Il Bon e il Buddhismo tibetano

Preliminari

Prima di tutto calmiamoci concentrandoci sul respiro. Se la nostra mente è molto agitata possiamo contare i respiri – espiro, inspiro, uno; espiro, inspiro, due – fino a undici, ripetendo qualche volta. Se invece la nostra mente è abbastanza tranquilla non occorre contare, basta concentrarsi sulla sensazione del respiro mentre entra ed esce dal naso.

Poi riaffermiamo la nostra motivazione. In occidente mi sembra che questo termine indichi le ragioni psicologiche o emotive per fare qualcosa. Ma non è questo il significato del termine tibetano ‘dun-pa, che indica piuttosto lo scopo, ciò che si vuole realizzare. Il nostro scopo, ciò che vogliamo ottenere venendo qui e ascoltando questo discorso è un quadro più chiaro del Bon e dei suoi rapporti con il Buddhismo. E lo facciamo per poter seguire qualunque sentiero abbiamo intrapreso, Bon o buddhista, con maggiore chiarezza e senza opinioni settarie. Questo per poter porre tutta la nostra attenzione sul sentiero spirituale per raggiungere l’illuminazione per il bene di tutti. Riaffermiamo questo scopo.

Poi ancora prendiamo la decisione consapevole di ascoltare attentamente. Proprio come prendiamo questa decisione prima di meditare, è importante anche prenderla prima di un corso, prima del lavoro, prima di metterci a fare qualunque cosa. Decidiamo che se la nostra attenzione comincerà a vagare la riporteremo indietro, che se ci verrà sonno cercheremo di svegliarci così da poter trarre il massimo vantaggio dalla nostra presenza qui. Prendiamo questa decisione in modo consapevole.

Introduzione

Stasera mi è stato chiesto di parlare della tradizione Bon e dei suoi rapporti con il Buddhismo. Quando Sua Santità il Dalai Lama parla delle tradizioni del Tibet, spesso nomina le cinque tradizioni tibetane: Nyingma, Kagyu, Sakya, Ghelug e Bon. Dal punto di vista di Sua Santità il Bon è alla pari con i quattro lignaggi buddhisti del Tibet. Sua Santità è di mentalità molto aperta; non tutti accettano questa posizione. Fra i maestri buddhisti circolavano e ancora circolano molte idee strane sul Bon. Da un’ottica psicologica occidentale, quando una persona si sforza con grande intensità di porre l’accento sui lati positivi della propria personalità prima di aver veramente risolto i suoi conflitti a livello profondo, il lato oscuro finisce con l’essere proiettato su un nemico: “Noi siamo i bravi ragazzi che seguono un sentiero puro e corretto, loro sono il diavolo.” Disgraziatamente nella storia del Tibet i Bonpo sono stati l’oggetto tradizionale di questa proiezione; vedremo le ragioni storiche di questo fatto, che deve assolutamente essere compreso nel contesto della storia politica del Tibet.

È un dato di fatto che il Bon ha avuto molta pubblicità negativa e una brutta immagine anche entro il Tibet. Gli occidentali spesso sono attratti da ciò che è controverso, come se l’avere cattiva fama rendesse una cosa più interessante – le altre tradizioni sono benpensanti e noiose. Un’idea ugualmente strana è che il Bon sia più esotico del Buddhismo tibetano; alcuni occidentali pensano di poterci trovare roba magica, del genere Lobsang Rampa, come aprire un buco nella fronte per attivare il terzo occhio; ma nessuna di queste credenze è esatta. Dobbiamo cercare di arrivare a una prospettiva più equilibrata e di considerare il Bon con rispetto, come fa Sua Santità. È importante comprendere la storia tibetana per vedere come si è sviluppata quest’immagine negativa del Bon, e per scoprire come il suo approccio allo sviluppo spirituale si rapporta al Buddhismo tibetano.

Le origini del Bon – Shenrab Miwo

Per sua stessa ammissione, la tradizione Bon è stata fondata da Shenrab Miwo, vissuto trentamila anni fa, il che lo collocherebbe in qualche punto dell'età della pietra. Non credo dobbiamo pensare che fosse un cavernicolo: una maniera molto comune di mostrare grande rispetto per un lignaggio consiste nel proclamarne l’antichità, e in ogni caso le date effettive della sua nascita e morte non possono essere dimostrate. Shenrab Miwo visse nell’Omolungring. La descrizione di questo luogo sembra essere una mescolanza di idee su Shambala, il monte Meru ed il monte Kailash, e corrisponde ad una terra spirituale ideale, che si diceva fosse compresa entro un’area più estesa di nome Tazig. Il termine “Tazig” si trova sia nella lingua persiana che in quella araba, e si riferisce alla Persia o all’Arabia; in altri contesti si riferisce a una tribù nomade. Nella tradizione Bon si dice che il Tazig fosse situato ad occidente del regno di Zhang-zhung, che era nel Tibet occidentale.

Questo suggerisce che il Bon sia venuto dall’Asia centrale, probabilmente dall’area culturale iraniana; è possibile che Shenrab Miwo fosse vissuto in un’antica cultura iraniana e poi sia giunto nello Zhang-zhung. Alcune versioni datano la sua venuta in un periodo compreso fra l’undicesimo e il settimo secolo a.C. Si tratta sempre di un tempo assai lontano, e ancora una volta non è possibile provare l’una o l’altra tesi. È chiaro che al tempo della fondazione della dinastia Yarlung nel Tibet centrale (127 a.C.) era già presente qualche forma di tradizione locale, della quale non conosciamo nemmeno il nome.

La connessione iraniana

La connessione iraniana è affascinante; se n’è discusso moltissimo, ed è necessario considerarla non solo dal punto di vista del Bon ma anche da quello del Buddhismo. Bon e Buddhismo hanno un’enorme quantità di materiale in comune; i Bonpo sostengono che i buddhisti l’hanno preso da loro, i buddhisti sostengono il contrario. Ciascuno pretende di essere stata la fonte, ed è molto difficile decidere. Come facciamo a saperlo?

Dall’India il Buddhismo è arrivato in Afganistan molto precocemente. In effetti si dice che proprio due discepoli del Buddha venissero da quel paese e che tornando vi avessero portato il Buddhismo. Nei primi due secoli a.C. in effetti troviamo il Buddhismo sia nello stesso Iran che nell’Asia centrale; c’era il Buddhismo. Se il Bon sostiene che idee apparentemente molto simili all’insegnamento del Buddha sono arrivate dall’area culturale persiana fino al Tibet occidentale molto tempo prima che venissero importate direttamente dall’India, non si può escludere che si trattasse di una mescolanza di Buddhismo e di concetti propri della cultura iraniana del luogo, che erano presenti in quell’area. L’area che appare la fonte più probabile di questo Buddhismo iraniano è il Khotan.

Il Khotan

Questo Paese si trova a nord del Tibet occidentale. Come sapete, il Tibet è un altopiano molto elevato, con molte montagne. Spingendosi verso nord dove termina l’altopiano s’incontra un’altra catena montuosa, poi si scende sempre fino a trovarsi al disotto del livello del mare in un deserto del Turkistan orientale, che ora è chiamata la provincia cinese dello Xinjiang. Il Khotan si trovava ai piedi di queste montagne, ai margini del deserto; era un’area di cultura iraniana, i suoi abitanti provenivano dall’Iran, ed era un centro importantissimo per il commercio e per il Buddhismo. La sua influenza culturale sul Tibet fu significativa, anche se i tibetani tendono a minimizzare la cosa riconoscendo solo l’influenza indiana e cinese.

Anche la scrittura tibetana deriva dall’alfabeto del Khotan. L’imperatore tibetano Songtsen-gampo aveva mandato un ministro nel Khotan per riportare un sistema di scrittura per la lingua tibetana. Ma la via commerciale per il Khotan passava dal Kashmir, e si dava il caso che il grande maestro khotanese che il ministro voleva incontrare si trovasse in Kashmir. Quindi i tibetani ottennero il sistema di scrittura da quel maestro nel Kashmir, e tutti finirono con il credere che avessero adottato un sistema di scrittura proprio del Kashmir. Se si analizza questo sistema si vede invece che viene proprio dal Khotan. Naturalmente il sistema khotanese a sua volta proveniva dall’India. Il punto è che i contatti culturali con il Khotan erano assai frequenti.

Possiamo vedere che ciò che asserisce il Bon è molto plausibile; è certamente possibile che sia venuto dal Khotan. Da questo punto di vista potremmo dire che il Buddhismo è arrivato in Tibet da due direzioni: dal Khotan o dalle aree di cultura iraniana nel Tibet occidentale, e successivamente dall’India. Nel primo caso potrebbe essere arrivato sotto la forma del primo Bon. È assolutamente possibile che il Buddhismo, e in particolare lo dzogchen, sia arrivato da entrambe le direzioni e che vi siano state influenze reciproche; probabilmente questo è più vicino alla verità.

Descrizione dell’universo e dell’aldilà

Un elemento del Bon che proviene dalla cultura iraniana è la storia dell’evoluzione dell’universo. Nel Buddhismo abbiamo gli insegnamenti dell’abhidharma sul monte Meru, ma questa non è l’unica spiegazione, c’è anche quella del Kalachakra, che è leggermente diversa. Anche i testi Bon presentano la spiegazione dell’abhidharma, proprio come nel Buddhismo, ma anche una spiegazione propria, di cui alcuni elementi sembrano davvero iraniani, come il dualismo fra la luce e le tenebre. Alcuni studiosi russi hanno rilevato analogie fra i nomi tibetani e quelli persiani antichi per diversi dèi e figure. Fanno riferimento proprio a questa connessione iraniana.

Un aspetto assolutamente specifico del primo Bon è l’enfasi sull’aldilà, specialmente dello stato intermedio. Alla loro morte, i re andavano nell’aldilà, e per soddisfare le loro necessità durante il viaggio si compivano sacrifici animali, forse anche umani, ma non è sicuro. Sicuramente venivano seppelliti dipinti, cibo e tutto ciò di cui una persona può aver bisogno nel suo viaggio dopo la morte.

È molto interessante notare che il Buddhismo tibetano ha fatto propria quest’enfasi sullo stato intermedio. Nel Buddhismo indiano si fa menzione del bardo ma senza grande enfasi, mentre nel Buddhismo tibetano troviamo moltissimi rituali inerenti il bardo. Quest’enfasi sulla preparazione per una vita dopo la morte si può ritrovare anche nella cultura persiana antica. L’unico aspetto del primo Bon del quale possiamo parlare con sicurezza è la pratica dei rituali di sepoltura, e quel che si ritrova nelle tombe dimostra che si credeva in un aldilà; a parte questo, entriamo nel regno delle supposizioni. Le sepolture degli antichi re invece possono essere effettivamente esaminate.

L’influenza dello Zhang-zhung si estese fino all’area dello Yarlung nel Tibet centrale, protraendosi dai tempi più remoti fino alla fondazione del primo impero tibetano da parte di Songsten gampo, il quale concluse alleanze sposando principesse provenienti da paesi diversi. È risaputo che aveva sposato una principessa cinese e una nepalese, ma ne ha sposata anche una dello Zhang-zhung. Di conseguenza, il primo Imperatore del Tibet è stato influenzato da ciascuna di queste culture.

In questo primo periodo il Buddhismo non era pienamente sviluppato, e di fatto la sua influenza era secondaria, tuttavia il re fece costruire templi buddhisti in diversi “luoghi potenti”. Si diceva che il Tibet somigliasse a un demone femmina coricato sulla schiena, e si pensava che la costruzione di templi in diversi luoghi corrispondenti a punti dell'agopuntura potesse soggiogare le forze selvagge. Questo considerare la situazione in termini di punti di agopuntura, controllo di demoni e così via è molto cinese. Tale era la forma di Buddhismo presente in Tibet a quel tempo. È interessante rilevare che, nonostante avesse adottato il Buddhismo, Songsten gampo mantenne i rituali di sepoltura Bon che venivano praticati nello Yarlung prima di lui, evidentemente sostenuto in questo dalla regina dello Zhang-zhung. Quindi i rituali di sepoltura, con i sacrifici e così via, proseguirono anche durante questo primo periodo del Buddhismo.

L’esilio dei Bonpo

Intorno al 760 d.C., l’imperatore Songdetsen invitò dall’India Guru Rinpoche, Padmasambhava; venne costruito il primo monastero, Samyay, e si diede inizio alla tradizione monastica. A Samyay c’era un ufficio traduzioni che si occupava di tradurre testi non solo dalle lingue dell’India e dal cinese, ma anche dallo Zhang-zhung, che evidentemente era già all’epoca una lingua scritta. Esistono due sistemi di scrittura tibetani. Quello a stampa era stato importato dal Khotan da Songsten gampo. Come hanno rivelato le ricerche di alcuni grandi studiosi, come Namkhai Norbu Rinpoche, lo Zhang-zhung possedeva un sistema di scrittura più antico, che costituì la base per il tibetano manoscritto. A Samyay vennero tradotti testi Bon, presumibilmente sulle sepolture e simili, dalla lingua dello Zhang-zhung nella sua grafia in tibetano.

Sempre a Samyay si svolse il famoso dibattito fra il Buddhismo indiano e quello cinese, poi fu indetto un concilio religioso e, nel 779 d.C., il Buddhismo fu dichiarato la religione di stato del Tibet. Indubbiamente in questi avvenimenti giocarono molte considerazioni politiche. Poco tempo dopo, nel 784 d.C., cominciò la persecuzione della fazione Bon. Qui è iniziato il malanimo, è importante analizzare questo momento. Cosa stava veramente accadendo?

Nella corte imperiale vi erano una fazione favorevole alla Cina, una all’India e una fazione indigena xenofoba, ultra conservatrice. Il padre dell’imperatore Tri Songdetsen aveva sposato una regine cinese assai influente, quindi in molti campi aveva sostenuto la fazione favorevole alla Cina. La fazione conservatrice aveva assassinato il padre. Credo che questo sia uno dei motivi per cui i cinesi sono stati sconfitti nel dibattito. In ogni caso era assolutamente impossibile che potessero vincere: i cinesi non avevano alcuna tradizione di dibattito, e furono messi a confronto con il massimo esperto indiano di quest’arte. Non avevano una lingua comune, quindi in che lingua hanno dibattuto? Veniva tutto tradotto. Evidentemente si trattò di una mossa politica per liberarsi della fazione cinese. Per colpa dei cinesi il padre dell’imperatore era stato ucciso. Ora il re voleva liberarsi anche della fazione contraria agli stranieri; la fazione indiana era quella che meno minacciava il suo potere politico. Di conseguenza, la fazione politica conservatrice fu mandata in esilio: si trattava dei Bonpo.

Una delle fonti di confusione è sostenere che i Bonpo praticavano i rituali di sepoltura a corte; ma questi non erano i Bonpo mandati in esilio. I Bonpo esiliati furono questi ministri e figure politiche conservatrici che furono cacciati via; è interessante notare che i rituali di sepoltura ed i sacrifici rituali proseguirono a corte anche dopo la loro cacciata. Per commemorare un trattato concluso con la Cina nel 821 d.C., si eresse una colonna che descriveva le cerimonie; degli animali vennero sacrificati. Anche se non vi erano più sepolture imperiali, ancora c’era una certa influenza. Credo sia molto importante comprendere che il malanimo nei confronti dei Bonpo era in effetti una questione politica, e non riguardava la religione o i rituali.

La fazione conservatrice venne esiliata in due aree: lo Yunnan, nell’attuale Cina sud occidentale, a nord della Birmania, e Gilgit nel Pakistan nord occidentale, molto vicino alla zona da cui proveniva Guru Rinpoche. Possiamo dedurre che i Bonpo potrebbero aver acquisito alcuni insegnamenti di dzogchen da quella zona dove li aveva ricevuti anche Guru Rinpoche, per poi riportarli successivamente in Tibet indipendentemente da Guru Rinpoche. Ci sono molte possibili spiegazioni per il fatto che i Bon hanno una tradizione di dzogchen distinta da quella buddhista che risale a Guru Rinpoche; non si tratta solo del fatto che qualcuno l’ha detto e quindi è vero. Bisogna guardare alla storia.

I testi tesoro sepolti del Bon

Molti testi Zhang-zhung vennero sepolti al tempo dell’esilio, nascosti nei muri di fango del monastero di Samyay da un grande maestro di nome Drenpa-namka. Contemporaneamente anche Guru Rinpoche stava seppellendo testi perché sentiva che i tempi non erano maturi, la gente non era abbastanza sofisticata per comprenderli. Egli seppellì solo testi di dzogchen, mentre i Bon seppellirono tutti i loro insegnamenti, compresi quelli dzogchen. Quindi, sebbene i Bon e i Nyingma seppellirono testi nello stesso momento, i motivi per farlo e i testi sepolti erano molto diversi.

Il successivo imperatore del Tibet, Relpachen, era un fanatico. Decretò che sette famiglie mantenessero ciascun monaco, e distrasse gran parte delle tasse per il mantenimento dei monasteri. I monaci del consiglio religioso godevano di un potere politico immenso. L’imperatore successivo, Langdarma, viene di solito dipinto come il diavolo per aver perseguitato il consiglio religioso e aver smesso di convogliare tutte le tasse ai monasteri. Egli ha in effetti smantellato i monasteri, ma senza distruggere le biblioteche. Lo sappiamo perché quando Atisha giunse in Tibet nell’undicesimo secolo rilevò come fossero magnifiche le biblioteche. In sostanza, Langdarma chiuse le istituzioni monastiche perché stavano diventando troppo forti politicamente. Pertanto c’è stato un tempo in cui i monasteri furono abbandonati.

I testi Bon nascosti a Samyay cominciarono a essere scoperti nel 913 d.C.: alcuni pastori stavano nel monastero e quando si appoggiarono ad uno dei muri, questo si sbriciolò mettendo alla luce dei testi. La maggior parte dei testi Bon fu scoperta circa un secolo più tardi da un grande maestro Bonpo di nome Shenchen Luga, che li codificò nel 1017 d.C. Si trattava principalmente di materiale non dzogchen, che copriva quelli che noi chiameremmo insegnamenti in comune con il Buddhismo tibetano. Solo successivamente i Nyingma cominciarono a scoprire testi a Samyay e in altri monasteri. Molti maestri trovarono sia testi Bon che Nyingma, e spesso nello stesso luogo. I testi Nyingma riguardavano soprattutto lo dzogchen. Ci troviamo su un terreno storico più solido quando esaminiamo la nuova fase del Bon, considerando come fase antica quella precedente all’esilio ed alla sepoltura dei testi.

Un paragone fra Bon e Buddhismo tibetano

Si scopre che c’è moltissimo in comune con le tradizioni buddhiste tibetane; ecco perché Sua Santità considera il Bon una delle cinque tradizioni. I Bonpo non sarebbero contenti, ma possiamo considerarli un’altra forma di Buddhismo tibetano. Dipende da come si definisce una tradizione buddhista. Gran parte della terminologia è la stessa. Il Bon parla d’illuminazione, raggiungere l’illuminazione, dei Buddha, e così via. Alcuni termini sono diversi e così anche i nomi di alcune divinità, ma gli insegnamenti di base ci sono tutti. Troviamo alcune differenze insignificanti come il fatto di circumambulare in senso antiorario piuttosto che orario, è diverso il tipo di copricapo cerimoniale, mentre le vesti monastiche sono identiche salvo che parte della veste è blu anziché rossa o gialla.

Il Bon, proprio come le tradizioni buddhiste del Tibet, ha una tradizione di dibattito che risale a un tempo molto antico, quindi ancora una volta dobbiamo chiederci chi l’abbia iniziata. Senza dubbio era presente nei monasteri dell’India molto prima della sua comparsa in Tibet, tuttavia potrebbe essere giunta alla tradizione buddhista tibetana dal Bon; d’altro canto non è detto che una tradizione debba per forza aver copiato dall’altra.

Cosa molto interessante, la tradizione di dibattito Bonpo segue molto da vicino quella Ghelug, al punto che molti monaci Bonpo praticano il dibattito nei monasteri Ghelug e addirittura conseguono il titolo di gheshe. Questo ci suggerisce che nonostante il Bon abbia lo dzogchen, la sua interpretazione del Madhyamaka sia più vicina a quella Ghelug che alla Nyingma. In caso contrario non potrebbero partecipare ai dibattiti dei Ghelug. Le somiglianze fra il Bon e il Buddhismo tibetano non riguardano esclusivamente la scuola Nyingma. Non si tratta di un clone dei Nyingma con nomi differenti, è molto più complesso.

Nel Bon si dà importanza anche alle scienze indiane tradizionali, che vengono studiate molto più intensamente che nei monasteri buddhisti – la medicina, l’astrologia, la metrica e così via. Fra i monasteri buddhisti queste materie sono coltivate di più nell’Amdo, nel Tibet orientale, che in quello centrale.

Sia il Bon che il Buddhismo tibetano hanno monasteri e voti monastici. È assai interessante notare che nonostante molti voti siano gli stessi nelle due tradizioni, il Bon ha alcuni voti che ci si aspetterebbe di trovare fra i buddhisti, ma che questi non hanno. Per esempio i Bonpo hanno il voto di essere vegetariani, i buddhisti no. La moralità dei Bon è un po’ più rigorosa di quella buddhista.

Il Bon ha un sistema di tulku uguale a quello dei monasteri buddhisti. Ha i gheshe; ha la prajnaparamita, il madhyamaka, l’abhidharma e tutte le divisioni che troviamo nei testi buddhisti. Parte del vocabolario e il modo di esporre sono un po’ diversi, ma la differenza non è maggiore di quella che corre fra due lignaggi del Buddhismo. Per esempio il Bon possiede una propria spiegazione sull’origine dell’universo, ma anche nel Kalachakra si trova una spiegazione originale. Questo è il quadro generale. Il Bon non è così strano.

La cultura tibetana e l’essenza dell’insegnamento

Credo sia importante cercare di discernere quali siano gli aspetti del Buddhismo importati dal Bon, che rispecchiano l’approccio originale tibetano, così da farci un’idea più chiara di cosa faccia parte della cultura tibetana da un lato e dell’essenza del Buddhismo dall’altro. Anche nel Bon è importante distinguere gli aspetti culturali dagli insegnamenti essenziali.

In tutte le tradizioni tibetane è stato pienamente adottato un processo terapeutico in quattro fasi. Quando arriva un malato per prima cosa si fa un mo, che è un metodo di divinazione che deriva dal Bon. Nell’antichità i mo non si facevano con i dadi, come si usa oggi, ma con una cordicella con diversi nodi. Il mo indica se la malattia è causata da spiriti maligni e in tal caso quali sono i rituali adatti a propiziarli. Successivamente si consulta un astrologo per determinare il momento più adatto per i rituali. L’astrologia si basa sugli elementi provenienti dalla cultura cinese – terra, acqua, fuoco, metallo e legno. In terzo luogo si celebrano i rituali per eliminare le influenze esterne dannose, e in quarto luogo si prende la medicina.

La teoria sottostante ai rituali è leggermente diversa nel Buddhismo e nel Bon. Dal punto di vista dei buddhisti si lavora con il karma e si considera la situazione esterna in sostanza come riflesso del karma: un rituale o puja aiuta ad attivare potenziali karmici positivi. Il Bon pone uguale enfasi sull’armonizzazione delle forze esteriori, poi sulla situazione karmica interna.

In entrambi i casi in queste puja di guarigione si usano le torma, che sono il residuo attenuato degli antichi riti sacrificali. Le torma, fatte di farina di orzo, lavorate nella forma di piccoli animali e usate come capri espiatori, provengono senza dubbio dal Bon. Vengono offerte agli spiriti dannosi: “Prendi questo e lascia in pace il malato.”

Tutta la questione dei sacrifici è assai interessante. I Bonpo dicono “Noi non li facevamo, era una tradizione antica del Tibet”; i buddhisti sostengono “Erano i Bonpo, non noi”. Evidentemente tutti vogliono negare di aver fatto sacrifici, e indubbiamente i sacrifici c’erano. Milarepa ricorda che se ne facevano anche al suo tempo. Perfino nel 1974 quando Sua Santità conferì l’iniziazione di Kalachakra a Bodhgaya per la prima volta, parlò con forza alle persone provenienti dalle regioni di confine del Tibet di smettere le pratiche dei sacrifici animali. È qualcosa che esiste da molto tempo.

Nei rituali Bonpo concernenti il bardo vengono usate immagini di varie divinità, come in molti rituali buddhisti analoghi. Quest’uso risale ai rituali di sepoltura Bonpo/iraniani, dove nella tomba insieme al cadavere venivano posti diversi oggetti.

Un altro elemento Bon introdotto nel Buddhismo tibetano è la “rete dell’armonia dello spazio,” una configurazione a forma di ragnatela di strisce multicolori che rappresentano i cinque elementi, e che deriva dall’idea di dover armonizzare gli elementi esterni prima di poter lavorare su quelli interni, o karma. Si costruisce una rete secondo quanto indicato dalle divinazioni e così via, e la si appende all’esterno. Qualche volta vengono chiamate acchiappa spiriti, ma in effetti non si tratta di questo. Servono per armonizzare gli elementi ed invitano gli spiriti a lasciarci in pace. Sono qualcosa di molto tibetano.

Il concetto di spirito vitale (bla), presente nel Bon e nel Buddhismo, proviene dall’idea turkmena centro asiatica di qut, lo spirito di una montagna. Chiunque governasse l’area circostante una particolare montagna sacra era il Khan, il capo dei turkmeni e successivamente dei Mongoli. Il re era colui che incarnava questo qut o spirito vitale – aveva carisma e poteva comandare.

Lo spirito vitale può essere rubato da spiriti malvagi; in tutte le tradizioni buddhiste tibetane troviamo puja per recuperare lo spirito vitale rubato dagli spiriti malefici. Si offre un riscatto: ecco una torma, ridammi il mio spirito vitale. Come si fa a sapere che ci è stato rubato lo spirito vitale? Da un punto di vista occidentale potremmo chiamarlo esaurimento nervoso o shock, quando non si riesce ad affrontare la vita. Una persona a cui sia stato rubato lo spirito vitale non è in grado di organizzare la propria vita. Lo spirito vitale governa la nostra esistenza come il Khan governa il Paese. Il termine tibetano che lo indica, “la”, è contenuto nella parola lama. Un lama è una persona che ha davvero spirito vitale. “La” viene usato anche in alcuni contesti per tradurre la bodhicitta bianca, quindi è una forza materiale o essenza molto forte all’interno del corpo.

Poi c’è lo spirito della prosperità: se è forte tutto andrà bene e avremo ricchezza. Il termine tibetano è “yang” (g.yang), che in cinese significa pecora. Durante il Losar, il capodanno tibetano, si mangia una testa di pecora e si modella con la tsampa, chicchi di orzo tostati, una testa di pecora, che rappresenta lo spirito della prosperità. Chiaramente questo deriva da vecchi rituali Bon.

Anche l’idea delle bandiere di preghiera viene dal Bon; queste hanno i colori dei cinque elementi e vengono appese per armonizzare gli elementi esterni in modo da creare equilibrio e poter procedere con il lavoro interiore. Molte bandiere di preghiera portano l’immagine del cavallo di vento (lungta, rlung-ta), che è associato al cavallo della fortuna. La Cina è stata il primo paese a istituire un sistema postale, in cui i postini montavano cavalli. In certi posti facevano sosta e cambiavano cavallo. Questi cavalli di posta erano i cavalli di vento; i termini cinesi sono uguali. L’idea è che la buona fortuna arriverà a cavallo come il postino che porta merci, lettere, denaro, e così via. È molto tibetano/cinese.

Certi aspetti delle cure Bon sono stati assunti dal Buddhismo come l’aspersione di acqua consacrata con una piuma. In tutti i rituali d’iniziazione buddhisti si usa una piuma di pavone in un vaso. Sulla cima dei monti si usa bruciare foglie e rami di ginepro, chiamato sang in tibetano, per salutare qualcuno che sta arrivando. Si fa così ai lati della strada quando Sua Santità fa ritorno a Dharamsala. È associato al fare offerte agli spiriti del luogo.

L’importanza degli oracoli nel Buddhismo tibetano viene spesso confusa con lo sciamanesimo, ma oracoli e sciamani sono completamente diversi. Un oracolo è uno spirito che parla attraverso un medium, usandolo come canale. Gli sciamani, che si trovano in Siberia, in Turchia, in Africa eccetera, sono persone che entrano in una trance durante la quale si recano in regni diversi e parlano con alcuni spiriti, generalmente di antenati, i quali rispondono alle loro domande. Quando gli sciamani escono dalla trance, comunicano il messaggio degli antenati. Invece un medium generalmente non ha alcun ricordo di quel che l’oracolo ha detto per mezzo suo. Gli oracoli han finito per essere associati ai protettori: l’oracolo di Nechung è anche il protettore Nechung. Tuttavia si ritrova una traccia di sciamanesimo nella suddivisione delle cose in cose che stanno al disopra della terra, sulla terra o sotto di essa, che è molto diffusa nei testi Bon ed è poi stata assunta dal Buddhismo.

Buddha ha dato un enorme numero d’insegnamenti su molti argomenti; in ogni luogo dell’Asia in cui si è diffuso il Buddhismo, le popolazioni coglievano in prevalenza gli elementi che più si accordavano alla propria cultura. Nel Buddhismo dell’India si fa menzione delle terre pure, ma non vi viene data importanza, mentre i cinesi, che avevano il concetto taoista dell’andare nella Terra Occidentale degli immortali, diedero un’enorme importanza alle terre pure e le svilupparono moltissimo. Nasce così il Buddhismo delle terre pure, che è una delle più significative scuole del Buddhismo cinese. Analogamente nel Buddhismo indiano vengono discussi i protettori, i diversi spiriti, l’offerta delle puja e così via, ma i tibetani hanno sviluppato moltissimo questi elementi perché appartenevano già alla loro cultura.

Conclusione

Credo sia molto importante avere grande rispetto per la tradizione Bon. Vi sono molti elementi che è possibile identificare come Bon o come cultura tibetana e che non sono completamente condivisi con il Buddhismo tibetano. Molti elementi degli insegnamenti buddhisti si ritrovano anche nel Bon. Non ha senso discutere su chi ha copiato da chi: il Buddhismo e il Bon hanno avuto contatti reciproci e non c’è motivo per cui non possano essersi influenzati reciprocamente.

È importante capire che i Bonpo sono diventati i cattivi innanzi tutto per motivi politici – un residuo del loro acceso conservatorismo nell’ottavo secolo. D’altro canto ci sono motivi psicologici – coloro che sottolineano i propri lati positivi tendono a proiettare quelli negativi su qualcun altro. È questo un fenomeno che si ritrova specialmente nelle tradizioni buddhiste fondamentaliste con una estrema devozione al guru e grande importanza data ad un protettore. Il protettore diventa la cosa più importante, e i testi dicono cose tremende contro chiunque si opponga al Dharma o a quella tradizione. Schiaccia i nostri nemici, calpestali, strappagli gli occhi, eccetera. Trovo molto più appropriato seguire l’esempio di Sua Santità e pensare che esistono cinque tradizioni tibetane, ognuna delle quali insegna un cammino assolutamente valido per l’illuminazione. Queste tradizioni hanno molti aspetti comuni e propongono lo stesso obiettivo, l’illuminazione.

Fra i loro aspetti comuni ve ne sono alcuni che possono essere identificati come cultura del Tibet e altri che sono più propri del Buddhismo. Spetta a noi decidere cosa vogliamo seguire. Se desideriamo accettare certi aspetti della cultura tibetana, bene, perché no. Non è in ogni modo necessario. Se riusciamo a distinguere gli elementi tibetani dall’essenza del Buddhismo, almeno avremo ben chiaro cosa stiamo praticando. Non è possibile essere puristi nel Buddhismo; perfino il Buddhismo dell’India si accordava alla società indiana. Non possiamo separare completamente il Buddhismo dalla società in cui è stato trasmesso, ma possiamo avere chiarezza riguardo gli elementi che sono culturali e a quelli che riguardano le quattro nobili verità, il cammino verso l’illuminazione, la bodhicitta e così via.

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