La Conversione Religiosa a Shambhala

Sia il buddismo che le religioni bibliche sono state tolleranti nei confronti delle altre fedi. Entrambe hanno anche promosso campagne di conversione forzate e sottili, sebbene ciascuna abbia utilizzato metodi diversi. Le religioni bibliche hanno lanciato guerre sante, mentre il Primo Kalki, re di Shambhala, ha riunito i non buddisti nel mandala di Kalachakra attraverso una dimostrazione di poteri psichici. Le religioni bibliche hanno usato incentivi economici come mezzo sottile di conversione, mentre il buddismo ha usato dibattiti di logica. L’accettazione del buddismo, tuttavia, differisce in modo significativo dalla conversione a una fede biblica. Non comporta la completa rinuncia alla propria fede precedente, ma lascia spazio a molte delle sue affermazioni come passaggi validi lungo il cammino spirituale. Sua Santità il XIV Dalai Lama, tuttavia, non incoraggia la conversione al buddismo. Sebbene i seguaci di altre religioni, così come le persone non religiose, possano apprendere metodi utili dal buddismo, abbandonare il proprio sistema di credenze può portare problemi imprevisti. Ad eccezione di una piccola minoranza, la maggior parte delle persone trae maggior beneficio dall’approfondimento della propria tradizione di nascita.

Nell’Islam, nel Cristianesimo e nell’Ebraismo, convertirsi significa abbandonare la propria religione precedente e adottare una nuova fede. L’incentivo è la convinzione che la nuova religione sia più vera della precedente. Sebbene ai convertiti sia spesso consentito di integrare elementi non dottrinali della loro cultura d’origine, essi devono, in effetti, riconoscere la nuova religione come l’unica vera. Ciò deriva dalla convinzione nel principio di “Una Sola Verità, Un Solo Dio”, di queste religioni bibliche. In modo ottimale, si ottiene questa convinzione studiando le dottrine o grazie a un’epifania. Alcune persone, tuttavia, cambiano religione per ragioni meno profonde, come il guadagno economico o sociale, o per sposare qualcuno di un’altra fede.

A volte, i fanatici hanno convertito altri con la forza alla loro religione- un’azione estrema ufficialmente consentita solo in alcuni casi. La conversione forzata dei nemici, ad esempio, è un mezzo per neutralizzare e porre fine alla loro distruzione. È inoltre presumibilmente  un metodo per salvare “i peccatori” dalla caduta all’inferno e per condurli in paradiso. I programmi di riabilitazione per i prigionieri, che diventino membri produttivi delle società occidentali o quadri negli stati comunisti, hanno lo stesso obiettivo. Si potrebbero anche descrivere le azioni di alcuni governi per diffondere il comunismo, il capitalismo o persino la democrazia, come esempi di conversione forzata per fermare lo sfruttamento.

Molte persone, soprattutto i neofiti idealisti del buddismo, vorrebbero credere che il buddismo sia stato immune dal fenomeno della conversione, soprattutto di quella forzata. Dividendo il mondo in bene contro il male, e con immagini di inquisizione, di missionari malvagi e di  conversioni a colpi di spada, queste persone vedono la conversione forzata come perpretata unicamente dai malvagi. Prima di condannare, in modo moralistico, altre religioni o governi per questo fenomeno durante i capitoli bui della loro storia, tuttavia, è necessario esaminare obiettivamente se anche il buddismo sia caduto preda della pratica della conversione forzata. Altrimenti, il disperato desiderio di una religione senza difetti e la proiezione romantica di un paradiso Shangrila sul Tibet, per esempio, potrebbero trasformarsi in delusione disperata e sgomenta, come quando si viene a sapere delle malefatte di un maestro che si pensava fosse un Buddha.

Prove dalla Storia Tibetana 

È vero che, in linea di principio, il buddismo non è una religione di proselitismo. È anche vero che né la storia tibetana né quella mongola hanno visto conversioni forzate di massa delle popolazioni conquistate al buddismo o a una delle sue scuole. Anche quando i governanti di queste terre hanno dichiarato il buddismo come religione di Stato, possono aver imposto tasse al loro popolo per sostenere i monasteri, come nel caso del re tibetano Ralpachen [Ral-pa-can] all’inizio del IX secolo d.C. Eppure, né i sovrani né i loro consigli religiosi forzarono la popolazione ad accettare e praticare il credo buddista. Il buddismo si diffuse tra la gente comune in modo lento e organico.

Tuttavia, esistono numerosi esempi di conversione forzata di monasteri tibetani da una scuola buddista a un’altra, o di riconoscimento di un tulku [maestro spirituale reincarnato] come appartenente a una scuola diversa da quella del suo predecessore. Il motivo non dichiarato è stato di solito quello di neutralizzare l’opposizione politica o militare, come è avvenuto senza dubbio nel XVII secolo d.C., con il riconoscimento di un principe mongolo come reincarnazione Gelugpa del maestro della tradizione Jonangpa, Taranatha. Taranatha era il consigliere reale della parte avversa durante una guerra civile.

Inoltre, Padmasambhava e vari maestri tibetani successivi hanno usato i loro superiori poteri extrafisici per sopraffare e “domare” gli spiriti nocivi, come il Nechung. Costringendo gli spiriti ad accettare il buddismo, hanno fatto loro giurare di proteggere il Dharma. In effetti, hanno convertito e riabilitato gli spiriti per farli diventare protettori del Dharma.

Prove dal Kalachakra

Sebbene sia difficile, sulla base delle scritture buddiste, giustificare forme evidenti e grossolane di conversione forzata come queste, esistono riferimenti testuali a forme più sottili di conversione nel buddismo? La letteratura del Kalachakra fornisce una fonte rivelatrice per l’indagine. È emersa nel Kashmir e nell’India settentrionale tra la fine del X e l’inizio del XI secolo d.C., quando gli eserciti invasori musulmani stavano conquistando terre a ovest, popolate principalmente da buddisti e induisti. La trattazione storica del Kalachakra si è indubbiamente   ispirata anche alle esperienze della regione tra l’Afghanistan orientale e il Kashmir nei due secoli precedenti e ha descritto le relazioni interconfessionali tra le tre religioni presenti.

Secondo il racconto tradizionale, il re Suchanadra di Shambhala ricevette gli insegnamenti del tantra di Kalachakra dal Buddha stesso, nell’India meridionale, e li riportò nella sua terra del nord. Sette generazioni dopo, il suo successore Manjushri Yashas riunì i saggi brahmani di Shambhala nel palazzo-mandala tridimensionale di Kalachakra che i suoi antenati avevano costruito nel parco reale. Egli desiderava mettere in guardia i brahmani da una religione futura, non indiana, che sarebbe sorta nella terra della Mecca. Molti studiosi identificano questa religione con l’Islam, poiché l’anno previsto per la sua fondazione è solo due anni dopo l’inizio del calendario islamico. Per facilitare la discussione, accettiamo provvisoriamente la loro conclusione, anche se occorre qualificare tale identificazione in termini di forme dell’Islam messianico che i formulatori degli insegnamenti del Kalachakra molto probabilmente incontrarono. Si tratterebbe della forma di ismailismo orientale sciita prevalente a Multan (Sindh settentrionale, Pakistan) alla fine del X secolo d.C., con forse un’aggiunta della cosiddetta “eresia” sciita manichea.

Secondo la descrizione di Manjushri Yashas i seguaci della religione non indica sgozzano il bestiame, mentre recitano il nome del loro Dio Bismillah [“nel nome di Allah” in arabo], e poi ne mangiano la carne. Egli disse ai brahmani di esaminare come i devoti, intorno a loro, osservavano la religione vedica. Dovevano correggere i malintesi e le pratiche corrotte, in particolare il sacrificio di tori alle loro divinità e il successivo consumo della loro carne. Altrimenti, i loro discendenti non vedendo alcuna differenza tra la religione dei loro antenati e quella degli stranieri, avrebbero abbracciato quest’ultima, facilitando la conquista della loro terra da parte degli stranieri. Inoltre, i brahmani dovevano porre fine alla loro usanza di rifiutare i matrimoni intercasta o persino di mangiare o bere con membri di altre caste. Se le credenze religiose causano divisioni interne e le persone non possono cooperare di fronte al pericolo, la società non può sopravvivere a una minaccia esterna.

Sulla base della logica delle sue argomentazioni, Manjushri Yashas invitò i brahmani a unirsi al resto della popolazione di Shambhala nel mandala di Kalachakra, a ricevere l’iniziazione, e a formare una “casta vajra”. All’inizio, i brahmani rifiutarono e fuggirono verso l’India. Il re si rese conto che se i suoi leader spirituali partivano, il popolo di Shambhala l’avrebbe preso come un segno che formare una sola casta era sbagliato, e così avrebbe continuato le sue usanze autodistruttive. Pertanto, Manjushri Yashas usò i suoi poteri psichici per richiamare i brahmani al mandala. Esaminando più a fondo la saggezza del re e vedendone la verità, i leader brahmani a questo punto accettarono il suo consiglio e così Manjushri Yashas conferì alla popolazione l’iniziazione di Kalachakra. Unendo il popolo in un’unica casta vajra, il re divenne il Primo Kalki di Shambhala – il primo “Detentore della Casta”.

Il Problema della Conversione

Questa prima iniziazione di massa fu un esempio di conversione forzata dei brahmani o dell’intera popolazione di Shambhala al buddismo? Le iniziazioni di massa che sono seguite, e che continuano tuttora, sono anch’esse esempi di conversioni nascoste? Le azioni del Primo Kalki erano coerenti con l’autorità scritturale e con i precedenti storici? Analizziamo criticamente il resoconto testuale dell’evento, cercando di evitare gli estremi di sminuire le prove per far apparire il buddismo innocente e gentile, o di gonfiarle per farlo apparire evangelistico e bigotto.

Conversione attraverso la Logica

Buddha insegnò alle persone a non accettare i suoi insegnamenti solo per fede o per rispetto nei suoi confronti, ma ad esaminarli criticamente come quando si compra l’oro. Così, nelle grandi istituzioni monastiche indiane del primo millennio d.C., i monaci buddisti che sostenevano vari sistemi di principi filosofici dibattevano tra loro e con gli studiosi provenienti da centri di apprendimento non buddisti. I perdenti dovevano accettare i principi dei vincitori e quindi, di fatto, “convertirsi” ai sistemi più logicamente coerenti. Dopo tutto, “avevano esaminato gli insegnamenti in modo critico come quando si compra l’oro”.

Che le loro conversioni siano state volontarie o forzate è un punto discutibile. Il presupposto è che chi accetta la logica adotterà la visione più coerente dal punto di vista logico, e non agirà in modo irrazionale insistendo su una posizione sconfitta per attaccamento ad essa. Non bisogna però essere ingenui. Non tutte le persone altamente istruite sono coerentemente razionali nel loro comportamento. Inoltre, i re locali spesso officiavano questi dibattiti e concedevano il patrocinio reale alle parti vincitrici e alle loro istituzioni. Quindi, anche le considerazioni sul sostegno finanziario possono aver influenzato un cambiamento di religione o di filosofia.

Anche nella storia tibetana, il re Tri Songdetsen [Khri Srong-lde-btsan], alla fine dell’VIII secolo d.C., scelse il buddismo indiano rispetto a quello cinese, dopo che il primo aveva sconfitto il secondo nel famoso dibattito di Samye [bSamyas]. Sicuramente anche considerazioni politiche influenzarono la decisione del re. Una fazione xenofoba aveva assassinato suo padre a causa dei suoi stretti legami con la Cina grazie alla sua regina cinese, e una fazione filo-cinese stava di nuovo diventando potente a corte. Il re e il suo consiglio religioso volevano evitare il ripetersi degli eventi violenti del passato.

Conversione attraverso Gare di Poteri Psichici

Anche le gare di poteri psichici ed extrafisici, sia in India che in Tibet, si concludevano con la conversione. Così come tagliare o fondere ugualmente attestano l’autenticità dell’oro, anche sconfiggere un avversario con la logica o con i poteri psichici dimostra la verità superiore di un insegnamento. Così, la ragione più plausibile per cui il sovrano mongolo del XIII secolo Khubilai [Kublai] Khan adottò la tradizione Sakya del buddismo tibetano non è la logica superiore delle sue idee filosofiche. Suo nonno, Chinggis Khan, aveva convocato nei suoi accampamenti militari, il clero buddista cinese, daoista [taoista] e cristiano nestoriano a compiere rituali per la sua lunga vita e vittoria. Tuttavia, Chinggis fu ucciso in battaglia contro i Tanguti, un popolo che viveva nella regione tra la Mongolia e il Tibet e che indubbiamente traeva il suo potere superiore dal fatto di affidarsi a Mahakala, il protettore del buddismo tibetano. L’equivalente biblico sarebbe spiegare il successo militare con il fatto che i vincitori avevano Dio dalla loro parte. I Sakyapa erano la setta tibetana politicamente più conveniente, in grado di conferire a Kubilai Khan l’arma segreta del potere di Mahakala.

È necessario comprendere l’immagine della conversione religiosa ritratta nella letteratura del Kalachakra nel contesto di queste tradizionali gare di logica e poteri psichici. Nei paesi influenzati dalla civiltà indiana, una religione doveva dimostrare di detenere la più alta verità vincendo le gare in uno o entrambi questi campi. Non poteva semplicemente affermare la propria supremazia come dogma e costringere gli altri ad accettarla sul cavalletto di tortura o con la spada alla gola.

Conversione “Per il Bene degli Altri”

Sebbene i brahmani di Shambhala si siano persuasi a ricevere l’iniziazione sulla base dei poteri extrafisici e delle linee di ragionamento del Kalki – anche se, in effetti, non si svolse alcuna gara- se abbiano accettato volontariamente o siano stati costretti è ancora un punto irrisolto. Dopo tutto, non si sono riuniti per ricevere l’iniziazione di propria iniziativa, ma sono stati convocati dal re e costretti ad ascoltare le sue argomentazioni, “per il loro bene”. Tutte le conversioni forzate, tuttavia, sono apparentemente, per il bene del candidato. E spiegazioni come quella del Secondo Kalki nel suo commentario all’opera del padre, “il Kalki vide che i brahmani erano maturi per formare un’unica casta”, possono essere usate dai leader di qualsiasi religione o sistema politico-economico per giustificare la conversione con la forza.

Tuttavia, Kedrub Je [mKhas-grub rje], l’erudito tibetano gelugpa del XV secolo, nel suo commentario al Kalachakra spiega che Manjushri Yashas non stava costringendo le caste induiste ad abbandonare i loro costumi religiosi e sociali e a convertirsi al buddismo. Nessuno ha il diritto di fare questo a nessun gruppo. L’intenzione del Primo Kalki era che le persone esaminassero il proprio comportamento per vedere se era in accordo con gli insegnamenti puri dei Veda. In caso contrario, dovevano correggerlo. Per affrontare qualsiasi minaccia alla società, i seguaci di tutte le religioni devono unirsi nello spirito e aderire alle buone intenzioni di ciascuno dei loro credi.

Il commentario di Kedrub Je, quindi, implica che essere maturi per formare una sola casta non equivale a essere maturi per convertirsi al buddismo. La formazione di una sola casta sarebbe per il bene del popolo di Shambhala in senso sociopolitico, non specificamente in senso spirituale. Il Primo Kalki premeva per l’armonia religiosa e l’unità di intenti, non per l’uniformità religiosa, come mezzo per allontanare le minacce alla società.

Tuttavia, i brahmani che ricevettero l’iniziazione costituivano la maggioranza del pubblico a cui Manjushri Yashas impartì gli insegnamenti del Kalachakra. Quindi, sebbene non sia necessario e persino inappropriato che tutti si convertano al buddismo, comunque anche alcuni seguaci di altre religioni possono essere “maturi” per farlo. Si tratta ancora di una conversione, ma solo in una forma abilmente razionalizzata? Dopo tutto, Manjushri Yashas ha assunto il titolo di Kalki, il nome del decimo ed ultimo avatar [incarnazione] del dio indù Vishnu. Si potrebbe facilmente interpretare ciò come un’abile tattica per conquistare la fedeltà degli indù.

Insegnare a “Coloro Che Sono Maturi”

Nonostante il principio generale del buddismo secondo cui un maestro spirituale non può insegnare ad altri se non su esplicita richiesta, Buddha ammetteva eccezioni nel caso di potenziali discepoli particolarmente maturi. Un maestro spirituale, tuttavia, ha bisogno di capacità extrasensoriali avanzate per riconoscere correttamente quando una persona è matura. Coloro che non hanno tali capacità possono facilmente abusare della dispensa e cadere nell’estremo di diventare missionari proselitisti. Anche se non si è nella posizione di insegnante, si potrebbero trattare con sufficienza altre religioni, o tradizioni buddiste diverse dalla propria, pensando che siano perfettamente adatte a menti più deboli, e meno evolute spiritualmente. Quando i detentori di visioni inferiori conseguiranno una certa maturità e diventeranno “maturi”, allora saranno pronti per gli insegnamenti buddisti più profondi della propria tradizione.

La lezione, che ne deriva, è che oggi bisogna prestare molta attenzione nel rendere disponibili gli insegnamenti buddisti con l’intento “di fornire agli altri le circostanze favorevoli affinché il loro buon karma maturi e diventino buddisti”. È necessario non essere attaccati al buddismo ed avere un atteggiamento di rispetto veramente imparziale per tutte le religioni; altrimenti, le ingenue buone intenzioni possono nascondere una mentalità missionaria sciovinista per diffondere la vera parola.

Conversione attraverso la Dimostrazione dei Significati Più Profondi delle Scritture Altrui

Tuttavia, i buddisti hanno tradizionalmente affrontato i sostenitori di altri sistemi di credenze in dibattiti filosofici, con o senza scopo di conversione. Qual è il metodo buddista per convincere gli altri della logica superiore del cammino buddista? Secondo il maestro indiano Shantideva dell’VIII secolo d.C., due parti possono discutere con successo solo se si basano su esempi che entrambe le parti accettano. Senza una base comune per la discussione, non hanno un punto d’incontro. Pertanto, come spiegano i commentari, l’intenzione del Primo Kalki era quella di distogliere i brahmani dall’attaccamento alla lora lettura letterale dei Veda, mostrando loro modi alternativi e più profondi di comprendere alcuni degli argomenti trattati in essi.

Un esempio accettato in comune dai Veda e dal buddismo tantrico è l’ingiunzione di “prendere la vita” e di “mangiare la carne”. Nel tantra buddista le due cose hanno significati nascosti. “Prendere la vita” si riferisce a togliere la vita alle emozioni disturbanti, il che significa prendere la vita dei venti-energia su cui esse scorrono attraverso il corpo sottile. Il bestiame rappresenta l’emozione disturbante dell’ingenuità, una forma di inconsapevolezza [ignoranza]. “Mangiare la loro carne” significa portare i venti-energia dell’ingenuità nel canale centrale e dissolverli lì. Anche l’ingiunzione vedica di sacrificare tori e di godere della loro carne può essere letta con lo stesso significato nascosto in riferimento ad uno yoga interiore che ha a che fare con le energie sottili. Manjushri Yashas usava i termini e i concetti vedici in questo modo per condurre i brahmani al sentiero del Kalachakra verso la liberazione e l’illuminazione.

Nel buddismo, quindi, un metodo abile per “convertire” i seguaci di altre religioni evita di confutare le dottrine del loro credo, ma mostra invece modi alternativi di interpretarli. Nell’esaminare, come quando si compra l’oro, i significati più profondi dei loro testi come rivelati dal buddismo, essi si convinceranno della validità del sentiero buddista. Le religioni di origine delle persone diventano così valide pietre da guado sul sentiero buddista, se decidono di percorrerlo. 

Una mente intelligente, tuttavia, può fabbricare schemi intellettuali elaborati e bellissimi per dimostrare che i concetti di un qualsiasi sistema hanno in realtà il significato più profondo rispetto ai concetti di un altro. La motivazione è essenziale; anche se, ancora una volta, è facile razionalizzare dicendo che si desidera compassionevolmente condurre gli altri alla liberazione e alla illuminazione. Dopo tutto, con compassione, si potrebbe ugualmente desiderare di condurre gli altri alla salvezza celeste o a un paradiso economico e politico. Per evitare le trappole dell’arroganza e dello sciovinismo dottrinale, occorre un sincero rispetto per gli altri sistemi di fede e per coloro che li seguono.

Conversione Senza Rifiutare Completamente le Proprie Visioni Precedenti

L’accettazione del buddismo, quindi, non comporta il rifiuto totale di tutte le le proprie visioni precedenti. Non si tratta di una rinuncia formale alla propria religione precedente, come quando ci si converte ad una fede biblica. Si può ancora prendere provvisoriamente rifugio nel dio o negli dei di un’altra religione, purché non sia la direzione sicura ultima. Ciò che si deve rifiutare completamente sono solo le precedenti “visioni distorte”. Queste non sono definite semplicemente come visioni che differiscono dalle intenzioni più profonde del Buddha, ma come visioni che sono anche antagoniste nei loro confronti. Se si supera l’antagonismo aggressivo verso il buddismo - e, è ragionevole aggiungere, l’antagonismo aggressivo verso tutte le altre religioni e sistemi in generale- alcuni dei punti di vista precedenti possono fungere da pietre di guado. Il buddismo tibetano utilizza lo stesso metodo delle pietre da guado per condurre i suoi seguaci lungo un percorso di sistemi di principi filosofici, dal Vaibhashika al Madhyamaka, che diventano progressivamente più sofisticati.

Il metodo di insegnamento di Manjushri Yashas ai brahmani rivela questa metodologia. Sebbene molte affermazioni della religione dei brahmani possano servire da pietre da guado verso il buddismo, non hanno tutte lo stesso status. Come per i sistemi di principi buddisti, alcune affermazioni dei brahmani possono essere accettate a livello letterale come valide sul sentiero buddista, per esempio alcuni aspetti dell’astrologia. Altre devono essere respinte come false a livello letterale, pur avendo livelli di significato più profondi e validi. Inoltre, all’interno di quest’ultima categoria, Manjushri Yashas distingue tra quelle che hanno significati più profondi anche all’interno del contesto vedico, e altre che mancano di tali significati e sono semplicemente false.

Ad esempio, nel XIX secolo, il commentatore nyingmapa del Kalachakra Mipam [‘Ju Mi-pham], spiega che il significato profondo nascosto del sacrificio del toro insegnato nello Yajur Veda era chiaro agli yogi vedici dei tempi precedenti. Tuttavia, a causa della generazione dei tempi, la conoscenza dello yoga interiore che simbolizza è andata perduta. Pertanto, Manjushri Yashas la insegnò ai brahmani confusi per aiutarli a realizzare la saggezza che era andata perduta all’interno della loro stessa tradizione. Coloro che interpretano il sacrificio del toro alla lettera e prendono effettivamente la vita delle creature non possono ottenere la beatitudine della liberazione dalle loro azioni. Cadranno solo in stati di rinascita peggiori.

Manjushri Yashas non intendeva dire che gli yogi vedici del passato comprendessero le pratiche di yoga interiore del tantra buddista come il significato nascosto del sacrificio del toro insegnato nello Yajur Veda. Essi comprendevano le pratiche di yoga interiore del tantra induista. Dopo tutto, i tantra induisti e buddisti hanno in comune molte caratteristiche, come l’affermazione di sistemi di energia sottile con chakra, canali, e venti di energia. Il punto principale qui è che anche i brahmani che non sono maturi per gli insegnamenti buddisti devono smettere di sacrificare tori. L’ingiunzione vedica relativa a questa pratica non era mai stata fatta per essere presa alla lettera, nemmeno nel contesto della tradizione vedica.

D’altra parte, Manjushri Yashas ha sottolineato altre caratteristiche delle affermazioni dei brahmani che erano completamente false a livello letterale, come le misure delle dimensioni dei continenti. Egli descrisse in dettaglio le dimensioni secondo il sistema del Kalachakra per aiutare i bramani a superare l’orgoglioso attaccamento alle loro affermazioni. Il commentatore sakyapa del Kalachakra del XIII secolo, Buton [Bu-ston],  spiega che l’intenzione di Manjushri Yashas non era tuttavia quella di confutare tutti i sistemi di misurazione diversi da quello del Kalachakra, ad esempio quello insegnato dal Buddha nella letteratura dell’abhidarma. Aveva una motivazione specifica, cioè quella di essere di beneficio ai brahmani.

Kedrub Je aggiunge che né le dimensioni insegnate dal Primo Kalki né quelle presenti nei Veda corrispondono alla realtà. Tuttavia, esiste una grande differenza tra loro. Le misure del Kalachakra sono congruenti con quelle del corpo umano e del mandala di Kalachakra. Quindi, l’intenzione di Manjushri Yashas nell’insegnarle, nonostante la loro falsità, era quella di condurre i brahmani al sentiero del Kalachakra verso l’illuminazione. Il sistema vedico non ha nulla di simile per quanto riguarda le misure delle dimensioni dei continenti. Tuttavia, il Primo Kalki utilizzò una descrizione del mondo che condivideva molte caratteristiche con quella vedica, come gli anelli dei continenti, le catene montuose, e gli oceani intorno a un Monte Meru circolare. Si trattava di un mezzo abile che permetteva ai brahmani di relazionarsi con la sua descrizione e di andare più in profondità.

Il Problema dell’Assimilazione Inconscia nel Kalachakra

È degno di nota il fatto che Manjushri Yashas non abbia messo in guardia i buddisti dall’assimilazione inconsapevole all’Islam, come invece ha fatto con gli induisti. Infatti, la letteratura del Kalachakra non contiene alcuna menzione dei seguaci dell’Islam che cercano esplicitamente di convertire gli altri alla loro religione, sia con la forza che in modo pacifico. Anche quando Manjushri Yashas predice che, nel 2424 d.C., un sovrano non indico dell’India minaccerà un’invasione di Shambhala e che il 25° Kalki sconfiggerà le sue forze in India, parla di una minaccia di conquista militare, non specificamente di una conquista religiosa. Il Primo Kalki rivolse il suo avvertimento solo ai brahmani in termini della loro assimilazione, allora, all’Islam.

Forse il Kalki non sentiva il bisogno di avvertire i buddisti, perché aveva fiducia nella forza del buddismo e non ne prevedeva l’assimilazione. Ciò significherebbe, tuttavia, che il Kalki era ingenuo e che la sua percezione extrasensoriale del futuro conteneva un difetto, che è una conclusione scomoda da trarre per i buddisti. Forse l’assimilazione del buddismo all’Islam non era ancora avvenuta in misura significativa all’epoca in cui gli insegnamenti di Kalachakra emersero in India. Le prove storiche, tuttavia, indicano che alla fine del X secolo d. C., non solo gli induisti, ma anche molti proprietari terrieri, mercanti e persone provenienti dalle fasce urbane ed istruite della popolazione di origine buddista - in particolare in Asia centrale, nell’Afganistan settentrionale e nel Pakistan meridionale- si stavano già convertendo per varie ragioni, tra cui il vantaggio economico. I governanti islamici non li obbligavano a convertirsi, pena la morte in caso di rifiuto. Potevano mantenere la loro religione se pagavano una tassa.

In alternativa, Manjushri Yashas potrebbe aver creduto che se le persone di tutte le religioni si fossero unite nel mandala del Kalachakra e coloro che erano “maturi” si fossero convertiti al buddismo, questa sarebbe stata la soluzione migliore ai problemi dei tempi difficili. Una popolazione minacciata da invasioni e conquiste militari può superare il pericolo solo se presenta un fronte unito. I buddisti sarebbero naturalmente arrivati all’iniziazione di Kalachakra. Pertanto, il Primo Kalki doveva rivolgersi solo ai non buddisti di Shambhala. Questo sembra essere stato il motivo principale della conversione al buddismo “per coloro che erano maturi”.

È curioso, tuttavia, che una delle tattiche utilizzate dal Primo Kalki  per unire gli induisti e i buddisti sia una tattica che i musulmani sciiti ismailiti utilizzarono in seguito per assimilare gli induisti come gradino verso la loro eventuale conversione. Nel testo Dasavatara del XIII secolo d.C., Pir Shams-al-Din identifica il decimo ed ultimo avatar di Vishnu, Kalki, con il primo imam, Ali. Gli imam ismailiti erano i successori di Ali e, accettando Ali come Kalki, gli induisti avrebbero accettato anche la legittimità dei suoi successori ismailiti. Allo stesso modo, Manjushri Yashas si autonominò Kalki, anche per ottenere l’accettazione degli induisti.

Incorporazione dell’Islam nel Buddismo

Manjushri Yashas spiegò persino come il metodo della pietra da guado  potesse condurre al buddismo anche i seguaci di religioni non indiche. Apparentemente insensibile al forte divieto islamico di rinunciare all’Islam e di convertirsi a una fede diversa, la sua priorità sembra essere stata quella di unire persone di tutte le fedi, non solo induiste e buddiste. Dopo tutto, a Shambhala dovevano esserci anche dei musulmani, che affrontavano la stessa minaccia di invasione e di occupazione militare di tutti gli altri. Questo era certamente il caso all’epoca, nell’Afganistan orientale e nell’Oddyana [Pakistan nordoccidentale], molto probabilmente i luoghi da cui proveniva la conoscenza dell’Islam.

Il Primo Kalki descrisse la religione non indiana come quella che afferma che la materia esterna è costituita da atomi, che un’anima permanente prende rinascita temporaneamente, e che il raggiungimento della felicità di una rinascita celeste è l’obiettivo più alto. Conoscendo la disposizione delle persone con tali credenze, spiegò che il Buddha insegnava in base a ciò che potevano accettare. In alcuni sutra, il Buddha insegnò che il corpo di un Bodhisattva che sta per raggiungere la buddità è composto da atomi. Altrove, ha spiegato che esiste una continuità del “sé”, che porta la responsabilità di sperimentare i risultati del suo comportamento [karma], ma senza parlare del “sé” come permanente o impermanente. Buddha ha anche insegnato l’obiettivo provvisorio di ottenere una rinascita migliore in un regno divino celeste. Le affermazioni della religione non indiana possono fungere da pietre di guado verso l’accettazione di questi sutra e poi verso spiegazioni buddiste sempre più sofisticate. 

Adattamento del Buddismo nell’Islam

Come Manjushri Yashas fece con l’Islam, anche gli autori musulmani dell’epoca spiegarono il buddismo in termini comprensibili ai seguaci della loro religione. Per esempio, all’inizio dell’VIII secolo d.C., al-Kermani scrisse un resoconto dettagliato del monastero di Nava Vihara a Balkh, nell’Afghanistan settentrionale. In esso, descrive che i buddisti circumambulano e si prostrano ad un cubo di pietra drappeggiato con un panno, come fanno i musulmani alla Kaaba alla Mecca. Il cubo si riferiva alla piattaforma al centro del tempio principale su cui si ergeva uno stupa. I musulmani, tuttavia, non hanno tracciato queste similitudini allo scopo di usarle come espediente per condurre i buddisti sulla via dell’Islam. Essi diedero ai buddisti una semplice scelta: o mantenere la loro religione e pagare un’imposta supplementare, o accettare la verità dell’Islam ed essere esentati dall’imposta. Anche quando i conquistatori musulmani distrussero i monasteri buddisti come parte della loro tattica d’invasione per dissuadere la popolazione ad arrendersi, di solito ne permisero la ricostruzione per poter esigere una tassa sul pellegrinaggio.

Conclusione

Rimangono alcune domande importanti. Il ritratto Kalachakra della conversione al buddismo nella mitica terra di Shambhala è solo una descrizione di ciò che poteva essere utile e necessario in Afghanistan e nel subcontinente indiano dal IX all’XI secolo d.C., o è un consiglio senza tempo? Ammessa la saggezza universale dei membri di tutte le religioni che riaffermano i valori spirituali del loro credo per scongiurare le minacce alle loro società, la difesa ottimale è convincere il maggior numero possibile di persone a praticare il buddismo? Sarebbe difficile difendere questa posizione, sia in riferimento al solo periodo storico sopra citato sia come consiglio generale, senza risultare sciovinisti. La conclusione imparziale, quindi, è ammettere che il tono della leggenda di Shambhala è effettivamente sciovinista, anche se comprensibile, date le circostanze dell’epoca. Non ne consegue, tuttavia, che gli insegnanti buddisti di oggi debbano essere sciovinisti quando presentano il buddismo a un pubblico non buddista.

Quando presenta il buddismo ad un pubblico non buddista, Sua Santità il XIV Dalai Lama sottolinea sempre che la sua intenzione non è di convertire. Non sta sfidando gli altri a una gara di dibattito, in cui il perdente è tenuto ad adottare le affermazioni del vincitore. Egli spiega che sta semplicemente cercando di educare gli altri al buddismo. La pace tra società diverse deriva dalla comprensione dei rispettivi sistemi di credenze. Educare gli altri è molto diverso dal cercare di convertirli. Se gli altri trovano qualcosa di valore nel buddismo, sono liberi di adottarlo, senza bisogno di diventare buddisti. Coloro che sono fortemente interessati sono invitati a proseguire gli studi e anche a diventare buddisti, ma solo dopo un lungo periodo di profonda riflessione. Per la maggioranza, tuttavia, Sua Santità mette in guardia dal cambiare religione.

Il buddismo non è diverso dalle altre religioni o sistemi filosofici, in quanto afferma di possedere la verità più profonda. Tuttavia, l’affermazione buddista non è una rivendicazione esclusivista dell’”Unica Verità”. Il buddismo accetta anche verità relative - cose che sono vere relativamente a certi gruppi o a certe circostanze. Purché i propri punti di vista non siano aggressivamente antagonisti, le proprie credenze, relativamente vere, possono servire da provvisorie pietre di guado sulla via della verità più profonda, come definita dal buddismo. Possono anche servire da pietre di guado verso la verità più profonda insegnata da altre religioni. Purché l’affermazione buddista della verità più profonda non sia sciovinista e non nasconda una politica missionaria, può essere di beneficio a coloro per cui è adatta.

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