore, il che inevitabilmente accadrà, pensiamo: “Oh, sono un dottore orribile, non sono affatto bravo”, e ci sentiamo colpevoli e ci puniamo in qualche modo, di solito piuttosto psicologico ed emotivo, per il fatto di non aver potuto aiutare quella persona che è morta. Ci sono degli aspetti per cui dovremmo davvero essere preparati se pensiamo di diventare dottori o insegnanti. Non siamo un Buddha, non possiamo aiutare tutti; nemmeno il Buddha poteva aiutare tutti. Così naturalmente a volte falliremo, non saremo in grado di aiutare un paziente o non riusciremo ad insegnare a un bambino. Questa è la natura della realtà. Per aiutare qualcuno, questa persona deve essere ricettiva da parte sua. Qualche malattia semplicemente non si può curare e, anche se fosse possibile, a volte compiamo errori: dopotutto siamo degli esseri umani. Alcuni studenti hanno seri problemi emotivi, sociali, familiari, ecc. ed è al di là delle nostre capacità poterli aiutare davvero.

Dobbiamo stare attenti ai modi in cui potremmo distruggerci da soli; in altre parole, essere violenti nei confronti di noi stessi. Modi autodistruttivi sono, per esempio, l’esigere troppo da noi stessi pensando di dover essere assolutamente perfetti, quando ciò è davvero impossibile. Certamente si cerca di fare qualunque cosa al meglio ma nessuno è perfetto. Se non abbiamo successo in qualcosa, questo sicuramente ci dispiace - vogliamo essere capaci di fare meglio in futuro - tuttavia dobbiamo sforzarci assolutamente di non cadere in una brutta depressione perché ciò danneggerebbe il nostro lavoro, la nostra efficacia nel lavoro.

Ora potreste dire: “Come posso prevenire la depressione o il sentirmi estremamente ferito?”. Potreste avere uno studente che va molto bene ma che poi lascia la scuola per qualche motivo. Certamente è triste ma il punto è non sentirsi depressi. La domanda è: come possiamo fare per non sentirci depressi? E qui si ritorna a quanto dicevamo su come interagire con gli altri. Per poterli davvero aiutare e non danneggiarli, una delle cose più importanti è rispettarli, così allo stesso modo dobbiamo rispettare noi stessi. È importante riaffermare sempre: “Ho delle abilità altrimenti non sarei diventato un insegnante o un medico”. Riaffermiamo la nostra motivazione che “Nel compiere il lavoro che sto facendo, ho una buona intenzione”. E “Come essere umano non sono perfetto; ma comunque mi rispetto perché cerco di fare del mio meglio”. Questo ci aiuta a non cadere nella depressione.

Cosa succede quando esaminiamo noi stessi onestamente e scopriamo che non stavamo facendo davvero del nostro meglio? Che avremmo potuto fare meglio? In tale situazione sicuramente proviamo rimorso ed è importante riaffermare che “In futuro ci riproverò in modo migliore”. Tuttavia, per prevenire o cercare di prevenire un ulteriore fallimento poiché non abbiamo fatto del nostro meglio, dobbiamo esaminare quali sono state le cause di ciò. Potrebbe essere il caso che eravamo troppo stanchi: ancora una volta dobbiamo essere gentili con noi stessi, non distruggiamoci da soli. Dobbiamo sapere quali sono i nostri bisogni di riposo - quali sono i nostri limiti? - e rispettarli, senza sentirci male per questo. Ognuno ha i propri limiti. Certamente in caso di emergenza possiamo fare di più, ma non tutto è un’emergenza. Qualche volta dobbiamo semplicemente dire “Devo riposarmi” e poi cerchiamo di riposarci, se è possibile. A volte potrebbe non essere possibile, ma se è possibile riposiamoci senza sentirci in colpa.

Naturalmente non è sempre facile se stiamo cercando di gestire un lavoro e una famiglia: i nostri bambini hanno molti bisogni. Ma questa deve essere una priorità, come gestiamo il nostro programma ecc. così da non lavorare troppo, da non essere troppo stanchi perché poi non combiniamo nulla di buono. E non semplicemente andare avanti di continuo finché non raggiungiamo il punto di avere un esaurimento nervoso. Ignorare i nostri bisogni è veramente essere violenti nei nostri confronti. E quindi la non violenza verso noi stessi è davvero molto importante.

Non rallegrarsi della sfortuna altrui

Il terzo tipo di non violenza consiste nel non rallegrarsi della sfortuna degli altri. In altre parole è considerato crudele – se pensiamo alla violenza in termini di uno stato mentale crudele – gioire delle difficoltà altrui, ovvero quando uno fallisce. Potremmo ora pensare: “Non è qualcosa che faccio veramente”. Ma se pensiamo alla politica e tra due candidati quello che non ci piace perde le elezioni o viene buttato fuori, noi ne siamo felici. Gioiamo della sua sfortuna, no? In questo tipo di situazioni, sebbene possiamo essere felici che quello che noi pensiamo essere il migliore abbia vinto e gioiamo della sua felicità, non c’è motivo di rallegrarsi delle sconfitte dell’altra persona perché senza dubbio ha una famiglia, persone che dipendono da lui e che stanno provando infelicità: anche loro sono esseri umani. Così siamo felici che non abbiano vinto, ma desideriamo che siano felici nella vita. Non desideriamo cose brutte per loro.

Abbiamo visto che questi tre tipi di non violenza si contrappongono a tre tipi di pensieri crudeli:

  • La mancanza di compassione – desiderare che gli altri abbiano infelicità e sofferenza.
  • Mancanza di amore per noi stessi – desiderare di danneggiare noi stessi, in modo cosciente o meno.
  • Gioia per la sfortuna altrui – gioire quando qualcun altro fallisce o quando gli accade qualcosa di terribile.

Come dicevo, il tipo di azioni che compiamo le rende forti senza che siano violente. C’è l’esempio tradizionale nei sutra buddhisti: c’erano due meditatori seduti lungo la riva di un fiume. Arrivò un uomo vicino al fiume - e questo era un fiume con una corrente molto forte - che voleva tuffarsi e attraversarlo nuotando. Nessuno era mai riuscito davvero a attraversarlo nuotando, tutti quelli che tentavano di farlo annegavano. Così uno dei due meditatori era tranquillamente seduto lì, disposto a non fare nulla e a lasciare che questa persona si tuffi nel fiume dove sarebbe sicuramente annegato. L’altro meditatore si alzò ma non riuscì a convincere l’uomo a non tuffarsi nel fiume così lo colpì facendogli perdere la coscienza per impedirgli di gettarsi nel fiume. Il Buddha vide tutto questo (il Buddha sopraggiunse e vide tutto) e disse che il meditatore che era rimasto seduto pacificamente con il sorriso sul volto era quello che aveva compiuto l’atto violento. Colpire l’uomo per impedirgli di farsi del male era stato un atto di non violenza. Perché? Per via della motivazione, lo stato mentale: voler aiutare quella persona a evitare la sofferenza e inevitabilmente affogare.

Valori spirituali

Tutto ciò si collega alla seconda parte dell’argomento di questa mattina che consiste nei valori spirituali nel mondo moderno. In realtà la parola “spirituale” è difficile da definire e ha ovviamente, senza ombra di dubbio, una connotazione diversa in inglese e in russo. Ma vediamo come è definita, o quale sarebbe la parola equivalente, nel contesto buddhista. E nel Buddhismo parliamo del Dharma. “Dharma” significa una misura preventiva; è qualcosa che noi compiamo per evitare la sofferenza e i problemi. E questo non è solo pensare nei termini delle situazioni immediate – come quando si guida una macchina o si va in bicicletta e, per evitare di sbattere contro qualcosa, si sterza accostandosi. Questo non sarebbe Dharma.

Non stiamo parlando solo delle cose quotidiane che facciamo: non le chiameremmo spirituali. Si tratta piuttosto del voler prevenire qualcosa che accadrà in futuro. E nella maggior parte delle religioni, Buddhismo incluso, questo significa pensare alle vite future e in qualche altra religione vuol dire pensare all’aldilà, il che significa non avere come preoccupazione principale solo il successo materiale di questa vita, perché al momento della morte lasceremo tutto, e questa vita è molto breve se paragonata all’immensa durata del tempo futuro.

Ora questo va bene se crediamo alle rinascite future o all’aldilà, tuttavia la maggior parte di noi potrebbe non crederci. Allora possiamo ancora essere persone spirituali? Penso certamente di sì se pensiamo non solo al nostro benessere materiale di questa vita per noi e forse per la nostra famiglia, ma se pensiamo più a lungo termine, per esempio alle generazioni future. Cerchiamo in altre parole di rendere il mondo un luogo migliore con qualunque tipo di contributo noi possiamo offrire, anche se è molto piccolo. Un altro esempio usato da Buddha: un grande sacco di riso è riempito da ogni singolo granello di riso. Qualcuno di noi potrebbe essere in grado di contribuire al sacco un’intera manciata di riso, mentre un altro potrebbe contribuire solo un granello di riso, ma ciascuno dei due sta contribuendo: questo è il punto. Anche se scoprissimo che non possiamo contribuire molto, almeno ci proviamo.

Voi vi state preparando per diventare insegnanti o medici e questa è certamente una grande opportunità per contribuire a rendere questo mondo un luogo migliore. In quanto insegnanti, preparerete le persone del futuro che a loro volta offriranno il loro contributo. In quanto medici, aiuterete e curerete i malati, così anch’essi potranno offrire il loro contributo in futuro. Questo si lega molto bene con il desiderare la loro felicità, non la loro infelicità, non avendo quindi nessun pensiero violento o crudele nei loro confronti e rispettandoli. Rispettiamo noi stessi in termini di “Posso dare il mio contributo per il futuro” e rispettiamo i nostri pazienti e i nostri studenti in quanto “Anche loro potranno dare un contributo”. Cosa vuol dire contribuire? Cosa significa rendere il mondo un luogo migliore? Significa essenzialmente promuovere qualche mezzo per rendere le persone più felici. Ma essere più felici non significa solo a livello materiale che comunque è importante, ma anche avere pace mentale, essere in grado di possedere non solo abilità tecniche ma anche emotive per poter affrontare qualunque cosa avvenga nella vita.

Pertanto questi sono ciò che considero essere valori spirituali; in altre parole, quello che noi consideriamo importante nelle nostre vite in relazione a quello che compiamo nelle nostre vite. In breve credo sia molto importante, soprattutto per giovani come voi, pensare davvero seriamente alla motivazione. Perché sto studiando quello che sto studiando? Cosa voglio raggiungere nella vita? Cosa voglio raggiungere in futuro per la mia famiglia? Cosa voglio lasciare alla fine per il futuro, le generazioni future? Perché lo voglio? Questo potrebbe richiedere molta ricerca interiore, ma è qualcosa di molto significativo da fare. Potremmo trovare che le nostre risposte a tali domande non siano molto soddisfacenti. Credo che il criterio da usare per decidere se “Voglio cercare di correggere la mia motivazione o no?” sia di valutare se quello che stiamo facendo porterà felicità a noi stessi e agli altri o se creerà solo problemi? Quando consideriamo questo, gli effetti a lungo termine sono di gran lunga più importanti di quelli a breve termine. Tuttavia se siamo chiari rispetto a quello che stiamo facendo nella vita e vediamo che stiamo andando nella direzione giusta, ciò ci darà un meraviglioso senso di benessere e soddisfazione.

Penso che uno dei fattori che a volte deprime le persone è che scoprono che la loro vita non ha senso, non ha direzione. Svolgiamo una professione, ma non ci mettiamo il cuore. Inoltre sentiamo che i problemi del mondo, del mio paese, del mio quartiere, della mia famiglia, di me stesso sono terribili, sono troppo. Che senso ha trascorrere la vita con uno stato mentale simile? È davvero molto triste, non è una vita molto felice. Ancora una volta è necessario rispettare noi stessi per cercare di superare questo senso di disperazione. Dobbiamo riaffermare che “Al di là delle situazioni esterne, io ho la capacità di migliorare me stesso e diventare un essere umano migliore”. Ciò è molto importante non solo per essere io stesso una persona più felice – riconoscendolo – ma questo mio stato mentale influenzerà tutti quelli intorno a me. Così lavorare per aiutare gli altri in termini medici o pedagogici…. questo è qualcosa di significativo da fare. Non sappiamo come sarà il futuro, ma sappiamo che se le persone sono in buona salute e sono istruite allora c’è speranza che in futuro le cose magari migliorino. Forse è difficile da immaginare. Ma anche se in futuro ci fossero maggiori difficoltà, possiamo aiutare le persone ad essere meglio preparate per affrontarle.

Questi sono i miei pensieri sulla non violenza e sui valori spirituali nel mondo moderno.

Domande

Nel nostro mondo moderno, comprendiamo certamente che tra i valori buddhisti vi sia la compassione. Nella vita reale tuttavia la situazione è davvero difficile e spesso i bambini crescono senza genitori e così sono piuttosto selvaggi. E per noi, se siamo maestri, è molto difficile dimostrare loro la necessità della compassione, che hanno bisogno di imparare a proteggere coloro che sono più deboli senza danneggiarli e senza abusare di loro. Così, in quanto maestri, come portiamo questo messaggio agli studenti, soprattutto a quelli più violenti, che stanno crescendo in situazioni economiche e sociali molto difficili?

Penso che un metodo che possa aiutare questi bambini difficili sia permettere loro di dare, donare e essere generosi. In altre parole, se offri a qualcuno (un bambino, per esempio) l’opportunità di donare ad altri bambini – per esempio passano il loro compito o fanno qualcosa di generoso - questo è qualcosa che aiuta gli altri. Questo dà al bimbo un senso di autostima. In altre parole, quando un bambino proviene da un retaggio molto difficile e non si sente amato, di solito reagisce a questo senso di rifiuto con comportamenti molto selvaggi. “Se non sono considerato buono dalla vita in generale perché non ho un buon retaggio, allora mostrerò a tutti quanto sono non buono”, in un certo senso. Così reagiscono comportandosi da antisociali, non prendendo parte alla società, commettendo crimini e così via. È piuttosto normale. Ma se gli diamo un’opportunità per cui sono in grado di dare qualcosa, anche se non lo fanno in modo molto buono – intendo dire in modo molto efficace – ciononostante questo gli darà la sensazione di avere qualcosa di positivo da offrire, non hanno solo cose negative da dare.

Da un punto di vista buddhista ciò accumula una sorta di forza positiva o merito, tramite il donare. Ma non dobbiamo spiegare questo in termini buddhisti. Penso che quello che ho detto possa a volte essere utile anche solo in termini psicologici. Ma quando gli diamo qualcosa di positivo e costruttivo da fare, è molto importante non far passare l’idea che questa sia una punizione.

Nella vita spesso ci troviamo a disciplinare qualcuno. Esiste anche un processo in cui cerchiamo di disciplinare qualcuno un’altra volta. In questo processo, qual è la punizione, o magari qualche tipo di lavoro come il lavoro sociale, di maggior beneficio per la persona che stiamo disciplinando? Qualche tipo di educazione morale? Sto parlando di persone che sono in carcere, dei criminali, persone che vogliamo disciplinare e che non sono bambini.

È molto difficile rispondere a questo in generale perché ogni caso è individuale. Personalmente non mi dedico all’insegnamento nelle prigioni, ma ho molti colleghi buddhisti che lo fanno. Essi hanno riscontrato che molti prigionieri, non tutti naturalmente… ci vuole molto tempo perché hanno molto tempo per esaminare le loro vite, cosa hanno compiuto nella loro vita e cosa desiderano dalla vita. E quindi ci sono molti prigionieri che sono interessati ad apprendere come gestire la loro rabbia, i loro impulsi violenti e questo li rende molto ricettivi alle meditazioni di base buddhiste per calmarsi, per esempio concentrandosi sul respiro. E pertanto persone del genere sono ricettive a questo tipo di aiuto ma non tutti lo sono: se non sono ricettivi possiamo fare ben poco. Semplicemente punirli fisicamente, quando non hanno nessun desiderio di cambiare o migliorare le loro vite, crea soltanto più ostilità e rabbia in loro.

Ci sono alcuni tipi di addestramenti che sono usati in psicologia che potrebbero non essere applicabili in queste situazioni, ma solo per darvi un’idea: quando c’è un bambino, di solito adolescente, che è completamente incontrollato e non coopera, si organizza un viaggio con un gruppo di persone, una guida e un mulo. Il mulo è conosciuto per essere un animale molto testardo a cui non si fanno fare le cose facilmente. Il ragazzo è responsabile del mulo, deve gestirlo, deve imparare a superare la sua rabbia e la sua impazienza, ecc. e lavorare in qualche modo con l’animale. Ciò significa dare loro qualche responsabilità nel fare qualcosa di costruttivo, in un certo senso: lavorare con questo mulo.

Così a volte responsabilizzare i bambini a prendersi cura degli animali fa sì che… l’animale non lo critica, le persone sì. Non importa quanto tu educhi un cane, il cane ti ama sempre. Così quando li lasci con un altro essere, in questo caso un cane, a volte ottieni l’effetto di domare qualcuno, di aiutarlo a calmarsi, prendendo qualche tipo di responsabilità. Certamente ci sono persone molto violente e se gli dai un cane magari lo torturano, quindi bisogna essere piuttosto cauti.

Ho un’amica psichiatra che cura principalmente adolescenti violenti, senza casa, ragazzi che vivono per strada e tutte le difficoltà che derivano da questo. Una delle linee guida che segue e di cui mi ha parlato è, per ritornare a quanto detto, il trattare questi bambini che possono essere molto violenti con interesse e rispetto in quanto esseri umani. Prenderli sul serio. Dedicargli del tempo per ascoltarli davvero e imparare quali sono i loro problemi. Una cosa che tuttavia va evitata assolutamente se li stai ascoltando è dire: “La tua ora è terminata, ora devi andare”. Normalmente reagiscono a questo molto violentemente perché si sentono respinti.

Ciò che impariamo da questo è che se cerchiamo di gestire studenti indisciplinati gli diamo il nostro tempo. Li ascoltiamo. Vogliamo cercare di capire i loro problemi. (Anche se non abbiamo una soluzione, il solo fatto di averli ascoltati con compassione è d’aiuto.) Ma non poniamo dei limiti di tempo e rispettiamo questi bambini in quanto esseri umani.

Ma è davvero difficile dire cosa fare per educarli. Non so cosa sia considerato accettabile o no nella vostra società. Ma le punizioni, soprattutto se dettate dalla rabbia, semplicemente non saranno d’aiuto.

Come possiamo evitare di arrabbiarci nelle nostre relazioni quotidiane con gli altri?

Se analizziamo tutte le situazioni che consideriamo spiacevoli, che troviamo seccanti, troveremo che sorgono a causa di moltissime cause, circostanze e condizioni diverse: condizioni economiche, sociali, ciò che accade nelle case delle persone coinvolte, il loro retaggio, ecc. Quando siamo seccati e arrabbiati verso questa cosa, quello che in realtà facciamo nella nostra mente è prendere quell’episodio, o qualunque sia la cosa che ci disturba, e renderlo un grande e solido mostro orribile, una cosa mostruosa. Perdiamo di vista tutte le cause e le condizioni da cui dipende, proiettandovi molte più qualità negative rispetto a quelle reali. E poiché non vogliamo che sia così, allora la rabbia è un rifiuto, emotivamente molto forte, di quello.

Se ci pensiamo, poi il rifiuto… il meccanismo sottostante è che “Voglio che questa difficoltà, questa sofferenza se ne vada, non ci sia”. Questa è compassione. L’opposto di rabbia e irritazione è sempre l’amore; amore è il desiderio che l’altra persona abbia la felicità e le cause della felicità. Stanno agendo in modo orribile a causa di tutte queste condizioni e perché sono infelici. Desidero che siano felici così potranno smettere di agire in modo disturbante, orribile. Affinché siano felici devo imparare quali sono tutte le condizioni che causano la loro infelicità e il loro comportamento ribelle, e poi capire cosa posso cambiare.

Questi sono alcuni metodi che noi usiamo, i quali essenzialmente consistono nell’analizzare: questo sorge da questa e quella causa. Voglio che smettano di comportarsi in questo modo, che è dettato da queste cause, quindi cosa posso fare io per cambiare ciò che influenza il loro comportamento?

In quanto maestri abbiamo a che fare con bambini provenienti da diversi retaggi culturali, sociali e religiosi. È sufficiente essere pazienti con tutti questi diversi tipi bambini per poterli disciplinare ed educare?

Penso che uno dei fattori principali sia l’interesse verso i bambini. Questo significa familiarizzarsi con i retaggi religiosi e sociali di questi bambini. Più comprendi le persone che stai cercando di educare, tanto più capirai i loro veri bisogni. Il punto dell’istruzione non dovrebbe consistere solo nel poter passare un esame ma nell’aiutare a diventare persone migliori. Così comprendiamoli: possiamo fargli scrivere un piccolo tema su loro stessi, sulla loro famiglia o sul loro retaggio, cose del genere. Fate in modo che parlino di loro stessi, così potremmo conoscerli un po’ meglio. 

Spesso incontro persone che esitano ad esprimere la loro opinione o qualcosa riguardo loro stessi perché hanno paura del rifiuto. Mi domando come sia possibile aiutarli a superare la loro chiusura mentale e la loro paura.

Credo che questa sia una problematica molto forte con gli adolescenti che sono veramente troppo preoccupati per l’approvazione degli altri coetanei. Come aiutarli a superare la timidezza? Un metodo usato nell’istruzione monastica buddhista è che dopo la lezione tutti gli studenti si dividono in coppie, a due a due, discutendo tra di loro – dibattendo in termini di logica – discutendo su quanto appena insegnato per verificare la loro comprensione. Così non parlano davanti all’intera classe, dove ci potrebbe essere qualcuno poco gentile che li deride. Quando si è in coppia bisogna dire qualcosa. Poi il maestro passeggia ascoltando per qualche minuto ogni gruppo per assicurarsi che stiano parlando davvero dell’argomento e non di qualcos’altro. Questo è un metodo pedagogico molto buono perché non permette agli studenti solo di sedersi passivamente ed ascoltare o di essere distratti e non capire niente. Devono dire qualcosa, devono mostrare all’altro che stanno parlando di qualcosa che hanno ascoltato prestando attenzione. E non possono essere timidi. Bisogna anche assicurarsi che non scelgano sempre lo stesso compagno di discussione, devono cambiarlo: questo metodo usato nel sistema educativo monastico potrebbe essere utile.

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