Questa sera mi è stato chiesto di parlare della questione del settarismo e del non settarismo all'interno del Buddhismo stesso. È un argomento piuttosto difficile se si comincia ad analizzarlo più a fondo, non solo superficialmente, sostenendo che tutti gli insegnamenti provengono dal Buddha e sono tutti grandiosi – non solo a quel livello – e pensare che uno sia migliore degli altri significa essere settari. Piuttosto che affrontare l'argomento in questo modo superficiale, se guardiamo più in profondità, ci rendiamo conto che in realtà è una questione molto complessa.
Approcci alla religione comparata
In una precedente conferenza, abbiamo discusso di settarismo interreligioso, in particolare tra Buddhismo e Islam. Stasera il tema riguarda, all'interno del Buddhismo, tutte le sue varie forme e più specificamente le diverse tradizioni del Buddhismo tibetano. Per capire cos'è il settarismo, vorrei solo passare in rassegna i tre approcci alla religione comparata che ho introdotto nella nostra discussione su Buddhismo e Islam: l'approccio esclusivista, quello inclusivista e quello pluralista.
L'approccio esclusivista
Sostiene che solo una religione – nel nostro caso, solo una tradizione buddhista – ha la vera via per la liberazione e l'illuminazione, e tutte le altre sono sbagliate. Questo potrebbe assumere la forma del negare che alcuni insegnamenti siano in realtà gli insegnamenti del Buddha. Ad esempio, lo troviamo tra alcuni seguaci dell'Hinayana, che affermano che il Mahayana non appartiene agli insegnamenti del Buddha. Oppure potrebbe essere l'atteggiamento che troviamo tra alcuni seguaci delle tradizioni Sarma, quelle delle tradizioni del nuovo periodo di traduzione in Tibet – Ghelug, Kagyu e Sakya – verso i terma (gter-ma),i testi tesoro nascosto che troviamo principalmente neil Nyingma (e un po' anche nel Kagyu). Un'altra forma di questo approccio esclusivista sarebbe l'atteggiamento secondo cui, sebbene altre tradizioni buddhiste possano trattare gli stessi argomenti in comune con noi, tuttavia le loro posizioni sono false: in realtà non conducono alla liberazione o all'illuminazione.
Quindi, questo è l'approccio esclusivista che noi chiameremmo settario.
L'approccio inclusivista
Il secondo approccio, inclusivista, è l'atteggiamento secondo cui esistono molti percorsi per la liberazione e l'illuminazione, e il Buddha li ha insegnati tutti, ma uno è superiore; in altre parole, il nostro è il migliore. Anche questo, come il primo, è considerato settario.
L'approccio pluralista
Secondo il pluralismo, il terzo approccio, esistono molti percorsi per la liberazione e l'illuminazione, e nessuno di essi è superiore. Questo approccio pluralista si limita a presentare le varie posizioni delle diverse tradizioni buddhiste su argomenti comuni, senza però classificarle. Naturalmente, questo potrebbe essere fatto sia in termini accademici presentando semplicemente le varie forme di Buddhismo oppure potrebbe essere l'approccio di un praticante. Anche in questo caso, questa categoria comprende un praticante che pratica una sola tradizione o uno che ne pratica diverse. Tuttavia, questo approccio, fondamentalmente, si occupa di informazioni corrette sulle diverse tradizioni buddhiste, ciò che tradizionalmente chiameremmo un approccio non settario.
Forme di settarismo
La domanda è: come si inseriscono queste distinzioni nel contesto delle tradizioni buddhiste? Credo che qui sia necessario distinguere tra due forme di settarismo: quello innato nelle affermazioni di una tradizione buddhista – in altre parole, esistono aspetti settari che fanno parte di varie tradizioni buddhiste all'interno degli insegnamenti di quella tradizione? – e il settarismo di un seguace di una specifica tradizione buddhista, indipendentemente da ciò che quella tradizione effettivamente afferma.
Diamo prima un'occhiata a questa forma innata, i cui aspetti sono molteplici.
Esiste un settarismo innato negli insegnamenti del Buddha sui tre stati purificati?
Lo stesso Buddha ne elencò tre. Il termine sanscrito è bodhi (byang-chub). Bodhi è uno stato di purificazione, e questo sarebbe lo stato di un arhat shravaka (nyan-thos), di un arhat pratyekabuddha (rang-rgyal), o di un arhat bodhisattva (byang-chub sems-dpa’) (che è un Buddha). Arhat (dgra-bcom-pa) è un essere liberato. Gli shravaka sono coloro che ascoltano gli insegnamenti quando il Buddha o i suoi insegnamenti sono presenti, e poi praticano di conseguenza verso la liberazione. I pratyekabuddha sono coloro che vivono durante le età buie tra la presenza dei Buddha o dei loro insegnamenti nel mondo, e praticano basandosi su istinti che provengono da vite precedenti mirando alla liberazione per se stessi. I bodhisattva sono coloro che lavorano per la liberazione e l'illuminazione di tutti.
In termini di questi tre bodhi, il Buddha stesso parlò del fatto che hanno diverse realizzazioni e diverse quantità di forza positiva (bsod-nams, sanscr. puṇya) necessarie per raggiungere ciascuno di essi – o "merito" – che si accumula in diversi periodi di tempo, che si tratti di tre, sette vite, tre innumerevoli eoni o tre miliardi di eoni, ecc. Il Buddha parlò anche – e gli insegnanti indiani ne parlarono – di una differenza nella quantità di ciò che coloro che raggiungono ciascuno di questi obiettivi hanno fermato (o eliminato per sempre) dai loro continuum mentali. Anche all'interno del perseguimento di un obiettivo, diciamo la liberazione o l'illuminazione, il Buddha insegnò diversi sistemi filosofici con mezzi abili per persone diverse per raggiungere questi vari obiettivi.
Convenzionalmente, penso che dovremmo dire che ci sono differenze e obiettivi diversi, e che uno è più completo dell'altro. Non si tratta di una questione settaria. Non c'è dubbio in nessuna scuola buddhista che il Buddha abbia insegnato metodi che conducono a questi tre obiettivi. A volte potremmo avere, oltre a ciò, un giudizio di valore secondo cui uno di questi stati purificati è il migliore – per esempio, l'illuminazione – e che mirare solo alla nostra liberazione sia egoistico, entrando in una modalità un po' settaria.
Abbiamo spesso questo atteggiamento nelle varie versioni del lam-rim (stadi graduali del sentiero), dove abbiamo tre obiettivi spirituali graduali con tre livelli di motivazione (kun-slong) per raggiungerli: rinascita superiore, liberazione e illuminazione. Sebbene possano esserci motivazioni molto positive che ci spingono verso il raggiungimento di ciascuno di questi tre obiettivi spirituali, classificati in termini di maggiore completezza, di ciò di cui ci si è liberati dal proprio continuum mentale e di ciò che si è ottenuto – ad esempio, per raggiungere la liberazione, la motivazione è la rinuncia (la determinazione a essere liberi da ogni forma di sofferenza) – ma può anche esserci un aspetto negativo che si sovrappone a ciò, ovvero che questo è egoistico ed egocentrico. Ovviamente non al traguardo finale, quando abbiamo raggiunto la liberazione, perché allora ci siamo liberati dall'afferrarsi a un sé veramente esistente, ma lungo il cammino è motivato dall'egocentrismo, dal pensare solo a noi stessi. È del tutto possibile, anche se il Buddha ha insegnato questi tre obiettivi che sono graduali, che si possa aggiungere una visione piuttosto settaria.
Ci sono anche grandi discussioni riguardo a questi tre obiettivi, questi tre stati purificati, se siano obiettivi finali, ultimi – tre obiettivi finali diversi – o se ce ne sia uno solo. Per esempio, quando diciamo che ci sono tre obiettivi finali, ultimi – e lo troviamo in alcuni sutra del Buddha – significa che, una volta ottenuta la liberazione di un arhat, non possiamo diventare un Buddha. Questo non è necessariamente un punto di vista esclusivista perché i veicoli shravaka e pratyekabuddha non affermano che seguirli porterà all'illuminazione. È solo se affermano che, seguendo gli insegnamenti shravaka, potremmo raggiungere l'illuminazione e poi dicono: "Ma non puoi raggiungere quell'illuminazione seguendo il sentiero del bodhisattva", che potremmo dire che questo sarebbe settario. Tuttavia, non affermano che loro e solo loro possano condurre all'illuminazione; affermano solo che conducono alla liberazione.
Quindi, abbiamo la presentazione di questi tre obiettivi finali. Inoltre, c'è un punto di vista inclusivista, secondo cui tutti possono raggiungere l'illuminazione, sebbene non sia necessario percorrere tutto il cammino come bodhisattva. Qui possiamo affermare che possiamo procedere nella direzione generale della liberazione come shravaka ma, prima di arrivarci, sviluppare bodhicitta e dedicarci all'illuminazione come bodhisattva. Questo è un approccio del lam-rim, non percorriamo tutto il cammino per raggiungere lo stato di arhat come shravaka prima di diventare bodhisattva. Affermiamo anche che, dopo aver raggiunto la liberazione come arhat shravaka, potremmo a quel punto mirare all'illuminazione.
Esistono diversi modi di considerare questi tre stati purificati (questi tre diversi livelli di arhat) e i tre obiettivi spirituali dei tre livelli di motivazione - alcuni settari, altri non settari e così via - basandosi semplicemente sul fatto che il Buddha insegnò questi tre obiettivi diversi. Quindi, iniziamo a renderci conto che questo può essere piuttosto confuso e complesso. Esiste un settarismo innato nel sistema, già insito nei tre obiettivi spirituali? O c'è il nostro atteggiamento o l'atteggiamento tradizionale nei loro confronti, che è stato sovrapposto a questo? È stato sovrapposto da una tradizione che poi lo afferma – quindi è innato in quella tradizione – che dice, ad esempio, che se lavoriamo per la liberazione, questa è una motivazione egoistica? Questo è piuttosto settario, credo, se lo guardiamo oggettivamente. O c'è solo una presentazione che ci sono questi tre obiettivi, senza necessariamente accusare uno di essere egoistico? Si potrebbe, naturalmente, in modo più abile, dire che c'è il rischio che sia egoista ed egocentrico, ma è ben diverso dal dire che sia necessariamente egoista. È qui che vediamo la differenza tra un approccio di tipo settario e uno non settario.
Diamo un'occhiata a come sono nate queste diverse scuole che si sono sviluppate dopo il Buddha e quali sono state le loro posizioni.
Settarismo nelle 18 scuole Hinayana
Nelle fasi iniziali, troviamo quelle che sono note come le 18 scuole Hinayana. (Sebbene Hinayana sia un termine dispregiativo dato dal Mahayana – quindi piuttosto settario – non esiste un altro termine appropriato che possa essere usato per queste 18 scuole che non siano Mahayana.)
In cosa differiscono? Principalmente nell'interpretazione del Vinaya, ovvero l'interpretazione dei voti di monaci e monache, su cosa intendesse effettivamente il Buddha con questo o quel voto. Non affermano realmente che uno è il migliore o che il Buddha non ha insegnato questo voto, o cose del genere; è una discussione su un piano completamente diverso.
Hanno anche opinioni diverse riguardo agli effettivi conseguimenti di un arhat e di un Buddha. Accettano che questi siano a livelli diversi, ma in che modo siano diversi – in che cosa differisce un arhat da un Buddha? – anche questo è oggetto di discussione. Non è propriamente una questione settaria ma di interpretazione. Tutti riconoscono che i Buddha sono superiori agli arhat, e hanno più capacità e una comprensione maggiore degli arhat. Il fatto che abbiamo queste 18 scuole con affermazioni diverse non significa necessariamente che in esse sia innato un atteggiamento o una visione settaria.
Queste 18 scuole si diffusero e divennero dominanti in diverse parti dell'India; in una parte dell'India, il Theravada era più prominente, in un'altra il Sarvastivada, ecc. Diverse scuole si diffusero in altre parti dell'Asia, in Asia centrale, e in Cina, Giappone, Corea, Vietnam. L'intero movimento si diffuse anche in Sri Lanka e nel Sud-est asiatico. Queste prime scuole non si diffusero in Tibet.
Nel corso della storia, hanno sviluppato diversi abhidharma, ovvero gli insegnamenti su argomenti generali di conoscenza. Hanno elenchi leggermente diversi dei fattori mentali e descrizioni leggermente diverse di molti aspetti diversi del sentiero e anche di versioni di alcuni sutra. È difficile dire perché si siano sviluppate. Ricordate, nulla fu trascritto in questo primo periodo, quindi potrebbe essere che persone diverse ricordassero le cose in modo diverso. C'è una visione secondo cui l'abhidharma non è stato effettivamente insegnato dal Buddha, ma da vari arhat successivi, quindi potrebbero esserci opinioni diverse in termini di ciò che hanno insegnato, o persone diverse hanno insegnato cose diverse, e così via.
Solo perché ci sono queste differenze non significa necessariamente che qui ci sia settarismo. Il settarismo, credo, da queste definizioni o spiegazioni di esclusivismo, inclusivismo e pluralismo, debba avere più a che fare con la questione del raggiungimento degli obiettivi: liberazione e illuminazione. Perché, naturalmente, all'interno di due sistemi qualsiasi ci saranno delle differenze.
Nel corso del tempo, queste diverse 18 tradizioni hanno sviluppato visioni diverse delle due verità, ad esempio. Tuttavia, in queste scuole Hinayana, le due verità sono un modo per dividere tutti i fenomeni. Una scuola – diciamo all'interno del Sarvastivada, i Vaibhashika – divide tutti i fenomeni in due tipi di veri fenomeni: convenzionali e ultimi. Il modo in cui il Sautrantika li divide è diverso. Ebbene, entrambe, tuttavia, affermano che l'onniscienza di un Buddha include entrambi. Di nuovo, non si tratta in realtà di una questione di settarismo su come affermano le due verità.
Per la maggior parte, tutte queste 18 scuole mantengono la stessa visione della mancanza di una vera identità o vera anima delle persone, la cosiddetta mancanza del sé delle persone, fatta eccezione per un ramo molto, molto minore di una di esse. Tutte affermano che la cognizione non concettuale della mancanza del sé delle persone è essenziale per raggiungere la liberazione e l'illuminazione. Di solito affermano che un Buddha deve solo accumulare molta più forza positiva o meriti di un arhat e deve farlo per un periodo più lungo. Le 18 scuole non discutevano realmente i metodi che conducevano a questi obiettivi, ma indubbiamente c'era, a livello individuale, un favoritismo, del tipo "La mia scuola è migliore delle altre". Avevamo la tradizione che una scuola si separasse dall'altra a causa delle divergenze che avevano, in particolare riguardo al vinaya, la disciplina dei monaci. Dopo il secondo concilio, il gruppo Mahasanghika si separò dai Theravadin.
Come possiamo vedere, non c'è molto settarismo innato in queste scuole, anche se il settarismo individuale potrebbe certamente essere sovrapposto.
Il settarismo nelle scuole Mahayana
All'interno delle scuole Mahayana – Cittamatra e Madhyamaka – la situazione inizia a farsi un po' più complicata. All'interno del Madhyamaka, ci sono molti modi diversi di suddividere il Madhyamaka a seconda degli autori e delle tradizioni tibetane; parliamo semplicemente di Svatantrika e Prasanghika. Tutte e tre parlano di visioni diverse della vacuità dei fenomeni e di diversi livelli della vacuità delle persone, ma in modi leggermente diversi.
I cittamatrin e gli svatantrika-madhyamika affermano diversi livelli di comprensione per ottenere la liberazione e l'illuminazione. Per ottenere la liberazione, concordano sul fatto che dobbiamo semplicemente comprendere la vacuità delle persone. Vacuità, ricordiamolo, significa assenza di modi impossibili di esistere, quindi esiste un certo modo impossibile di esistere delle persone, e dobbiamo capire che questo non si riferisce a nulla di reale: una persona che è come un'anima, qualcosa di statico che non è influenzato da nulla e, sebbene, naturalmente, esista per sempre, non cambia mai, che è una monade (una cosa indivisibile, minuscola come un atomo, come una scintilla di vita, o delle dimensioni dell'universo), e che può esistere separatamente da qualsiasi aggregato, da un corpo o da una mente. Questo è impossibile, dicono. Tutti concordano sul fatto che se comprendiamo che questo non si riferisce a nulla di reale, allora otteniamo la liberazione. Beh, in realtà, questo è solo in parte, perché ci sono due livelli – c'è un livello di comprensione più profondo – ma non è questo il luogo per approfondirlo. Per raggiungere l'illuminazione, tuttavia, lo Svatantrika-Madhyamaka afferma che il Cittamatra non conduce all'illuminazione e che dobbiamo avere la visione Svatantrika.
Secondo i non ghelugpa, Prasanghika concorda con Svatantrika su questo punto, quindi affermano che abbiamo bisogno di una visione diversa per raggiungere l'illuminazione. Questa è la vacuità di tutti i fenomeni, e ciò che non si riferisce a nulla di reale, esiste un modo impossibile di esistere che è un modo impossibile di esistere diverso da quello delle persone (sebbene includa le persone). Quindi, la cosa si complica. Di nuovo, non è questo il luogo per un insegnamento sulla vacuità.
I ghelugpa hanno un loro punto di vista in merito. Concordano sul fatto che questo sia ciò che affermano i cittamatrin e gli svatantrika-madhyamika, ma sostengono che i prasanghika sostengono che per ottenere la liberazione e l'illuminazione sia necessaria la stessa visione, solo quantità diverse di forza positiva, e che la visione che gli altri sistemi buddhisti indiani affermano come portatrice di liberazione sia insufficiente.
I non ghelugpa affermano che, secondo i madhyamika, la visione che tutti i sistemi buddhisti offrono per raggiungere la liberazione condurrà alla liberazione, ma la visione dei sistemi non madhyamaka per raggiungere l'illuminazione non condurrà all'illuminazione. I ghelugpa affermano che le visioni dei sistemi inferiori non condurranno nemmeno alla liberazione, figuriamoci all'illuminazione. Si tratta di una forma di settarismo innata nelle tradizioni Mahayana? Se sì, si tratta di una forma esclusivista o inclusivista?
La posizione esclusivista sarebbe che i loro sentieri non conducono affatto alla liberazione o all'illuminazione. La posizione inclusivista sarebbe che tutti conducono alla stessa meta, ma la nostra è suprema; la forma che assumerebbe è che l'altra tradizione è in realtà uno stadio inferiore del nostro sentiero, quindi devono essere guidati, alla fine, per raggiungere lo stesso obiettivo che raggiungiamo noi con il nostro sentiero, a cui miravano ma che non avrebbero potuto raggiungere se avessero seguito solo la loro via. Quindi, è molto sottile qui come si tratti di un punto di vista settario.
Nella tradizione Ghelugpa, ad esempio, le visioni dei non prasanghika sono considerate livelli grossolani di comprensione della mancanza di una vera identità di persone e fenomeni, mentre la visione prasanghika è una forma sottile. Certo, dobbiamo prima comprendere e realizzare la forma grossolana, ciò che queste altre tradizioni insegnano, e va bene, ma ci porterà solo fino a un certo punto; in realtà, è solo una tappa del nostro cammino, e il nostro cammino vi aggiunge la forma sottile di questa comprensione, ed è questo che ci porterà effettivamente alla liberazione e all'illuminazione.
Ghelugpa afferma inoltre che, riguardo alle fasi finali del sutra e alle tre classi inferiori del tantra – il decimo livello mentale bhumi che è la fase finale di un bodhisattva – dobbiamo passare al tipo di pratica anuttarayoga tantra e a un modo di accedere alla mente di chiara luce, la mente più sottile, per liberarci per sempre dal livello più sottile degli oscuramenti cognitivi che impediscono l'onniscienza (shes-sgrib), le cosiddette abitudini all’afferrarsi alla vera esistenza.
Tuttavia, quella ghelugpa non è l'unica scuola tibetana ad avere questo cosiddetto inclusivismo innato, questo punto di vista settario. L’approccio sakya alla comprensione della vacuità prevede che prima di tutto si comprenda la visione cittamatra, secondo cui sia la cognizione di qualcosa che il suo oggetto condividono la stessa fonte natale (rdzas-gcig) da un seme di karma (sa-bon). Una volta compreso questo, lo modificano con una visione madhyamaka. La visione cittamatra è solo una fase nello sviluppo verso quella madhyamaka.
Oppure un'altra forma inclusivista potrebbe essere che, nelle fasi finali, un praticante arrivi automaticamente a comprendere il punto di vista prasanghika. Come dice la scuola Ghelugpa, quando coloro che seguono l'anuttarayoga tantra con una visione cittamatra raggiungono un certo stadio, automaticamente comprendono il punto di vista prasanghika. Non è necessario averlo effettivamente studiato; diventerà loro ovvio dalla loro esperienza.
Le visioni dei sistemi filosofici buddhisti indiani
Ora comincia a complicarsi anche se abbiamo pensato che forse fosse già complicato! Ora è qui che entra in gioco la complicazione: sia i non ghelugpa che i ghelugpa confutano le opinioni dei cosiddetti sistemi buddhisti indiani inferiori – con la logica, non basandosi solo su opinioni come "Penso di sì", "Il mio è migliore". Quindi, tutto si basa sulla comprensione inferenziale basata sulla logica e non su opinioni. Questo perché è molto difficile affermare sulla base del pragmatismo che tutte le tradizioni conducano allo stesso obiettivo o che non conducano allo stesso obiettivo. Il pragmatismo si baserebbe esclusivamente sulla mera cognizione (mngon-sum) di qualcuno come Buddha che, seguendo questa specifica visione filosofica, abbia effettivamente raggiunto la liberazione o l'illuminazione. L'approccio pragmatico è insostenibile perché tutti concordano sul fatto che solo un Buddha può sapere con precisione se qualcun altro è un Buddha.
Anche questo diventa molto difficile se tutti devono affidarsi alla logica – e tutti si affidano alla logica – per confutare altre posizioni all'interno del Buddhismo. Ora iniziamo a chiederci cosa stia succedendo qui, potremmo anche dire che la logica di una persona non è valida quanto quella dell'altra. Ci sono molti dibattiti che si basano solitamente su frasi del tipo "Non solo il tuo ragionamento è errato, ma ti sei anche contraddetto nelle tue affermazioni logiche".
Quindi, potremmo avere un altro punto di vista, ovvero quando diciamo che una visione è meno sofisticata e sottile di un'altra, è forse la stessa differenza tra la fisica newtoniana e quella relativistica? La fisica newtoniana descrive le cose, ed è una comprensione grossolana, ma su questa base funziona: possiamo fare cose. La fisica relativistica la spiega a un livello più sofisticato, ma anche questo è vero. È forse vero che entrambe funzionano, ma una fornisce risultati più accurati? Non è del tutto analogo qui, perché nessuno dei sistemi filosofici buddhisti indiani afferma che tutti i sistemi concorrono al raggiungimento della liberazione e dell'illuminazione; tutti affermano che è solo il loro sistema che funziona per questo.
Penso che, anche se questa valutazione dei livelli di sofisticazione delle diverse posizioni di questi sistemi si basa sui fatti e sulla logica, in un certo senso, credo che si possa definire una sorta di settarismo innato. La domanda è quindi: questa valutazione ha in sé un inquietante atteggiamento di presunzione, arroganza e narcisismo? In altre parole, avere questa posizione implica forse che diamo per scontato di conoscere il significato della loro tradizione meglio di loro? Sappiamo che la loro tradizione è in realtà solo una comprensione grossolana e che loro l'hanno semplicemente seguita per poter poi giungere al nostro sistema. Questo è piuttosto arrogante e piuttosto narcisistico: "Il nostro è il migliore". Presuppone – e qui c'è presunzione – che ne sappiamo più di loro. C'è poi il pericolo di guardare involontariamente dall'alto in basso il punto di vista di queste altre tradizioni, pur riconoscendo che sono utili e, in alcuni casi, persino passi necessari sulla via della liberazione e dell'illuminazione.
Anche quando la visione inclusivista assume la forma che il Buddha abbia insegnato tutti questi sistemi filosofici – e in particolare le loro visioni sulla vacuità – come strumenti abili per persone diverse con diverse attitudini e si nutre un atteggiamento di rispetto verso tutti loro, rimane comunque l'atteggiamento per cui un sistema è superiore, migliore, più accurato, più sofisticato. Come ho detto, nessuno sembra affermare che tutti questi sistemi buddhisti indiani conducano alla liberazione e all'illuminazione di per sé. Complicato, vero? Difficile.
In luoghi come Nalanda, in India, un grande centro di studi, un’università monastica, i monaci studiavano tutti e quattro i sistemi buddhisti. Apparentemente sembra che fosse aconfessionale, almeno nel curriculum, ma è difficile dire se ne considerassero uno come il più elevato. Testi come Impegnarsi nella condotta del bodhisattva (Bodhisattvacharyavatara) di Shantideva o Impegnarsi nella Via di mezzo (Madhyamakavatara) di Chandrakirti, affermano certamente che la visione Madhyamaka è superiore e confutano il Cittamatra e varie altre visioni buddhiste – quindi un settarismo innato. La domanda è: si tratta solo di un'affermazione di fatto che la visione Madhyamaka sia più corretta di quella del Cittamatra o abbiamo, oltre a ciò, questi inquietanti atteggiamenti di arroganza e narcisismo, del tipo "Noi ne sappiamo di più"? Se si aggiunge questo, la situazione inizia a diventare parecchio problematica.
Il Buddhismo indiano, con questi sistemi filosofici, si diffuse in Asia orientale, nel Sud-est asiatico e in Tibet. Prendiamo in esame il caso tibetano.
Il settarismo nelle tradizioni tibetane
Ci furono molte traduzioni e trasmissioni di diversi insegnamenti di sutra e tantra, che si fusero nelle tradizioni tibetane. Tutte accettano, in una forma o nell'altra, un'innata visione settaria nei confronti dei sistemi filosofici indiani. Hanno molte affermazioni diverse su molti punti diversi del Dharma e molte forme di pratiche piuttosto simili, sia sutra che tantra. Queste sono le tradizioni tibetane: Nyingma, Kagyu, Sakya e Ghelug. Tuttavia, questo vale anche all'interno di ogni tradizione tibetana: ogni tradizione ha molte pratiche e affermazioni diverse perché ci sono molti autori diversi, e non tutte concordano su vari punti.
Più importante di queste differenze nelle pratiche, o su specifici piccoli punti, è l'affermazione della visione ultima della realtà che porta alla liberazione e all'illuminazione, e qui abbiamo alcune lievi differenze in questo. Nessuna di queste tradizioni tibetane afferma che esse costituiscono un percorso graduale, che una sia una comprensione più grossolana e l'altra più sottile. Le tradizioni tibetane non si considerano a vicenda come i sistemi filosofici indiani; questo è un punto importante da comprendere.
Le tradizioni tibetane, come ho detto, presentano diverse asserzioni su molti punti di vista all'interno di ciascuno di questi sistemi provenienti dall'India. Hanno modi diversi di affermare le due verità, diverse analisi dei modi di conoscere, di come funziona la cognizione concettuale, quella non concettuale, ecc., e diverse definizioni dei termini. D'altra parte, anche i sistemi filosofici e gli autori indiani avevano definizioni diverse. Ad esempio, Asanga e Vasubandhu, nei loro due abhidharma, definiscono molte delle emozioni disturbanti in modo leggermente diverso. Ognuno definisce l'esistenza veramente stabilita in modo diverso all'interno di questi sistemi, quindi non c'è nulla di nuovo nella forma tibetana.
Vuoto di sé e vuoto d'altro
Le tradizioni tibetane hanno diversi metodi di pratica dell'anuttarayoga tantra o dzogcen, ma questi si basano solitamente sul fatto che i diversi praticanti hanno sistemi energetici diversi più prominenti di altri, e quindi diversi modi di ottenere la cognizione non concettuale della vacuità, e così via. Hanno anche, tuttavia, diverse visioni della vacuità. Permettetemi di elencarle senza spiegarle perché non abbiamo davvero tempo: vacuità di sé (rang-stong), vacuità d'altro (gzhan-stong), vacuità non numerabile (rnam-grangs-pa) con parole e concetti (o può rientrare in parole e concetti), vacuità che è al di là di parole e concetti (brjod-dang rtog-pa-las ’das-pa), che è non numerabile – non può essere conosciuta concettualmente in termini di parole e concetti. È al di là della logica.
I non ghelugpa (sakya, nyingma e kagyu) affermano che la vacuità di sé, così come presentata dai ghelugpa – questo è il punto di vista ghelugpa (che chiamano vacuità di sé) – è un gradino inferiore necessario. È ciò che comprendiamo concettualmente, e dobbiamo comprenderlo, ma è sulla strada verso una cognizione non concettuale della vacuità, che va oltre parole e concetti. I ghelugpa affermano che la vacuità d'altro è semplicemente errata e non conduce alla liberazione o all'illuminazione.
Di nuovo, abbiamo gli stessi problemi che abbiamo discusso in termini di sistemi buddhisti indiani riguardo al settarismo. Naturalmente, la situazione si complica perché, quando i ghelugpa affermano che la visione della vacuità d'altro non conduce alla liberazione o all'illuminazione e specificano in cosa consiste questa visione della vacuità d'altro, i non ghelugpa affermano che sì, esiste una visione errata della vacuità d'altro che non conduce alla liberazione o all'illuminazione, ma che non è la nostra visione della vacuità d'altro. La situazione si complica, vero? Tutto è complicato. Questo è il Buddhismo.
Come ho detto, la posizione che viene confutata, come in questo esempio dei ghelugpa che confutano la vacuità d’altro, potrebbe non essere in realtà la posizione assunta dall'altra scuola, poiché definiscono i termini in modo diverso. Troviamo un ottimo esempio in termini di origine interdipendente e di come questa viene definita. Quando i non ghelugpa affermano che la vacuità è al di là dell’origine interdipendente – la realtà più profonda è al di là dell’origine interdipendente – stanno parlando di origine interdipendente in termini di ignoranza o inconsapevolezza, come i dodici anelli. Mentre quando i ghelugpa affermano che tutto è origine interdipendente è in termini di etichettatura mentale (ming ’dogs-pa), quindi stanno definendo i loro termini in modo completamente diverso. Quando i ghelugpa confutano questa posizione secondo cui la verità più profonda è al di là dell’origine interdipendente, stanno usando la loro definizione di essa e non quella di coloro che affermano che la verità più profonda è al di là dell’origine interdipendente.
Di nuovo, qual è il punto? Perché ne stanno discutendo in questo modo? È davvero sconcertante. Di solito, il modo in cui lo insabbiavo – lo ammetto lo insabbiavo per renderlo in un certo senso più smussato e gradevole - è dire che stanno sottolineando punti di vista estremi a cui potremmo arrivare se fraintendessimo le definizioni, se non le chiarissimo.
Voti relativi al settarismo
Ora la domanda diventa: il Buddhismo stesso parla di questo problema del settarismo? Dovremmo dire che, per come ne abbiamo discusso – certe cose non portano alla liberazione o all'illuminazione, o certe cose sono visioni inferiori, e così via – dovremmo dire che sì, il Buddhismo è molto consapevole di questo problema, in particolare all'interno del Mahayana, e troviamo questo tema discusso all'interno dei voti del bodhisattva e tantrici.
Abbandonare il santo Dharma
Diamo un'occhiata ai voti relativi a questo. La sesta caduta radice del bodhisattva – i voti sono suddivisi in termini di "Se fai questo, degeneri i tuoi voti di bodhisattva" – la sesta è l'abbandono del santo Dharma. La caduta qui è ripudiare (negare) o, esprimendo le nostre opinioni, far sì che gli altri ripudino che gli insegnamenti scritturali dei veicoli shravaka, pratyekabuddha o bodhisattva siano le parole del Buddha. Quindi, in sostanza, affermare che questi insegnamenti, che si tratti di shravaka, pratyekabuddha o bodhisattva, non sono gli insegnamenti del Buddha; questo è certamente un problema.
Abbiamo scoperto che, in particolare, alcune scuole Hinayana affermano che gli insegnamenti Mahayana non sono le parole del Buddha. Shantideva confutò questa tesi in Impegnarsi nella condotta del bodhisattva con la logica, il che è piuttosto interessante. Disse che qualsiasi ragione tu usi per confutare l'autenticità del Mahayana, potrei usarla anch'io per confutare l'autenticità dei tuoi insegnamenti, perché nessuno di essi è stato scritto; entrambi sono stati tramandati oralmente. E qualsiasi ragione tu adduca per affermare che i tuoi insegnamenti sono validi, potrei usarla per dire che i nostri insegnamenti Mahayana sono validi, in quanto fondati sui punti principali degli insegnamenti del Buddha, e così via.
Deridere i nostri principi o quelli degli altri
Questa sesta caduta radice del bodhisattva, l'abbandono del sacro Dharma, è fondamentalmente la stessa del sesto voto tantrico radice. La caduta lì consiste nel deridere i nostri principi o quelli di altri, ovvero proclamare che gli insegnamenti del Buddha non sono le parole del Buddha. Qui gli insegnamenti si riferiscono a uno qualsiasi dei tre veicoli del sutra – shravaka, pratyekabuddha e bodhisattva – in quanto praticante del tantra, affermando che quelle non sono le parole del Buddha. Oppure i praticanti di uno qualsiasi di questi tre affermano che il tantra non sono le parole del Buddha. Oppure: "Alcuni tantra non sono le parole del Buddha. I nostri lo sono, ma non quelli di qualcun altro".
Valutare la validità di un insegnamento
Questo solleva una domanda molto interessante perché mantenere questo voto non significa rinunciare a una prospettiva storica. Gli insegnamenti del Buddha furono trasmessi oralmente per secoli prima di essere trascritti, e quindi si verificarono indubbiamente corruzioni e falsificazioni. I grandi maestri che compilarono il canone buddhista tibetano rifiutarono certamente i testi, sia sutra che tantra, che consideravano non autentici, e dissero: "Queste non erano le parole del Buddha ". Questi grandi maestri avevano certamente voti di bodhisattva e tantrici, ma il punto è che non basavano le loro decisioni su pregiudizi e opinioni; usavano il criterio del maestro indiano del settimo secolo Dharmakirti per valutare la validità di qualsiasi materiale, e questo è la capacità della sua pratica di realizzare gli obiettivi buddhisti di rinascita migliore, liberazione o illuminazione. Questo, come ho detto prima, è un po' difficile da accertare a meno che non siamo un Buddha – sapere che qualcun altro ha effettivamente raggiunto l’illuminazione – ma possiamo vedere che sta andando in quella direzione.
L'altro criterio è: contiene i temi principali degli insegnamenti del Buddha? Stavano valutando i testi per vedere se dovessero essere inclusi o meno nel Kangyur, le parole tradotte del Buddha. I temi principali che tutti devono avere sono, ovviamente, le quattro nobili verità e i quattro tratti distintivi del Dharma (chos-kyi sdom-bzhi). Un altro termine è "quattro sigilli" per etichettare una prospettiva come basata sulle parole illuminanti del Buddha (lta-ba bka’-btags-gyi phyag-rgya-bzhi). Sono questi quattro:
- Tutti i fenomeni influenzati (’dus-byas, condizionati) – influenzati da cause e condizioni – sono impermanenti: non sono statici; cambiano.
- Tutti i fenomeni contaminati (zag-bcas, fenomeni contaminati) sono problematici. Qualsiasi cosa mescolata a confusione o inconsapevolezza genera problemi e sofferenza.
- Tutti i fenomeni sono privi di un'anima o di un sé impossibile e privi di un sé.
- La liberazione del nirvana è una pacificazione di queste cause di sofferenza ed è qualcosa di costruttivo.
In base a questo criterio, se un testo non presenta questi punti principali e non sembra funzionare quando testato da una vera yoghini o da un vero yoghi, allora potremmo escluderlo dalle opere raccolte del Buddha e dire: "Queste non sono le parole del Buddha ", senza infrangere questo voto del bodhisattva o tantrico.
Un altro criterio che alcuni maestri usano, ad esempio – credo fosse Buton – nel mettere insieme il Kangyur era: si basa su un testo sanscrito o no? Questo è problematico perché ci sono alcuni insegnamenti che vengono rivelati in visioni pure di una divinità tantrica o di un maestro dopo l'epoca in cui i testi furono trasmessi dall'India, quindi non esiste un originale sanscrito; questo diventa un po' un problema.
Sminuire il veicolo shravaka
C'è un altro voto radice del bodhisattva, non sminuire il veicolo shravaka. Qui accettiamo che il testo dei veicoli shravaka o pratyekabuddha siano le parole autentiche del Buddha, ma neghiamo l'efficacia dei loro insegnamenti e sosteniamo che sia impossibile liberarsi dalle emozioni e dagli atteggiamenti disturbanti attraverso le loro istruzioni. Bene, questo è il nostro punto di vista inclusivista, che va bene, sono parole del Buddha – beh, potrebbe anche essere esclusivista – ma non portano realmente a liberarsi dalle emozioni disturbanti – in altre parole, non portano realmente alla liberazione. Non menziona esplicitamente il raggiungimento dell'illuminazione, ma possiamo includerlo qui. Il Mahayana aggira questo problema attraverso l'inclusivismo, dicendo che con la loro comprensione non possiamo raggiungere l'illuminazione – e i ghelugpa prasanghika dicono che non possiamo nemmeno raggiungere la liberazione – ma sono fasi del sentiero. Non dice esplicitamente che non funzionano, ma dice che sono tappe del sentiero, quindi è inclusivista.
Negare la vacuità
La caduta di un voto tantrico radice è il rifiuto della vacuità. Questo è interessante. La vacuità si riferisce agli insegnamenti generali dei Prajnaparamita Sutra sulla consapevolezza discriminante di vasta portata secondo cui tutti i fenomeni, non solo le persone, sono privi di modi di esistenza impossibili. Quindi, tutti i fenomeni ne sono privi. Questi sono gli insegnamenti generali della Prajnaparamita. Oppure la vacuità potrebbe riferirsi specificamente agli insegnamenti Mahayana del Cittamatra, o di qualsiasi scuola Madhyamaka, riguardanti i fenomeni privi di un particolare modo impossibile di esistere.
Rifiutare tali insegnamenti significa dubitarne o essere indecisi (è vero o no?), non crederci o respingerli (dire: "Questo non va bene. Dovremmo dimenticarcene completamente"). Ora, il punto qui è, in termini di tantra, che indipendentemente dal sistema Mahayana che adottiamo mentre pratichiamo il tantra, dobbiamo avere totale fiducia nei suoi insegnamenti sulla vacuità; altrimenti, se rifiutiamo la vacuità durante la nostra pratica o tentiamo qualsiasi procedura al di fuori del suo contesto, potremmo credere, ad esempio, che le nostre visualizzazioni siano concretamente reali. Questo tipo di equivoco non fa che perpetuare le sofferenze del samsara; può persino portare a uno squilibrio mentale.
È necessario avere una qualche visione della vacuità mentre si pratica il tantra, che si tratti di Cittamatra o Madhyamaka, o semplicemente di una visione generale della vacuità Mahayana, di tutti i fenomeni privi di una qualche forma di impossibilità di esistenza. Inoltre, si dice che sia necessario, lungo il sentiero, elevare il nostro sistema da Cittamatra a Madhyamaka – o, all'interno del Madhyamaka, da Svatantrika a Prasanghika – e nel processo confutare gli insegnamenti sulla vacuità dei nostri precedenti sistemi filosofici.
Come si concilia con questo voto? Ciò significa che scartare una spiegazione meno sofisticata non significa privarci di una visione corretta della vacuità di tutti i fenomeni. In altre parole, infrangiamo il voto se pratichiamo il tantra senza alcuna visione della vacuità, ma ciò non esclude che potremmo migliorare la nostra visione della vacuità lungo il cammino. Alla base c'è un atteggiamento inclusivista e settario: dobbiamo migliorare la nostra visione per raggiungere effettivamente la liberazione e l'illuminazione.
Il settarismo dei singoli praticanti
Abbiamo quindi discusso del settarismo innato nelle affermazioni di una tradizione buddhista stessa, ma che dire del settarismo di un seguace di una specifica tradizione buddhista? Cosa succede qui? Per questo, in termini di ciò che afferma il Buddhismo stesso, esiste un voto secondario del bodhisattva. I voti secondari del bodhisattva riguardano azioni errate che sono dannose per l'addestramento nei sei atteggiamenti di vasta portata (pha-rol-tu phyin-pa, sanscr. pāramitā) o per l'aiuto agli altri in generale.
Abbandonare il veicolo Mahayana
Abbiamo il voto secondario del bodhisattva di non abbandonare il veicolo Mahayana; sarebbe un'azione errata, abbandonare il Mahayana. Qui accettiamo che, in generale, i principi del Mahayana siano le parole autentiche del Buddha, ma ne critichiamo alcuni aspetti, in particolare i testi riguardanti le azioni incredibilmente vaste dei bodhisattva e gli insegnamenti inconcepibilmente profondi sulla vacuità.
Le gesta incredibilmente vaste dei bodhisattva includono racconti di Buddha che si moltiplicano in innumerevoli forme, aiutando simultaneamente innumerevoli esseri in miriadi di mondi. Gli insegnamenti inconcepibilmente profondi sono raccolte di versi concisi, estremamente difficili da comprendere. Potremmo includere qui le biografie di grandi maestri, come Guru Rinpoce, di cui diciamo: "Ok, questi sono gli insegnamenti Mahayana. Sono insegnamenti autentici, in generale, (ad esempio) della scuola Nyingma. Ma andiamo, a proposito di questa biografia di Guru Rinpoche, tutte le cose che ha fatto sono davvero fantastiche". Diremmo che si tratta di qualcosa di un po' strano.
Degeneriamo la nostra consapevolezza discriminante ripudiando qualcosa del genere in uno qualsiasi di questi quattro modi:
- Uno è che il loro contenuto è di qualità inferiore: stanno dicendo delle assurdità. (Vediamo che questo potrebbe anche essere considerato un punto di vista piuttosto settario.)
- Il secondo è che il loro modo di esprimersi è scadente: scrivono male e non hanno senso.
- Il terzo è che il loro autore è inferiore: non sono le parole di un Buddha illuminato.
- Il quarto è che il loro utilizzo è scadente: non portano alcun beneficio a nessuno.
Discriminando in questo modo, in modo ottuso, impulsivo e arrogante, danneggiamo la nostra capacità di distinguere correttamente qualsiasi cosa.
Di fronte a questa situazione, leggendo tali testi o insegnamenti, la cosa principale che viene sempre raccomandata è dire semplicemente: "Beh, non li capisco". Rimaniamo di mentalità aperta. Pensiamo: "Anche se ora non riesco ad apprezzarli o a comprenderli, i Buddha e i bodhisattva altamente realizzati ne hanno compreso le parole e il significato, e grazie a ciò sono stati in grado di beneficiare gli altri in infiniti modi", e quindi sviluppiamo la ferma determinazione di cercare di comprenderli in futuro. Non c'è colpa se non abbiamo questa ferma determinazione – "Mi piacerebbe capirlo in futuro" – purché non sminuiamo e denigriamo gli insegnamenti; almeno manteniamo l'equanimità, riconoscendo di non capirli. Questo sarebbe un punto di vista più non settario nei loro confronti, piuttosto che dire: "Questo è ridicolo!" o "A cosa serve? Non serve a nessuno", o "Questa è davvero pessima scrittura".
Settarismo riguardante la nostra tradizione
Il settarismo individuale più comune assume la forma di "La mia tradizione tibetana è la migliore". È esclusivista (le altre non sono buone; non conducono alla liberazione e all'illuminazione) o inclusivista: vanno bene, in una certa misura, quando seguono ciò che facciamo noi - la loro pratica di lojong (blo-sbyong, allenamento dell'atteggiamento), bodhicitta e così via vanno bene - ma la nostra è la migliore e la più elevata (le persone hanno soprattutto questo atteggiamento in termini di pratiche tantriche). Possiamo persino avere questo atteggiamento settario individuale, all'interno di una tradizione tibetana. "Il mio insegnante è il migliore. Gli altri non sono buoni", "Il mio centro di Dharma è il migliore. Gli altri non sono buoni", ecc. Di nuovo, o non portano all'illuminazione - "Non andrai da nessuna parte, lì" - oppure "Beh, alcune delle cose che dicono vanno bene, ma alcune delle altre cose non sono molto efficaci (o non sono buone, o non sono giuste)". Ciò si basa solitamente sull'inconsapevolezza (ma-rig-pa; solitamente tradotta come ignoranza), ovvero una mancanza di comprensione della verità convenzionale e più profonda sui lignaggi e sulle tradizioni tibetane.
L'inconsapevolezza, o la mancata conoscenza della verità convenzionale di queste diverse tradizioni, significa che non conosciamo le affermazioni distintive delle nostre tradizioni o di quelle altrui. Chiediamo a qualcuno: "Perché sei così fortemente ghelugpa (o kagyu, o qualsiasi altra cosa)?" e non hanno idea, in realtà, di quali siano le caratteristiche individuali specifiche di quel lignaggio e di altri, il che è piuttosto triste. Oppure le conoscono solo parzialmente, o non ne conoscono correttamente alcune o nessuna – le conoscono in modo errato.
I lignaggi si sviluppano da diversi maestri e hanno pratiche diverse. Se li osserviamo, molti traduttori e, molti maestri giunsero in Tibet e molti tibetani si recarono in India. Insegnavano varie pratiche, ognuna con il proprio lignaggio, e spesso c'erano molti lignaggi diversi della stessa pratica, e così via, e poi vari maestri ne combinarono alcuni. Alla fine, ciò che divenne sostenibile fu quella che viene chiamata una tradizione, un lignaggio. Ne unirono alcuni, ma ciò che misero insieme non era necessariamente solo nella loro tradizione, perché alcuni di questi lignaggi sarebbero stati condivisi anche da altre tradizioni tibetane. Questo è il modo in cui si sono evolute le tradizioni tibetane Kagyu, Sakya, Kadampa e così via, e si sono mescolate e sono state non statiche lungo tutto il percorso: le cose venivano condivise, tramandate avanti e indietro, in termini di lignaggi, e così via, e interpretate in modi diversi. Inoltre, i lignaggi non sono omogenei; ci sono molte visioni e pratiche varianti all'interno di ciascuno.
Come ho detto, di solito questo settarismo individuale si basa sul non conoscere (o conoscere in modo errato o solo parziale) la verità convenzionale – quali siano le affermazioni di una tradizione. Poi, naturalmente, c'è confusione sulla verità più profonda. Non sappiamo, o conosciamo in modo errato, il modo in cui si stabilisce l'esistenza delle tradizioni. In altre parole, come esistono. Ovviamente, sorgono in modo dipendente da parti; sono fenomeni che sorgono in modo dipendente.
In realtà, è piuttosto interessante quando analizziamo, perché potremmo avere questa inconsapevolezza riguardo alle verità convenzionali e più profonde delle tradizioni tibetane anche se avessimo una visione non settaria. In altre parole, potremmo dire che sono tutte vie valide per condurre all'illuminazione e alla liberazione, ma non abbiamo un'idea chiara di quali siano le loro differenze o di quali siano le loro asserzioni, o potremmo persino averne una comprensione errata. Potremmo certamente considerarle come esistenti in modo solido e reale e rimanere comunque non settari, quindi la situazione diventa di nuovo un po' complicata.
Cognizione concettuale
Quando parliamo delle tradizioni tibetane ci basiamo sulla cognizione concettuale del lignaggio. Cos'è la cognizione concettuale (rtog-bcas)? È conoscere qualcosa, essere consapevoli di qualcosa, attraverso una categoria (spyi, universale), e la categoria è il lignaggio: Ghelug, Kagyu, Nyingma, Sakya. Poi, c'è uno specificatore (ldog-pa, isolato concettuale: non è altro che (ma-yin-pa-las log-pa) questo lignaggio, una sorta di intermediario tra la categoria e ciò che useremo per rappresentare il lignaggio quando ci pensiamo.
È come, per esempio, quando pensiamo a un cane. Ognuno ha una rappresentazione mentale diversa di come sia, eppure possiamo tutti pensare a un cane. C'è la categoria "cane", c'è lo specificatore "nient'altro che un cane", e poi quello che usiamo per rappresentarlo. È così che pensiamo a un cane, anche se ne vediamo uno che non assomiglia alla nostra immagine mentale. Oppure, quando vediamo un altro tipo di cane, possiamo usarlo come nostra rappresentazione quando lo concettualizziamo come un cane.
Quindi, cosa pensiamo quando pensiamo a Ghelug, Kagyu, Sakya o Nyingma? Cosa usiamo per rappresentarli? Domanda molto interessante. Potrebbe essere qualcosa di vago. Non lo sappiamo con certezza, quindi solo il suono della parola, ad esempio, lo rappresenta. Non ha un vero contenuto. Questo è un tipo di categoria che è solo una categoria audio (sgra-spyi); non sappiamo veramente cosa significhi. Oppure potrebbe essere una visione particolare e ciò che pensiamo che sia questa visione potrebbe essere corretto o errato. Oppure potrebbe essere un guru, il mio maestro; questo è ciò a cui pensiamo quando pensiamo a Ghelug, Kagyu o Nyingma. Oppure potrebbe essere un lignaggio, come Tilopa, Naropa, Marpa, Milarepa, ecc. Questo rappresenta nella nostra mente Kagyu, quando pensiamo a Kagyu.
Affinché questa rappresentazione sia utile, deve basarsi sullo studio e su informazioni corrette sulle affermazioni e le pratiche del proprio lignaggio e su ciò che affermano gli altri, in modo da poter distinguere con precisione che si tratta di questo e non di quell'altro. Sebbene, a pensarci bene, potremmo scegliere un solo elemento per rappresentare un lignaggio, quell'elemento non è sufficiente se si tratta di un singolo elemento all'interno di un lignaggio, come una particolare linea di guru. Deve basarsi su una conoscenza molto ampia, e quindi scegliere un elemento come rappresentazione individuale. Questo ha a che fare con il modo in cui conosciamo le categorie e i singoli elementi all'interno delle categorie.
Le cinque prospettive errate
A livello più profondo, con la cognizione concettuale c’è inconsapevolezza: non sappiamo come esiste o lo sappiamo in modo errato. Semplicemente non sappiamo come esistiamo, come esiste il lignaggio, cosa ne stabilisce l'esistenza. Ci afferriamo all'esistenza veramente stabilita o all'esistenza auto stabilita di "me" e del lignaggio – immaginiamo che ci sia qualcosa dalla nostra parte che stabilisce che esistiamo e qualcosa dalla parte del lignaggio che, per suo potere, stabilisce la sua esistenza.
Quindi, all'interno delle emozioni e degli atteggiamenti disturbanti, ci sono le cinque prospettive o visioni errate (lta-ba nyon-mongs-can). La prima è chiamata prospettiva errata della rete transitoria (’jig-tshogs-la lta-ba). "Rete transitoria" si riferisce a qualcosa nei nostri aggregati – sono transitori, in continuo cambiamento – e quindi a un corpo, una mente o qualcosa che percepiamo. In questo caso, è la rappresentazione di un lignaggio a cui stiamo pensando. La prospettiva errata cerca di afferrarsi a questa categoria con l'etichetta di "me" (nga, bdag) o "mio" (nga’i-ba, bdag-gi-ba). In altre parole, abbiamo un altro tipo di categoria, “io” e “mio”, mescolati a una vera esistenza e poi questa prospettiva errata, con un atteggiamento “io” o “mente”, trova qualcosa e vi si afferra con questo atteggiamento.
Anche nelle nostre lingue occidentali parliamo di atteggiamento verso qualcosa. Qui l'atteggiamento è "io" e "mio". Questa prospettiva errata non è l'atteggiamento in sé – l'"io" e il "mio" sono cose concettuali – ma proietta quell'atteggiamento su qualcosa; è un fattore mentale che aderisce a qualcosa, lo cerca e lo attacca a qualcosa. Qui è il lignaggio: "Io, io sono ghelugpa", "Io, io sono kagyupa", "Io sono nyingmapa", "Io sono sakyapa". O il mio: "Questo è il mio lignaggio", il mio guru, il mio centro di Dharma, la mia pratica, il mio yidam (divinità meditativa).
Poi, abbiamo anche una prospettiva estrema (mthar-’dzin-pa’i lta-ba), la seconda di queste prospettive errate e, secondo Asanga, si basa sulla prima. Consiste nel vedere il lignaggio come statico: non cambierà mai e durerà per sempre. Questa ovviamente è una considerazione errata (tshul-min yid-byed) non solo di una cosa non realmente esistente come realmente esistente, ma anche del vedere una cosa non statica come statica. Tendiamo a pensare a questi lignaggi con questa prospettiva, come se fossero qualcosa di solido che non cambierà mai ed è sempre questo – Kagyu, Nyingma, Sakya, Ghelug – qualcosa di solido che non è mai cambiato e non è influenzato da nulla; esiste di per sé.
Potremmo anche averne una terza, che considera suprema un'attitudine errata (lta-ba mchog-tu ’dzin-pa). In pratica, con questa prima o seconda attitudine, o con entrambe, affermiamo che il mio è il migliore. Si tratta di attribuire il concetto di "questo è il migliore" e poi, con una prospettiva distorta (log-lta), che è la quinta di queste cinque prospettive disturbanti o errate, rinneghiamo le altre. Questo equivale sostanzialmente a dire, insieme a "Il mio è il migliore", che "Queste altre sono errate". È come ripudiare che siano corrette, sia in generale (nel complesso) che in una pratica specifica.
È molto interessante. Osserviamo una pratica specifica all'interno di una tradizione diversa dalla nostra che gli altri praticano in modo leggermente diverso. Ad esempio, nella pratica ghelugpa si dice – secondo Asanga – che si raggiunge la concentrazione univoca (ting-nge-’dzin, sanscr. samādhi) con la coscienza mentale (yid-kyi rnam-shes), non con quella sensoriale (dbang-gi rnam-shes), e quindi la scuola Ghelugpa tende a favorire il raggiungimento della concentrazione univoca visualizzando un Buddha. Altre tradizioni, come alcune delle tradizioni Nyingma o quelle mahamudra, si concentrano su una statua del Buddha per raggiungere la concentrazione univoca, il primo passo. Quindi diciamo che è sbagliato e non funzionerà.
Quindi, questa è una prospettiva errata, una forma di settarismo, non è vero? Perché fondamentalmente, deriva dal non conoscere altri insegnamenti – dal non conoscere la loro definizione di cosa sia la coscienza mentale, cosa sia concettuale, cosa sia non concettuale, cosa sia la cognizione sensoriale, ecc., ma solo guardare una piccola parte e dire: "Questo non è giusto perché..." e ora l'unica ragione è "perché non è la stessa cosa che faccio io". "Il mio si basa su questo testo", e diranno che si basano su quel testo. Il solo fatto che si basi su un testo non dimostrerà che una visione è corretta. Deve essere basata sulla logica, e per esserlo, come disse Shantideva, le due parti devono concordare sulle definizioni; altrimenti, stiamo parlando di due cose diverse.
Ecco cosa succede in questo tipo concettuale di cognizione.
Afferrarsi a una tradizione come “me” o “mia”
La cosa interessante è che potremmo considerare una tradizione come "mia" o "me" (sono un ghelugpa, sono un kagyu), e statica (una cosa solida che non cambierà mai) e tuttavia essere non settari. Consideriamo tutte le tradizioni in questo modo: questa è "mia", questa non è "mia", un "me" realmente esistente, un lignaggio realmente esistente, quelle permanenti, solide, ma affermiamo che tutte conducono alla liberazione e all'illuminazione, e che vanno tutte bene. Solo perché ci afferriamo alla vera esistenza e a questa visione errata di una rete transitoria non significa necessariamente che abbiamo un punto di vista settario. Perché sia settario, deve esserci questa visione della supremazia: "Questo è il migliore", e una prospettiva distorta, "L'altro è sbagliato; non sono gli insegnamenti del Buddha" o "non funziona", e attaccamento al nostro e repulsione verso gli altri e, naturalmente, arroganza: "Il mio è il migliore". Bisogna analizzare molto attentamente cosa costituisce effettivamente un punto di vista settario e cosa può essere presente in una visione non settaria senza renderla tale.
Naturalmente, i diversi lignaggi hanno caratteristiche distintive che caratterizzano i singoli esempi di insegnanti di un lignaggio. In altre parole, ci sono affermazioni o guru comuni del lignaggio. Convenzionalmente, diremmo che hanno caratteristiche definitorie, ma si noti che stiamo parlando solo di affermazioni comuni generali, perché diversi lama in una tradizione hanno affermazioni diverse, e pratiche diverse all'interno di diverse tradizioni hanno lignaggi diversi, ma possiamo dire che ce ne sono alcune generali che lo definiscono. Il punto è che l'esistenza del lignaggio non è stabilita dal potere della caratteristica definitoria trovabile dalla parte dei lama del lignaggio o degli insegnamenti. Questo è un punto molto importante nel Prasanghika. Non è che se un insegnamento afferma una cosa particolare, per il solo potere di quella lo rendiamo un insegnamento ghelugpa o kagyu. Oppure c'è qualcosa dentro di me – i miei istinti delle vite precedenti, o qualcosa del genere – che per suo potere mi rende kagyu o nyingma o ghelug o sakya. Si tratta dell'afferrarsi a un'esistenza solida o stabilita dal potere di qualcosa di trovabile nell'oggetto, in questo caso una caratteristica definitoria.
Sebbene esistano caratteristiche definitorie, non possiamo trovarle, e non hanno il potere, da sole, di stabilire le cose, perché anche le caratteristiche definitorie sono etichettate o scelte mentalmente. Non sono lì, da sole, come caratteristiche comuni; sono solo asserzioni. È necessario conoscere queste caratteristiche definitorie comuni, basandosi sulla loro corretta conoscenza e sulla consapevolezza che un lignaggio viene stabilito semplicemente come oggetto di riferimento – non un oggetto di riferimento trovabile, ma un oggetto di riferimento – di un'etichetta mentale sulla base di singoli elementi che possiedono la caratteristica definitoria comune. Solo allora ne avremo una corretta cognizione concettuale.
Abbiamo la parola "cane" e possiamo pensarla; abbiamo una rappresentazione mentale di un cane. Cos'è un cane? Ciò a cui si riferisce l'etichetta "cane" – un oggetto di riferimento – sulla base di tutti questi diversi tipi di cani. Esiste una cosa chiamata cane, convenzionalmente, ed è ciò a cui si riferisce quel termine, ciò a cui si riferisce la categoria. Tuttavia, non esiste un oggetto di riferimento che, di per sé, lo renda un cane e non un lupo o qualcos'altro. Potrebbe esserci un quadro concettuale completamente diverso che non riunirebbe mai un barboncino, un pastore tedesco e un chihuahua messicano nella stessa categoria, "cane". Hanno un aspetto completamente diverso, quindi perché dovremmo chiamarli tutti cani? È semplicemente un concetto che viene usato per riferirsi a un gruppo di cose in base a un insieme di caratteristiche comuni scelto arbitrariamente.
È la stessa cosa anche con le tradizioni. Ci sono certe cose che sono state messe insieme. Voglio dire, dopotutto, molti insegnanti diversi sono arrivati in Tibet, molti tibetani diversi sono andati in India e tornati con insegnamenti diversi, li ricordavano in modo diverso, potevano avere persino versioni diverse dello stesso testo. Vivevano in luoghi diversi, avevano monasteri diversi e persone diverse li capivano o li praticavano in modo diverso. Qualcuno è arrivato e ha detto: "Okay, tutti voi sarete..." o si sono accordati tra loro: "Formeremo un gruppo". È arbitrario, no? Non del tutto arbitrario, perché concordavano su certe asserzioni o lignaggi comuni. Nessuno di loro era esclusivo, perché gli insegnamenti tradotti da Marpa sono entrati a far parte della scuola Ghelugpa e anche della scuola Sakya, non solo della Kagyu. Quindi, non c'è nulla da parte dei praticanti o dei monasteri, o di qualsiasi altra cosa, che li renda, di per sé, ghelug o kagyu. Un segno con un nome, di per sé, non lo rende ghelug o kagyu, vero? È importante capirlo.
Se abbiamo questa corretta comprensione, allora, ancora una volta, possiamo avere una visione settaria o non settaria. Potrebbe convenzionalmente essere il lignaggio che seguiamo o il nostro lignaggio principale. Oppure "Sono non settario. Li seguo tutti". Anche all'interno di questo, potremmo avere l'opinione che il mio sia superiore. Sarebbe non settario? Sarebbe settario. È una questione molto delicata il modo in cui consideriamo i vari lignaggi. Se abbiamo una corretta comprensione, ciò non significa necessariamente che abbiamo un punto di vista non settario; potrebbe comunque essere settario, in termini di "il mio è migliore" o "questo è superiore" e così via. Non deve necessariamente contenere attaccamento e arroganza. Potremmo argomentarlo con la logica ma poi avere opinioni che affermano che questo è al di là della logica, quindi diventa molto difficile, non è vero?
Praticare diversi lignaggi
A volte, in nome dell'essere non settari e pluralisti, potremmo praticare più di un lignaggio di insegnamento. Questo accade sempre più spesso, soprattutto in Occidente. Abbiamo insegnanti che hanno studiato un po' di Theravada, in particolare la forma vipassana (lhag-mthong, sanscr. vipaśyanā, visione profonda) che si è sviluppata in Occidente (proveniente dalla Birmania, ma nel modo in cui si è radicata ed è praticata in Occidente). Prendono un po' di tradizioni tibetane, un po' di Zen, le mettono insieme e dicono: "Siamo non settari". Tuttavia, come Sua Santità il Dalai Lama sottolinea, è bene non mescolarli tutti insieme come un minestrone. Quando pratichiamo un tipo di pratica, o un lignaggio, lo facciamo separatamente dalla pratica di un altro.
Se vogliamo praticare vipassana, lo facciamo in una sola sessione. Mentre pratichiamo vipassana, non recitiamo un mantra. O mentre pratichiamo un mantra, non lo facciamo contemporaneamente mentre cerchiamo di praticare lo Zen, e così via. Non mescoliamo queste pratiche ma le facciamo separatamente. In questo modo, abbiamo rispetto per ciascuna. Dobbiamo fare lo stesso anche quando pratichiamo diverse tradizioni tibetane. Potremmo aver ricevuto e imparato una certa pratica da un lama ghelug e un'altra da un kagyu e da un nyingma. Le facciamo individualmente, non le mescoliamo tutte insieme in un unico pasticcio.
Ciò non significa che non ci siano modi specifici di mettere insieme le cose. Ad esempio, all'interno dei Nyingma e dei Kagyu, esiste una certa tradizione del maestro Kagyu Karma Chagme (Kar-ma Chags-med) che ha insegnato un metodo per combinare mahamudra e dzogcen, il che significa che fino a un certo punto pratichiamo mahamudra e poi passiamo alle pratiche dzogcen, quindi non si tratta di mescolanza ma di praticare ciascuna di queste due tradizioni in un momento specifico. Potremmo chiederci: "È una cosa inclusivista, che se pratichiamo mahamudra non raggiungeremmo l'illuminazione, e che dobbiamo praticare lo dzogcen per raggiungerla? O sta solo presentando un'altra variante di ciò che potremmo fare?". Questi sono un modo settario e uno non settario di guardare a questo tipo di cose.
Inoltre, all'interno del Gjelugpa, abbiamo la pratica combinata dei tre yidam principali: Guhyasamaja, Vajrabhairava e Chakrasamvara. Questa è la pratica principale dei collegi tantrici. Nella fase di generazione (bskyed-rim) – che è la prima fase della pratica anuttarayoga – pratichiamo i tre individualmente, ma nella fase completa (rdzogs-rim) ciascuno di questi insegnamenti presenta maggiori dettagli su un aspetto della pratica completa rispetto all'altro, con i dettagli di Guhyasamaja su ciò che viene chiamato corpo illusorio (sgyu-lus); con i dettagli di Chakrasamvara sulle pratiche di tummo (gtum-mo, calore interiore) e delle quattro beatitudini (dga’-ba bzhi) e sui metodi per raggiungere la mente di chiara luce (’od-gsal), e li pratichiamo nel contesto di Vajrabhairava. Anche questo non è considerato una combinazione. Si tratta di un maestro altamente realizzato che, a un certo stadio, prende i punti di forza di ciascuno di questi e li integra – perché Vajrabhairava contiene pratiche che presentano aspetti di ciò che troviamo più dettagliatamente in Guhyasamaja e di ciò che troviamo più dettagliatamente in Chakrasamvara – inserendoli e integrandoli. Quindi, anche questo non è considerato un mix.
Conclusione
Quando abbiamo a che fare non solo con tutte queste diverse tradizioni tibetane ma con tutte le altre forme di Buddhismo, ci troviamo sicuramente di fronte al problema del settarismo o del non settarismo.
Nella maggior parte delle principali città del mondo, oggi, ci sono tantissimi centri di Dharma. Non si tratta solo di uno o due centri di Dharma di una tradizione o di un'altra all'interno delle diverse tradizioni tibetane, delle diverse tradizioni Zen, delle diverse tradizioni cinesi non Zen, delle diverse tradizioni Theravada e così via, ma anche all'interno di un singolo lignaggio ci sono così tanti centri diversi – di diversi insegnanti e così via – che è molto facile cadere nella trappola del settarismo. Come ho detto, dobbiamo distinguere tra ciò che è innato nei sistemi buddhisti stessi, in particolare in termini di questi sistemi filosofici indiani e dei livelli di motivazione e così via, e ciò che è un tipo individuale di pregiudizio, di settarismo, che potrebbe essere fomentato anche dal lama, dall'insegnante, e da un gruppo all'interno di un monastero. "I nostri libri di testo sono i migliori. Gli altri non sono buoni", questo tipo di atteggiamento è presente anche lì. Dobbiamo distinguere cosa rende un'opinione settaria da cosa la rende non settaria. Anche se fosse settaria, è qualcosa che non è poi così negativo, ma che si basa sui fatti? Lo chiameremmo settario? Non lo chiameremmo settario? Settario, dopotutto, è solo una parola che si riferisce a qualcosa.
Come ho detto all'inizio, questa è una questione molto complessa e che possiamo affrontare in modo molto superficiale. "Sono tutti bravi. Non siate settari. Queste persone che dicono: 'Il mio è il migliore!' e hanno questa mentalità calcistica, si basano solo sull'ignoranza. Non conoscono il loro sistema. Non conoscono il sistema di nessun altro". Possiamo fermarci a questo livello superficiale, oppure possiamo fare come abbiamo fatto stasera, analizzare a un livello molto più profondo e sofisticato cosa sta realmente accadendo in questa questione, e vedere che non è così facile da risolvere.
Grazie. È tutto quello che volevo spiegare. Ci sono domande?
Domande
Ho studiato con un cosiddetto "detentore di lignaggio", e questo insegnante sottolinea l'importanza di seguire semplicemente il proprio lignaggio e non altri. Lui ha la responsabilità di coltivare quel lignaggio e di trasmetterlo ad altri in futuro. Come possiamo sapere se questa è la scelta migliore per noi senza studiare e conoscere altre tradizioni? Ma queste altre tradizioni e lignaggi, dice il maestro, sarebbero troppo confusi, quindi basta seguire questo. E ci troviamo di fronte a un dilemma.
Ci sono diverse questioni, questioni molto importanti, che la tua domanda solleva. Prima di tutto, cos'è un detentore di un lignaggio? In ogni tradizione del Buddhismo tibetano, ci sono moltissimi lignaggi. Ogni pratica ha un lignaggio e ogni monastero, in un certo senso, ha un lignaggio. Quindi, cosa stiamo effettivamente seguendo? Oppure, nel Nyingma, ogni tradizione terma (gter-ma) ha un lignaggio; le persone non solo praticano i terma, questi testi preziosi, ma anche altro. Diventa un po' confuso quando un maestro dice: "Ecco il lignaggio e seguitelo", perché quel lignaggio contiene indubbiamente molte cose in comune con altri.
Tralasciando la questione di cosa sia un lignaggio e come venga effettivamente trasmesso, chi diventa un detentore del lignaggio e chi ha l'autorità di dichiarare che qualcuno è un detentore del lignaggio in modo che il suo nome compaia effettivamente nelle preghiere del lignaggio? Anche questa è una questione molto controversa: come si fa a inserire il nome di qualcuno in una preghiera del lignaggio e se persone diverse abbiano nomi diversi? Ma lasciamo da parte questa questione politica.
Il dilemma che tutti ci troviamo ad affrontare è: come scegliere un lignaggio? Abbiamo tutti capacità diverse, e quindi per alcuni studiare un solo lignaggio è già abbastanza difficile – o una sola tradizione, diciamo (chiamiamola una tradizione di un modo di praticare un insieme di pratiche) – è già abbastanza difficile. Per altri, sarebbe molto utile, potrebbe dirci un insegnante, studiare molte tradizioni diverse. Perché se vogliamo diventare insegnanti, ad esempio, o diventare un Buddha, dobbiamo essere in grado di interagire con persone di diverse attitudini, persone provenienti da tradizioni diverse, quindi dobbiamo sapere di cosa stanno parlando e avere anche una certa conoscenza (se non esperienza). Quindi, dipende dalle capacità.
Questo diventa molto difficile quando abbiamo un centro di Dharma con molti membri diversi. Il centro di Dharma ha solo una politica aperta, invitando insegnanti di tutti i lignaggi a venire a insegnare? Per molte persone, questo sarebbe molto confuso. Oppure ha una linea di pratica principale e poi invita occasionalmente alcuni insegnanti ospiti? Oppure ha solo una pratica principale e non invita insegnanti esterni? Ci sono tre possibilità. È molto difficile per un centro, o per un lama che è responsabile di un centro, decidere cosa è più vantaggioso. Questo perché un centro non è statico: i membri vanno e vengono, e le loro predisposizioni e capacità sono tutte molto diverse. Questo è un punto.
Un altro, come dice sempre Sua Santità il Dalai Lama, riguardo alla pratica di più di una divinità tantrica (figura di Buddha), è che all'inizio è utile praticarne diverse; questa è la tradizione – che si tratti di un lignaggio o di più lignaggi, questo è un altro punto – ma praticarne molte all'inizio. È solo quando siamo pronti a dedicarci al 100% del nostro tempo al raggiungimento dell'illuminazione che, a quel punto, dobbiamo sceglierne una e seguire solo quella.
Di nuovo, ciò che studiamo e ciò che pratichiamo sarà diverso nelle diverse fasi del percorso, ma all'inizio è molto difficile, devo dire, anche solo identificare quali siano le affermazioni comuni del Buddhismo, perché, come abbiamo detto, ci sono le quattro nobili verità, i quattro sigilli, questo genere di cose, ma, in aggiunta, ci sono alcuni aspetti condivisi con le tradizioni indiane non buddhiste. I metodi per raggiungere la concentrazione univoca, ad esempio, li troviamo in tutte le tradizioni indiane.
Non è affatto una domanda facile. Andiamo semplicemente al centro che capita vicino a casa nostra, il più comodo da frequentare? Ci andiamo perché l'insegnante è carismatico? Ci andiamo perché l'insegnante è famoso? Ci andiamo perché il centro non costa quanto l'altro e possiamo permettercelo? Ci andiamo perché i nostri amici frequentano quel centro? Ci sono moltissime ragioni, valide e non così valide, per andare in un centro o andare da un insegnante, avere qualcuno come nostro insegnante, quindi è difficile dare delle linee guida concrete. Tuttavia, per uno dei voti del bodhisattva, la caduta è lodare se stessi e sminuire gli altri a causa dell'attaccamento alla fama e così via, e cose del genere. Se il centro e se l'insegnante hanno questa visione palesemente settaria, per cui "il nostro è il migliore e gli altri non sono buoni", e fondamentalmente vogliono avere molti studenti in modo da potersi permettere l'affitto e così via, allora bisogna essere piuttosto sospettosi di ciò che accade lì.
È molto diverso da un centro che dice: "Ecco, questo è il lignaggio. Ci sono molti altri lignaggi, molti altri modi di praticare, che sono altrettanto validi" – per essere un po' non settari – "Questo è ciò che offriamo; provatelo". Penso che sia molto importante. Non che la prima volta che varchiamo la soglia, all'improvviso, ci convertiamo. Credo che all'inizio dobbiamo fare shopping.
Non sarebbe una buona idea che i lignaggi, i vari centri, avessero la responsabilità di esporre i propri membri a queste altre visioni?
Ottima osservazione, sì, sarebbe utile.
Un altro fatto mi è venuto in mente mentre discutevamo. Stavo dicendo che forse è importante all'inizio fare shopping, ma penso che alla fine dobbiamo decidere. Questo fare shopping potrebbe durare molto a lungo, e anche questo non è molto salutare. Stavo pensando alla scuola di dialettica, l'Istituto di dialettica buddhista di Dharamsala. Questa è una scuola di dibattito all'interno della tradizione Ghelug. Quello che fanno è seguire tutta la formazione per il grado di ghesce ma alla fine, per un anno, frequentano le scuole di dibattito delle altre tradizioni tibetane. Quindi, non si tratta di studiarle prima tutte e poi scegliere – anche se forse è una buona idea vedere dove ci collochiamo, fare un po' di shopping e cosa ha più senso per noi – ma dopo esserci saldamente radicati in un punto di vista, imparare a conoscere gli altri.
Uno dei miei insegnanti, ghesce Ngauang Dhargyey, ha sottolineato questo punto criticando l’approccio occidentale: tendiamo a voler confrontare due cose che conosciamo molto bene e porta solo confusione. Possiamo confrontare due cose solo quando ne conosciamo molto bene una, e poi iniziamo a studiare qualcos'altro, e a quel punto dobbiamo conoscerlo abbastanza bene prima di poter fare un confronto davvero imparziale.
Quindi, è responsabilità dei centri farlo? In un mondo ideale, sì. Ma dobbiamo ammettere che non tutti gli insegnanti sono esseri illuminati e non tutti hanno la conoscenza necessaria per poter presentare il punto di vista di altre tradizioni buddhiste. C'è questa possessività in questi centri di Dharma, che potrebbe essere in parte motivata da considerazioni finanziarie: non vogliamo che le persone vadano in altri centri di Dharma; vogliamo che rimangano con noi e paghino in modo che possiamo pagare l'affitto e inviare denaro al nostro monastero (perché c'è una pressione enorme da parte dei monasteri in India se siamo monaci insegnanti).
Sì, sarebbe molto bello ricevere insegnamenti sulle altre tradizioni, e poi penso che il modello della scuola dialettica sia piuttosto valido. E’ il modello che Sua Santità ha scelto, e senza dubbio è molto saggio. Quindi, lo fanno alla fine dei loro studi. Ora, questo è molto difficile in un centro di Dharma perché le persone vanno e vengono. A volte abbiamo un corso prestabilito con frequenza dall'inizio alla fine, e loro lo garantiscono facendoci pagare tutto all'inizio, quindi ci sentiamo un po' stupidi se non andiamo perché abbiamo già pagato. Poi, come parte di quel corso, forse alla fine, potremmo introdurre alcune di queste altre visioni. Certamente, all'interno dei sistemi filosofici indiani c'è un innato aspetto settario nel Buddhismo. Che sia giusto o sbagliato, è un'altra questione, ma è lì. Tuttavia, non è necessario che l'atteggiamento sia disturbato.
Potremmo imparare a conoscere gli altri sistemi buddhisti anche attraverso un corso universitario. Ho studiato Buddhismo all'università: non c'era alcun giudizio su una tradizione come più autentica o più corretta di un'altra ma semplicemente una presentazione dei fatti. Quindi, potrebbe essere così. Diventa più complicato se siamo praticanti e pratichiamo uno di questi sistemi. Allora, come ho detto, abbiamo questi approcci esclusivisti, inclusivisti o pluralisti, e poi dobbiamo analizzare cosa lo rende settario all'interno di queste tre categorie.
Penso che un'educazione buddhista generale sia molto utile; generale all'inizio e più dettagliata alla fine quando saremo più avanzati e radicati in una tradizione, perché presentare troppe varianti di un unico punto alla volta è troppo confuso per la maggior parte delle persone.