Eliminare la confusione sullo scopo della pratica buddhista nella nostra vita
Mi è stato chiesto di parlare della rilevanza del rifugio nella vita di tutti i giorni, e per questo motivo mi viene in mente l’esempio di Atisha, il grande maestro indiano che andò in Tibet alla fine del decimo secolo. Egli fu uno dei grandi maestri che contribuirono a rivitalizzare il Buddhismo in Tibet dopo il declino avvenuto in seguito alla sua prima introduzione dall’India. A quell’epoca in Tibet si erano diffusi molti malintesi, in particolar modo riguardo al tantra e ad alcuni degli insegnamenti più avanzati. Non c’erano maestri veramente qualificati. In effetti, non c’erano proprio maestri in grado di spiegare le cose in maniera più chiara. Nonostante un certo numero di testi fosse già stato tradotto, ovviamente molte persone non erano in grado di leggere ed esistevano soltanto pochi esemplari dei testi. E anche se erano in grado di leggere, era molto difficile trovare delle spiegazioni su ciò che stavano leggendo.
Per risolvere questa situazione, uno dei re del Tibet occidentale mandò alcuni suoi studenti dotati di grande coraggio in India, per invitare un grande maestro buddhista a ritornare con loro in Tibet. Dovettero fare un lungo viaggio a piedi, apprendere le lingue ed affrontare il clima. Molti di loro morirono durante il viaggio o una volta arrivati in India. Ma ad ogni modo riuscirono ad invitare Atisha, il grande maestro indiano, a tornare con loro in Tibet. Quello che insegnò nei molti anni in cui rimase lì fu principalmente il rifugio e il karma. Infatti era conosciuto come il “Lama del rifugio e del karma”: i tibetani gli diedero questo nome.
L’esempio di Atisha è molto significativo ai giorni nostri. Anche in questi tempi c’è molta confusione sul Buddhismo e sul significato della sua pratica a livello quotidiano. Ci sono di nuovo molti malintesi sul tantra e su altri insegnamenti avanzati. Le persone si buttano in queste pratiche con poca o nessuna base negli insegnamenti buddhisti fondamentali. Pensano che compiere un rito per certi versi magico sia il significato della pratica del Buddhismo. Banalizzando la rilevanza e l’importanza del rifugio e la differenza che fa nella nostra vita quotidiana, queste persone non colgono il punto.
A prescindere da quale possa essere la nostra situazione nella vita, la pratica buddhista è fatta per lavorare su noi stessi, per cercare di diventare persone migliori. Non è qualcosa che facciamo solamente nei ritagli di tempo, come un hobby o uno sport, magari mezz’ora al giorno o una volta a settimana dopo il lavoro per una breve sessione quando siamo molto stanchi. Al contrario, è qualcosa di pratico che cerchiamo di fare tutto il tempo – lavoriamo continuamente su noi stessi. Questo significa riconoscere sia i nostri limiti che le nostre buone qualità, e poi imparare metodi per indebolire i primi e rafforzare le seconde. Lo scopo finale è di riuscire a liberarci da tutti i nostri difetti e a realizzare in pieno tutte le nostre buone qualità. Questo non è soltanto per il nostro beneficio personale, anche se certamente ne possiamo beneficiare in termini di una maggiore felicità nella nostra vita. Questo è anche per essere più efficaci nell’aiutare gli altri e quindi è anche per il beneficio altrui. La pratica buddhista è tutta qui. Ciò che la rende specificamente buddhista sono i metodi che usiamo per riuscire a raggiungere questi obiettivi, e il rifugio significa che ci rivolgiamo a questi metodi e li adottiamo nella nostra vita.
Il rifugio non è passivo
Il rifugio nei tre Gioielli – i Buddha, il Dharma e il Sangha – è il fondamento di tutti gli insegnamenti buddhisti. In effetti, prendere rifugio è identificato come la linea di separazione tra l’essere un buddhista o no. In breve, il Dharma indica i metodi per lavorare su noi stessi e l’obiettivo che noi tutti possiamo raggiungere. I Buddha sono coloro che hanno insegnato questi metodi e raggiunto appieno questo obiettivo. E il Sangha sono coloro che lo hanno raggiunto in parte. La parola “Dharma”, infatti, significa “misure preventive” – passi che intraprendiamo per evitare di creare problemi a noi stessi ed eventualmente anche agli altri. Sono passi che intraprendiamo per proteggere noi stessi.
Sebbene il termine originale sanscrito sharana, che viene generalmente tradotto come “rifugio”, significhi “protezione” e possa anche essere usato per indicare un “riparo”, dobbiamo capire il significato in maniera corretta. La connotazione corrisponde al significato di Dharma. Non è che dobbiamo semplicemente abbandonarci passivamente a qualche risorsa esterna che ci darà protezione. Nel contesto buddhista “prendere rifugio” è qualcosa di molto attivo; dobbiamo fare qualcosa per proteggere noi stessi.
Considerate questo esempio che i miei maestri usavano spesso. Immaginiamo che stia piovendo e nelle nostre vicinanze ci sia una grotta. Se ci limitassimo a dire “Prendo rifugio in questa grotta; andrò al riparo in questa grotta”, ma rimanessimo fuori dalla grotta sotto la pioggia, continuando a ripetere questa frase, non ci sarebbe di nessun aiuto. Dobbiamo effettivamente entrare nella grotta. Allo stesso modo, se diciamo semplicemente “Prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha e cerco riparo in loro”, senza effettivamente muoverci nella loro direzione né includerli nella nostra vita, questo non ci sarà di aiuto. Dobbiamo implementare ciò che essi rappresentano, in modo da metterci al riparo dai problemi. Per questo motivo in genere uso i termini “direzione sicura” e “dare una direzione sicura alla nostra vita”.
Per restare all’esempio della grotta, non basta semplicemente entrare nella grotta e restare lì, sperando che semplicemente lo stare lì dentro non solo ci eviti di bagnarci sotto la pioggia, ma ci salvi anche in qualche modo da tutti i nostri problemi nella vita e. Il punto è che dobbiamo continuamente lavorare su noi stessi per cercare di avvicinarci all’ideale rappresentato dal Buddha, dal Dharma e dal Sangha. Quando pensiamo che basti andare sotto il riparo del Buddha, del Dharma e del Sangha, allora è molto facile confondere tutto ciò con il concetto cristiano di un salvatore personale e pensare che il Buddha in qualche modo ci salverà. In questo caso, Buddha sarebbe come Dio e il Sangha come i santi. In fondo, la maggior parte delle società occidentali ha alla base influenze cristiane. Con questo modo di pensare, preghiamo che un qualche potere trascendente possa salvarci miracolosamente. Per usare la terminologia buddhista, ci libererebbe miracolosamente da tutti i nostri problemi e da tutta la nostra sofferenza.
Se questo fosse il caso, tutto quello che dovremmo fare è assumere un nome buddhista in tibetano, portare un laccetto rosso, recitare le parole magiche di un mantra, pregare tanto, e in qualche modo verremmo salvati. Specialmente se recitiamo le preghiere e le pratiche in tibetano, senza comprenderne una parola, allora potremmo pensare che abbiano un potere mistico ancora più grande. Dzongsar Khyentse Rinpoche, un grandissimo lama, è stato recentemente a Berlino, dove vivo. In quell’occasione disse alcune cose davvero molto profonde. Disse che se i tibetani dovessero recitare tutte le loro pratiche in tedesco, traslitterandole in caratteri tibetani e senza avere alcuna idea di quello che significano, lui non saprebbe dire quanti tibetani praticherebbero il Buddhismo. Ovviamente tutti scoppiarono a ridere. Ma se ci pensiamo bene, è un esempio davvero profondo, non credete? È molto importante abbandonare qualsiasi tendenza che potremmo avere nel vedere il rifugio come qualcosa che possa offrire una soluzione magica, mistica per tutti i nostri problemi e che l’unica cosa che dobbiamo fare sia, per certi versi, abbandonarci ad un potere più grande di noi.
La vera questione che dobbiamo affrontare a questo punto è: “Cosa sto facendo con la mia vita?”, “In che direzione sta andando la mia vita?”. Molti di noi forse sono giunti alla conclusione che la loro vita non stia andando da nessuna parte: sembra che si muova in tondo. Non c’è bisogno di parlare di un ciclo più profondo in termini di rinascita e così via, ma semplicemente la nostra vita quotidiana sembra non andare da nessuna parte, sembra inutile. Per quale motivo in realtà siamo vivi? È molto triste sentirsi così, no? Non è uno stato felice. Quindi dobbiamo avere una certa direzione significativa nella nostra vita, una specie di scopo o finalità. E questo è qualcosa che dobbiamo costruire da soli nella nostra vita. È un processo attivo. Con un certo scopo o finalità significativi nella nostra vita, allora in qualche modo sappiamo ciò che stiamo facendo. Ci fa sentire un po’ più al sicuro, più tranquilli, no?
Avere un obiettivo significativo nella vita
Che tipo di finalità potremmo dare alla nostra vita? Generalmente definiamo tale finalità in termini di una situazione insoddisfacente in cui attualmente ci troviamo e da cui vogliamo in qualche modo uscire, appunto dandoci questo obiettivo nella vita. Al livello più fondamentale, possiamo dire che tutti vogliono essere felici e nessuno vuole essere infelice. Questo è una specie di assioma del Buddhismo e certamente c’è del vero in questo a livello biologico. Vogliamo evitare il dolore. Vogliamo evitare la sofferenza. Vogliamo evitare le difficoltà. Lo vogliono anche gli insetti e i vermi, giusto? Questo è il nostro obiettivo.
La questione è di quanta sofferenza o insoddisfazione stiamo parlando? L’obiettivo che desideriamo raggiungere risolverà soltanto questo problema oppure anche tutti gli altri problemi che abbiamo? Per esempio, il nostro problema potrebbe essere il fatto che siamo poveri, in difficoltà economiche e quindi il nostro obiettivo è trovare un buon lavoro e guadagnare molti soldi. E se non troviamo un buon lavoro, potremmo diventare dei buoni criminali e arricchirci in fretta. Non importa come, in qualche modo vogliamo fare un sacco di soldi. Ma se esaminiamo alcune persone molto ricche e parliamo con loro sinceramente, se ci rispondono con onestà, scopriremo che non sono necessariamente felici. Non hanno mai abbastanza soldi. Non importa quanti milioni possano avere, ne vogliono sempre di più. Non sono mai soddisfatte.
Trovo che sia una cosa davvero interessante. Per esempio ci sono persone che una volta avevano un miliardo di dollari, ma che a causa dell’attuale crisi economica nel mondo ora si ritrovano soltanto con mezzo miliardo di dollari. Non fanno più alcuna donazione o non partecipano più in alcuna attività filantropica, perché ora hanno soltanto mezzo miliardo e si sentono insicure. Pensano che ora devono risparmiare e che prima di condividere la loro ricchezza con qualcuno devono tornare ad avere di nuovo un miliardo. Controllano in continuazione l’andamento della borsa e si preoccupano tutti i giorni del fatto che potrebbero perdere un altro po’ dei soldi che hanno. Potrebbero anche arrivare ad ingaggiare delle guardie di sicurezza privata o altri metodi antifurto di questo genere, per paura che qualcuno possa rapinarli o rapire i loro figli. Queste cose sono molto comuni tra la gente ricca dell’America latina. Inoltre, hanno la sensazione che la gente sia gentile con loro soltanto perché vogliono avere i loro soldi. Hanno sempre il sospetto che chiunque sia gentile con loro lo faccia solo per i loro soldi. Ovviamente, anche se non hanno il problema della povertà, certamente ci sono altri tipi di problemi che derivano dall’avere molti soldi.
Gli obiettivi mondani hanno un fondamento instabile
Oltre al denaro, nel Buddhismo vengono menzionati molti altri obiettivi cosiddetti “mondani”. Tuttavia la parola “mondano” ha una connotazione negativa in inglese [e in italiano, N.d.R], e sembra quasi implicare una critica. Il punto non è questo. Il mio maestro, Serkong Rinpoche, ha spiegato che le due sillabe del termine tibetano tradotto come “mondano” – jig ten – ne rivelano il significato effettivo. Esse indicano qualcosa che ha una base (ten) che si disintegrerà (jig). Se puntiamo verso un obiettivo che si sgretolerà, è chiaro che non potrà darci una felicità duratura. Ci porterà soltanto ulteriori problemi, perché non ha un fondamento solido.
Per esempio, immaginiamo che il nostro obiettivo nella vita sia quello di avere una famiglia meravigliosa e di avere molti figli, partendo dal presupposto che si prenderanno cura di noi quando saremo vecchi, e che quindi saremo così felici e sicuri. Beh, le cose non vanno sempre in questa maniera ideale, vero? Un altro esempio è il voler essere famosi. Più diventeremo famosi e più ci saranno persone che ci importunano e che vogliono il nostro tempo. Possiamo esaminare le stelle del cinema, che non possono neanche uscire di casa senza indossare un qualche travestimento perché la gente li assale per strappare un pezzetto dei loro vestiti e cose del genere. In realtà essere una superstar è una vita d’inferno.
Se consideriamo la nostra vita seriamente, vedremo che l’avere una situazione materiale più o meno confortevole, oppure avere un’intesa con le persone intorno a noi che ci dia conforto emotivo non vadano sufficientemente in profondità da permetterci di superare tutti i nostri problemi nella vita. Questo perché quando abbiamo ancora dentro di noi rabbia, attaccamento, avarizia, gelosia, arroganza, ingenuità e tutte queste cose, continueremo ad avere problemi, a prescindere dal successo che abbiamo in questo cosiddetto ambito “mondano”.
Le emozioni disturbanti
Il Buddhismo ragiona in termini di vite future, e ci illustra tutte le orribili sofferenze che potrebbero capitarci nelle nostre vite future quando abbiamo le cosiddette “emozioni disturbanti”, e agiamo in maniera compulsiva a causa di queste ultime, accumulando potenziale negativo. La presentazione buddhista spiega molto chiaramente che questo è terribile e va evitato se sappiamo ciò che ci fa bene, perché il potenziale negativo procura problemi e infelicità.
Ma siccome la maggior parte degli occidentali non crede alle vite future o perlomeno non ne è convinta, possiamo presentare questo aspetto anche solo in termini di questa vita attuale. Se osserviamo la nostra vita in questo momento, se la esaminiamo con attenzione, scopriamo che la fonte reale dei nostri problemi emotivi proviene da dentro di noi. I fattori esterni sono soltanto le circostanze che li innescano. Di fatto, sono le nostre emozioni disturbanti – la rabbia, l’attaccamento, l’avarizia e così via – che ci rubano la pace mentale e la felicità. Sono loro che ci impediscono di usare qualunque buona qualità che abbiamo. Forse vogliamo aiutare qualcuno, e questo è una buona qualità, ma poi finiamo per arrabbiarci con questa persona. Cerchiamo di dare dei buoni consigli, ma l’altra persona non li accetta oppure si mette a discutere con noi e così perdiamo la pazienza. Queste emozioni disturbanti non ci consentono di aiutare realmente nessuno.
Questo è particolarmente difficile quando si tratta dei nostri figli, quando perdiamo la pazienza e ci arrabbiamo con loro pensando di sapere quale sia la cosa migliore per loro ma loro non fanno quello che gli diciamo. Questo crea una relazione molto difficile con i nostri figli, no? Il punto è di capire che se non facciamo qualcosa, la situazione non farà altro che peggiorare. Forse invecchiando diventeremo un po’ più tranquilli, perché non abbiamo più così tanta energia, ma ciò non significa che la nostra rabbia e questo tipo di cose se ne vadano da sole. Non passano con il tempo.
Il termine usato nel Buddhismo per indicare ciò che dobbiamo sviluppare in merito a queste prospettive future è “paura”. Ma “paura” è una parola difficile nella maggior parte delle nostre lingue. Non ha una buona reputazione. A volte preferisco la parola “timore”, ma non è così facile da tradurre in altre lingue. “Timore” ha il più il senso di “Davvero non voglio che questo accada”. Per esempio, dobbiamo andare ad una riunione di lavoro veramente noiosa. Non è che abbiamo paura della riunione, ma abbiamo timore di andarci. Davvero non ne abbiamo voglia.
Ma per essere più precisi, dobbiamo distinguere due tipi di paura, sia che stiamo parlando della paura di un’orrenda rinascita in futuro, della paura di una vecchiaia insopportabile o della paura di qualunque cosa. C’è il tipo di paura in cui non vediamo alcuna via d’uscita e ci sentiamo inermi e disperati. Questo ci fa sentire come paralizzati, vero? Penso che sia un tipo malsano di paura, anche se la sperimentiamo spesso. Invece il tipo di paura che viene discusso nel contesto del rifugio ha una connotazione di paura decisamente diversa, perché vediamo che esiste un modo per evitare i problemi. Quindi, la situazione non è disperata e non siamo affatto inermi. Ma come ho detto prima, non è che ci sia qualche essere o potere trascendente che ci salvi dalla nostra spaventosa situazione, o che possiamo soltanto pregare a sufficienza per venire liberati e salvati dalla nostra paura.
Il punto è che in un certo senso possiamo proteggerci da soli. Cos’è che ci permetterà di evitare tutti i problemi che affrontiamo nella vita? Cosa lo rende possibile? Nella prospettiva più ampia, è il fatto che tutte queste emozioni disturbanti che ci causano problemi – la nostra rabbia, avarizia, attaccamento, eccetera – sorgono tutte dalla confusione riguardo alla realtà. Tutte queste emozioni disturbanti non sono effettivamente una caratteristica innata della mente. Possono venire rimosse per sempre, in modo tale che non tornino mai più. Il Gioiello del Dharma indica che possono essere “veramente fermate”.
La mente o l’attività mentale
Quando nel Buddhismo parliamo della mente, senza entrare troppo in dettaglio, parliamo di attività mentale. È l’attività mentale individuale, che avviene momento per momento, anche mentre dormiamo. La mente si riferisce all’aspetto esperienziale soggettivo di questa attività mentale, mentre la neuroscienza ne descrive la base fisiologica. In entrambi i casi, la natura fondamentale di questa attività mentale non è necessariamente confusa o arrabbiata o cose del genere. Fondamentalmente, quello che avviene in ogni momento è la creazione di ciò che potremmo descrivere come un ologramma mentale. Per esempio, da un punto di vista fisico, i fotoni entrano negli occhi e vengono trasformati in una sorta di impulso elettrico che arriva al cervello attraverso dei neurotrasmettitori, e il cervello in qualche modo crea un ologramma interno. Questo viene detto “vedere” qualcosa, giusto? Ovviamente c’è una bella differenza a seconda che questo avvenga attraverso le cellule di un occhio umano o attraverso le cellule dell’occhio di un ragno o di una mosca. Allo stesso modo, attraverso un processo simile che coinvolge le vibrazioni che chiamiamo “onde sonore”, facciamo l’esperienza dell’udito. Gli ologrammi mentali possono riferirsi ad ognuno dei nostri sensi o anche soltanto al pensiero.
In termini della vista, il processo non è uguale a quello in cui i fotoni entrano in un obiettivo, vengono trasformati in una sorta di impulsi elettrici e poi ne viene fuori una fotografia. Non è lo stesso perché il sorgere di un ologramma mentale di qualcosa è anche una sorta di “coinvolgimento cognitivo” con esso. Sia che siamo consci o inconsci, consapevoli o inconsapevoli di qualcosa, in ogni caso è una certa caratteristica cognitiva.
L’attività mentale non è neanche lo stesso tipo di attività di un computer. Premiamo questi piccoli tasti e viene inviato qualche impulso elettrico ad una macchina che poi traduce questo input in un’immagine che appare su uno schermo o in un suono di un altoparlante. Potremmo dire che il computer, in un certo senso, possiede una qualche consapevolezza cognitiva, perché attraverso l’intelligenza artificiale esso elabora informazioni. Ma un computer non è proprio la stessa cosa di un essere vivente. Ciò che ci differenzia rispetto a un computer è che, in aggiunta a quello che abbiamo detto, noi sperimentiamo un certo livello di felicità o infelicità associato alla nostra attività mentale. Un computer no. Un computer non si sente felice o infelice riguardo a nulla. Non pensa: “Oddio, ho appena avuto un errore interno e quando mi sono riavviato, ho cancellato il file su cui stavo lavorando” e si sente triste per questo. Non è così, giusto? D’altro canto, noi potremmo rattristarci molto se ci capitasse una cosa del genere.
Questa attività mentale che avviene ad ogni istante è quello che accade in ogni singolo momento della nostra vita. C’è una certa comparsa di un ologramma mentale, una sorta di coinvolgimento mentale con esso e una certa sensazione di felicità o infelicità. Anche mentre dormiamo, può esserci l’ologramma dell’oscurità e il coinvolgimento consiste nella nostra mancanza di consapevolezza. Ma comunque c’è ancora un po’ di consapevolezza, altrimenti non potremmo mai sentire la sveglia. Non siamo del tutto spenti. C’è una specie di sensazione, fosse anche una sensazione neutra, né felice né infelice, quando non stiamo sognando. Se stiamo sognando, ovviamente potrebbe esserci qualche sensazione di felicità o infelicità, insieme a rabbia, avarizia e tutte queste cose. Ma queste emozioni disturbanti non sono una parte necessaria di tutto questo processo che avviene in ogni momento.
Ovviamente, ci sono tante linee di ragionamento molto complicate che possiamo analizzare per convincerci sempre di più della fondamentale purezza della nostra attività mentale. Non è questa l’occasione per farlo. Ma più ci pensiamo su e più ci convinceremo che è possibile eliminare tutto il contenuto disturbante dalla nostra attività mentale.
In fin dei conti, la definizione di un’emozione disturbante è qualcosa che, quando sorge, ci fa perdere la pace mentale e l’autocontrollo. Di conseguenza, agiamo compulsivamente in modo disturbante a causa della rabbia, dell’avarizia e così via, e questo crea solo molti problemi. Per esempio, perdiamo il controllo e ci mettiamo a gridare contro qualcuno, dicendo cose senza pensarci bene e poi più tardi ci pentiamo veramente per quello che abbiamo detto. Ciononostante, questo accumula il cosiddetto “potenziale negativo” per sentirsi infelici in seguito.
Se in futuro vogliamo veramente evitare problemi ad un livello più profondo, dobbiamo eliminare tutte queste emozioni disturbanti e tutta la confusione. È davvero possibile liberarsene perché non fanno parte della natura innata della nostra mente, questa attività mentale. Inoltre, se pensiamo ancora un po’ a questo tipo di attività mentale che abbiamo ad ogni istante, una delle sue caratteristiche straordinarie è quella di essere in grado di comprendere le cose. Siamo in grado di comprendere qualcosa. Possiamo anche avere altre qualità positive, come l’amore, la compassione e così via. Queste qualità positive possono essere sviluppate sempre di più.
Ora, dov’è la differenza? Gli aspetti disturbanti si basano sulla confusione. Gli aspetti positivi come il comprendere le cose si basano su ciò che è la realtà. Per fare un esempio molto semplice, la confusione potrebbe [farci] pensare: “Sono il centro dell’universo. Sono la persona più importante di tutte. Le cose dovrebbero sempre andare a modo mio. Dovrei essere sempre al centro dell’attenzione” e così via. Quindi, nel momento in cui non siamo al centro dell’attenzione e se le cose non vanno a modo nostro, ci arrabbiamo. Come un cane, abbaiamo o ringhiamo alle altre persone: “Non hai fatto le cose come volevo io”. Tutto questo si basa sulla confusione. La verità è che siamo tutti qui e siamo tutti uguali. Tutti vogliono che le cose vadano a modo loro, ma non è possibile. La realtà è che in qualche modo dobbiamo imparare a vivere con tutti.
Veri arresti
Più analizziamo, più possiamo vedere che la nostra confusione semplicemente non regge. È falsa. D’altro canto, la corretta comprensione è qualcosa di verificabile. È vera. Per questo motivo, la comprensione è più forte e può prevalere sulla confusione. Se, con concentrazione e disciplina, potessimo avere una corretta comprensione della realtà tutto il tempo, allora la confusione non avrebbe mai più il modo di sorgere. Sarebbe finita.
Questo è il punto centrale del rifugio. Che tipo di direzione stiamo dando alla nostra vita? Che tipo di significato? Che tipo di obiettivo stiamo cercando di raggiungere? L’obiettivo è di raggiungere un “vero arresto” di tutta questa confusione, di liberarcene in modo che non possa sorgere mai più. Questa confusione è la vera causa dei nostri problemi, sia che consideriamo questa vita presente o le vite future. È possibile eliminarla completamente, per sempre, perché non è una caratteristica innata della nostra attività mentale. Ce ne possiamo liberare sostituendola con la corretta comprensione. Privi di confusione, non avremo mai più emozioni disturbanti e non causeremo mai più problemi e sofferenze a noi stessi.
Ci sono due aspetti legati a ciò: uno è che possiamo liberarci di tutto questo lato disturbante per sempre, mentre l’altro è che possiamo aumentare e sviluppare il lato positivo. Il lato positivo è la comprensione corretta. Possiamo inserire tutto questo nel contesto di quelle che normalmente vengono tradotte come le “Quattro Nobili Verità”, ovvero il tema o la struttura principale dell’insegnamento del Buddha. La prima verità è che sperimentiamo vera sofferenza, in riferimento a tutti i numerosi problemi che abbiamo. Poi ci sono le vere cause, e questa è la nostra confusione. La terza afferma che è possibile raggiungere un vero arresto di tutto questo in maniera che non sorga mai più. Infine, possiamo raggiungere questo vero arresto tramite quello che viene chiamato un “vero sentiero”. Ma quando usiamo questa parola, “sentiero”, dobbiamo capirla nel senso di “un modo di comprendere che agisca da sentiero”. È la comprensione che determinerà il vero arresto, ed è la comprensione che deriverà dall’essersi liberati di tutte le componenti disturbanti.
Chiaramente questa è la direzione che vogliamo dare alla nostra vita – la direzione che ci porta ai veri arresti e alle vere menti-sentiero. Questo è il rifugio del Dharma. Quando diciamo che stiamo lavorando su noi stessi, usiamo questa terminologia per indicarlo.
Cerchiamo di liberarci sempre di più del lato disturbante e a mano a mano realizziamo sempre di più i nostri potenziali per il lato positivo. E lo facciamo perché abbiamo paura, in senso sano, che se continuiamo ad andare avanti come ora, anche se avessimo un sacco di soldi, tanti amici e diventassimo incredibilmente famosi, ciononostante continueremmo ad avere problemi. Questo perché saremmo ancora avidi e insicuri. Continueremmo ancora ad arrabbiarci e così via. Ne abbiamo paura, ma allo stesso tempo vediamo che esiste un modo per evitarlo. È come se avessimo paura di bruciarci con il fuoco, ma notassimo che se facciamo attenzione, possiamo evitare di farci male. C’è paura, ma è una paura sana. Non stiamo parlando della paranoia.
Vediamo che se continuiamo ad arrabbiarci e urlare, specialmente con i nostri parenti e amici, cosa ci succederà quando invecchiamo? Saremo dei vecchi soli, con nessuno che li vada a trovare o voglia prendersi cura di loro, perché è così fastidioso stare con noi. Non facciamo altro che lamentarci e urlare alle persone, quindi chi vorrà stare con noi? Nessuno. La soluzione non è semplicemente fare un sacco di figli che si sentiranno in obbligo di prendersi cura di noi o avere abbastanza soldi sul conto in banca da poter vivere in una bella casa di riposo, perché in ogni caso continueremo ad essere tristi. Quello che dobbiamo veramente fare è lavorare sulla nostra personalità, per dirlo in maniera chiara.
Chiunque può cambiare
Quante volte pensiamo che la nostra personalità non si possa cambiare e che questo sia semplicemente il nostro modo di essere? “Ho un brutto carattere e farete bene a farvene una ragione”. Non funziona in questo modo, no? È possibile liberarsi di tutti questi aspetti disturbanti e realizzare tutte le nostre buone qualità. Con un sano senso di paura per quello che potrebbe accadere se non lavorassimo su noi stessi, e inoltre con la fiducia che sia possibile liberarsi di questi aspetti disturbanti e aumentare e rafforzare i lati positivi, in questo modo diamo una direzione sicura alla nostra vita.
Se vogliamo fare questo alla maniera del cosiddetto Veicolo Vasto “Mahayana”, allora aggiungeremo la compassione a tutto ciò. Fondamentalmente, la posizione Mahayana è che non possiamo essere di alcun aiuto per nessuno se ci arrabbiamo con gli altri. Vogliamo veramente essere in grado di aiutare gli altri, e abbiamo veramente paura di rovinare tutto arrabbiandoci con gli altri, o provando attaccamento o gelosia e così via. Dobbiamo liberarci di tutte queste emozioni disturbanti e della confusione per essere in grado di aiutare gli altri nel migliore dei modi. È questa sensazione per cui vorremmo davvero essere in grado di aiutare gli altri, ma abbiamo paura che non riusciremo a fare più di tanto. Non abbiamo abbastanza pazienza o non abbiamo abbastanza comprensione. Abbiamo paura di fare più male che bene. Forse abbiamo persino paura che falliremo nell’educare i nostri figli. Sarebbe orrendo, no? È questa paura che ci spinge a dare questa direzione sicura e sana alla nostra vita, lavorando su noi stessi.
Effettivamente questo lavoro di Dharma è molto rilevante per la nostra vita di tutti i giorni. In termini di rifugio, si tratta di essere molto onesti riguardo alla nostra situazione e ai nostri problemi. Tutti noi li abbiamo. Tutti noi abbiamo queste emozioni disturbanti. Non è nulla di speciale. Forse per qualcuno sono più forti che per altri, considerando tutti le varianti possibili, ma tutti noi abbiamo queste difficoltà emotive. Non stiamo parlando di qualcuno che ha gravi problemi psicologici. Stiamo parlando di ciò che la maggior parte delle persone considererebbe normale. Ma il pericolo è che consideriamo normale il fatto che a volte ci arrabbiamo, che a volte siamo avidi, egoisti e gelosi e così via. Pensiamo che sia normale e che vada bene così. Beh, non va bene, perché produce problemi, sia per noi sia per quelli che forse stiamo cercando di aiutare.
Il nostro obiettivo non è soltanto imparare a convivere con la nostra rabbia o tenerla sotto controllo mentre ribolle dentro di noi. Il nostro obiettivo non è soltanto quello di indebolirla, ma è quello di liberarci completamente di tutti questi aspetti disturbanti. Non vogliamo soltanto sviluppare un po’ di comprensione di tanto in tanto, ma vogliamo sviluppare una piena comprensione della realtà, capire il modo in cui noi esistiamo, in cui tutti esistono, in cui il mondo esiste e avere tutto ciò tutto il tempo. È proprio possibile, perché la natura dell’attività mentale è fondamentalmente pura e ha tutto il potenziale [per ottenere] queste buone qualità.
Le qualità positive del livello manifesto di un Buddha
Quando parliamo degli oggetti che ci indicano la direzione sicura, o del rifugio, parliamo del Buddha, del Dharma e del Sangha. Ci sono vari livelli in cui possiamo comprenderli: ognuno di loro ha un livello manifesto, un livello più profondo, e qualcosa che li rappresenta. Cominciamo con le qualità positive del livello manifesto di ciascuno di loro.
Il corpo di un Buddha ha delle qualità fisiche straordinarie e delle caratteristiche molto speciali. Per esempio, i Buddha possono andare ovunque istantaneamente, possono moltiplicare i loro corpi in forme infinite, possono essere in qualsiasi posto allo stesso tempo e così via. È tutto piuttosto fantastico e difficile da credere. Inoltre, quando un Buddha parla, chiunque lo può comprendere nella propria lingua, e a prescindere da quanto possano essere lontani, tutti possono sempre udire chiaramente un Buddha. Oltre a ciò, un Buddha è un essere onnisciente e infinitamente amorevole che ama tutti allo stesso modo e comprende e capisce ogni cosa simultaneamente.
Anche questo potrebbe suonare decisamente fantastico e difficile da credere. Quindi, se volessimo restare soltanto a questo livello, pensando ai Buddha solo in questo modo, rischieremmo molto di farci un’idea sbagliata. Suona come se stessimo andando nella direzione di qualche fantastico essere trascendente, quasi un Dio, no? Ma il punto dell’essere onnisciente, per esempio, non è che Buddha conosce i numeri di telefono di tutti gli esseri sul pianeta, ma piuttosto il fatto che Buddha conosce le cause della situazione di ognuno di noi, andando via via a ritroso, e conosce tutti i fattori che le influenzano. Quando un Buddha insegna questo o quello a qualcuno, è con la consapevolezza di quali saranno tutte le conseguenze, non soltanto l’effetto su questa persona, ma gli effetti su tutte le altre persone con cui questa persona entrerà in contatto. Di conseguenza, un Buddha sa esattamente qual è il modo migliore per insegnare a qualsiasi persona. È una bella cosa, no? Sarebbe proprio bello essere in grado di farlo.
Abbiamo una certa fiducia che un Buddha capisca e possa sapere qual è il modo migliore per aiutarci. Buddha parla la mia lingua e può raggiungermi istantaneamente ogni volta che ne ho bisogno. Se andassimo nella direzione di considerare Buddha come un Dio, allora la faccenda diventa piuttosto personale. “Può aiutarmi personalmente. Mi capisce. Nessuno mi capisce, ma Buddha sì”. Ma sappiamo che Buddha prova uguale amore per tutti. “Fantastico. Preferirei che amasse me più di chiunque altro. Ma comunque va bene.” Un Buddha ha uguale amore per tutti e la cosa bella è che a quanto pare non importa quello che facciamo. Non dobbiamo pregare o fare offerte al Buddha. Il Buddha ci aiuterà comunque. Quindi, ce la caviamo con poco. Non dobbiamo pagare nulla. Che affarone! Inoltre, siccome Buddha ha così tanta pazienza, non si ingelosirà mai se andiamo da qualche maestro di un’altra tradizione, e inoltre non si arrabbierà e non ci fulminerà mai con una saetta o qualcosa del genere. È piuttosto sicuro.
Questo è un errore molto comune, che sia a livello conscio o inconscio. Vediamo Buddha come un Dio alternativo che è più economico e sicuro. Negli insegnamenti, si dice che Buddha non ci abbandonerà e tutte queste cose. Suona benissimo. Ma poi potremmo leggere che un Buddha non può rimuovere tutta la nostra sofferenza come se ci togliesse una spina dal piede. I Buddha non sono onnipotenti. Ma noi non prendiamo questa cosa troppo sul serio. Questo è il livello apparente di un Buddha, il modo comune di pensare a lui. Se restassimo a questo livello senza una comprensione più profonda, questo comporterebbe il rischio di considerare Buddha come un Dio alternativo e personale che ci salverà.
I Buddha sono rappresentati da statue e da dipinti. Okay, sono belli, ma non è che li stiamo confondendo con un’icona cristiana ortodossa? Cosa sono? Ci stiamo addentrando nell’idolatria, come potrebbero accusarci i musulmani? Cosa sta accadendo in realtà? Dobbiamo veramente inchinarci di fronte a una statua? Penso sia problematico lasciare la nostra comprensione di un Buddha solo a questo livello. Si può cadere in fraintendimenti. Ma ovviamente per certe persone può essere molto d’aiuto pensare a Buddha in questo modo, solo che non è il livello più profondo di comprensione. A questo livello, è come se ci fosse quasi una figura semi-divina, rappresentata da statue e da dipinti, che noi veneriamo.
Le qualità positive del livello manifesto del Dharma
Il livello manifesto del Dharma sono tutti gli insegnamenti. Questo è ciò che Buddha ha realizzato in se stesso e ciò che ha insegnato. Una maniera banale di interpretare ciò sarebbe che abbiamo il nostro Dio personale, il Buddha, e abbiamo le nostre scritture. Invece che una Bibbia o un Corano, ora abbiamo i testi del Buddha. È come la mia Bibbia buddhista e ogni parola in essa è sacra per noi. Sì, dobbiamo avere rispetto per gli insegnamenti, ma il Buddha stesso disse: “Non credete in qualsiasi cosa che ho detto soltanto perché l’ho detta io, per rispetto verso di me, ma verificatela voi stessi, come se steste comprando dell’oro.” Buddha ha sempre incoraggiato i suoi seguaci ad essere critici rispetto a ciò che ha insegnato. Ma quando siamo pigri, allora non abbiamo voglia di analizzare e verificare tutto. In termini della nostra vita quotidiana, il punto importante, a questo livello, è che Buddha ci ama, ci comprende e qui ci sono tutte le regole in questo sacro testo che noi semplicemente rispettiamo. Certamente, tutto ciò può avere un ruolo nella vita quotidiana, ma questo in realtà non è il Buddhismo. Può sicuramente funzionare per certe persone, ma l’intenzione non è di fare del Buddhismo una variante del Cristianesimo.
Le qualità positive del livello manifesto del Sangha
E per quanto riguarda il Sangha? Sfortunatamente, in occidente abbiamo preso l’abitudine di chiamare tutti i partecipanti del centro di Dharma che frequentiamo il nostro “sangha”. Certamente non è questo il senso della parola in sanscrito o in tibetano. Ma per molte persone, “sangha” significa semplicemente i membri della nostra congregazione, la nostra chiesa buddhista. Quando alcuni di questi membri sono persone fortemente disturbate, prendiamo veramente rifugio in loro? Non voglio affatto minimizzare l’importanza di una comunità spirituale di persone con punti di vista simili ai nostri, che hanno il nostro stesso obiettivo e che possono darci un sostegno, un riscontro e così via. Questo è molto, molto importante, ma non è un oggetto di rifugio.
Un altro livello di Sangha può venire inteso come la comunità monastica, quindi i monaci e le monache buddhiste. Ma di nuovo, non troviamo sempre solo esempi perfetti di monaci e monache, giusto? Anche tra coloro che indossano gli abiti monastici ci sono persone molto disturbate. Nonostante questo, è molto importante avere rispetto e sostenerli se stanno lavorando sinceramente su se stessi prendendo l’ordinazione monastica. Ma ci sono anche monaci e monache che prendono gli abiti monastici soltanto per sfuggire alle difficoltà della vita e, come dice un mio amico, per scroccare un pranzo!
C’è ancora un altro livello di Sangha. A volte sentiamo certi maestri tantrici dire che il Sangha in realtà sono le cosiddette “divinità tantriche” che conosciamo, per esempio Chenrezig, Tara, Manjushri e così via. Quindi potremmo iniziare a pregare alla Madonna o a Santa Tara e lei ci salverà. Certamente queste forme di Buddha, come sono solito chiamarle, queste cosiddette divinità tantriche, non sono in alcun modo dei santi che in qualche maniera fanno da intermediari aiutandoci ad avvicinarci al Dio Buddha.
Il significato più profondo di Buddha, Dharma e Sangha
Se esaminiamo il significato più profondo di Buddha, Dharma e Sangha, scopriamo che il significato più profondo del Dharma è il vero arresto di tutta questa confusione e la vera realizzazione o i cosiddetti veri sentieri (o sentieri della mente) in un continuum mentale. Questo è il vero Dharma. Questo è ciò che ci proteggerà dalla sofferenza se lo realizzeremo nel nostro continuum mentale. Possiamo raggiungere questo stato quando tutta la confusione, le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti e i problemi se ne sono andati e tutte le realizzazioni sono presenti in pieno. I Buddha sono coloro che hanno raggiunto tutto ciò appieno e che ci hanno insegnato come raggiungerlo noi stessi. Il Sangha in realtà si riferisce a coloro che sono noti come “Arya Sangha”, praticanti avanzati con grandissime realizzazioni che hanno raggiunto alcuni, ma non tutti, di questi veri arresti e di queste vere realizzazioni. Vedete, in realtà ci sono molti gradi e livelli di confusione di cui dobbiamo liberarci, e molti livelli di realizzazione a mano a mano sempre più forti che li contrastano. Liberarsi di loro è un processo che avviene per gradi. Gli Arya Sangha non sono ancora riusciti a liberarsi di tutti loro, di tutto il mucchio, ma perlomeno di alcuni, e sono sulla strada per ottenere ulteriori realizzazioni.
Nella nostra vita di tutti i giorni, i Buddha e gli Arya Sangha, questi grandi maestri indiani e tibetani, del passato e anche alcuni del presente, sono una grande ispirazione. Questo ci dà tanta speranza. Vediamo o incontriamo qualcuno che è una fonte di ispirazione come Sua Santità il Dalai Lama. Come è diventato così? Attraverso il Dharma. Che sia già un Buddha o che non lo sia ancora non è rilevante. Se potessimo diventare come lui, questo già sarebbe tanto. Non sto parlando solo della sua abilità nell’insegnare praticamente qualsiasi cosa nel settore del Dharma, o del fatto che sia il più esperto, il più erudito e il più profondo tra tutti i maestri. E non è soltanto il ritmo che mantiene, i suoi tanti viaggi intorno al mondo, cercando di insegnare e aiutare gli altri, e tutto questo. Ma aggiungiamoci sopra che è il nemico pubblico numero uno della Cina. Potete immaginare come debba essere avere oltre un miliardo di persone che vi considerano come un diavolo, che fanno cose orribili alla vostra gente, e nonostante ciò mantenere amore e compassione per queste persone. Non ne è turbato, ed è in grado di fare ogni cosa con una mente felice, in pace. È incredibile, no? Come potremmo mai raggiungere tutto ciò senza esserci liberati di queste emozioni disturbanti e avere ottenuto delle realizzazioni? Non sarebbe possibile. Non è rilevante sapere se ha già completato tutto il sentiero diventando un Buddha oppure no.
Potremmo non essere in grado di capire tutte le qualità del Buddha stesso, ma perlomeno possiamo riconoscere le qualità di qualcuno come Sua Santità il Dalai Lama. È una grande fonte d’ispirazione. Se è stato possibile per qualcuno come lui raggiungere questo livello di realizzazione, allora, considerato che la natura della mente è pura e ha tutti questi potenziali, non c’è ragione per cui non lo possiamo fare anche noi. Non c’è ragione per cui chiunque non possa farlo. Ovviamente servirà una mole di lavoro tremenda, ma è possibile e vale davvero la pena muoverci in questa direzione. Se il Dalai Lama fosse equivalente al Buddha, allora alcuni dei grandi Lama del presente che danno insegnamenti, pur non avendo tutte le qualità del Dalai Lama, avrebbero comunque, analogamente al Sangha, alcune di queste qualità. Anche questo è una grande ispirazione.
Cosa hanno in comune il Dalai Lama e questi altri grandi maestri? Si sono liberati in varia misura della rabbia, dell’avidità, dell’odio, della gelosia, ecc., e hanno sviluppato in maniera incredibile qualità positive come la comprensione, la compassione, la pazienza, e via dicendo. Possiamo notare le varie gradazioni di questi risultati in relazione ai vari lama. Come ho già detto, questo è un esempio molto più concreto (se abbiamo l’opportunità di incontrarli) rispetto al pensare semplicemente a Buddha, Milarepa o ad altri esempi storici, con cui forse abbiamo maggiori difficoltà a relazionarci. Forse pensiamo che siano delle belle storie, ma crediamo veramente che sia esistito qualcuno così? Quando leggiamo che Guru Rinpoche è nato da un loto, ci crediamo veramente? Potrebbe essere difficile comprenderlo. Ma d’altro canto, possiamo concentrarci sull’assenza di qualità negative e sulla presenza di queste qualità positive, come ci mostrano gli esempi del Dalai Lama e di questi grandi maestri, che sono come il Buddha e il Sangha proprio qui, in questo momento. Possiamo comprendere che anche noi possiamo essere così. Questo è il Dharma. Inoltre, questi veri arresti e vere menti-sentiero sono obiettivi raggiungibili. È possibile farlo e questo offre una direzione sicura, stabile e significativa che possiamo dare alla nostra vita.
Il rifugio o la direzione sicura nella nostra vita quotidiana
Da un punto di vista pratico, cosa significa imprimere questa direzione di Buddha, Dharma e Sangha alla nostra vita? Significa che lavoriamo continuamente su noi stessi. In questo modo, se per esempio ci arrabbiamo, ci agitiamo o ci comportiamo in modo egoista, ne diventiamo sempre più consapevoli. Ce ne accorgiamo. Non è che ce la prendiamo con noi stessi e ci puniamo pensando: “Sono una persona cattiva o sono un disastro perché ancora mi arrabbio”. Certamente non è questo, e sicuramente non è neanche l’estremo opposto del pensare che faccia parte dell’essere del tutto normale. In quest’ultimo caso, pensiamo: “E allora? Io continuo ad essere così”. Non è nemmeno questo. Ma anche solo essere consapevoli delle nostre emozioni disturbanti e considerarle come cose di cui vogliamo liberarci ne indebolisce la forza.
Ma il punto importante è che, nella nostra vita quotidiana, quando questi aspetti negativi e disturbanti sorgono e li notiamo, la cosa migliore da fare è imparare dei metodi per cercare di superarli. Dobbiamo capire che se siamo arrabbiati, abbiamo bisogno di coltivare la pazienza. Quando qualcuno si comporta in modo orribile nei nostri confronti, ciò mostra che questa persona è molto infelice. C’è qualcosa che la turba. Piuttosto che arrabbiarci con lei, proviamo a sentire un po’ di compassione nei suoi confronti.
Per chiarire: da un lato, non ci arrabbiamo con noi stessi per il fatto che ci arrabbiamo. Dall’altro, non trattiamo noi stessi come un bebè dicendoci che va tutto bene, che tutto è a posto. Invece facciamo del nostro meglio per superare la nostra rabbia, perché ci rendiamo conto che è possibile farlo. Forse non possiamo liberarcene molto rapidamente e di certo non riusciremo a liberarcene così velocemente, ma questa è la direzione in cui vogliamo andare per tutta la nostra vita. E lo facciamo perché sappiamo che è davvero possibile liberarci di tutta questa roba. Muoversi in questa direzione non è il futile tentativo di un pensiero idealistico.
Quando dobbiamo affrontare una situazione difficile e abbiamo un po’ di pazienza, un po’ di comprensione oppure un certo sentimento benevolente, dobbiamo renderci conto come questo sia qualcosa che può aumentare. Possiamo renderlo sempre più forte. È possibile. Altri ci sono riusciti e possiamo riuscirci anche noi. Non c’è nulla di speciale negli altri e non c’è nulla di speciale in noi. Questo è il nostro rifugio, questa è la direzione sicura nella nostra vita, perché più andiamo in questa direzione, più ci mettiamo in salvo da guai e problemi.
Riepilogo
Dobbiamo comprendere il significato del rifugio, questa direzione sicura, e capire quali sono le ragioni per includerlo nella nostra vita. È considerato l’aspetto più importante, più fondamentale nella pratica buddhista. Molte persone tendono a banalizzarlo ed è davvero un peccato. Il fatto di aver dato questa direzione alla nostra vita dovrebbe essere il cambiamento più profondo, quello che fa la massima differenza nella nostra vita. Il rifugio non dovrebbe significare soltanto che abbiamo partecipato a una cerimonia, che ci hanno tagliato una ciocca di capelli e che abbiamo ricevuto un nome tibetano e quindi ora portiamo un laccetto rosso intorno al collo e facciamo parte del club. Questo significa veramente banalizzare tutta la faccenda e privarla di ogni significato.
La domanda che tutti noi dobbiamo porci è: “Avendo preso rifugio ed essendo diventato buddhista, sto dando effettivamente questa direzione alla mia vita? Ha qualche significato nella mia vita, oltre al fatto di fare parte di un club?”. Se il prendere rifugio non ha prodotto una differenza significativa nella nostra vita, allora questo è qualcosa su cui dobbiamo veramente lavorare. Se provassimo ad impegnarci in qualsiasi pratica più avanzata senza questo fondamento, è estremamente improbabile che riusciremo ad avere alcun successo.