Tre approcci al Dharma
Dunque, questa sera mi è stato chiesto di parlare un po' dei diversi tipi di approccio al Dharma, nello specifico quello intellettuale, quello emozionale e quello devozionale. Analizzare gli approcci al Dharma implica tenere conto della nostra motivazione o del nostro scopo. Che cosa vogliamo trarre dal Dharma? Che cosa ci porta qui?
- Bene, se guardiamo all'occidente, molte persone si avvicinano al Dharma per il desiderio di qualcosa di esotico. Hanno ascoltato cose strane e misteriose sul Buddhismo, e in particolare sui tibetani, e vengono per soddisfare questa necessità di qualcosa di esotico nella loro vita. Come avete detto voi, cerchiamo un qualche tipo di magia.
- Altre persone vengono perché sono disperate. Stanno davvero soffrendo per tutta una serie di problemi, siano essi emozionali o fisici. Hanno provato varie soluzioni che non sono state sufficientemente d'aiuto e stanno cercando una cura miracolosa. Una cura miracolosa – questo implica di nuovo un'associazione con la magia, no? “Dammi uno speciale mantra magico da recitare, o una pratica speciale: la metterò in pratica, e magari avverrà un miracolo”.
- Altre persone vengono in un centro perché è trendy, è di moda, i loro amici ci vanno, altra gente ci va, vogliono in qualche modo fare parte del gruppo. Quindi vengono per questo: vogliono essere visti con la gente giusta nel posto giusto, specialmente quando si sente parlare di qualche stella del cinema che pratica il Dharma, e quindi ovviamente altra gente pensa che è una cosa cool da fare, una cosa chic.
- Altre persone vengono perché sono coloro che io chiamo i drogati del Dharma – ovvero, persone dipendenti da un centro di Dharma – che hanno bisogno di venire al centro per avere la loro dose da un maestro coinvolgente e carismatico. Li fa sentire bene. Quindi sono dei drogati, essenzialmente.
Nonostante molta gente venga ai centri in questo modo, ci sono anche altri che vengono mossi da un vero e sincero interesse, per vedere che cosa il Dharma può offrire in modo più realistico. E in ogni caso, anche se la gente viene per le ragioni sopra menzionate, molto spesso non trova quello che stava cercando – non ci sono cure miracolose, e così via – e quindi finisce poi per adottare un atteggiamento molto più realistico.
Immaginiamo dunque che veniamo con un atteggiamento realistico e impariamo qualcosa del Dharma. A questo punto possiamo avere vari modi di rapportarci a queste informazioni, di farne uso. (E qui arriviamo all'argomento di questa lezione). L'approccio che possiamo adottare verso tali informazioni, verso quello che il centro ci offre, può essere intellettuale, emozionale, o devozionale. Ce ne sono probabilmente anche altri, ma questi sono i tre di cui mi è stato chiesto di parlare, e penso che siano i tre approcci più tipici.
Ora, sicuramente molto dipende da come l’insegnante presenta il materiale. Questo influenzerà il modo in cui ci approcciamo a esso. E molto dipenderà anche dal nostro background culturale: alcuni di noi provengono da background molto devozionali o emozionali, altri da background molto intellettuali. E, in aggiunta alle influenze culturali, ognuno di noi ha le proprie inclinazioni.
Quindi ora, indipendentemente dall'approccio che adottiamo, penso sia molto importante notare che ogni approccio può essere seguito in maniera matura oppure immatura dal punto di vista del Dharma. Analizziamoli quindi tutti e tre, singolarmente.
Intellettuale
Cominciamo con l'approccio intellettuale. Un approccio immaturo è quando rimaniamo affascinati dalla bellezza del sistema del Dharma. Se cerchiamo una spiegazione del modo in cui funziona la mente, della visione della realtà, e così via, tutto ciò è incredibilmente complesso, elegante e bello – una parola che mi pare molto adatta a questo caso. E allora vogliamo imparare quante più cose possibili e tutta la complessità dei dettagli. Questo è il tipo di persone cui piace avere una casa incredibilmente curata, ogni cosa al suo posto, e così via, e quindi il loro approccio al Dharma è analogo. E in esso c'è una quantità incredibile di materiale, e dà molta soddisfazione cercare di farlo stare tutto all’interno di graziosi sistemi.
Il problema con questo tipo di approccio, quello che chiamo qui un approccio intellettuale immaturo, è che, seguendo unicamente questo, si tende a non integrare o sentire nulla di quello che si sta imparando. Quindi qui, in termini di parametri di sensibilità – questo è ciò di cui parleremo nel fine settimana – si tratta di qualcuno che ha difficoltà con i sentimenti e tende a collocarsi principalmente in una dimensione di insensibilità. Queste sono persone che semplicemente si rifugiano nel loro mondo intellettuale, rimangono intrappolate nella sua bellezza e sono piuttosto insensibili agli altri – e in realtà anche a loro stesse. Quindi, anche se possono avere molto, molto entusiasmo nello studio, nell'apprendimento, e così via, le cose non penetrano davvero nel profondo, e dunque non hanno un reale effetto sul loro approccio alla vita.
Ora: se il nostro approccio è intellettuale e vogliamo adottarlo in modo maturo, allora apprenderemo tutti i dettagli – e con ciò voglio dire che non è questo il problema (è molto utile imparare) – ma li apprenderemo in modo da comprendere gli insegnamenti, integrarli nella nostra vita e metterli in pratica. Inoltre, più capiamo e più abbiamo una ferma convinzione nella validità degli insegnamenti, e quindi siamo in grado di applicarli senza dubbi o esitazioni.
Questo dunque è un tipo di approccio intellettuale.
Emozionale
Il secondo tipo di approccio è di natura emozionale. Come sarebbe quindi una tipologia immatura di questo approccio? Consisterebbe nel meditare, ad esempio, semplicemente per sentirsi bene:
- Per esempio, si medita sull'amore e sulla compassione perché è bello, ci sentiamo molto bene, e vogliamo essere felici e pensare alle terre pure – cose così. È come andare nel regno delle favole, e così via, e ci si fa trasportare dai buoni sentimenti, da buone sensazioni di tipo emotivo che si ricavano dall’augurare il bene a tutti gli esseri e dal sentire cose del genere.
- Oppure la situazione può essere meno drastica. Può essere che uno mediti anche solo per riuscire a calmarsi. Una persona molto emotiva può approcciarsi alla meditazione del Dharma per il desiderio di riuscire ad ottenere un po' di calma se le proprie emozioni sono davvero molto turbolente. Quindi abbiamo un approccio emozionale: ancora una volta, questa è una forma di praticare il Dharma per sentirsi bene, solo meno drammatica.
Quelli che tendono verso questa direzione, specialmente quelli per cui “tutto è così bello e adorabile” e che amano tutti, sono di solito tipi iperemotivi, ipersensibili. Non vogliono sentir parlare di sofferenza. Non vogliono sentir parlare delle rinascite inferiori. Non vogliono sapere nulla di tutto questo, vogliono solo sentir parlare degli elementi positivi. Il problema di questo tipo di approccio è che non affronta le emozioni disturbanti – non le si vuole guardare in sé stessi: si vuole solo star bene. Inoltre, in realtà, non si capisce nulla del Dharma e neppure si prova a capire nulla di sé stessi.
Un approccio emozionale maturo, invece, è quello di chi vuole lavorare con le proprie emozioni. Si tratta di persone che provano emozioni forti ma vogliono lavorare con esse, per liberarsi di quelle disturbanti e sviluppare quelle positive. Vogliono guardare tutto lo spettro delle emozioni, non solo quelle positive, e imparare a rapportarvisi.
Devozionale
Che dire ora del terzo tipo di approccio tipico, quello devozionale? L'approccio devozionale immaturo si basa sulla sensazione di guardare ai Buddha, alle varie forme di Buddha (Chenrezig, Manjushri, e così via) e ai maestri, pensando: “Oh, che meraviglia! Sono tutti delle divinità. E io sono una persona così insignificante e inetta rispetto a loro”. “Loro sono delle divinità e io sono un peccatore, una persona terribile, insignificante e inetta, rispetto a loro”. E così noi li ammiriamo come divinità e ci rivolgiamo a loro come ci si rivolge a un santo: “Aiutami”. E dunque facciamo ogni genere di pratica devozionale (quelle che chiamiamo puja nella sfera buddhista), recitiamo mantra, e facciamo ogni tipo di pratica devozionale rituale di questo genere con l'obiettivo di chiedere aiuto ai santi, ai santi buddhisti, lodandoli e così via.
Il problema di questo tipo di approccio è che non ci assumiamo realmente la responsabilità di lavorare su noi stessi. Cerchiamo soluzioni esterne ai nostri problemi. Vogliamo che altre persone, altri esseri, ci risolvano i nostri problemi.
L'approccio devozionale maturo consisterebbe nel rivolgerci a queste forme di Buddha, ai Buddha e ai maestri, nel fare rituali, e così via, per ottenere ispirazione – per riceverne conforto ed energia – per essere in grado di lavorare su noi stessi. Partecipare a un rituale può essere un'esperienza davvero molto confortante ed energizzante, e molto utile sul sentiero.
Bilanciare i tre approcci
Di fatto l'ideale sarebbe bilanciare tutti e tre gli approcci e ovviamente bilanciarli nella loro forma matura. Anche se tendiamo al tipo intellettuale, emozionale o devozionale, un cammino di sviluppo spirituale non è veramente completo se seguiamo soltanto un tipo di approccio escludendo gli altri. In altre parole, abbiamo bisogno di comprendere, abbiamo bisogno di sentire le cose a livello emotivo, e abbiamo anche bisogno di ricevere ispirazione.
Quindi per una persona di tipo emozionale è di grande aiuto apprendere l'approccio intellettuale perché talvolta, anche se si è tipi emozionali, non si riesce ad amare gli altri. Ovviamente il samsara, come dico spesso, ha alti e bassi. È la caratteristica del samsara. Per cui a volte ci sentiamo pieni d'amore e altre volte semplicemente non lo sentiamo – perché siamo stanchi o per qualsiasi altro motivo. E dunque in queste situazioni è molto utile conoscere alcuni modi di ragionare, come: “Bene, perché dovrei provare amore e compassione verso gli altri?”, in modo da avere questo tipo di approccio più intellettuale su cui poter fare affidamento o cui poterci rivolgere quando non riusciamo a essere amorevoli. Inoltre, nel cercare di superare le proprie emozioni disturbanti, è molto utile capire da dove esse provengano.
E per qualcuno che è molto intellettuale è altrettanto importante imparare l'approccio emozionale perché, come possiamo osservare, se abbiamo questo approccio intellettuale, e la mente molto tesa e rigida in una modalità di tipo intellettuale, restiamo emozionalmente molto freddi. E perciò quello che dobbiamo fare, quello che è utile in questo caso, è imparare a meditare con questo approccio più emozionale, intuitivo (se usiamo un termine occidentale), che significa calmarsi e avere accesso al calore naturale della mente e del cuore.
Invece le persone di tipo non–devozionale hanno un gran bisogno di imparare a seguire un approccio devozionale, perché spesso la loro energia è molto bassa. E dove trovare ispirazione? Come trovare conforto? Questo rappresenta davvero un grosso problema per molte persone. Da dove trarre energia e ispirazione per proseguire nella pratica del Dharma?
- Bene, se ci rivolgiamo agli amici per ottenere questa energia: anche se sono amici di Dharma, essi sono nel samsara, come noi, e inevitabilmente ci deluderanno (perché a volte nemmeno loro si sentiranno molto positivi, e hanno i loro problemi e sono occupati con il loro daffare).
- Se ci rivolgiamo al centro di Dharma per la nostra energia e ispirazione: questi centri, come sapete, hanno molti problemi di politica interna legati al Dharma, e ciò ci può demoralizzare e così la nostra energia, anziché esserne aumentata, si riduce e si abbassa ancor più di prima. Quindi anche questa non è una fonte stabile di energia positiva.
- Invece, se siamo capaci di svolgere una pratica rituale in modo maturo, un modo che ci muova realmente, non in una modalità immatura, questa è una fonte di ispirazione ed energia molto più stabile.
D'altro canto, chi è molto devozionale a volte può non capire che cosa gli accade nella vita. Voglio dire, guardate la gente che è profondamente scossa dai disastri come quello del World Trade Center e così via. Nonostante sia molto devozionale non riesce a capire che cosa stia davvero succedendo nel mondo, e ha bisogno di qualcosa di più di un semplice conforto e di un po' di sollievo: cerca delle spiegazioni. E quindi anche il tipo devozionale ha bisogno di sviluppare una certa comprensione, un approccio emozionale più stabile, piuttosto che venire semplicemente confortato.
Per i tipi emozionali il rituale è davvero molto d'aiuto perché dà una sorta di espressione e forma ai loro sentimenti. A volte possiamo essere pieni di emozione e d'amore, e così via, e in qualche modo ciò trabocca ovunque, e ciò può farci sentire sopraffatti. Se si ha una forma rituale per esprimere ciò che sentiamo, invece, diventa più facile per noi canalizzare quell'energia emozionale positiva. Ad esempio, se ci pensiamo: proviamo un enorme rispetto per il maestro; bene, come mostriamo tale rispetto? È molto bello essere capaci di dimostrarlo, anche solo tenendo le mani giunte in alto in segno di rispetto – è un rituale, non è vero? – o alzandoci quando egli entra nella stanza, o anche solo preparando un luogo piacevole per la meditazione o per la lezione, con fiori e così via. Questo è un rituale. È un modo di dare forma ai nostri sentimenti. Perciò è molto utile, più del semplice sentimento.
E per un tipo intellettuale il rituale è allo stesso modo molto utile perché conferisce regolarità: dà un senso di continuità. Se si svolge una determinata pratica, una pratica rituale, ogni giorno, questa aggiunge una certa stabilità alla propria vita. Per i tipi emotivi è la stessa cosa: se le emozioni hanno alti e bassi tutto il tempo, avere un momento in cui si farà sempre la stessa cosa ogni giorno con regolarità, anche solo per un breve periodo di tempo, rappresenta un fattore di grande stabilizzazione. In particolare, se la nostra vita è molto frammentata da mille cose da fare ogni giorno – molte telefonate, molte email, molti appuntamenti e attività da svolgere – tutto questo rende la nostra vita molto... troppo frammentata. Se invece abbiamo un'attività che si ripete ogni giorno come una sorta di rituale – e quest'attività è qualcosa di più della routine di lavarsi i denti o passarsi il filo interdentale – questo, come ho detto, aggiunge una certa stabilità alla nostra vita. E molto spesso nel nostro addestramento nel Dharma ci impegniamo in vari rituali prima ancora di capirli. Per un tipo intellettuale, anche questo è molto utile perché tende ad aiutare a diminuire l'arroganza. Arroganza è pensare: “Non ho intenzione di fare questa cosa se non so che cosa significa”.
Così vediamo che, indipendentemente da quale sia il nostro tipo predominante, il nostro approccio predominante al Dharma, è davvero molto, molto utile bilanciarlo almeno in parte con gli altri approcci.
Nella relazione con il maestro spirituale
Ora, nel caso di persone mature che hanno anche un maestro spirituale molto maturo – entrambe le cose sono necessarie – una relazione sana con il maestro spirituale può anch'essa aiutare a sviluppare tutti e tre gli approcci. Di nuovo, ci sono le modalità matura e immatura.
Un approccio intellettuale immaturo si ha quando non si fa altro che gareggiare e discutere con il maestro. Ogni cosa che dice il maestro, beh, la si mette in dubbio, solo per dimostrare quanto si è brillanti. Un approccio emozionalmente immaturo si dà quando ci si innamora del maestro, e questo succede molto spesso. O, se non ci si innamora, si vede il maestro come un sostituto della figura paterna o materna. Un approccio devozionale immaturo consiste nell'essere devoti in modo irragionevole – “Oh Guru, Guru, dimmi che cosa fare. Dimmi che cosa pensare. Sono così perso senza di te” – e in questo modo si delega ogni responsabilità di decisione sulla propria vita.
Invece se lavoriamo con questi tre approcci a un livello maturo con un maestro spirituale, allora la relazione è intellettualmente stimolante. Il maestro ci stimola sempre in un modo sano, senza sminuirci. Noi stessi non ci sminuiamo. Non polemizziamo. Ci vengono mostrati modi sempre nuovi di capire le cose, diversi modi di vederle. E questo è vero non solo quando il maestro ci sta insegnando effettivamente qualcosa di un testo o in un insegnamento formale, ma anche in modo informale. Se siamo capaci di stare con il maestro e vedere come affronta gli eventi che accadono nella vita, anche questo risulta intellettualmente molto stimolante, perché ci mostra diversi modi di comportarsi e lavorare con le persone.
Sempre a un livello maturo, la relazione con il maestro è anche emotivamente molto toccante. Ci tocca molto, molto in profondità nel cuore, ma non nel modo immaturo di quando si è innamorati del maestro. Ad esempio, dato che nutriamo un grande rispetto per il nostro maestro, non ci comporteremo in modo stupido, irresponsabile, distruttivo, perché ciò si rifletterebbe in modo negativo sul nostro maestro. E a un livello emozionale profondo apprezziamo sul serio ciò che il nostro maestro fa e ciò che ha fatto. Questo è emotivamente molto toccante. E pensare alle buone qualità del nostro maestro – quando non sono qualcosa su cui fantastichiamo o di cui abbiamo una visione romanzata, bensì sappiamo dall'esperienza che il maestro ha realmente queste qualità, e ne siamo fermamente convinti – dà un incredibile senso di stabilità, di forza. Ecco qualcuno che è riuscito veramente a lavorare su sé stesso. E ci si sente davvero in mani forti e sicure, in termini di guida. Ciò è emotivamente molto toccante su un piano estremamente maturo.
Sempre parlando di una relazione matura con il maestro, questa è incredibilmente ispiratrice anche dalla prospettiva devozionale, ma non in un modo che ci sminuisce mentre eleviamo il maestro, considerandolo eccezionale. Farò un esempio.
Prima di venire qui in Messico sono stato in India per un mese con la reincarnazione del mio maestro Serkong Rinpoche, che ha ora diciassette anni. Ero lì nel momento in cui sono avvenuti gli attacchi a New York e Washington e ho ricevuto delle email da persone che chiedevano a Rinpoche di recitare delle preghiere.
Ora, in quel periodo Rinpoche si stava preparando per un certo... c'è una certa fase nella formazione monastica in cui si deve letteralmente dimostrare le proprie capacità dialettiche di fronte a un'assemblea di monaci del monastero. Si tratta di dimostrare che, a livello intellettuale, si è diventati membri a pieno diritto della comunità, e che si può dibattere con chiunque. Si tratta dunque di una determinata fase della formazione. Questo significa che Rinpoche si stava preparando per un dibattito molto importante di fronte a... uno di loro di fronte a duemilacinquecento monaci, e un altro di fronte a milletrecento.
Quello che ho trovato di grande ispirazione è stato il fatto che in questa situazione Rinpoche è rimasto sveglio più di metà della notte per recitare varie preghiere e rituali per la pace e per le persone che avevano sofferto. E invece avrebbe potuto facilmente – voglio dire: nessuno lo avrebbe saputo – recitare solamente una preghiera in cinque minuti, per poi andarsene a dormire; ma non lo ha fatto. Questo è stato davvero una fonte di ispirazione.
Quindi, in questo modo, una sana relazione con il maestro spirituale può aiutarci a sviluppare tutti e tre questi aspetti: intellettuale, emozionale e devozionale.
Dharma “light” e Dharma vero e proprio
Ora, sempre nei termini di questi tre approcci, penso che un'altra dimensione debba essere introdotta – ne ho parlato molte volte in passato, ma penso sia un aspetto molto utile da ripetere – e cioè il fatto che si possano seguire questi tre tipi di approccio, o anche una forma bilanciata di questi tre approcci, nella maniera del Dharma dietetico (Dharma “light”) o del Dharma vero e proprio, come nel paragone tra Coca-Cola Light e Coca-Cola vera e propria.
Il Dharma “light” implica praticare il Dharma in una qualsiasi di queste tre modalità (o bilanciandole tutte) esclusivamente per migliorare questa vita presente – per avere relazioni sane, meno problemi psicologici, e così via. E senza dubbio il Dharma può essere molto utile a questo riguardo. Se ci piace la Coca-Cola Light, è rinfrescante: ottima cosa. Ma non è il vero Dharma. La psicoterapia fa la stessa cosa, e il Dharma non è una diversa forma di psicoterapia, nonostante uno possa approcciare e studiare il Dharma come un tipo di terapia e trarne i benefici di una terapia. Questo è il Dharma “light”. Anche se lo si segue come terapia, è comunque molto diverso da una terapia. In una terapia, essenzialmente, si va come clienti da un terapeuta per essere ascoltati, per raccontare la propria storia. Quando si va a un insegnamento di Dharma, invece, non si tratta di raccontare la propria storia e di essere ascoltati; si tratta di ascoltare gli insegnamenti e metterli in pratica.
Una forma leggermente più forte del Dharma “light” consisterebbe nel praticare il Dharma per ottenere reincarnazioni future migliori o per raggiungere qualche campo o terra di Buddha. Ma se si vede questo come lo scopo assoluto per cui si pratica il Dharma, allora questo non è neppure esclusivamente buddhista. Ci sono molte religioni in cui si pratica per andare in paradiso o in cielo.
Perciò, se si vuole seguire il Dharma (intellettualmente, emozionalmente o devozionalmente) in quanto Dharma vero e proprio, ciò si ottiene perseguendo uno dei seguenti scopi:
- La liberazione dalle rinascite – non solamente dai problemi di questa vita presente, ma dal rinascere – il che significa che si deve capire la reincarnazione, capire quello che il Buddhismo dice a questo proposito, esserne convinti e di conseguenza volersene liberare, assieme a tutti i problemi che essa comporta.
- O l'illuminazione, ovvero la capacità di aiutare gli altri a liberarsi dalle rinascite – che non sono sotto il nostro controllo.
Questo è il Dharma vero e proprio – la liberazione dall'incontrollabile ripetersi del rinascere, non solo dai problemi di questa vita presente. “Mahayana light” è aiutare le persone a liberarsi dai propri problemi in questa vita. Questo corrisponde a essere un buon terapeuta. Non è quello cui stiamo puntando noi.
Per molti di noi in occidente è molto difficile scegliere il Dharma vero e proprio, perché molti di noi hanno una comprensione minima degli insegnamenti buddhisti sulle rinascite. In realtà questi dipendono completamente dagli insegnamenti buddhisti sulla non esistenza di alcun sé solido, perciò se non si capisce questo non si capiscono veramente gli insegnamenti buddhisti sulle rinascite. E quindi, ovviamente, se non capiamo veramente gli insegnamenti buddhisti sulle rinascite, come possiamo esserne convinti, e come possiamo voler liberarci da questo genere di rinascite?
Quindi anche se stiamo lavorando solo per migliorare questa vita presente, diciamo – un tipo di approccio da Dharma “light”– quello che sarà d'aiuto per renderlo un approccio buddhista in generale, in un senso più generale, è vederlo come un primo passo. È un primo passo lungo il cammino: “Riconosco l'importanza della rinascita e che posso capirne la spiegazione buddhista solo se capisco che non è un sé solido quello che prende rinascita, e quindi ho desiderio di imparare qualcosa a questo proposito. Ma ora non riesco a capire veramente, quindi per ora lavoro su questa vita presente”. Quindi se lavoriamo per questa vita presente come un primo passo in quella direzione, verso la liberazione e l'illuminazione – qualsiasi cosa queste parole significhino (non ci illudiamo pensando di sapere che cosa la liberazione e l’illuminazione significhino) – questo diventa un sentiero di Dharma, e non solo una terapia o una religione per rinascere in paradiso.
Indipendentemente dal livello di Buddhismo che stiamo seguendo – sia esso Dharma “light” solo per questa vita o per andare in paradiso, o sia il Dharma vero e proprio quello che stiamo seguendo – comunque, in ognuna di queste situazioni avere un equilibrio tra un approccio maturo intellettuale, emozionale e devozionale è la scelta più efficace.
Domande
Il mio approccio alla vita è molto scientifico, oggettivo. È sempre stato così. Perciò ho sempre rifiutato un approccio devozionale – è per questo che non mi sono mai sentito appartenente ad alcuna religione: non è nelle mie corde. Dato che per tutta la vita ho sempre rifiutato coscientemente di essere devozionale, ho scelto di impostare la mia esistenza sulla base di principi etici. L'etica è stata la mia norma da seguire al posto della devozione. Ma di recente, nel mio contatto con il Dharma e con determinate cose che non capisco e cui non credo – come le rinascite, e così via – mi sono sorpreso a pensare: “E se il karma fosse una cosa reale? E se la reincarnazione esistesse davvero e le mie azioni mi portassero a una cattiva rinascita?” e così via. Questi sentimenti sono molto superstiziosi – la mia reazione mi sembra molto superstiziosa – e io non sono mai stata una persona superstiziosa, e questo mi preoccupa. Ecco, questa è la mia domanda.
Chiedersi se il karma e le rinascite siano o meno reali non rappresenta una manifestazione di superstizione. Non lo è necessariamente, anche se suppongo che lo possa essere. Si tratta semplicemente di imparare una teoria nuova per spiegare le cose in modo scientifico, una teoria che non abbiamo mai sentito prima, e perciò ci poniamo degli interrogativi e ci chiediamo se sia vera o meno. Quindi qui si può seguire un metodo, un approccio scientifico.
Al momento, per esempio, sto leggendo un libro sulla teoria delle super stringhe, quindi si tratta di fisica. Prima di questa teoria c'erano la fisica delle particelle, la relatività, la meccanica quantistica, e ora c'è questa teoria delle super stringhe. Si potrebbe dire: “Beh, è superstizione pensare che ogni cosa derivi da minuscole stringhe che vibrano”. Ma si può anche investigare in modo molto scientifico, come stanno facendo i fisici, e verificare se tutto ciò sia vero o meno. Suppongo che si possa intendere tutto ciò come una superstizione: “Oh, immagina queste strane stringhette che creano tutto quanto”.
Ora, la devozione di cui parlavo non è fede cieca in qualcosa. Non è di questo che parlavo riferendomi alla devozione. Parlavo di devozione in un'accezione sana, quella di seguire un determinato rituale che dà una certa struttura alle nostre emozioni, ai nostri sentimenti, ed è anche un modo di trarre ispirazione.
Perciò quando ci si avvicina al karma e alle rinascite non credo sia una questione di devozione (nemmeno se intesa in modo sano). Essenzialmente quello che si cerca di fare con le rinascite e il karma è comprenderli – quindi prima si ha un approccio intellettuale a essi – e, dopo che ci si è convinti logicamente della loro validità, cercare di sentire a livello viscerale che esistono veramente. Il Buddhismo non richiede mai una fede cieca e incondizionata, nonostante molte persone immature si avvicinino al Buddhismo con fede cieca.
La mia vita fino ad oggi è stata motivata dall'etica e ora scopro questi aspetti di superstizione. Vorrei che i comportamenti che assumo nella mia vita li sentissi giusti rispetto a un'etica, non a una superstizione. Questo è quello che mi preoccupa.
D'accordo, ma gli insegnamenti sul karma e le rinascite sono totalmente e assolutamente relativi a questioni etiche, perché il karma sostiene, essenzialmente, come nella fisica, che se si mette un dito sul fuoco lo si brucerà: farà male. Lo stesso si può dire se si adotta un comportamento distruttivo: causerà problemi; se invece si agisce costruttivamente, questo porterà felicità e avrà un effetto sulle proprie rinascite future. Quindi tutta la questione che riguarda il karma e le rinascite è una questione etica.
Dobbiamo esaminare: che significato dai alla parola superstizione? Superstizione significa credere in qualcosa senza una ragione o solo per paura, ma sicuramente questo non è Buddhismo.
Intende dire che per approcciare il Dharma la prima via è quella intellettuale?
No, non dico questo. Dico che ci si può accostare all'inizio sia in modo intellettuale, sia emozionale, sia devozionale: non importa.
La via intellettuale è limitata. Il linguaggio è limitato all'esperienza, giusto? La nostra capacità di comprendere e conoscere il karma e le rinascite è limitata, e probabilmente non possiamo parlarne con le parole. È giusta questa mia impressione?
Dunque, raggiungere solo una comprensione intellettuale o – scusate l’espressione – solo un'esperienza esperienziale, solo un'esperienza, entrambe queste opzioni sono molto incomplete e limitate. Si può avere una comprensione intellettuale che però non si traduce in sentimenti: quindi non si sa di che cosa si tratta davvero in termini di vita vissuta. D'altro canto si può avere un'esperienza e non avere idea di cosa si sia esperito, e quindi è solo qualcosa di confuso: non è affatto qualcosa che si può assimilare. Perciò sono necessarie entrambe le cose.
Credo che il mio sentiero sia un approccio di tipo devozionale, ma ho cercato di sviluppare anche l'approccio intellettuale e quello emozionale. In base alla mia esperienza di contatto con il Dharma, distinguo due aspetti: da una parte c’è l'aspetto del ricevere – quando assisto agli insegnamenti e ricevo nozioni e istruzioni sul Dharma – e poi c'è l'altro aspetto, che è applicare tutto ciò alla mia vita, e vedere dunque la differenza che questo apporta nella relazione con la mia famiglia, le mie figlie, le altre relazioni, e così via. Ho notato che è molto importante non solo bilanciare, in modo sano e maturo, i possibili diversi approcci agli insegnamenti, ma anche essere capaci di far fronte alle diverse situazioni della vita in modo bilanciato (non solo emozionalmente, non solo intellettualmente, e così via). Per esempio: di solito rispondevo in modo principalmente emozionale con le mie figlie, ma ho scoperto l'importanza di equilibrare i diversi approcci e aggiungere la parte di comprensione.
Il punto che sto presentando è che, secondo me, è importante bilanciare questi diversi aspetti non solo nel nostro approccio verso l'apprendimento degli insegnamenti, ma anche nelle nostre reazioni nella vita quotidiana, quando cerchiamo di applicare questi insegnamenti.
Sono completamente d'accordo.
Hai fatto riferimento al fatto di avere un lato devozionale molto debole; questa è una cosa che, come ho detto, va altrettanto bilanciata nell'equazione, soprattutto in termini di ricarica delle proprie batterie. Lavori nella tua vita, lavori a casa con le tue figlie, e così via, e qualche volta l'energia si abbassa molto. Allora come ricarichi le batterie?
Ebbene, eseguendo un rituale – e ci sono due modi di eseguire una pratica rituale:
- compiendola in gruppo con altre persone;
- compiendola da soli.
Dal punto di vista del karma, fare qualcosa di costruttivo con un gran numero di persone genera una forza molto superiore rispetto al farlo da soli. Ciononostante, per alcuni di noi compiere qualcosa in gruppo, come un rituale, fa affiorare solo emozioni e atteggiamenti disturbanti che affievoliranno la forza karmica. Quindi ognuno deve compiere un’analisi in sé stesso, rispetto al proprio stadio di sviluppo presente e vedere che cosa predomina: l'aspetto positivo dello stare in gruppo, oppure le emozioni e gli atteggiamenti negativi che emergono dallo stare in gruppo?
Ad esempio, se non si fa altro che pensare: “Ecco, è proprio come cantare in chiesa” e si ha un'attitudine negativa verso la chiesa, allora questo affiorerà quando si pratica rituali in gruppo. Vero? Oppure può sorgere rabbia in dinamiche di gruppo perché gli altri cantano troppo lentamente e questo ci spazientisce – perché preferiremmo cantare più velocemente – oppure, all'estremo opposto, gli altri cantano troppo velocemente e ci spazientiamo perché preferiremmo che si procedesse più lentamente. In questi casi, allora, forse è meglio prediligere pratiche rituali individuali.
Allo stesso modo si dovrebbe evitare che la pratica rituale diventi soltanto meccanica; in ogni caso, comunque, essa è un mezzo, come ho detto, per ricaricare le batterie, per trarre una qualche sorta di ispirazione – se realizzata correttamente – e apporta una certa stabilità e regolarità alla vita, cosa molto utile quando si devono affrontare i problemi che si incontrano nel crescere dei figli. Quindi, anche quando svolgendo una pratica rituale giornaliera e individuale si nota che non la si svolge con sentimento e non risulta particolarmente ispiratrice, la regolarità e l'abitudine di metterla in pratica sono comunque molto benefiche e aggiungono una certa stabilità e continuità alla vita.
Come non mi stancherò mai di ripetere, il samsara ha alti e bassi. Questa è la caratteristica del samsara, per sempre, fino a diventare un essere liberato, un arhat. Quindi, come è naturale, alcuni giorni la vostra pratica rituale quotidiana sarà densa di significato, e altri giorni sarà invece meccanica; alcuni giorni vagherete di continuo con la mente, altri giorni sarete più concentrati. È la natura del samsara e si sviluppa questa perseveranza ad andare avanti comunque: “Non importa. È normale che ci siano alti e bassi, non mi sorprende”. Sento in tutta sincerità che uno dei punti cruciali per riuscire a praticare il Dharma è capire che nella pratica ci saranno alti e bassi. Se avete l'illusione che essa migliorerà giorno dopo giorno, scordatevela!