Integrare il Buddhismo nelle nostre vite

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La parola Dharma significa “misura di prevenzione”. È qualcosa che attuiamo per evitare di avere problemi

Il Dharma serve ad affrontare i problemi della vita

La prima cosa che dobbiamo fare per iniziare a praticare il Dharma è riconoscere i vari tipi di problemi e difficoltà che abbiamo nella nostra vita. Il prossimo passo, poi, è di realizzare che lo scopo del Dharma è di aiutarci a essere liberi da questi problemi.

La pratica del Dharma non serve soltanto a farci sentire bene; non è un bell’hobby, e non serve a essere di moda o cose di questo genere. La pratica del Dharma ha lo scopo di liberarci dai nostri problemi. Questo significa che per praticare il Dharma realisticamente, dobbiamo renderci conto che il processo non sarà piacevole. Dobbiamo notare gli aspetti sgradevoli della nostra esistenza, le nostre difficoltà, e affrontarli, non dobbiamo evitarli. Invece, dobbiamo riconoscerli con l’atteggiamento che ora proveremo ad affrontarli.

I nostri problemi possono prendere molte forme. Abbiamo tutti molti problemi in comune: siamo insicuri; le nostre relazioni con gli altri sono difficili; ci sentiamo alienati; abbiamo difficoltà con le nostre emozioni e con i nostri sentimenti. Insomma le solite cose che abbiamo noi tutti. Abbiamo difficoltà nell'interagire con le nostre famiglie e con i nostri genitori: si ammalano e invecchiano. Abbiamo difficoltà con il fatto che anche noi ci ammaliamo e invecchiamo. E se siamo giovani, abbiamo difficoltà a decidere cosa faremo della nostra vita, che mestiere scegliere per guadagnarci il pane, in quale direzione muoverci, e così via. Dobbiamo considerare tutte queste cose.

Confusione

Uno dei punti più importanti nel Buddhismo è di comprendere che tutti questi problemi che sperimentiamo sorgono per via di determinate cause. Non è che ci sono, senza alcuna causa. L'origine di questi problemi risiede in noi stessi. Questa è una grande presa di coscienza che molti hanno difficoltà ad accettare. La maggior parte di noi ha la tendenza ad incolpare altre persone o circostanze esterne per i nostri problemi. Pensiamo: “Sono infelice per via di quello che hai fatto: non mi hai telefonato, mi hai abbandonato; non mi ami. È tutta colpa tua”. O diamo la colpa ai nostri genitori per quello che hanno fatto o non hanno fatto quando eravamo piccoli. O allora diamo la colpa alla situazione economica, politica, sociale, e così via. Sì, è vero che tutti questi fattori incidono sulle nostre esperienze di vita. Il Buddhismo non nega questo fatto. Tuttavia, la causa principale, la causa più profonda dei nostri problemi risiede in noi stessi. Essa consiste nei nostri atteggiamenti, in particolare nella nostra confusione.

Se vogliamo trovare un fattore che definisce con chiarezza l’atteggiamento buddhista riguardo cosa vuol dire praticare il Buddhismo nella vita quotidiana, direi questo: quando sperimentiamo delle difficoltà, guardiamo dentro noi stessi per cercare la fonte; una volta che l'abbiamo identificata, cerchiamo di cambiare la situazione dall'interno. Quando si dice che bisogna usare l'introspezione per trovare l'origine dei nostri problemi, questo non significa che stiamo dando un giudizio morale a noi stessi, sviluppando pensieri del tipo: “Sono una persona cattiva, devo cambiare ed essere buono”. Il Buddhismo non formula giudizi morali. Cerchiamo semplicemente di trovare la fonte dei nostri problemi dentro noi stessi perché soffriamo, e perché vogliamo liberarci dalle nostre difficoltà e dalla nostra infelicità, e la fonte principale dei nostri problemi sono i nostri atteggiamenti mentali. In particolare, Buddha disse che la causa più profonda dei nostri problemi e della nostra sofferenza è la nostra confusione. Quindi il nostro compito è di scoprire in che modo siamo confusi rispetto a quello che accade, e come possiamo correggere questa confusione tramite una comprensione corretta.

Siamo confusi rispetto a cosa? Siamo confusi rispetto a varie cose. Una di queste è la causa ed effetto comportamentali. Pensiamo che se agiamo in un certo modo, non ci sarà alcuna conseguenza. Per esempio, pensiamo: “Posso essere in ritardo, posso ignorarti e così via, non ha importanza”. Questo, tuttavia, è sbagliato, è un comportamento frutto della confusione. O allora pensiamo che un nostro comportamento possa avere degli effetti che sono assurdi o impossibili. Per esempio: “Sono stato gentile con te e quindi in cambio tu sicuramente mi amerai. Ti ho comprato un bel regalo, allora perché non mi ami, ora?” Con pensieri di questo tipo, immaginiamo che le nostre azioni e il nostro comportamento produrranno effetti impossibili, oppure abbiamo aspettative esagerate, pensando che le nostre azioni produrranno effetti più grandi di quello che è possibile. Oltre a questo, a volte pensiamo che certi comportamenti avranno un determinato risultato, ma in realtà hanno proprio l’effetto contrario. Per esempio, vogliamo essere felici e quindi pensiamo che per essere felici ci dobbiamo ubriacare regolarmente. Ma questo ci creerà solo dei problemi anziché renderci felici.

L'altra cosa rispetto alla quale siamo confusi è il modo in cui noi stessi, gli altri e il mondo esistono. Per esempio: soffriamo e siamo infelici perché invecchiamo e perché ci ammaliamo. Ma che cos'altro ci si può aspettare? Dopotutto, siamo esseri umani. Gli esseri umani si ammalano e diventano vecchi, se non muoiono già da giovani. Queste cose sono sotto gli occhi di tutti, non sono sorprendenti. Quando iniziamo a vedere capelli grigi allo specchio e siamo infelici e scioccati per questo, questa reazione è irrealistica e confusa rispetto al modo in cui il mondo esiste ed il modo in cui noi stessi esistiamo.

Assumiamo, per esempio che il fatto di invecchiare sia un problema per noi. Poiché siamo confusi a questo riguardo (non accettiamo questa realtà), agiamo in modo distruttivo, influenzati da emozioni ed atteggiamenti mentali disturbanti. Quando, per esempio, cerchiamo in modo impulsivo di apparire giovani e attraenti, agiamo con il desiderio bramoso di ottenere cose che pensiamo ci daranno un senso di sicurezza, come l'attenzione e l'amore degli altri, particolarmente da parte di persone più giovani che ci appaiono attraenti. Spesso, questa sindrome è dovuta alla confusione: “ Sono la persona più importante al mondo; sono al centro dell'universo. Quindi tutti dovrebbero prestare attenzione a me. Qualunque sia la mia apparenza, tutti dovrebbero pensare che sono attraente e dovrebbero apprezzarmi”. Diventiamo matti se qualcuno non ci trova attraente o non ci apprezza. E diventiamo addirittura ancora più matti se qualcuno ci ignora, se non ci presta attenzione poiché vorremmo che ci trovasse attraenti, se non fisicamente almeno in qualche altro modo. Ma se addirittura Buddha Shakyamuni non era apprezzato da tutti, che speranza ci può essere per noi di essere apprezzati da tutti!

Il nostro desiderio di essere apprezzati da tutti è un’aspettativa irrealistica. Non corrisponde alla realtà. Si basa sulla confusione, sul desiderio bramoso e sull'attaccamento al fatto che tutti dovrebbero trovarci attraenti e che tutti dovrebbero prestarci attenzione. L’atteggiamento disturbante sottostante è l'ingenuità. Pensiamo che siamo talmente importanti e talmente simpatici che tutti ci dovrebbero apprezzare, e se non lo fanno, probabilmente c’è qualcosa di sbagliato in loro. O peggio ancora, iniziamo a dubitare di noi stessi: “Devo avere qualche difetto ed è per questo che questa persona non mi apprezza,” e questo ci fa star male, o sviluppiamo sensi di colpa. Tutto questo è dovuto all'ingenuità.

La cosa più importante, quindi, è lavorare su noi stessi. È questa la pratica del Dharma. Qualunque sia la situazione in cui ci troviamo, se abbiamo difficoltà, se ci sentiamo insicuri o così via, dobbiamo osservare noi stessi per capire che cosa sta succedendo. Dov'è la confusione sottostante a queste emozioni disturbanti che sto provando? Tuttavia, se i nostri problemi provengono da una relazione difficile, dobbiamo renderci conto che non siamo gli unici a essere confusi. Ovviamente anche l’altra persona è confusa. Però, il punto è che non diciamo solo: “Sei tu che devi cambiare, tutto quello che faccio io va bene, anzi è perfetto. Tu invece devi proprio cambiare”. Dall'altro lato, non diciamo nemmeno che siamo noi gli unici a dover cambiare: questo potrebbe portarci a sviluppare un “complesso del martire”. Cerchiamo di parlare apertamente con l'altra persona, sebbene anche l’altra persona debba essere ricettiva a questo. Dobbiamo riconoscere che tutti e due siamo confusi. C’è un problema in entrambi riguardo a come comprendiamo quello che accade nella nostra relazione, quindi cerchiamo di chiarire la confusione in ognuno di noi due. Questo è il modo più realistico, più dharmico, di procedere.

Capire il Dharma prima di praticarlo

Video: Tsenciab Serkong Rinpoche II — “Il Buddhismo: studio vs. pratica”
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Ci sono molti tipi diversi di pratiche buddiste. Non basta ricevere le istruzioni su come praticarle, come se ricevessimo le istruzioni per qualche magia. Con qualsiasi pratica, è molto importante capire in che modo ci aiuterà a superare le difficoltà. Non dobbiamo unicamente imparare quando e come applicare la pratica, ma anche i presupposti che essa implica. Questo significa che non iniziamo facendo pratiche avanzate. Cominciamo dall'inizio e costruiamo le fondamenta. In questo modo, sarà l'ordine in cui gli insegnamenti del Dharma progrediscono che ci farà capire cosa succede in una determinata pratica.

È vero, ci sono degli insegnamenti che dicono: “Se ti viene data una medicina, non chiedere come funziona, ma prendila!” Sì, questo è un buon consiglio, ma dobbiamo capire che si rivolge a un comportamento estremo. Questo estremo consiste nel fatto di studiare soltanto, di cercare unicamente la comprensione intellettuale degli insegnamenti, senza mai mettere in pratica niente di quello che abbiamo imparato. Questo comportamento estremo va evitato. Tuttavia, esiste anche l'estremo opposto, e anch'esso va evitato. Consiste nel cercare di mettere in pratica immediatamente tutte le istruzioni del Dharma che sentiamo, con fede cieca, senza aver capito cosa stiamo facendo e perché. Il problema più grande che sorge da questo secondo tipo di comportamento estremo è che non capiamo mai veramente come dobbiamo applicare la pratica nella vita quotidiana. Se capiamo il senso di una determinata pratica (se capiamo come funziona e il suo scopo), non avremo più bisogno di un'altra persona che ci spieghi come applicarla nella vita quotidiana. Capiremo e sapremo noi stessi come applicarla.
 
Quando diciamo di eliminare i nostri problemi, questo non vuol dire eliminare solo i nostri problemi personali. Significa anche liberarci dalle difficoltà che abbiamo nell’aiutare gli altri. “Ho difficoltà ad aiutare gli altri per via della pigrizia o dell'egoismo o perché sono troppo occupato.” Oppure: “Non capisco quale sia il tuo problema e non ho la minima idea di come potrei aiutarti”. È questa la grande difficoltà che abbiamo, vero? Tutti questi problemi che ci impediscono di aiutare gli altri sorgono ugualmente per via della nostra confusione. Questo stato confuso ci può far pensare di dover essere come Dio onnipotente: “Basterà che faccia un’unica cosa e questo risolverà tutti i tuoi problemi, e se non li risolve, l’errore sta sicuramente dalla tua parte. Non ti sei comportato nel modo corretto, e quindi sei colpevole”. Oppure siamo noi a provare sensi di colpa: “Avrei dovuto essere in grado di risolvere i tuoi problemi, ma non ci sono riuscito. Sono un buono a nulla”. Anche in questo caso, c'è confusione rispetto alle cause e agli effetti.


Video: Jetsunma Tenzin Palmo — “Buddhismo attivo”
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La convinzione nel Dharma

Un altro punto: per applicare il Dharma in modo efficace e non-nevrotico nella vita quotidiana, dobbiamo anche essere convinti che è possibile liberarci dai nostri problemi. Dobbiamo avere la convinzione che effettivamente possiamo eliminare la nostra confusione usando l'approccio buddhista: per eliminare qualcosa, dobbiamo sbarazzarci delle cause che lo producono. Ovviamente, è molto difficile sviluppare una profonda, ferma convinzione che è possibile eliminare la nostra confusione in modo che non torni mai più. È altrettanto difficile ottenere la convinzione che è possibile raggiungere la liberazione e l'illuminazione. È particolarmente difficile da ottenere se non capiamo nemmeno in che cosa consistono la liberazione e l'illuminazione. Come potremmo pensare seriamente alla questione se questi stati possono essere raggiunti oppure no, se non sappiamo nemmeno in cosa consistono? E se pensiamo che non possono essere raggiunti, non sarebbe un po’ ipocrita cercare di ottenere uno stato che pensiamo non esista nemmeno? Se le cose stanno così, è come se stessimo giocando a un gioco un po’ pazzo. Non stiamo più praticando realmente il Dharma.

Dobbiamo essere realmente convinti e, per raggiungere questa convinzione, ci vogliono molto studio, molta comprensione, molte riflessioni profonde e meditazione. Non basta essere convinti che la liberazione e l'illuminazione siano possibili; dobbiamo anche essere convinti che noi stessi possiamo raggiungere questi stati. Non che Shakyamuni sia stato l’unico a poterli realizzare mentre noi non ne siamo capaci. Anche noi possiamo raggiungere la liberazione e l'illuminazione, tutti ne sono capaci. Dobbiamo capire cosa occorre fare per liberarci dalla confusione. Qual è l'antidoto con cui eliminare la confusione? È la comprensione corretta a liberarci dalla confusione. Perciò, dobbiamo capire come la comprensione corretta può superare la confusione ed eliminarla in modo che non torni mai più. Tutto questo ci fa capire che il vero “laboratorio” nel quale si pratica il Dharma è la vita quotidiana. Praticare il Dharma significa gestire i problemi, la confusione, le difficoltà che dobbiamo affrontare nella vita, momento per momento.

La pratica del Dharma richiede introspezione

Praticare il Dharma non significa semplicemente offrirsi una vacanza dalla nostra vita; non si tratta soltanto di ritirarci in una bella grotta tranquilla, o nella nostra stanza, per meditare, per sederci su un cuscino e fuggire dalle nostre responsabilità. La pratica del Dharma non pone l’accento sulla fuga. Quando ci ritiriamo in un luogo tranquillo per meditare, lo facciamo per sviluppare le capacità che ci permetteranno di affrontare le nostre difficoltà. La cosa più importante sulla quale focalizzarci è la vita. È questo che importa veramente, non di vincere la medaglia olimpica dello stare seduto e del meditare! Praticare il Dharma significa applicare il Dharma nella vita.

Inoltre, la pratica del Dharma è introspettiva. Cerchiamo di essere attenti ai nostri stati emotivi, alle nostre motivazioni, ai nostri atteggiamenti mentali, agli schemi impulsivi del nostro comportamento. Particolarmente, dobbiamo stare attenti alle nostre emozioni disturbanti. La caratteristica che definisce un'emozione o un atteggiamento disturbante è che fa sentire a disagio noi stessi e/o gli altri quando si manifesta. Perdiamo la nostra pace mentale e ci sfugge il controllo di noi stessi. Questa definizione è molto utile, perché il fatto di conoscerla ci aiuta a renderci conto di quando siamo influenzati da una tale emozione o atteggiamento. Se ci sentiamo a disagio a livello emotivo e mentale, questo ci suggerisce che qualcosa di disturbante sta avvenendo nella nostra mente. In momenti di questo genere, dobbiamo verificare cosa sta succedendo dentro di noi e applicare gli antidoti per correggere la situazione.

Per questo è necessario essere molto coscienti di quello che sta succedendo in noi. Per modificare il nostro stato emotivo, quando ci rendiamo conto che è disturbante, dobbiamo comprendere che se agiamo in modo disturbato o disturbante, questo creerà molta infelicità sia per noi stessi sia per gli altri. Non vogliamo questo, ne abbiamo avuto abbastanza. E se siamo fuori controllo, come potremo aiutare gli altri?

Flessibilità

Praticare il Dharma richiede familiarità con molte forze opposte, non solo una o due. Le nostre vite sono molto complesse e un unico antidoto non funzionerà in tutti i casi. Una determinata pratica non sarà la più efficace in ogni singola situazione. Essere proprio in grado di applicare le cose nella vita quotidiana richiede molta flessibilità e molti metodi differenti. Se questo metodo non funziona, allora usiamo quello, e se quello non funziona, allora proviamo quest’altro.

Il mio maestro Tsenciab Serkong Rinpoche diceva che quando si cerca di fare qualcosa nella vita, bisogna sempre avere due o tre piani alternativi. Così, se il piano A non funziona, non ci scoraggiamo. Questo perché abbiamo già studiato altri piani di riserva, B e C. Alla fine, uno di questi piani funzionerà. Ho trovato questo consiglio molto utile. È la stessa cosa con il Dharma: se il metodo A non funziona in una determinata situazione, abbiamo altri piani di riserva. Ci sono altri metodi che possiamo usare. Tutto questo ovviamente è basato sullo studio, l’apprendimento di vari metodi e meditazioni, che poi pratichiamo per prepararci alle situazioni reali, come in un addestramento fisico. Ci alleniamo per familiarizzarci con questi metodi, in modo da poterli applicare quando ne abbiamo bisogno nella vita quotidiana. Per riuscirci, non dobbiamo considerare la pratica del Dharma come un hobby, ma piuttosto come un impegno a tempo pieno.

Evitare gli estremi

La pratica del Dharma va applicata nelle nostre famiglie. Va applicata nei rapporti con i nostri genitori, con i nostri figli e quando interagiamo con le persone che incontriamo al lavoro. Nel fare questo, dobbiamo evitare gli estremi. Ne abbiamo già parlato un po’. Dobbiamo evitare l’estremo di dare tutta la colpa agli altri, ma anche l’estremo di dare tutta la colpa a noi stessi: tutti e due i lati contribuiscono. Possiamo cercare di cambiare gli altri, ma è più facile cambiare noi stessi.

L'accento è posto sul miglioramento personale. Tuttavia dobbiamo cercare di evitare l'estremo dell'ansia egocentrica e narcisistica. Con un’ansia egocentrica, ci preoccupiamo sempre e soltanto di noi stessi e non pensiamo agli altri. Questo può rafforzare il sentimento che siamo noi il centro dell'universo e che i nostri problemi siano i più importanti al mondo. I problemi degli altri non sono importanti o non fanno testo.

Un altro estremo è di pensare che siamo completamente cattivi o completamente buoni. È vero che dobbiamo riconoscere i nostri lati difficili, i lati sui quali dobbiamo lavorare. Ma dobbiamo anche riconoscere i nostri lati positivi, le nostre qualità, in modo da svilupparli sempre di più. Molti di noi occidentali abbiamo una bassa autostima. Se ci concentriamo troppo sui nostri problemi e sulla nostra confusione, questo può rafforzare la nostra bassa autostima. Non è per niente questo il nostro scopo.

Dobbiamo stare attenti alle nostre emozioni disturbanti, ma allo stesso tempo per controbilanciare le cose, dobbiamo ricordarci le nostre qualità positive. Persino le persone più crudeli hanno qualche volta sperimentato qualità positive. Probabilmente hanno tenuto in grembo un cucciolo di cane o un giovane gatto, accarezzandolo e provando un po’ d’affetto per lui. Quasi tutti hanno avuto quest'esperienza. In questo modo, ci rendiamo conto che siamo capaci di dare un po’ di affetto, e così, vediamo anche i nostri lati positivi. Praticare il Dharma non significa soltanto lavorare sui nostri lati negativi; dobbiamo procedere in modo equilibrato. Dobbiamo anche lavorare per rafforzare i nostri lati positivi.

Quando cerchiamo di considerare in modo bilanciato i nostri difetti e le nostre qualità, dobbiamo evitare un'altra serie di estremi. Uno di questi estremi è la cattiva coscienza. “Sono una nullità. Dovrei praticare, ma dato che non sto praticando, sono ancora peggio di quello che pensavo.” Questa parola dovrei va eliminata dal nostro modo di considerare la pratica del Dharma. Non è mai una questione di “dovere” Se vogliamo liberarci dalle nostre difficoltà ed evitare ulteriori difficoltà in futuro, l’atteggiamento più sano è quello di pensare, semplicemente: “Se voglio liberarmi dal mio problema, questa pratica mi permetterà di farlo”. Poi, se facciamo la pratica o no è una scelta nostra. Nessuno ci dice: “Devi fare questo, e se non lo fai, sei una persona cattiva”.

Ma dobbiamo anche evitare l'altro estremo, che è quello di pensare: “Siamo tutti perfetti. Basta riconoscere la nostra natura di Buddha, e tutto è perfetto”. Questo è un estremo molto pericoloso, perché ci può far credere che non abbiamo bisogno di cambiare. Ci può far pensare che non abbiamo bisogno di abbandonare i nostri modi negativi di agire perché siamo già perfetti. Dobbiamo evitare ambedue gli estremi: sia il sentimento che siamo cattivi, sia il sentimento che siamo perfetti. Fondamentalmente, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. È questa la chiave principale per integrare il Dharma nella nostra vita quotidiana. Ci assumiamo la responsabilità di noi stessi, per fare qualcosa riguardo la qualità della nostra vita.

Ispirazione

Mentre lavoriamo su noi stessi, possiamo essere ispirati da maestri spirituali e dalla comunità di altre persone che praticano con noi. Tuttavia, per la maggior parte delle persone, storie fantastiche su maestri che sapevano volare nei cieli molti secoli fa, non sono un modo stabile per trarre ispirazione dai maestri. Queste storie sono troppo remote dalle esperienze della nostra vita quotidiana e tendono a farci fantasticare. È meglio avere esempi viventi con i quali avere un contatto diretto, anche se minimo.

I Buddha o maestri veramente qualificati non cercano di impressionarci, e nemmeno di ispirarci. L’esempio è che sono come il sole. Il sole non cerca di riscaldare le persone, è semplicemente il suo modo di essere che, in modo naturale, riscalda gli altri. Questo vale anche per i grandi maestri spirituali. Il loro modo di vivere, il loro carattere, il loro modo di risolvere i problemi ci ispirano in modo spontaneo e naturale. Non si tratta di trucchi magici. Sono cose realistiche e concrete a essere quelle che ci ispirano di più.

Mi ricordo di Dudjom Rinpoche. Morì molti anni fa. Era a capo del lignaggio Nyingma e uno dei miei maestri. Soffriva terribilmente di asma. Anch’io soffro di asma e quindi so bene cosa vuol dire avere difficoltà a respirare. So quant'è difficile insegnare quando non si può respirare normalmente, perché tutta la nostra energia si focalizza su noi stessi, per prendere abbastanza aria. In quel tipo di situazione, è molto difficile dirigere la propria energia verso l’esterno. Tuttavia, ho visto Dudjom Rinpoche con un’asma terribile salire sul palco e dare insegnamenti. L’asma non lo disturbava per niente, la gestiva in modo incredibile mentre dava degli insegnamenti magnifici. Questo mi ha ispirato notevolmente. Era una cosa molto concreta, senza grandi trucchi magici. Era il modo nel quale ha gestito una situazione della vita reale, ed è questo che ispira.

Quando vediamo che facciamo progressi lungo il sentiero spirituale, possiamo anche essere ispirati da noi stessi. Anche questa è una fonte importante d’ispirazione. Siamo ispirati dal nostro progresso. Tuttavia, dobbiamo stare molto attenti: la maggior parte delle persone non è capace di gestire questo fattore al livello emozionale, perché abbiamo la tendenza a diventare fieri e arroganti quando facciamo progressi. Perciò, dobbiamo definire attentamente cosa intendiamo con la parola progresso.

Progredire lungo il sentiero

Anzitutto, dobbiamo comprendere che il progresso non è mai lineare: va su e giù e ancora su e giù. Questa è una delle caratteristiche principali del samsara e non riguarda soltanto l’alternanza tra rinascite superiori e inferiori. Anche nella vita quotidiana andiamo su e giù. Ora mi sento felice, ora mi sento infelice. Il nostro umore cambia, sale e scende. Ora, ho voglia di praticare, ora non ho più voglia di praticare. Queste cose vanno costantemente su e giù, non bisogna esserne sorpresi. Le cose continueranno in questo modo finché non avremo raggiunto lo stato di un arhat, di un essere che si è liberato dal samsara. Fino a quel punto, che è incredibilmente avanzato, il samsara continuerà ad andare su e giù. Quindi non scoraggiatevi, se per esempio, dopo aver praticato per molto tempo, tutto a un tratto, sorgono delle difficoltà con il vostro partner. Tutto a un tratto, sperimentiamo un subbuglio emotivo: queste cose capitano! Non significa che siamo dei pessimi praticanti. Queste cose capitano in modo naturale, per via della realtà della nostra condizione samsarica.

Solitamente, non ci sono miracoli nella pratica del Dharma. Se vogliamo applicare il Dharma nella nostra vita quotidiana, non dobbiamo aspettarci dei miracoli, soprattutto al livello in cui siamo ora. Qual è il modo per misurare i nostri progressi realisticamente? Sua Santità il Dalai Lama dice che non dobbiamo misurare i nostri progressi su un arco di un solo anno o due di pratica. Piuttosto, considerate cinque o dieci anni di pratica e controllate: “Sono una persona più calma di cinque o dieci anni fa? Oggi, sono capace di gestire meglio le situazioni difficili, senza perdere così facilmente i nervi, come accadeva dieci anni fa?” Se la risposta è positiva, abbiamo fatto progressi e questo ci ispira. Abbiamo ancora dei problemi, ma il fatto di avere progredito ci dà la forza di proseguire. Non ce la prendiamo così tanto quando in situazioni difficili le cose vanno male. Siamo capaci di recuperare più rapidamente.

Quando dico che possiamo diventare la nostra fonte d’ispirazione, la cosa più importante è che quest’ispirazione ci dia la forza di continuare lungo il sentiero. Questo perché siamo convinti che ci stiamo muovendo nella direzione giusta. E possiamo essere convinti di andare nella direzione giusta se abbiamo una conoscenza realistica di cosa voglia dire muoverci in quella direzione: significa che mentre andremo in quella direzione generale, continueremo ad avere alti e bassi.

Queste sono alcune idee generali su come integrare la pratica del Dharma nella vita quotidiana. Spero che possano essere utili. Grazie.

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