La trasformazione di sé stessi attraverso l’addestramento mentale

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Quando affrontiamo situazioni difficili e nella nostra vita le cose vanno male, se siamo in grado di cambiare il nostro atteggiamento nei loro confronti, potremo trasformare queste esperienze in ciò che ci farà avanzare nel progresso spirituale. La tradizione tibetana del “lojong”, addestramento mentale, offre un’ampia varietà di atteggiamenti benefici che possiamo addestrarci a sviluppare e che ci consentiranno di affrontare meglio le sfide della vita.

L’“addestramento mentale” consiste in un insieme di metodi per cambiare il modo in cui consideriamo una persona o una situazione. Dobbiamo prestare attenzione, tuttavia, al termine “addestramento mentale”, perché può sembrare includere un addestramento della concentrazione e della memoria. E questo non è affatto ciò cui si riferisce. Nel termine tibetano per “addestramento mentale”, blo-sbyong, la parola blo non è semplicemente “mente”: ha più una connotazione di “atteggiamento”. La parola “addestramento”, sbyong in tibetano, ha due significati: “purificare”, e quindi purificare un atteggiamento negativo, e “addestrarsi”, ovvero addestrarsi in uno più positivo. Quindi a volte è più facile capire che cos’è l’addestramento mentale se lo esprimiamo nei termini di “addestramento dell’atteggiamento”.

Il principale atteggiamento negativo da purificare è quello egoista, che include l’essere egocentrici ed egoisti, il pensare solo a noi stessi. L’atteggiamento positivo in cui addestrarsi è quello del prendersi cura degli altri, che include il pensare principalmente al loro benessere con amore e compassione. Il metodo usato in tutte le tecniche di addestramento mentale è molto adatto all’approccio generale del Buddha, conosciuto come “le quattro nobili verità”.

Le quattro nobili verità

Il Buddha ci ha insegnato come superare i problemi della nostra vita a un livello molto pratico. In realtà, tutto ciò che ha insegnato era finalizzato a questo scopo. Tutti noi abbiamo molti diversi livelli e tipi di problemi. Alcuni sono grossolani e fanno molto male; ci causano molto dolore – sia esso fisico o mentale, o di entrambe le tipologie. Altri sono un po’ più sottili, ma comunque molto dolorosi. Ad esempio, godiamo di diverse cose nella vita, ma siamo frustrati, perché non ci soddisfano pienamente. Non durano per sempre; cambiano. Le cose nella nostra vita non sono mai stabili; vanno su e giù. A volte procedono bene, a volte no; e ciò che è veramente instabile è il modo in cui ci sentiamo. Talvolta siamo felici, talvolta infelici; a volte ci sembra di non sentire nulla e non abbiamo idea di come ci sentiremo anche solo nell’istante successivo. Non sembra neppure dipendere molto dalle persone con cui siamo, o da ciò che stiamo facendo – all’improvviso il nostro umore cambia.

Tutti noi abbiamo anche problemi emotivi, che ci causano varie difficoltà nella vita. Ciò che è davvero frustrante è che sembrano ripetersi. Pare proprio che siamo noi stessi a crearci sempre più problemi, anche se a volte sembra che provengano dagli altri. Se esaminiamo tutto questo più da vicino e in modo più onesto, vediamo che la fonte di molti dei nostri problemi siamo noi stessi e, nello specifico, i nostri atteggiamenti egocentrici in relazione a ciò che accade nella vita.

Il Buddha vide tutto questo. Lo realizzò nella sua vita; lo vide in quella degli altri. Vide che tutti erano nella stessa situazione difficile. A livello grossolano, tutti noi abbiamo difficoltà con i normali eventi della vita – nascere, crescere, ammalarsi, invecchiare e morire – così come con i nostri sentimenti, che vanno sempre su e giù in modo incontrollabile. Il Buddha però disse che i problemi che noi abbiamo con tutto ciò derivano da determinate cause; non provengono dal nulla. Non sorgono da una superpotenza esterna che ce li invia – sia che chiamiamo quel potere esterno “Dio”, sia che lo rendiamo più impersonale e lo chiamiamo destino o fato. Non è affatto questa l’origine dei nostri problemi.

La vera fonte dei nostri problemi si trova all’interno, e, quando diciamo che si trova all’interno, ciò non significa che siamo intrinsecamente cattivi o colpevoli. Buddha non intendeva dire che siamo nati cattivi, con il peccato; il Buddha ha detto, piuttosto, che l’origine dei nostri problemi è la nostra confusione circa la realtà. Non stiamo dicendo che siamo stupidi: semplicemente, nella nostra esperienza quotidiana le cose ci sembrano esistere in modi impossibili, che non corrispondono affatto alla realtà. Questo è particolarmente vero in relazione al modo in cui vediamo noi stessi e gli altri, e ciò naturalmente modella il nostro atteggiamento nei loro confronti e verso di noi. A causa del nostro egocentrismo ed egoismo, ci sembra di essere le persone più importanti e che tutto debba essere sempre in linea con le nostre preferenze, e ciò di cui gli altri fanno esperienza non ha alcuna importanza. È come se ciò che gli altri sentono non contasse e, anzi, neppure esistesse. Penso che possiamo comprendere tutto ciò considerando quanto della nostra esperienza si basi sulle nostre proiezioni e aspettative irrealistiche, e non sulle situazioni vere e proprie che incontriamo.

Buddha però ha detto che è possibile porre fine a questa situazione, smettere di avere questi problemi, così che non si ripresentino più. Non siamo condannati a soffrirne per sempre. Non abbiamo come unica soluzione quella di drogarci o ubriacarci, in modo da poter smettere di provare dolore e perlomeno sentire, per quel momento, di essere sfuggiti ai nostri problemi. E non abbiamo bisogno di immergerci in uno stato meditativo profondo in cui non pensiamo a nulla, così che questo ci risolva i problemi. Tali soluzioni sono solo temporanee e non ci liberano affatto dei nostri problemi. Se vogliamo liberarcene, dobbiamo liberarci della causa di tali problemi. Dobbiamo liberarci della nostra confusione. Dobbiamo sostituire la confusione con la comprensione corretta. Siamo uguali nel voler essere tutti felici e nel fatto che nessuno vuole essere infelice, e nessuno ha un diritto alla felicità più grande di chiunque altro. Inoltre ognuno di noi è solo una persona e tutti gli altri sono innumerevoli. Se comprendiamo tale realtà e modifichiamo di conseguenza i nostri atteggiamenti, allora lentamente, lentamente, man mano che la nostra comprensione diventa sempre più profonda, anche i nostri stati emotivi cambieranno.

Addestramento mentale

Poiché trascorriamo gran parte della vita nel mondo immaginario delle nostre proiezioni, la nostra confusione modella gli atteggiamenti che abbiamo verso tutto ciò di cui facciamo esperienza. Con un atteggiamento egoistico, consideriamo ciò che ci accade in modi egocentrici, e questi creano ancora più infelicità e problemi a noi e agli altri. Con un cambiamento del nostro atteggiamento, però, l’esperienza degli avvenimenti della vita cambia drasticamente.

Ad esempio, invece di considerare il ritardo di un nostro volo in aeroporto come un disastro personale, possiamo renderci conto che la realtà è semplicemente la seguente: ora noi e tutti gli altri passeggeri del volo abbiamo più tempo da trascorrere nell’area di attesa. Possiamo quindi cambiare il modo in cui consideriamo la situazione e, con un atteggiamento focalizzato ora sul modo in cui gli altri affrontano il ritardo, possiamo vederla come un’opportunità per iniziare una conversazione con un altro passeggero e, nel nostro essere piacevoli e non irritati, possiamo aiutare quella persona a calmarsi e non essere infastidita. Proprio come con l’esercizio fisico possiamo allenare il nostro corpo affinché diventi più forte e abbia una maggiore resistenza, allo stesso modo attraverso la meditazione possiamo allenare anche la nostra mente e i suoi atteggiamenti affinché diventino più forti e positivi e, senza turbamenti emotivi, abbiano una maggiore resistenza in situazioni potenzialmente disturbanti.

Acquisire forza emotiva

Video: Khandro Rinpoche — “Addestramento mentale nel Buddhismo”
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A volte siamo in grado di capire quali sono i nostri problemi. Capiamo che stiamo vivendo un particolare tipo di turbamento emotivo perché la nostra mentalità è tesa e ristretta, limitata a pensare soltanto a noi stessi; questo però non sembra cambiare le nostre emozioni. Abbiamo la sensazione che la nostra comprensione non possa realmente influenzare il modo in cui ci sentiamo. Ma qui il problema è che in realtà la nostra comprensione non è sufficientemente profonda. Non solo, ma non è “penetrata in profondità” per un periodo di tempo sufficientemente lungo da poter apportare un cambiamento nei nostri atteggiamenti.

Usiamo di nuovo l’esempio della salute fisica per illustrare tutto questo. Supponiamo di sentirci fisicamente deboli, stanchi e pesanti tutto il tempo; iniziamo quindi ad andare in palestra o in un fitness club, e ad allenarci regolarmente. Una volta cominciato un programma di allenamento, questo non cambia immediatamente il modo in cui ci sentiamo fisicamente. Ci vuole un po’ di tempo – di solito servono alcuni mesi – prima di iniziare a sentirne l’effetto in termini di salute. Tuttavia, più a lungo ci alleniamo, e diventa una normale routine della nostra vita, e più, dopo un po’, il modo in cui ci sentiamo si modifica: iniziamo a sentirci bene. Stiamo meglio con noi stessi, e questo ci aiuta a sentirci meglio nel modo in cui abbiamo a che fare con gli altri.

Qualcosa di simile accade quando abbiamo una certa comprensione di ciò che avviene nella nostra mente, nelle nostre emozioni, e nei nostri atteggiamenti. Più a lungo abbiamo una certa comprensione e continuiamo a ricordarcene, più essa stessa si fa profonda. Quindi, anche se il cambiamento emotivo non sarà immediato, man mano che trasformeremo i nostri atteggiamenti inizieremo ad acquisire maggiori equilibrio e forza emotivi.

Livelli di motivazione per lavorare su noi stessi

Andare al fitness club richiede non solo autodisciplina ma anche presenza mentale, ossia ricordarci di andare e non dimenticarcene. Alla base di tutto ciò c’è quello che chiamiamo “atteggiamento premuroso” – ci preoccupiamo di noi stessi, di come ci presentiamo, di come ci sentiamo, etc. Ci prendiamo sul serio e rispettiamo, in un certo senso, il nostro “diritto” di essere felici e star bene. La stessa cosa è vera qui sul piano della comprensione di noi stessi, di come funziona la nostra vita emotiva. Anche questo dipende dal prenderci cura di noi stessi e dalla sensazione che, sì, abbiamo il diritto anche a una migliore salute emotiva.

Questo atteggiamento premuroso nei confronti di noi stessi è molto diverso da un atteggiamento egoistico. Con quest’ultimo, pensiamo soltanto a noi stessi e ignoriamo il benessere degli altri. Non ci interessa come i nostri atteggiamenti e comportamenti influenzino le persone con cui interagiamo, o che semplicemente incontriamo. Con un atteggiamento premuroso, invece, ci rendiamo conto che la nostra infelicità e i nostri problemi nella vita derivano dal nostro egocentrismo e dall’atteggiamento egoistico e, poiché vogliamo essere felici, ci prendiamo cura di noi stessi, al punto che vogliamo fare qualcosa per cambiare questa situazione. Lavoreremo su noi stessi per trasformare i nostri atteggiamenti e comportamenti, e faremo attenzione in futuro per cercare di mettere in pratica ciò che ci stiamo addestrando a compiere.

Ora ovviamente ci sono molti livelli di motivazione per lavorare su noi stessi in questo modo. Quando analizziamo che cosa intendiamo per “motivazione”, ci rendiamo conto che stiamo parlando di quale sia il nostro obiettivo nel lavorare su noi stessi, e quale sia la forza emotiva che ci spinge verso di esso. Gli insegnamenti buddhisti delineano diversi livelli progressivi di motivazione, man mano che avanziamo sul sentiero. Possiamo lavorare semplicemente per cercare di migliorare la qualità della nostra vita, perché ora non è soddisfacente, e non solo vogliamo che smetta di continuare a essere insoddisfacente, ma sarebbe positivo se non peggiorasse. In effetti, se migliorasse sarebbe un’ottima cosa! Siamo davvero insoddisfatti e abbiamo raggiunto un punto in cui ci siamo stancati, e vogliamo fare qualcosa al riguardo.

Possiamo inoltre, a un livello più avanzato, pensare non soltanto a questa vita ma anche a quelle future. Non vogliamo che le cose peggiorino, neppure nelle esistenze future. Siamo guidati dalla stessa forza emotiva che abbiamo nel voler migliorare le cose in questa vita, stiamo semplicemente considerando un periodo di tempo più lungo. Possiamo anche avere un gradino intermedio tra questi due livelli, e qui il pensiero assume i termini di non volere che i nostri vari problemi, in famiglia o nel modo in cui abbiamo a che fare con le cose, continuino nelle generazioni successive.

Oltre a pensare alle vite future, potremmo essere motivati a voler uscire completamente dall’intero ciclo delle rinascite, che è insoddisfacente e frustrante. Oppure, mossi dalla compassione, il nostro pensiero potrebbe assumere la forma della volontà di aiutare tutti a superare ognuno di questi livelli di problemi. Se lo stiamo facendo, significa che ci stiamo adoperando per diventare un Buddha.

Per essere veramente una persona con questi livelli più avanzati di motivazione è richiesto un addestramento notevole. Tuttavia, a qualunque livello siamo, negli insegnamenti del Buddha troviamo molti metodi che possono esserci utili. Ad esempio, anche se stessimo pensando soltanto a questa vita, saremmo mossi non solo dai pensieri su noi stessi e dal superamento dei nostri problemi personali, ma anche dalla compassione, dal pensare agli altri. In altre parole, non aspiriamo a superare i nostri problemi semplicemente perché ci mettono in difficoltà e sono molto dolorosi per noi, ma anche perché ci impediscono di essere di aiuto agli altri nel miglior modo possibile. Questo significa lavorare su noi stessi nella modalità dell’addestramento mentale.

Ad esempio, supponiamo di essere alcolizzati. Da un certo punto di vista, potremmo essere motivati a cercare di superare la dipendenza dall’alcool perché è molto dannoso per noi, per la salute, e in generale per tutto ciò che ci riguarda. Avere una sbornia da smaltire, la mattina, ci fa stare male. Ma potremmo anche essere ancora più fortemente motivati se pensassimo alla nostra famiglia. Penseremmo allora a come il nostro bere ci impedisce di essere dei buoni genitori, per esempio; a come così spesso assumiamo comportamenti non assennati perché siamo ubriachi, e questo fa veramente del male alla nostra famiglia, ai nostri amici, ecc. Quando ci rendiamo conto che i nostri familiari hanno bisogno di noi, e che il problema dell’alcolismo ci sta davvero impedendo di soddisfare questa loro reale necessità, ciò ci dà più forza per cercare di superare tale dipendenza.

Quindi, anche se pratichiamo questi metodi buddhisti in un contesto in cui cerchiamo di migliorare la vita presente, la motivazione dell’amore e della compassione per gli altri è molto importante. È infatti messa in rilievo negli insegnamenti sull’addestramento mentale per prendersi cura degli altri: sebbene potremmo mettere in pratica molti di questi metodi solo per il nostro scopo personale, per sentirci meglio, è certamente molto più positivo applicarli in modo da poter aiutare gli altri al meglio.

Le otto cose transitorie della vita (le otto preoccupazioni mondane)

Nella nostra vita affrontiamo varie situazioni difficili. È possibile che siano tali in quanto dolorose, e non necessariamente in modo fisico: possono anche esserlo a livello mentale. Possiamo identificare queste situazioni difficili, per esempio, con il trovarci ad affrontare delle circostanze che fanno sorgere con forza le nostre emozioni disturbanti. Queste potrebbero essere la rabbia, da un lato, ma anche un forte attaccamento, dall’altro. Tutti sappiamo quanto ci sentiamo a disagio quando la nostra mente trabocca di ostilità o rabbia, o di grande attaccamento e desiderio bramoso.

Alcune situazioni sono particolarmente difficili e sono elencate nella lista buddhista delle otto cosiddette “cose transitorie della vita”. A volte sono tradotte come “le otto preoccupazioni mondane” o “gli otto dharma mondani”, ma si riferiscono a cose che accadono nella nostra vita e che sono transitorie; non sono stabili, passano. Si presentano in quattro coppie:

  • Ricevere lodi o critiche – se riceviamo lodi, ci entusiasmiamo e proviamo attaccamento per esse; quando siamo criticati, siamo molto irritati e ci arrabbiamo.
  • Ricevere buone notizie o cattive notizie – quando riceviamo buone notizie, siamo molto eccitati e, naturalmente, proviamo attaccamento per questo e vogliamo che duri, cosa che non accade mai. Quando ci giungono delle cattive notizie, siamo molto irritati, spesso depressi, e arrabbiati.
  • Fare esperienza di guadagni o perdite – quando otteniamo qualcosa, ad esempio nel caso in cui qualcuno ce la dia, siamo molto felici ed eccitati e pensiamo: “Oh, che meraviglia”. Poi, quando perdiamo delle cose, o perché qualcuno le porta via da noi o perché si rompono, ci arrabbiamo molto. Guadagni e perdite possono anche essere intesi nella forma delle persone che entrano nella nostra vita – instauriamo una nuova amicizia, o perdiamo una persona cara – oppure ovviamente possono anche essere di natura finanziaria.
  • Trovarsi in una situazione in cui le cose vanno bene o vanno male – siamo molto eccitati e proviamo attaccamento nel primo caso; ci deprimiamo e arrabbiamo nel secondo.

È a causa del nostro egocentrismo che siamo irritati da questi otto eventi transitori. Pensiamo soltanto a noi stessi e a ciò che ci succede, avendo in noi la sensazione: “Come sono meraviglioso”, o “Povero me”.

Mettere in pratica alcune forze opponenti provvisorie

Buddha ha insegnato molti diversi metodi per superare le emozioni disturbanti che di solito sorgono in risposta a queste otto cose transitorie della vita. Ognuno di questi implica che ci addestriamo a vedere ciò che stiamo vivendo attraverso il più benefico atteggiamento del prenderci cura degli altri. Un metodo consiste nel vedere una situazione attraverso la lente di una forza opponente provvisoria. Ciò non ci libererà per sempre dalle emozioni disturbanti, non penetra sufficientemente in profondità, ma è di grande aiuto.

L’amore come opponente della rabbia

Ipotizziamo, ad esempio, che le cose ci stiano andando male. Nella nostra vita abbiamo magari qualcuno che ci tratta in modo molto fastidioso, sgradevole, e ci arrabbiamo sempre con questa persona. Pensando solo a noi stessi, siamo ossessionati dalla considerazione: “A me non piace come questa persona mi tratta”. Quello che applicheremmo qui come opponente provvisorio della rabbia è l’amore. Ora, non stiamo soltanto dicendo, in un modo molto semplicistico: “Bene, non essere arrabbiato con questa persona: amala!”. Ovviamente per la maggior parte di noi non è possibile cambiare così, semplicemente; tuttavia questo è un buon esempio di come usare la comprensione per poter trasformare il nostro stato emotivo e il nostro atteggiamento, basandoli sul prenderci cura dell’altro.

Questa persona agisce in modo orribile nei nostri confronti, e perché si comporta così? Qualcosa la infastidisce. Sono certo che nella vita di ciascuno di noi ci sono persone così, che ad esempio si lamentano sempre. Ogni volta che sono in nostra presenza, i loro discorsi sono un continuo lamentarsi di questo e di quello. Parlano sempre e solo di sé stesse, e stare con loro è un’esperienza del tutto “deprimente”. Se la analizziamo, capiamo che ovviamente la persona si comporta in questo modo perché è estremamente infelice. Un modo produttivo di cambiare il nostro atteggiamento consisterebbe nel pensare: “Se soltanto questa persona potesse essere felice, smetterebbe di lamentarsi tutto il tempo e di mettermi in difficoltà”. Nel Buddhismo la definizione di “amore” è: il desiderio che l’altro sia felice e possieda le cause della felicità. Se quindi, invece di desiderare che questa persona se ne vada e non ci disturbi, nutriamo in noi il desiderio che possa essere felice, e che qualunque cosa la infastidisca sparisca, saremo meno turbati. Fare pratica in meditazione per mettere in atto un tale cambiamento di atteggiamento è “addestramento mentale”.

Ridurre l’attrazione sessuale ossessiva

Allo stesso modo, se siamo molto attratti da qualcuno, applichiamo gli opponenti provvisori che fanno uso della nostra immaginazione. Invece di essere egocentrici e di pensare a quella persona soltanto in relazione al suo aspetto esteriore, come se fosse un mero oggetto di consumo per noi, per il nostro piacere, possiamo immaginare come appaiono le loro viscere – lo stomaco, l’intestino, il cervello, e cose simili. Particolarmente utile è, quando guardiamo il suo viso, immaginare la struttura dello scheletro del suo cranio. E naturalmente ciò che stiamo immaginando è reale: è proprio questo ciò che si trova sotto la pelle di quella persona.

Un altro metodo efficace consiste nell’immaginarla come bambina e poi come molto anziana. In questo modo possiamo smorzare il nostro attaccamento, specialmente se si tratta di attrazione sessuale, realizzando che ciò che vediamo è solo un aspetto superficiale, e non è sicuramente destinato a durare. Oppure: se avesse qualche orribile malattia della pelle, o un’acne molto pesante, continueremmo a trovarla così attraente? Più capiamo che, in effetti, all’interno di questa persona ci sono delle interiora e uno scheletro, più il nostro atteggiamento cambia e il nostro turbamento emotivo si calma. Diventiamo più stabili.

Possiamo quindi applicare dei metodi per sviluppare un atteggiamento premuroso nei suoi confronti. Riguardo alla persona per la quale sentiamo un’attrazione sessuale molto intensa, potremmo vedere che, quando proviamo un attaccamento e un’attrazione così forti per una persona, di solito si focalizzano solo sul suo corpo. Perdiamo di vista il fatto che è un essere umano che vuole essere felice, non vuole essere infelice, e non vuole essere trattato come un mero oggetto sessuale. Questa persona ha le proprie insicurezze, i suoi problemi emotivi e familiari. Così questi modi di considerarla sono degli opponenti del vederla semplicemente come un oggetto sessuale. La consideriamo a tutti gli effetti come un essere umano vero e proprio, e iniziamo a sviluppare un sincero interesse per la sua felicità e il suo benessere.

Evitare la repulsione o l’indifferenza verso mendicanti o portatori di handicap

Applicare un opponente provvisorio è estremamente efficace anche quando vediamo qualcuno che troviamo piuttosto brutto o ripugnante. È particolarmente utile quando incontriamo mendicanti e persone in condizioni di estrema indigenza, e di status sociale molto basso, in paesi come questo – il Messico – o in India, dove si incontrano persone del genere più frequentemente che altrove. Possiamo anche usarlo per portatori di handicap, ciechi, sordi o paralizzati, con i quali ci sentiamo spesso molto imbarazzati e a disagio.

Ricordo che una volta a Berlino si è tenuta una mostra sui portatori di handicap. Una sezione raccoglieva una serie di videointerviste a persone affette da paralisi. Le loro membra si contraevano in modo incontrollabile, la loro bocca era tutta spostata di lato e il loro linguaggio confuso. Queste persone parlavano della loro vita sessuale, e raccontavano di avere in realtà esattamente gli stessi tipi di emozioni di tutti gli altri, gli stessi tipi di bisogni sessuali, e lo stesso desiderio di avere relazioni. Descrivevano poi i tipi di relazione amorosa che avevano. A tutti i bambini delle scuole della città era richiesto di visitare la mostra, che io ho trovato meravigliosa, e ciò aveva lo scopo di mostrare loro che queste persone sono persone vere e proprie, esattamente come tutte le altre. Questo è un modo molto utile per superare l’egocentrica repulsione, l’indifferenza, o anche semplicemente il disagio che proviamo in presenza di tali persone.

Un altro metodo consiste nell’immaginare – quando vediamo una persona anziana che chiede l’elemosina per strada – “mia madre” proprio lì, come senzatetto e mendicante, o “mio padre”. Oppure se vediamo un giovane scappato di casa che fa il mendicante per strada, possiamo pensare a “mio figlio” o “mia figlia” in quella situazione. Questo cambiamento di atteggiamento, del modo in cui consideriamo quella persona, altera completamente la nostra risposta emotiva.

Devo ammettere che io non l’ho mai fatto, ma so che un insegnante Zen occidentale, a New York, chiede ai suoi studenti, se lo desiderano, di uscire per strada senza avere con sé soldi, carte di credito o di debito, o qualcosa di simile, e di essere senzatetto e fare i mendicanti per una settimana, soltanto per provare l’esperienza.

Queste sono “medicine” molto potenti per superare la nostra indifferenza verso gli altri in situazioni difficili. Sto pensando anche soltanto a quanto spesso, quando incontriamo persone così, non vogliamo nemmeno guardarle. Ci fa sentire a disagio. Immaginiamoci di essere dall’altra parte, nei loro panni. Eccoci lì, fatichiamo e nessuno vuole nemmeno guardarci o riconoscere la nostra esistenza, o siamo cacciati via come se fossimo zanzare. A ogni modo, questo è un metodo per applicare le forze opponenti; queste però sono provvisorie, non affrontano la radice del problema.

Applicare l’opponente che agisce in profondità

Un secondo metodo di addestramento mentale consiste nell’applicare un opponente che non è solo un rimedio provvisorio, ma che va effettivamente alla radice del problema e la rimuove. Questo implica l’applicazione di uno stato mentale che è l’esatto opposto di uno confuso e sbagliato: lo stato mutualmente esclusivo, cioè, rispetto a esso. Ciò si riferisce alla comprensione della vacuità; in altri termini, si tratta di capire che la nostra modalità sbagliata di considerare il modo di esistere di una persona o una situazione non corrisponde affatto alla realtà. In altre parole, alla base del nostro attaccamento o della rabbia c’è fondamentalmente la nostra confusione sul modo in cui le cose esistono.

Questo non è il contesto adeguato a una discussione approfondita sulla vacuità, quindi manteniamo le cose a un livello molto semplice. Supponiamo, per esempio, di andare a visitare un nonno malato o un genitore ormai vecchio in una casa di cura per anziani. Mentre percorriamo il corridoio verso la sua stanza, passiamo vicino a un’anziana signora raggrinzita, accasciata su una sedia a rotelle, che borbotta tra sé e sé, sbavando su un asciugamano in grembo e mangiucchiandolo. Vediamo quella persona in tali condizioni e ci sentiamo molto a disagio. Tendiamo a pensare che sia sempre stata così. E se, mentre passiamo, lei tende la mano e cerca di afferrare la nostra o, semplicemente, di toccarci, ci agitiamo molto. Stiamo pensando soltanto a noi stessi.

Potremmo applicare qui, naturalmente, la forza opponente provvisoria del ricordarci che si tratta di un essere umano. Ha avuto una vita, una famiglia, una professione, e una volta era giovane; non ha sempre avuto questo aspetto. Sta solo cercando di afferrarci perché desidera il contatto umano. Tutto ciò sarebbe efficace, ma possiamo usare un metodo più profondo. Questo consiste nel riconoscere che il modo in cui immagino che lei esista – proprio così come appare, vecchia e decrepita, senza mai essere stata nient’altro – è impossibile. Nessuno può esistere in quel modo, come in una fotografia, congelato nel tempo. Ci concentreremmo quindi sul pensiero: “Non esiste una cosa del genere; è impossibile”. Questo è un modo molto più efficace per far cessare il nostro fraintendimento, in modo da poter avere un atteggiamento più realistico e compassionevole nei confronti di quella signora.

Rilassare le emozioni disturbanti per rivelare la profonda consapevolezza sottostante

Un altro metodo è quello utilizzato in un tipo avanzato di meditazione chiamato “mahamudra”, ossia “vedere la profonda consapevolezza sottostante, in cui l’emozione disturbante automaticamente si libera da sé”. Questo metodo usa i meccanismi di base con cui la nostra mente percepisce la realtà – “il modo in cui la nostra mente funziona”, per usare un linguaggio semplice.

Prendiamo in considerazione un esempio. Supponiamo di avere una forte attrazione e un desiderio bramoso nei confronti di qualcuno. Se riusciamo a rilassare la tensione in quello stato emotivo, ciò che troviamo sotto di esso è quella che è chiamata “la consapevolezza profonda individualizzante”. In altre parole, tutto ciò che sta veramente accadendo, circa il nostro modo di essere consapevoli di questa persona, è che la stiamo specificando come un’individualità, invece di chiunque altro. Questo è tutto ciò che sta avendo luogo, in realtà, in termini di struttura di base della mente. Quindi vi proiettiamo sopra il pensiero: “Questa persona è davvero speciale”. Esageriamo alcune qualità, e poi proviamo attrazione e desiderio bramoso, o attaccamento.

Abbiamo desiderio bramoso quando non possediamo l’oggetto e vogliamo averlo; abbiamo attaccamento quando lo possediamo e non vogliamo lasciarlo andare. Entrambi sono ovviamente del tutto egocentrici. Se rilassiamo l’energia tesa dell’esagerazione e dell’aggrapparci in questo stato mentale, tutto ciò che rimane è la struttura di base di ciò che la mente sta compiendo nei confronti dell’oggetto: lo sta semplicemente specificando. Questo è tutto.

È un metodo piuttosto avanzato ma molto efficace, se siamo veramente in grado di usarlo; richiede però un po’ di maturità per non lasciarsi trasportare dalle emozioni. Dobbiamo essere in grado di vedere che cosa succede al di sotto del nostro modo emotivo di affrontare qualcosa, e poi calmarci. L’emozione si libera da sé, automaticamente, man mano che ne vediamo la sottostante struttura cognitiva di base.

Trasformare le circostanze negative in positive: come consideriamo gli altri

Il metodo seguente, “trasformare le situazioni che riteniamo non favorevoli alla nostra pratica in circostanze favorevoli”, è quello che viene insegnato come principale nei testi tradizionali di addestramento mentale, in particolare ne Gli otto versi di addestramento mentale di Langri Tangpa. Un verso del grande maestro indiano Shantideva, in Impegnarsi nella condotta del bodhisattva, indica questo tipo di approccio. Shantideva scrive:

(VI.10) Se c’è un possibile rimedio, che senso ha nutrire un pessimo stato d’animo per qualcosa? E, se non c’è alcun rimedio, come potrà mai aiutarci essere di cattivo umore?

Se possiamo fare qualcosa per cambiare la situazione, perché arrabbiarci per questo? Trasformiamola! E, se non possiamo farci niente, perché arrabbiarci? Non ci sarà di aiuto. Quindi se siamo in una circostanza che ci sembra molto dannosa, molto difficile – quando, per esempio, riceviamo una critica, o le cose ci vanno male – ed effettivamente non possiamo cambiare la situazione, perché preoccuparci per questo? Cambiamo il nostro atteggiamento nei suoi confronti!

Ci sono molti metodi diversi per trasformare una situazione avversa in una positiva. Alcuni modi per cambiare il nostro atteggiamento hanno a che fare con la modalità con cui consideriamo gli altri quando ci mettono in difficoltà, e altri modi hanno a che fare con la modalità con cui consideriamo noi stessi nelle situazioni difficili. Esaminiamo innanzitutto quelli che riguardano i nostri atteggiamenti nei confronti degli altri.

Considerare le persone problematiche come gioielli che esaudiscono i desideri

Un modo per cambiare il nostro atteggiamento nei confronti delle persone problematiche è considerarle “come gioielli che esaudiscono i desideri”. Per esempio, possiamo pensare: “Ecco qualcuno che mi sta offrendo una sfida; mi sta dando un’opportunità per crescere, per testare il grado di sviluppo che ho raggiunto. È meraviglioso”. Oppure: “Ecco la persona che mi ha invitato a pranzo; si lamenta sempre, è del tutto deprimente stare con lei, e questo è meraviglioso! È bello che questa persona mi abbia invitato, perché ora ho la possibilità di praticare veramente la pazienza e la comprensione”. Quindi, tali persone sono come gioielli che esaudiscono i desideri. “Che meraviglia, il mio vicino di casa mi ha chiesto di fare da baby-sitter al bambino, e so che lui piangerà e urlerà tutta la sera. È grandioso”.

Shantideva chiarì molto bene questo punto:

(VI.107) Perciò mi rallegrerò per un nemico che è comparso come un tesoro nella mia casa, senza che me lo sia dovuto procurare con fatica, dal momento che diventa il mio aiutante per la condotta del bodhisattva.

Ciò che dà più gioia ai bodhisattva – coloro che sono dediti a raggiungere l’illuminazione per il beneficio di tutti gli altri – è la situazione in cui viene chiesto loro di fare qualcosa per qualcuno. Se nessuno domanda loro di fare alcunché, si sentono molto tristi, inutili. Io ho un sito internet e ricevo molte e-mail in cui mi rivolgono delle domande o mi chiedono di fare qualcosa, ed è molto facile che io mi senta piuttosto infastidito dalla quantità di messaggi in arrivo. Se potessi davvero praticare in questo modo, però, sarei proprio contentissimo. Più messaggi arrivano, maggiore è la mia opportunità di aiutare le persone. Se preghiamo in modo buddhista: “Possa io essere di beneficio per tutti gli esseri”, e poi sempre più esseri si rivolgono effettivamente a noi per chiederci aiuto, non si sono forse avverate le nostre stesse preghiere?

Come scrisse Shantideva:

(VII.64) Sebbene le persone agiscano per essere felici, non è chiaro se diventeranno felici o no; ma per (un bodhisattva) le cui azioni creano effettivamente felicità, come può lui o lei essere felice senza compiere quelle azioni?

Considerare le persone problematiche come il nostro figlio malato

Un altro cambiamento di atteggiamento consiste nel considerare una persona che ci crea molti problemi, e con cui è molto spiacevole stare, come il nostro figlio malato. Quando nostro figlio sta male, ed è irritabile e piange, potrebbe metterci davvero in difficoltà. Ma fondamentalmente continuiamo ad avere molto amore per lui, perché capiamo che sta male. Forse ha bisogno di essere messo a letto, o di qualsiasi altra cosa. E se nostro figlio, stanco, dice: “Ti odio e non voglio andare a letto”, non lo prendiamo sul serio, perché è malato. Quindi, in questo modo, si tratta soltanto di cambiare il nostro atteggiamento nei confronti della persona con cui è spiacevole stare, considerandola come un figlio malato, anziché fastidiosa come una peste. Così abbiamo premura soltanto per lei, e non per noi stessi.

Considerare le persone problematiche come nostri maestri

Un terzo modo consiste nel considerare le persone problematiche come dei maestri. Una storia ben nota narra che, quando Atisha andò in Tibet, portò con sé un cuoco indiano. Questo cuoco non seguiva mai le indicazioni e litigava sempre. I tibetani dissero ad Atisha: “Perché non lo rimandi in India? Possiamo cucinare noi per te” e Atisha disse: “No, no! Lui non è soltanto il mio cuoco: è il mio maestro di pazienza”. Quindi se nella nostra vita abbiamo un familiare fastidioso, per esempio, con cui in ogni caso dobbiamo avere a che fare, è di grande aiuto considerare questa persona come il nostro maestro di pazienza.

In effetti le persone possono insegnarci molte, molte cose. Comportandosi male, possono insegnarci a non agire in quel modo, per esempio. Anche il nostro cane può essere il nostro maestro. Avete mai notato che, se durante la giornata portate con voi il vostro cane, è in grado di sdraiarsi per terra ovunque, e rilassarsi, e persino andare a dormire, quando invece noi abbiamo bisogni vari – “oh, deve essere un letto speciale”, “devono essere lenzuola speciali”, e “deve essere morbido” o “deve essere duro”, o questo, o quello? Il cane non si lamenta. Può semplicemente sdraiarsi ovunque. Ed è un grande insegnamento. Questi sono metodi per considerare gli altri, quando ci creano problemi, in modo diverso: vederli come gioielli che esaudiscono i desideri, o come i nostri figli malati, o come dei maestri.

Trasformare le circostanze negative in positive: come consideriamo noi stessi

Offrire agli altri la vittoria

Ci sono anche dei metodi per poter considerare noi stessi in modo diverso e cambiare l’atteggiamento che abbiamo nei nostri confronti in queste situazioni. Il primo consiste nell’ “offrire agli altri la vittoria e prendere su di noi la sconfitta”. In altre parole, con un atteggiamento egoistico tendiamo a pensare sempre a noi stessi in questo modo: “Devo vincere; devo averla vinta, e l’altra persona deve cedere”; mentre, se accettiamo la sconfitta su di noi, la disputa finisce lì. Ad esempio (solo un semplice esempio): siamo con un nostro amico o con il nostro partner, e dobbiamo decidere in quale ristorante andare. Se l’amico vuole un posto in particolare e noi insistiamo per andare in un altro, iniziamo a discutere con un continuo botta e risposta. Ma, alla fin fine, che differenza fa? Se semplicemente accettiamo e diciamo: “Va bene. Andiamo al tuo ristorante”, la discussione è finita. In altre parole, la disputa si chiude se ci prendiamo cura dell’altra persona più di noi stessi e le offriamo la vittoria.

Ora, non stiamo parlando di situazioni veramente estreme, in cui l’altro sta suggerendo qualcosa di molto negativo e distruttivo; quando in effetti non crea alcuna differenza rilevante, offriamo la vittoria agli altri. Ovviamente ci possono essere delle obiezioni a questa tattica, relative alla situazione in cui cediamo sempre e l’altra persona se ne approfitta, quindi è chiaro che dobbiamo avere la sensibilità per capire in quali contesti usare questo metodo. Ci sono però molte situazioni in cui questo è il modo migliore di affrontare il problema.

Vi farò ora un esempio dalla mia esperienza. Vivo in uno dei principali quartieri di ristoranti di Berlino, in un angolo piuttosto affollato. Abito in un condominio, e al pianterreno c’era una taverna molto tranquilla, ma poi hanno aperto un nuovo ristorante, spagnolo, molto frequentato. È aperto dalle sette del mattino fino alle tre del mattino, sette giorni su sette. Quando fa caldo, dispone dei tavoli all’esterno su entrambi i lati del mio condominio. La gente si siede fuori e beve birra o vino, parla a voce alta e ride fino alle tre del mattino. Quando hanno aperto il ristorante, con i tavoli all’aperto proprio sotto la finestra della mia camera da letto, ero solito restare steso, di notte, incapace di addormentarmi a causa del rumore. Frustrato, infastidito, e pensando solo a me stesso e non al fatto che la gente si divertiva, avevo ogni sorta di fantasie. Immaginavo di essere in un castello medievale e di avere una grande vasca di catrame bollente e di versarla sulla gente. Ma non potevo essere il vecchio brontolone che chiama sempre e ripete: “Dite alla gente di fare silenzio, o chiamo la polizia!” Non avrebbe funzionato.

Così ho deciso che l’unico modo per affrontare questo problema era offrire agli altri la vittoria e prendere su di me la sconfitta. Il fatto che si godessero la serata estiva era più importante della mia capacità di dormire in camera mia. L’unica stanza che nella mia casa non si affaccia sulla strada è la cucina. Ho una cucina molto grande, con una piattaforma rialzata per l’area della colazione. C’è molto spazio vuoto. Così è lì che dormo nei mesi caldi. Lascio il materasso contro il muro durante il giorno, e di notte lo appoggio sul pavimento, e dormo lì in cucina. C’è un silenzio perfetto, e peraltro è anche la stanza più fresca della casa.

Sono molto felice di dormire in cucina. Ho offerto loro la vittoria, e non mi interessa quanto siano rumorosi, perché non li sento. Questo è anche molto utile nei giorni che precedono il nuovo anno, perché ai tedeschi piacciono molto i petardi. C’è molto, molto rumore che proviene dalla strada, ma ancora una volta: se cambio il mio atteggiamento in merito, e offro loro la vittoria dormendo in cucina, non c’è nessun problema.

Le cose negative che mi accadono bruciano il mio karma negativo

Un secondo metodo consiste nel considerare le cose negative che ci stanno accadendo come “in grado di bruciare il nostro karma negativo”. Questo non significa che le accettiamo come una punizione; al contrario pensiamo che una cosa difficile che accade stia bruciando del karma negativo in una forma più piccola e, così facendo, impedisca che maturi in qualcosa di molto più terribile in futuro. Un semplice esempio: siamo intrappolati nel traffico e per molto tempo non possiamo muoverci. Quindi pensiamo: “Bene! Questo sta bruciando il karma di rimanere paralizzato, una condizione in cui veramente non posso muovermi – ad esempio nel caso in cui più avanti, nella vita, io abbia un infarto”. In questo modo gioiamo davvero del fatto che queste cose negative stiano accadendo, perché ciò spiana la strada affinché le cose vadano molto meglio in futuro.

Coloro che aderiscono in modo tradizionale al Buddhismo credono negli spiriti nocivi. Se accettiamo anche la loro esistenza, possiamo far fare a questo cambiamento di atteggiamento anche un ulteriore passo avanti, e chiedere agli spiriti nocivi: “Causatemi più danno. Agite di più”. Di recente ho avuto una bella esperienza rispetto a questo. A partire da metà luglio, per circa due mesi tutto è andato storto. Si rompeva tutto. Ho avuto un’infezione a una strana escrescenza formatasi sulla schiena, e non sono potuto andare al fitness club per circa due mesi, perché alla fine, quando l’infezione è guarita, hanno dovuto recidere l’escrescenza. Poi un terribile virus è entrato nel mio computer. Ha persino distrutto un disco rigido, dunque sono rimasto un mese senza il mio solito computer. Poi la stampante si è rotta; avevo due lettori video, ed entrambi si sono rotti. Sono un grande fan dell’astrologia, e per qualche inspiegabile ragione è scomparso il database dove avevo raccolto tutti gli oroscopi di varie persone. Non ho alcuna possibilità di riottenere quelle informazioni. Poi ho rotto la mia tazza preferita, quella da cui bevo sempre, e per di più – nel bel mezzo di tutto ciò – sono andato in Francia per gli insegnamenti di Sua Santità il Dalai Lama e la compagnia aerea ha smarrito il mio bagaglio.

Questa è stata l’ultima cosa che è accaduta. Quando il mio bagaglio si è smarrito, non ho fatto altro che ridere; era così ridicolo! Poi ho iniziato a pensare: “Prendetevi di più, spiriti nocivi! Che cos’altro farete andare male?”. Questo mi ha fatto sentire molto meglio. Piuttosto che erigere muri emotivi per scongiurare le interferenze, le ho accettate apertamente e ho persino dato il benvenuto anche ad altre.

Alcuni anni fa ho avuto un’infezione alla mascella, sotto un dente in cui avevo precedentemente fatto una cura canalare, e ho dovuto sottopormi a un intervento di chirurgia dentale per tagliare un pezzo di osso della mascella. Poco dopo quel viaggio in Francia sono andato dal dentista, e mi ha dato la bella notizia che l’infezione era riapparsa nel tessuto cicatriziale; così mi sono dovuto sottoporre a un secondo intervento di chirurgia dentale per asportarla meglio dall’osso. Sono stato in grado di trasformare questa notizia in qualcosa di positivo con l’atteggiamento: “Bene! Questo sta bruciando gli ostacoli all’inserimento delle prossime sezioni di lingua nel mio sito internet”.

Secondo gli insegnamenti buddhisti, più la cosa che cerchiamo di realizzare è positiva, più ostacoli ci saranno a cercare di impedire che ciò accada. Così ho considerato tutti questi eventi come una situazione meravigliosa che stava bruciando gli ostacoli, e ho chiesto agli spiriti nocivi: “Portatemi più ostacoli; gettateli contro di me!”. In tal modo, non ero affatto infelice durante il periodo in cui tutto si rompeva e andava male. Quindi, se possiamo effettivamente applicare questo metodo di addestramento mentale, funziona davvero. Invece di considerare una situazione come molto difficile, orribile e deprimente, cambiamo il nostro atteggiamento e guardiamo a essa come a qualcosa di meraviglioso.

Dare felicità agli altri e prendere su di noi le loro sofferenze (Tonglen)

L’ultimo metodo che volevo menzionare è, fra tutti, probabilmente il più avanzato e il più difficile. È la pratica del tonglen, “dare e prendere”. Quando viviamo una situazione difficile, come ad esempio un mal di denti, il metodo consiste nel pensare: “Possa il mal di denti di tutti sparire, e maturare su di me. Mediante il mio prendere il mal di denti di tutti su di me, possa il mal di denti non essere provato mai più da nessuno”. Aprendo la nostra mente e il nostro cuore a tutti e accettando volontariamente la sofferenza, superiamo la tensione, la paura e l’infelicità del pensare soltanto: “Povero me”. Con il tonglen, andiamo ancora oltre e pensiamo: “Dissolverò tutto il loro dolore e la loro sofferenza, e poi, attingendo alla felicità di base della mia mente, la dirigerò verso tutti loro”.

Ora dobbiamo stare molto attenti qui a non adottare la posa del martire: “Io soffrirò per voi” – la quale, in un certo senso, è un’esaltazione dell’ego. Devo confessare che non sono molto bravo in questo metodo. Praticarlo in modo sincero richiede un’enorme quantità di coraggio, ma devo dire che di recente ho provato a farlo.

Ho detto prima che ho dovuto sottopormi al secondo intervento chirurgico alla mascella; ebbene, durante l’intera operazione si resta svegli. È piacevole! Con un taglio aprono l’intera gengiva su un lato della bocca, la spellano e poi prendono qualcosa come una sega elettrica, vi entrano, e asportano un pezzo di osso della mascella e una piccola punta della radice del dente, con un po’ di carne attorno. Il modo in cui lo fanno è veramente quasi medievale. La prima volta che l’ho fatto, ho davvero trovato quello che facevano molto, molto interessante. In realtà non era così doloroso, perché l’anestesia era abbastanza efficace, anche se nella fase centrale dell’intervento ho avuto bisogno di averne di più. La seconda volta che l’ho fatto, invece, l’infezione era molto più grande, e quando si ha un’infezione la Novocaina non funziona in quella zona, quindi è stato estremamente doloroso.

Ho provato il metodo che è utilizzato anche nella mahamudra – è solo una sensazione, non è un grosso problema. Ci solletichiamo la mano, o la pizzichiamo, o la grattiamo, o la tagliamo, è comunque solo una sensazione fisica, niente di più, quindi non facciamone una tragedia! E questo ha funzionato, in una certa misura, ma poi mi sono ricordato del tonglen. Era il periodo in cui era in corso un gran numero di persecuzioni e torture in Tibet. Ho iniziato a pensare al dolore incredibile che le persone laggiù stavano vivendo e, rispetto a quello, ciò che stavo provando io non era nulla – era di poco conto. Sarebbe durato per due minuti e poi sarebbe finito.

Quindi, piuttosto che pensare: “Povero me, sto soffrendo”, ho ampliato il mio atteggiamento fino a pensare a tutte quelle persone in Tibet, e mi sono detto: “La quantità di sofferenza che hanno è di gran lunga maggiore di questa piccola sofferenza che ho io”, e questo ha posto il mio dolore in una prospettiva completamente diversa. Quindi ho pensato: “Possano tutta la loro sofferenza e il loro dolore essere assorbiti in questo mio dolore alla mascella, e, mediante il mio restare calmo e felice in questa circostanza, possa io essere in grado di dare loro questa pace mentale”.

Anche se di certo non l’ho fatto al 100% in modo corretto, mi è stato di grande, grande aiuto per affrontare la situazione. Se lo si applica correttamente, si vuole veramente sentire il dolore degli altri e far sì che esso acuisca il proprio. Onestamente parlando, farlo in modo sincero è davvero qualcosa di molto avanzato. Possiamo esprimerlo a parole, ma non significa nulla. Volere davvero che ciò accada è un’altra cosa. Però perlomeno avere la sensazione di assorbire in noi la loro sofferenza, e far sì che in tal modo questa sofferenza sia sufficiente per la sofferenza che hanno, è possibile farlo perlomeno a questo livello.

Non dovremmo confondere questo, però, con la cosa vera e propria, che è molto più radicale, perché lo stato mentale che stiamo sviluppando qui, che stiamo usando qui, è uno in cui, invece di combattere il dolore, lo accettiamo volontariamente, avendo in noi stessi la sicurezza di poterlo affrontare. Se lo facciamo su vasta scala, con la sofferenza di tutti, allora ovviamente abbiamo in noi stessi la sicurezza di accettare e affrontare il nostro dolore, senza combatterlo, e senza lasciare che ci agiti troppo. Quindi non è un metodo magico; se si analizza che cosa accade in esso, si capisce che racchiude un significato immenso.

In sintesi

Questi, quindi, sono alcuni dei metodi utilizzati nell’addestramento mentale, lojong, per superare l’egoismo e far sì che il nostro interesse si rivolga principalmente agli altri. Indipendentemente dal nostro livello di motivazione, un tale cambiamento di atteggiamento è molto utile. La trasformazione di noi stessi che ne deriva è l’abilità di pensare e sentire in modo sincero: “Qualsiasi situazione avversa e difficile possa emergere, in ogni caso io non penserò ‘povero me’ e non lascerò che mi faccia del male. Non lascerò che mi deprima”. E anzi, al contrario, sviluppiamo nella nostra vita un atteggiamento generale tale per cui pensiamo: “Qualsiasi cosa accada, in ogni caso io posso trasformarla. Posso usarla per sviluppare più interesse per gli altri. Non mi sarà di ostacolo”. Avere un tale atteggiamento ci dà, nella vita, grandissimo coraggio.

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