Uso di Shambhala negli Schemi Russi e Giapponesi in Tibet

Proposte di Badmaev per l’Annessione Russa del Tibet

La Dinastia manciù Qing della Cina [1644-1911] decadde nel corso del XIX secolo. Molti paesi cercarono di approfittare della sua debolezza per ottenere concessioni commerciali o territoriali. Tra questi non solo Gran Bretagna, Francia, Germania, e Portogallo, ma anche Russia e Giappone.

Nel 1893, ad esempio, il medico mongolo buriato Piotr Badmaev presentò allo Zar Alessandro III un piano per portare sotto il controllo russo parti dell’Impero Qing, inclusa la Mongolia Esterna e Interna e il Tibet. Egli propose di estendere la ferrovia transiberiana dalla terra natale di Buriazia sul lago Baikal attraverso la Mongolia Esterna e Interna fino al Gansu, in China, vicino al confine tibetano. Una volta completata, avrebbe organizzato, con l’aiuto dei buriati, una rivolta in Tibet che avrebbe permesso alla Russia di annettere il paese. Badmaev propose anche di istituire una compagnia commerciale russa in Asia. Il conte Sergei Yulgevich Witte, ministro delle Finanze russo dal 1882 al 1903, sostenne i due piani di Badmaev, ma lo zar Alessandro non accettò nessuno dei due.

The Trans-Siberian railway in the early 20th century
The Trans-Siberian railway in the early 20th century

Alla morte di Alessandro, Badmaev divenne il medico personale del suo successore, lo zar Nicola II [zar dal 1894 al 1917]. Ben presto, il nuovo zar approvò la fondazione di una compagnia commerciale. Il suo obiettivo, tuttavia, era la costa del Pacifico, dove Russia e Giappone si contendevano il controllo di Port Arthur, un porto senza ghiaccio all’estremità meridionale della Manciuria. Inizialmente il Giappone ottenne Port Arthur, ma presto la Russia prese il sopravvento. Lo zar estese la ferrovia transiberiana attraverso la Manciuria settentrionale fino a Vladivostok e la collegò a Port Arthur. Nicola, tuttavia, non accolse le proposte di Badmaev sul Tibet.

Dorjiev e lo Zar Nicola II

Il monaco mongolo buriato Agvan Dorjiev [1854-1938] studiò a Lhasa, in Tibet, a partire dal 1880, e in seguito divenne uno dei Maestri Assistenti di Dibattito [Tutori Assistenti] del Tredicesimo Dalai Lama. Divenne anche il più fidato consigliere politico del Dalai Lama.

La Convenzione anglo-cinese del 1890 aveva stabilito che il Sikkim fosse un protettorato britannico. I tibetani non riconobbero la convenzione, e si sentirono a disagio con i disegni britannici e cinesi sul loro paese. Così, nel 1899, Dorjiev si recò in Russia per cercare di ottenere aiuto per contrastare queste minacce. Dorjiev era un amico di Badmaev e sperava che la politica espansionistica russa nell’Asia nordorientale a spese della Cina si sarebbe estesa alla regione himalayana. Il conte Witte lo ricevette in questa e nelle successive visite. A nome dei mongoli buriati e calmucchi che vivevano a San Pietroburgo, Dorjiev chiese anche il permesso di costruire lì un tempio di Kalachakra. Sebbene le autorità russe non fossero interessate a nessuna delle due proposte, Dorjiev inviò una lettera al Dalai Lama in cui riferiva che le prospettive di assistenza sembravano promettenti.

All’inizio il Dalai Lama e i suoi ministri erano titubanti ma, al suo ritorno a Lhasa, Dorjiev convinse il Dalai Lama a rivolgersi alla Russia per ottenere protezione. Egli sostenne che la Russia era il Regno del Nord di Shambhala, la terra leggendaria che custodiva gli insegnamenti del Kalachakra, e che lo zar Nicola II era l’incarnazione di Tsongkhapa, il fondatore della tradizione Gelug. Come prova, indicò la protezione da parte dello zar della tradizione Gelug tra i buriati, i calmucchi e i turchi tuvini nell’Impero Russo. Influenzato dalle sue argomentazioni, il Dalai Lama lo inviò in Russia nel 1900.

A quel tempo, il principe Esper Ukhtomski era a capo del Dipartimento Russo dei Credi Stranieri. Il principe era profondamente interessato alla cultura “lamaista” e in seguito scrisse diversi libri sull’argomento. Egli invitò Dorjiev ad incontrare lo zar, e questa fu la prima delle numerose udienze che Dorjiev ebbe per conto del Dalai Lama. Negli anni successivi, Dorjiev fece più volte la spola tra lo zar e il Dalai Lama. Tuttavia, non riuscì mai ad assicurarsi l’appoggio militare russo per il Tibet.

In Sturm über Asia [Tempesta sull’Asia] [1924], l’agente segreto tedesco Wilhelm Filchner scrisse che tra il 1900 e il 1902 a San Pietroburgo ci fu una grande spinta per assicurare il Tibet alla Russia. Questa spinta, tuttavia, sembra essersi limitata agli sforzi di Dorjiev, con il supporto di Badmaev e Witte. L’esploratore svedese Sven Hedin, ardente ammiratore della Germania, ebbe un’udienza con lo zar Nicola II durante il viaggio di ritorno in Europa dalla sua Seconda Spedizione Tibetana [1899-1902]. In seguito, scrisse di aver avuto l’impressione che il principe Ukhtomski stesse spingendo lo zar a fare del Tibet un protettorato russo. Gli scritti del Principe, tuttavia, non rivelano alcun interesse di questo tipo. 

Intrighi tra Giappone, Russia, Gran Bretagna e Cina, e il loro Effetto in Tibet

Il sacerdote zen giapponese Ekai Kawaguchi visitò il Tibet dal 1900 al 1902 per raccogliere testi buddisti sanscriti e tibetani. Al suo ritorno attraverso l’India britannica, riferì falsamente di una presenza militare russa in Tibet a Sarat Chandra Das, una spia indiana degli inglesi che aveva visitato il Tibet nel 1879 e nel 1881. Il Giappone, in quel periodo, si stava preparando alla guerra con la Russia per la Manciuria. Aveva da poco firmato con la Gran Bretagna l’Alleanza Anglo-Giapponese [1902-1907], in base alla quale entrambe le parti si impegnavano a rimanere neutrali se l’altra fosse stata in guerra. Fomentando la discordia tra Inghilterra e Russia, sembra che il sacerdote giapponese volesse assicurarsi che la Gran Bretagna non avrebbe appoggiato la Russia nella guerra imminente. Probabilmente sperava anche che le proteste britanniche per il Tibet avrebbero distratto l’attenzione della Russia dalla Manciuria.

Nel suo libro, Three Years in Tibet [Tre Anni in Tibet], pubblicato a Benaras dalla Società Teosofica nel 1909, Kawaguchi riferisce di aver sentito parlare del pamphlet di Dorjiev in tibetano, mongolo e russo, in cui si affermava che la Russia era Shambhala e che lo zar era la reincarnazione di Tsongkhapa. Egli, tuttavia, non l’aveva mai visto personalmente. Kawaguchi parlò anche di una Coalizione Buddista Nippo-Tibetana, ma nessuna delle due parti elaborò mai  dei piani per attuarla.

Il rapporto di Kawaguchi e successivamente il suo libro divennero ben noti alle autorità britanniche in India. Sir Charles Bell, ufficiale politico britannico nel Sikkim, ad esempio, lo citò in Tibet Past and Present [Tibet Passato e Presente] [1924]. Egli scrisse che Dorjiev aveva convinto il Dalai Lama a passare dalla parte della Russia raccontandogli di come la Russia controllasse e proteggesse parte della Mongolia [Buriazia], di come un numero sempre maggiore di russi stesse abbracciando il buddismo tibetano e di come anche lo zar avrebbe potuto abbracciarlo.

Lord Curzon, il viceré britannico dell’India all’epoca del rapporto di Kawaguchi, era estremamente paranoico nei confronti dei russi. Temendo una presa di potere da parte della Russia e il monopolio del commercio tibetano, ordinò l’invasione britannica del Tibet con la Spedizione Younghusband [1903-1904]. Insieme a Dorjiev, il Dalai Lama fuggì ad Urga [Ulaan Baatar], la capitale della Mongolia. Dopo la sconfitta , il reggente tibetano firmò la Convenzione di Lhasa nel 1904, riconoscendo il controllo britannico del Sikkhim e concedendo agli inglesi relazioni commerciali e lo stazionamento di truppe e funzionari a Lhasa per proteggere la commissione commerciale.

Pochi mesi dopo, in Manciuria scoppiò la Guerra Russo-Giapponese [1904-1905], nella quale i giapponesi sconfissero le forze dello zar. Il Dalai Lama rimase in Mongolia, poiché nel 1906 gli inglesi e i cinesi firmarono una convenzione che riaffermava la sovranità cinese sul Tibet. La Convenzione  provocò rapidamente un tentativo cinese di annettere il Tibet. Il Dalai Lama inviò Dorjiev ancora una volta alla corte russa per chiedere aiuto militare.

Nel 1907, Dorjiev presentò a P. P. Semyonov-Tyan-Shansky, vice-presidente della Società Geografica Russa, un rapporto intitolato “Sul Riavvicinamento tra Russia, Mongolia e Tibet”. In esso, chiedeva l’unificazione dei tre stati per creare una grande confederazione buddista. Le autorità russe lo rifiutarono categoricamente.

Nella Convenzione Anglo-Russa del 1907, la Gran Bretagna e la Russia accettarono di rimanere fuori dagli affari interni del Tibet e di trattare solo attraverso la Cina. Imperterrito, nel 1908 Dorjiev presentò una petizione al Ministero degli Affari Esteri russo almeno per la costruzione di un tempio di Kalachakra a San Pietroburgo, che le autorità avevano respinto quando lui l’aveva proposto per la prima volta nel 1899. Questa volta, però, lo zar approvò il progetto. Questo avvenne nel 1909.

Il Dalai Lama tornò brevemente a Lhasa alla fine del 1909, ma presto arrivarono le truppe cinesi. All’inizio del 1910, il Dalai Lama fuggì in India, dove soggiornò a Darjeeling, a sud del Sikkim, sotto la protezione britannica. Lì, fece amicizia con Sir Charles Bell, che lo influenzò sulla modernizzazione.

Eventi Successivi alla Rivoluzione Nazionalista Cinese del 1911

Nel 1911-1912, cadde la dinastia manciù Qing in Cina. Il nuovo presidente della Repubblica Nazionalista Cinese, Yüan Shih-k’ai [Yuan Shikai], continuò la politica espansionistica manciù nei confronti del Tibet ed invitò il Dalai Lama ad unirsi alla “Madrepatria”. Il Dalai Lama rifiutò e tagliò tutti i legami con la Cina. Creò un Dipartimento di Guerra per guidare una ribellione armata contro i cinesi. A causa soprattutto della situazione caotica in Cina, le truppe cinesi si arresero presto. Non appena i soldati lasciarono il Tibet all’inizio del 1913, il Dalai Lama tornò a Lhasa.

Più tardi, nel 1913, si svolse la prima cerimonia pubblica al Tempio buddista di San Pietroburgo- una preghiera di lunga vita per celebrare il 300° anniversario della Casa dei Romanov. Il Dalai Lama inviò doni di congratulazioni e si diffuse la voce che avesse riconosciuto in Alexis, l’Erede Apparente, un bodhisattva che avrebbe illuminato i non buddisti del nord. Tuttavia, i Romanov non fornirono alcun aiuto militare.

Dopo aver respinto le forze cinesi da alcune zone del Kham [Tibet sud-orientale], i tibetani negoziarono con gli inglesi la Convenzione di Simla del 1914. Poiché gli inglesi non avrebbero appoggiato la completa indipendenza del Tibet, il Dalai Lama scese a un compromesso. Gli inglesi garantirono l’autonomia tibetana sotto la sovranità solo nominale da parte della Cina. Gli inglesi accettarono anche di non annettere il Tibet e di non permettere alla Cina di farlo.

I cinesi non firmarono mai la convenzione e, nelle continue schermaglie di confine con i cinesi nel Kham, gli inglesi non vennero mai in aiuto dei tibetani. Il Dalai Lama cominciò a cercare sostegno altrove.

Il Tibet Riceve la Guida Militare Giapponese

La vittoria giapponese nella Guerra Russo-Giapponese aveva impressionato il Dalai Lama. Egli si interessò a questo punto alla Restorazione Meiji e alla modernizzazione del Giappone come modello per la modernizzazione del Tibet in un contesto buddista. Pertanto, di fronte alla continua minaccia militare cinese e alla mancanza di sostegno russo o britannico, il Tibet si rivolse al Giappone per aggiornare l’esercito tibetano. Particolarmente desideroso di stabilire uno stretto legame con il Giappone era Tsarong, il capo della zecca e dell’armeria tibetana e il favorito del Dalai Lama.

Yajima Yasujiro, veterano della Guerra Russo-Giapponese, si recò a Lhasa e, dal 1913 al 1919, addestrò le truppe e diede consigli sulla difesa contro i cinesi. Aoki Bunkyo, un sacerdote buddista giapponese, tradusse in tibetano i manuali dell’esercito giapponese. Contribuì inoltre a disegnare la bandiera nazionale tibetana aggiungendo ai simboli tradizionali tibetani un sole nascente circondato da raggi. Questo motivo costituiva le bandiere della cavalleria e della fanteria giapponesi dell’epoca e in seguito divenne il disegno della bandiera della Marina e dell’Esercito giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale.

Bandiera della Marina e dell’Esercito Giapponese
Bandiera Nazionale Tibetana

Il Dalai Lama non riuscì, tuttavia, ad assicurarsi un ulteriore sostegno militare giapponese. Nel 1919, l’esercito giapponese si impegnò a fondo nella  repressione di un movimento indipendentista in Corea, che il Giappone aveva annesso nel 1910. Poi, negli anni Venti, il Giappone rivolse la sua attenzione maggiormente alla Manciuria e alla Mongolia e rimase interessato al Tibet solo per gli studi buddisti. Gli ultimi giapponesi lasciarono il Tibet nel 1923, quando il grande terremoto del Kanto distrusse Tokyo e Yokohama.

L’anno successivo, gli inglesi stabilirono una forza di polizia a Lhasa. Si verificò uno scontro tra la polizia e l’esercito tibetano, che causò la morte di un poliziotto. Tsarong punì severamente l’assassino, ma la fazione anti-modernizzazione del governo tibetano utilizzò il fatto come pretesto per mettere il Dalai ama contro di lui. Essi sottolinearono che Tsarong aveva agito senza il consenso del Dalai Lama e accusarono i militari di complottare per impadronirsi del governo. Il Dalai Lama degradò Tsarong dalla posizione di comandante in capo dell’esercito e lo licenziò dal gabinetto nel 1930. In questo modo, il principale sostenitore tibetano dell’alleanza giapponese fu messo a tacere.

Nel dicembre del 1933 morì il Dalai Lama. Il Tibet riprenderà i contatti con il Giappone solo nel 1938, quando Tsarong riemergerà per svolgere un ruolo nel gestire una spedizione ufficiale degli alleati del Giappone contro la diffusione del comunismo internazionale, i tedeschi.

Sforzi per Ottenere la Tolleranza del Buddismo da parte dei Comunisti in Russia e Mongolia 

La Rivoluzione Russa del 1917 istituì l’Unione Sovietica. Lenin, all’inizio, non applicò la politica comunista contro la religione. Di fronte a una guerra civile diffusa, il consolidamento del suo potere aveva una priorità maggiore. Anche quando il governo comunista divenne stabile, negli anni Venti lo stato non disponeva delle infrastrutture necessarie per sostituire i sistemi educativi e medici che i monasteri buddisti fornivano in Buriazia, Calmucchia e Tuva. Pertanto, il Partito Comunista tollerò il buddismo durante questo periodo.

Alla fine del 1919, diversi principi mongoli rinunciarono allo status di autonomia della Mongolia Esterna e si sottomisero al dominio cinese. Le truppe cinesi entrarono in Mongolia con il pretesto di proteggerla dai sovietici. Alla fine del 1920, il fanatico barone antibolscevico Von Ungern-Sternberg invase la Mongolia dalla Buriazia, rovesciò i cinesi, e reinstaurò il leader buddista tradizionale, l’Ottavo Jebtundampa, come capo di stato. Procedette a massacrare indiscriminatamente i cinesi rimasti e i sospetti collaboratori mongoli che riuscì a trovare.

Nel 1921, il mongolo rivoluzionario Sukhe Batur istituì il Governo Provvisorio Comunista Mongolo in Buriazia. Gli insegnamenti del Kalachakra avevano una lunga storia di popolarità in Mongolia. Approfittando della fede dei mongoli, Sukhe Batur ne distorse gli insegnamenti e disse ai suoi seguaci che sarebbero rinati nell’esercito di Shambhala se avessero combattuto per liberare la Mongolia dall’oppressione.

Con l’aiuto dell’Armata Rossa Sovietica, Sukhe Batur cacciò Ungern dalla Mongolia nel 1921. Egli limitò i poteri del Jebtsundampa e permise all’Esercito Sovietico di mantenere il controllo. I russi usarono il pretesto che l’Unione Sovietica stava garantendo l’indipendenza della Mongolia e la proteggeva da ulteriori aggressioni cinesi. L’Esercito Sovietico rimase fino alla morte del Jebtsundampa nel 1924 e alla dichiarazione della Repubblica Popolare Mongola poco dopo.

In quel periodo, Barchenko, uno studioso russo di parapsicologia con legami con il Politburo sovietico, trascorse diversi mesi in Mongolia. Lì imparò qualcosa sul Kalachakra. Si convinse che l’enfasi posta sulle particelle materiali e la discussione sui cicli storici e sulla battaglia tra l’esercito di Shambhala e le forze di invasione prefigurassero gli insegnamenti comunisti del materialismo dialettico. Voleva far conoscere ciò agli alti funzionari bolscevichi e così, al suo ritorno a Mosca, organizzò un gruppo di studio sul Kalachakra tra alcuni dei suoi membri. Il più influente tra i partecipanti fu Gleb Bokii, il capo georgiano di un dipartimento speciale del Servizio di Intelligenza Militare Sovietico [l’OGPU, precursore del KGB]. Bokii era il capo crittografo del Servizio ed utilizzava tecniche di decifrazione legate ai fenomeni paranormali.

Anche altri russi ritenevano che il comunismo e il buddismo potessero adattarsi l’uno all’altro. Nikolai Roerich [1874-1947], ad esempio, era un teosofo russo che tra il 1925 e il 1928 viaggiò attraverso il Tibet, la Mongolia, e la regione dell’Altai in Asia Centrale alla ricerca di Shambhala. Egli concepì la leggendaria dimora degli insegnamenti del Kalachakra come una terra di pace universale. Grazie ai suoi legami con Barchenko e al loro comune interesse per il Kalachakra, Roerich interruppe il suo viaggio nel 1926 e visitò Mosca. Lì inviò una lettera, attraverso il Ministro degli esteri sovietico Chicerin, al popolo sovietico. Ricordando le lettere della Blavatsky dai mahatma dell’Himalaya, Roerich disse che anche la lettera proveniva dai mahatma dell’Himalaya. La lettera elogiava la Rivoluzione per aver eliminato, tra le altre cose, “la miseria della proprietà privata” e offriva “aiuto per forgiare l’unità dell’Asia”. Come dono, consegnava da parte dei mahatma una manciata di terra tibetana da cospargere sulla tomba “del nostro fratello, il Mahatma Lenin”. Sebbene questa lettera non menzioni Shambhala, essa continua il mito teosofico dell’aiuto benevolo da parte dei maestri dell’Asia Centrale per stabilire la pace nel mondo, questa volta in accordo con la missione messianica di Lenin.

Attraverso l’influenza di Bokii, l’OGPU voleva sponsorizzare il ritorno di Roerich  in Asia Centrale per continuare i suoi contatti, ma fu respinto da Chicherin. L’OGPU sponsorizzò comunque due spedizioni a Lhasa, più tardi nel 1926 e nel 1928, guidate da ufficiali mongoli calmucchi travestiti da pellegrini. Lo scopo principale era quello di raccogliere informazioni ed esplorare le possibilità per diffondere ulteriormente il comunismo internazionale in Asia Centrale e per estendere la sfera di potere dell’Unione Sovietica. Così, gli ufficiali calmucchi proposero al Tredicesimo Dalai Lama che, in cambio della sua alleanza, l’Unione Sovietica avrebbe garantito l’indipendenza del Tibet e protetto il paese dai cinesi.

In questo periodo, anche i leader buddisti dell’Unione Sovietica e della Mongolia cercarono di adattare il buddismo al comunismo mostrando le somiglianze tra i due sistemi di credenze. Dal 1922, il tempio buddista di Leningrado [San Pietroburgo] divenne il centro del Movimento di Rinascita della Fede. Guidato da Dorjiev, il movimento era un tentativo di riformare il buddismo per adattarlo alla realtà sovietica, comunitarizzando lo stile di vita dei monaci in accordo al buddismo delle origini. Al Primo Consiglio dei Buddisti dell’URSS di tutta l’Unione nel 1927, Dorjiev sottolineò ulteriormente la somiglianza tra il pensiero buddista e quello comunista nel lavorare per il benessere delle persone. Pertanto, a seguito della prima spedizione dell’OGPU a Lhasa, Dorjiev inviò una lettera al Tredicesimo Dalai Lama in cui elogiava la politica sovietica nei confronti delle nazionalità minoritarie. Diceva che il Budda era in realtà il fondatore del comunismo, che Lenin aveva un’alta opinione del Buddha e che lo spirito del buddismo era sopravvissuto in Lenin. 

Dorjiev cercava ancora una volta di usare la sua influenza per convincere il Dalai Lama a rivolgersi all’Unione Sovietica, come aveva già tentato di fare associando la Russia a Shambhala e lo zar Nicola a Tsongkhapa. La preoccupazione principale di Dorjieev, tuttavia, era senza dubbio la protezione del buddismo nell’Unione Sovietica e nella Repubblica Popolare Mongola. I leader buddisti in Mongolia, come Darva Bandida e il buriato Jamsaranov, seguivano l’esempio di Dorjiev cercando di conciliare il buddismo con il comunismo. Così, Dorjiev creò una Missione Mongolo-Tibetana nel tempio di Leningrado nel 1928, in concomitanza con il suo obiettivo di salvaguardare il buddismo. Nello stesso anno, l’OGPU inviò la sua seconda spedizione a Lhasa.

La Persecuzione Comunista del Buddismo e l’Ascesa del Giappone come Patrono Buddista

Alla fine del 1928, Stalin consolidò il suo controllo sull’Unione Sovietica. Nel 1929 iniziò il suo programma di collettivizzazione e antireligione, estendendolo anche alla popolazione buddista. La Mongolia seguì presto l’esempio, ma attuò la politica di Stalin in un modo ancora più fanatico e aggressivo. Dorjiev informò il Dalai Lama di tutto ciò che accadeva, convincendolo a non fidarsi dei sovietici. Molti monaci in Mongolia si ribellarono alla persecuzione ed istigarono la cosiddetta Guerra di Shambhala del 1930-1932. Stalin inviò l’esercito sovietico nel 1932 per sedare la ribellione e temperare “la deviazione a sinistra” del Partito Comunista Mongolo.

La conquista giapponese della Manciuria e della Mongolia Interna orientale avvenuta all’inizio dello stesso anno e l’istituzione dello Stato fantoccio del Manchukuo, hanno spinto Stalin a prendere questa decisione. Egli temeva che il Giappone avrebbe tentato di radunare al suo fianco i buddisti della Buriazia e della Mongolia Esterna, come parti di un impero buddista. Inoltre, Stalin aveva bisogno della Mongolia come stato cuscinetto tra l’Unione Sovietica e il crescente Impero giapponese. Così, nei due anni successivi Stalin ordinò ai mongoli di allentare il loro programma antireligioso per non spingere la popolazione buddista nel campo giapponese. Nell’ambito della Politica della Nuova Svolta, il Partito Comunista Mongolo permise persino la riapertura di alcuni monasteri. Armato della propaganda di questa sanzione ufficiale del buddismo, l’OGPU progettò un’altra spedizione in Tibet nell’inverno 1933-1934. La spedizione, tuttavia, non ebbe mai luogo perché Stalin cambiò presto idea e assunse gradualmente una posizione più severa nei confronti del buddismo.

Nel 1933, il Giappone ampliò il Manchukuo annettendo Jehol [Chengde] a sud. Jehol era stata la capitale estiva dei manciù, che avevano cercato di farne il centro del buddismo tibetano e mongolo sotto il dominio della dinastia Qing. Alla fine di quell’anno, Stalin chiuse il tempio buddista di San Pietroburgo alle cerimonie pubbliche. La persecuzione di Stalin iniziò seriamente, tuttavia, sia in Unione Sovietica che in Mongolia, quando il suo secondo in comando, Kirov, fu assassinato nel 1934. Questo segnò l’inizio delle Grandi Purghe.

Quando nel 1935 scoppiarono le scaramucce di confine tra il Manchukuo giapponese e la Mongolia Esterna, Stalin effettuò i primi arresti di monaci buddisti a Leningrado. Nel 1937, il Giappone conquistò il resto della Mongolia Interna e la Cina Settentrionale. Per ottenere la fedeltà dei mongoli, i giapponesi proposero di ripristinare il Nono Jebtsundampa, il tradizionale capo politico e religioso dei mongoli, e di istituire uno stato pan-mongolo che avrebbe incluso la Mongolia Interna ed Esterna e la Buriazia. Nel tentativo di convincere i mongoli a passare dalla loro parte, sostennero persino che il Giappone fosse Shambhala. Di fronte all’oppressione comunista, molti monaci in Mongolia e Buriazia diffusero la propaganda giapponese.

Il giornale del Partito Comunista Sovietico Izvestiya incolpò Dorijev di questa tattica e lo accusò di essere una spia giapponese. Stalin fece arrestare Dorjev  nel 1937, fucilare tutti i monaci rimasti al tempio di Leningrado, e chiudere la Missione Mongolo-Tibetana. Dorjiev morì all’inizio del 1938.

Sforzi Cinesi per Conquistare il Tibet e l’Inefficacia Britannica nell’Offrire Protezione 

Tenuti informati da Dorjiev, i tibetani osservarono con attenzione questo periodo di oppressione comunista del buddismo in Unione Sovietica e in Mongolia. Erano anche preoccupati per i disegni cinesi sulla loro terra. Quando il governo nazionalista cinese di Chiang Kai-shek fu inaugurato alla fine del 1928, continuò a rivendicare il Tibet e la Mongolia come parti della Cina. Uno dei suoi primi atti fu quello di istituire la Commisione per gli Affari Mongoli e Tibetani. Inoltre, sostenne la posizione del Nono Panchen Lama nella sua disputa con il governo tibetano. Il Panchen Lama viveva in Cina dal 1924. Insisteva per ottenere una relativa autonomia da Lhasa, l’esenzione dalle tasse, il diritto di avere le proprie forze armate e il permesso di essere scortato in Tibet dai soldati che il governo cinese gli aveva fornito. Il Dalai Lama non accettò le sue richieste.

Tra il 1930 e il 1932,  tibetani e cinesi combatterono per il controllo di alcune parti del Kham. Il Dalai Lama chiese agli inglesi di presentare una petizione alla Cina per un cessate il fuoco e la Gran Bretagna fece delle proposte a Chiang Kai-shek senza alcun risultato. Solo quando il Giappone conquistò la Manciuria e la Mongolia Interna orientale e stabilì il Manchukuo, la Cina dichiarò una tregua nel Kham, in modo da rivolgere la propria attenzione al fronte nordorientale. Ancora una volta, gli inglesi si dimostrarono inefficaci protettori del Tibet, nonostante la Convenzione di Simla del 1914.

Il Tredicesimo Dalai Lama morì nel dicembre del 1933 e Reting Rinpoche divenne il reggente. I cinesi inviarono una delegazione con offerte generose per verificare se il Tibet fosse ora disposto ad unirsi alla Repubblica Cinese. Il governo tibetano declinò l’offerta e riaffermò l’indipendenza del Tibet. Uno dei ministri tibetani raccomandò di chiedere l’assistenza militare giapponese per tenere a bada i cinesi, ma L’Assemblea Nazionale ignorò il suggerimento per il momento.

Il reggente Reting era disposto a scendere a compromessi su alcune delle richieste del Panchen Lama, ma si rifiutò di concedere la scorta cinese. Quando chiese agli inglesi un aiuto militare nel caso in cui le forze cinesi fossero arrivate comunque, gli inglesi rifiutarono. Avrebbero solo chiesto ai cinesi di ritirare le truppe, e Chiang Kai-shek rifiutò.

All’inizio del 1936, il Panchen Lama partì per il Tibet con la sua scorta militare cinese. I combattimenti tra le forze nazionaliste e gli insorti comunisti cinesi durante la Lunga Marcia gli impedirono di avanzare attraverso il Kham. Nei mesi successivi si svolsero complessi negoziati tra i governi tibetano, cinese e britannico sul caso del Panchen Lama. Alla fine, Reting accettò di concedere la  scorta cinese a patto che gli inglesi garantissero che le truppe cinesi  sarebbero partite attraverso l’India subito dopo il loro arrivo. La Cina si oppose fermamente all’idea di una garanzia straniera e gli inglesi esitarono. Ne seguì una situazione di stallo.

Nel 1937, il Giappone conquistò il resto della Mongolia Interna e la Cina settentrionale. Impegnata a fondo nella guerra con il Giappone, la Cina suggerì al Panchen Lama di attendere in territorio controllato dai cinesi, cosa che fece. Alla fine dello stesso anno, il Panchen Lama si ammalò e morì, ponendo così fine all’incidente. Tuttavia, il suo lascito al governo tibetano è stato una profonda sfiducia nei confronti dei cinesi e la convinzione che la Gran Bretagna fosse una fonte di sostegno totalmente inaffidabile.

Rinnovato Interesse Tibetano per il Giappone e Contatto con la Germania Nazista

Hitler divenne cancelliere della Germania nel 1933, lo stesso anno della morte del Tredicesimo Dalai Lama. Di fronte alle scaramucce di confine tra il Manchukuo e la Mongolia Esterna e allo stazionamento di truppe sovietiche in quest’ultima, il Giappone firmò il Patto Anticomintern con la Germania nel novembre del 1936. Il Patto dichiarava la reciproca ostilità nei confronti della diffusione del comunismo internazionale. I due paesi concordarono che nessuno dei due avrebbe stipulato un trattato politico con l’Unione Sovietica e che, in caso di attacco da parte dei sovietici, si sarebbero consultati sulle misure da adottare per salvaguardare i propri interessi.

Nel 1937, il Giappone conquistò la metà occidentale della Mongolia Interna e la Cina settentrionale. Nello stesso anno la Germania annette l’Austria e parte della Cecoslovacchia. Con le purghe staliniane al culmine, le intenzioni cinesi di una presenza militare in Tibet come preludio all’annessione e la diffidenza britannica a offrire un aiuto sostanziale, il Tibet guardò ancora una volta altrove per ottenere assistenza e protezione militare. L’alternativa più ragionevole era il Giappone. Così, nel 1938, il governo tibetano, controllato ora unicamente dal reggente Reting, riprese i contatti.

Molti tibetani ammiravano il Giappone come nazione buddista divenuta una potenza mondiale e nuovo patrono del buddismo, soprattutto nella Mongolia Interna. Inoltre, i giapponesi avevano contribuito ad addestrare l’esercito tibetano 20 anni prima; i manuali dell’esercito erano traduzioni dal giapponese. Il Giappone, a sua volta, aveva un interesse strategico per il Tibet. Nella sua espansione della Grande Sfera di Coprosperità dell’Asia Orientale, vedeva nel Tibet un utile e necessario cuscinetto contro l’India britannica. Questo si adattava bene al desiderio dei tibetani di rimanere indipendenti dalla Cina.

La Spedizione Nazista in Tibet

A causa del Patto Anticomintern nippo-tedesco, anche il Tibet pensò di prendere contatti ufficiali con il governo tedesco. La decisione non aveva nulla a che fare con il sostegno all’ideologia o alla politica nazista, ma era dovuta a necessità pratiche e alle vicissitudini dei tempi. Il governo conservatore tibetano, tuttavia, procedette con cautela. Invitò una delegazione esplorativa del governo nazista a visitare il Tibet per la celebrazione del Losar [Capodanno], il che portò alla Terza Spedizione del Tibet di Ernst Schäffer nel 1938-1939. Gli inglesi si opposero, ma i tibetani ignorano la protesta.

Schäffer era un cacciatore e biologo. Le sue due spedizioni precedenti in Tibet, nel 1931-1932 e nel 1934-1936, erano state effettuate a scopo sportivo e di ricerca zoologica. Questa terza spedizione, tuttavia, fu inviata dall’Anhenerbe [Ufficio per lo Studio del Patrimonio Ancestrale]. I tedeschi non erano interessati ad offrire assistenza o protezione militare al Tibet. Questo è evidente dalla scelta dei membri della delegazione. Oltre a Schäffer, la squadra comprendeva un antropologo, un geofisico, un regista e un responsabile tecnico. La sua missione principale sembra essere stata quella di misurare i crani dei tibetani per stabilire che fossero antenati degli ariani e quindi  accettabili come razza intermedia tra i tedeschi e i giapponesi. 

Secondo fonti occulte naziste la spedizione cercava anche sostegno alla causa nazista da parte dei maestri di Shambhala, custodi di poteri psichici segreti. Shambhala rifutò di aiutare, ma i maestri occulti del regno sotterraneo di Agharti acconsentirono e migliaia di tibetani si recarono in Germania. Queste affermazioni, tuttavia, non sembrano essere un dato di fatto. Sebbene i tedeschi abbiano riportato con loro numerosi crani per ulteriori studi, nessuno dei loro rapporti indica che qualche tibetano li abbia accompagnati in Germania. Inoltre, non seguirono altre spedizioni tedesche.

Sviluppi Successivi alla Spedizione Schäffer

A pochi mesi dalla Spedizione Schäffer, il panorama politico e militare cambiò radicalmente. Nel maggio del 1939, il Giappone invase la Mongolia Esterna, dove affrontò la dura resistenza dell’esercito sovietico. Mentre la battaglia infuriava ancora in Mongolia, nell’agosto del 1939 Hitler ruppe il Patto Anticomintern con il Giappone e firmò il Patto Nazi-Sovietico per evitare la guerra su due fronti europei. Il mese successivo invase la Polonia, più o meno nello stesso momento in cui il Giappone fu sconfitto in Mongolia. Gli eventi dimostrarono ai tibetani che né il Giappone né la Germania erano una fonte affidabile di protezione contro i sovietici. Inoltre, poiché il Giappone stava facendo pochi progressi nella conquista del resto della Cina, rivolse invece la sua attenzione all’Indocina e al Pacifico. Il Giappone non appariva più come un protettore contro i cinesi. Così, al Tibet non rimase altra scelta che la Gran Bretagna e la debole protezione offerta dalla Convenzione di Simla.

Nel settembre del 1940, Germania, Giappone e Italia firmarono un’alleanza militare ed economica. Nel giugno del 1941, Hitler ruppe il patto con Stalin e attaccò l’Unione Sovietica. Nessuno dei due eventi, tuttavia, spinse i tibetani a riconsiderare la ricerca di protezione dalle potenze dell’Asse. Il Tibet rimase neutrale durante la Seconda Guerra Mondiale.

L’interesse del Giappone per il Tibet, tuttavia, continuò e si rafforzò ulteriormente dopo l’invasione della Birmania all’inizio del 1942. Progettando di entrare in Tibet attraverso l’Alta Birmania, il governo imperiale giapponese organizzò un Ufficio per la Grande Asia. Come consulente per gli affari tibetani il governo nominò Aoki Bunkyo, che vent’anni prima aveva tradotto in tibetano i manuali dell’esercito giapponese. Sotto la sua guida, i giapponesi prepararono mappe e dizionari tibeto-giapponesi. Stamparono persino moneta tibetana in previsione dell’inclusione del Tibet nella Sfera di Coprosperità. Con la sconfitta del Giappone nel 1945, tuttavia, i giapponesi non furono mai in grado di attuare i loro piani per il Tibet.

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