Dalla rinuncia alla compassione

La rinuncia e la compassione indicano uno stesso atteggiamento: la determinazione a essere liberi dalla sofferenza e dalle sue cause; soltanto, tale atteggiamento è rivolto a noi stessi nel primo caso, e agli altri nel secondo. Quando avremo capito, fin nei dettagli, ciò di cui abbiamo bisogno per generare in noi la rinuncia – le sue cause, i fattori mentali che la accompagnano, le varie comprensioni, e così via – saremo in grado di sviluppare appieno la compassione.

La rinuncia e la compassione sono due stati mentali importanti che dobbiamo coltivare come parte integrante della nostra motivazione mentre procediamo sul sentiero spirituale buddhista. Nello specifico, vorrei esplorare alcune questioni che riguardano questi due stati mentali, soprattutto alla luce della stretta relazione che li lega. Essi indicano anzi, in realtà, lo stesso stato mentale: l’unica cosa che li distingue è ciò cui sono diretti.

Tutti gli insegnamenti buddhisti sono finalizzati ad aiutarci a liberarci dalla sofferenza e dai problemi. Il metodo utilizzato a questo scopo consiste nello scoprire in noi le loro vere cause, e nel liberarcene, così che non producano più alcuna sofferenza. Questo metodo si basa sulla convinzione che sia possibile rimuovere tali cause in modo che non possano più ripresentarsi. Per riuscirci, dobbiamo sviluppare un sentiero della mente: un modo di comprendere che contrasti completamente, ed elimini, la causa radice dei nostri problemi – ovvero, in poche parole, la nostra mancanza di comprensione, la nostra inconsapevolezza.

E questo è in linea con la struttura delle Quattro nobili verità, il primo e più fondamentale insegnamento dato dal Buddha. Quando esaminiamo la rinuncia e la compassione, comprendiamo che entrambe guardano alla sofferenza con il desiderio che possa cessare. La differenza principale tra le due consiste nel fatto che con la rinuncia la mente è concentrata sulla nostra stessa sofferenza, mentre con la compassione è concentrata sulla sofferenza altrui. Lo stato mentale è dunque molto simile, no? A questo punto però sorgono alcune domande: si tratta veramente della stessa emozione? E come possiamo passare dall’una all’altra?

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