La bodhicitta
Ieri parlavamo della bodhicitta, e abbiamo visto come vi sia quella relativa e la bodhicitta più profonda. Entrambe le bodhichitta sono finalizzate alla nostra illuminazione individuale che non è ancora avvenuta, ma che sulla base della nostra natura di Buddha e di un gran quantitativo di impegno e di lavoro da parte nostra, è qualcosa che è sicuramente possibile realizzare. E siccome abbiamo la convinzione che sia possibile realizzarla e abbiamo un'idea accurata di cosa essa sia, allora con la bodhicitta relativa miriamo a quella che è effettivamente la futura illuminazione – a quella che sarà, le sue qualità, e così via – con due intenzioni: l'intenzione di raggiungere tale illuminazione attraverso i metodi realistici che ci condurranno realmente ad essa, e di portare il più possibile beneficio a tutti gli esseri, per mezzo di quest'ottenimento. Sappiamo bene che non diventeremo un dio onnipotente che soltanto schioccando le dita – non ha neanche bisogno di schioccare le dita – può far sparire i problemi di tutti. Questo è impossibile. Ma possiamo insegnare agli altri come ottenere l'illuminazione, attraverso effettive istruzioni e attraverso il nostro esempio. Sta poi a loro farlo davvero.
Più precisamente, la bodhichitta convenzionale è finalizzata alla mente della nostra illuminazione non ancora avvenuta: il dharmakaya di consapevolezza profonda. La bodhichitta più profonda è finalizzata alla vacuità e ai veri arresti della nostra illuminazione non ancora avvenuta: lo svabhavakaya (il corpo di natura essenziale, corpus di natura essenziale).
Gli stati mentali che accompagnano la bodhicitta
Questa bodhicitta è accompagnata da altri diversi stati mentali, simultanei ad essa, i quali fanno parte della nostra motivazione ad avere come scopo l'ottenimento dell'illuminazione. Tali stati mentali non si concentrano sulla nostra illuminazione futura; si concentrano su tutti gli esseri – il che significa su ogni essere senziente in assoluto (o essere con un corpo limitato, una mente limitata) in modo assolutamente equo, stiamo quindi parlando di ogni insetto, tutti – con amore, ovvero il desiderio che siano felici e posseggano le cause della felicità, e compassione, ossia il desiderio che siano liberi dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza. L'amore è quindi rivolto alla felicità e al benessere di questi esseri senzienti, ed è il desiderio che questa felicità aumenti e cresca. E la compassione è rivolta alla loro sofferenza: è il desiderio che ne siano liberi.
Dobbiamo aver chiaro ciò su cui questi stati mentali si concentrano, e come si concentrano su queste cose, per essere in grado di generarle veramente. Altrimenti non abbiamo alcuna idea di cosa fare con la nostra mente e i nostri sentimenti quando stiamo meditando sull'amore, la compassione o la bodhicitta. E la compassione, come spiega Sua Santità, presenta al suo interno... non solamente desiderare che i problemi degli esseri se ne vadano, senza alcuna idea o convinzione che sia realmente possibile che possano liberarsi dai loro problemi; si basa sul capire che è possibile per loro liberarsene. Altrimenti è un desiderio inutile. È anche accompagnato dalla comprensione del modo in cui possono liberarsene. Non è che qualche salvatore, qualche salvatore onnipotente, li stia per salvare; [la compassione] ha il coraggio per aiutarli effettivamente a superare questi problemi. Vi è comprensione – vi è sempre comprensione – con queste emozioni, questi sentimenti positivi.
Abbiamo inoltre, ad accompagnare la nostra bodhicitta, un altro stato mentale, o emozione, o qualsiasi modo in cui lo si vuole chiamare, che viene detto l' impegno eccezionale, o risoluzione (lhag-bsam, sct. adhyashaya). Quindi, concentrandosi su tutti gli esseri in maniera equa e sulle loro situazioni, questo è l'impegno eccezionale a cui Sua Santità si riferisce a volte. Questa è la responsabilità universale; non è soltanto il coraggio di provare ad aiutarli, ma una risoluzione assolutamente decisa: “Ho intenzione di provare il più possibile ad aiutarli, a beneficiarli. Mi assumo la responsabilità, un senso di responsabilità, di fare veramente qualcosa al riguardo.”
E quindi amore, compassione, responsabilità universale, bodhicitta. Sono tutti stati mentali abbastanza particolari, anche se vanno tutti assieme ovviamente, ma è importante non confonderli e avere un'idea chiara di ciascuno di essi – che cosa sono, su cosa si concentrano, come si concentrano sui propri oggetti – affinché al nostro stato mentale non manchi nulla, e sia quello giusto.
La bodhicitta più profonda è concentrata sul modo di esistere di tale illuminazione, la futura illuminazione alla quale miriamo. In altre parole, è concentrata sulla vacuità.
Una nota sulla bodhicitta rossa e bianca
Vorrei soltanto ricordare, visto che a volte ci si imbatte su questo nel tantra, e può essere abbastanza disorientante in quanto nella classe più alta del tantra, si parla di bodhicitta bianca e rossa. Ora, queste sono forme di fenomeni materiali molto sottili, fenomeni fisici. Non sono stati della mente. Sono molto sottili, è difficile trovare una parola, ma chiamiamole scintille di energia creativa che ognuno di noi ha. E nella classe più alta del tantra, nei suoi stadi più avanzati, quando abbiamo ottenuto l'abilità di far questo – abilità che è incredibilmente difficile da ottenere – possiamo spostare queste energie creative molto sottili all'interno del nostro corpo, e dissolverle nel chakra del cuore per essere in grado di raggiungere o accedere allo stato più sottile della mente. È chiamata la mente di chiara luce ('od-gsal), che potremo poi utilizzare per concentrarci sulla vacuità e ottenere l'illuminazione, in quanto è il livello della mente più efficiente.
Queste sono le sostanze e i metodi con i quali lavoriamo, la bodhicitta bianca e rossa, per raggiungere effettivamente la bodhicitta più profonda, questa mente di chiara luce concentrata sulla vacuità. E molto spesso nel Buddhismo il nome del risultato viene dato alla sua causa, dicono, e per cui il nome del risultato – che è la bodhicitta più profonda – è dato come nome alternativo a questi due tipi di energia creativa sottile all'interno del corpo. Questa è la bodhicitta bianca e rossa – il motivo per cui sono chiamate bodhicitta.
Giusto perché non vi confondiate, perché so che può essere terribilmente disorientante quando ci si imbatte in questi nomi. Al nostro livello di pratica, questo è qualcosa con cui non siamo per nulla coinvolti. Molto, molto avanzato. Inoltre, così la gente non fa confusione, sia gli uomini che le donne hanno la bodhicitta bianca e rossa. Per cui, anche se vi sono diversi livelli di grossolanità, non dovremmo associarle alle loro rappresentazioni più grossolane e pensare che soltanto gli uomini abbiano la bianca e soltanto le donne la rossa; questo è incorretto.
Bodhicitta dell'aspirazione e bodhicitta dell'impegno
Ora nella bodhicitta relativa – continuiamo qui la nostra revisione – vi è lo stadio del desiderio (smon-sems, bodhicitta dell'aspirazione), con il quale desideriamo ottenere l'illuminazione per recare beneficio a tutti, e dopo lo stadio dell'impegno ('jug-sems) con il quale ci impegniamo realmente nel comportamento e la condotta che ci conducono effettivamente a tale obiettivo. Per cui prima sviluppiamo lo stato del desiderio, poi quello dell'impegno.
E lo stadio del desiderio possiede la fase del mero desiderio (smon-sems smon-pa-tsam, stato della mera aspirazione della bodhicitta dell'aspirazione), quando desideriamo meramente di ottenere l'illuminazione, e dopo quella che è tradotta a volte come la fase della promessa o dell'impegno (smon-sems dam-bca'-can, promessa di bodhicitta dell’aspirazione), con la quale siamo molto fortemente risoluti e decidiamo di non tornare mai più indietro su questo. E quando raggiungiamo tale stadio della bodhicitta dell'impegno, della bodhicitta relativa, quello è lo stadio che comporta al suo interno la presa dei voti del bodhisattva. Vanno assieme. Non è che si possa sviluppare la bodhicitta dell'impegno senza aver preso i voti del bodhisattva. Significa prendere i voti del bodhisattva.
Un voto (sdom-pa, sct. samvara) è un modellare la mente, modellare la nostra condotta, il quale significa stabilire certi limiti che non trasgrediremo. “Ho intenzione di evitare di lodare me stesso e screditare gli altri perché sono attaccato al fatto di ottenere fama, di piacere alle persone, sono attaccato all'amore, al denaro e a tutte queste cose.” Ci impegniamo a non fare questo genere di cose perché, se le facessimo, ciò danneggerebbe molto la nostra capacità di aiutare gli altri. Stiamo solo sfruttando gli altri dicendo che “io sono il migliore,” come in generale diciamo di persone che si candidano per una carica al governo, e lo vogliono fare solamente per avere potere, e quindi fanno campagne elettorali del tipo: “Io sono il migliore e l'altro candidato è terribile, il diavolo.” Non ci si può fidare di persone così. Questo danneggia fortemente la loro capacità di aiutare gli altri, perché effettivamente stanno soltanto esaltando se stessi per ottenere il potere. Per questa ragione, l'intero processo delle elezioni e delle campagne elettorali è del tutto estraneo ai tibetani, ed è molto difficile per loro da concepire o parteciparvi, perché fare campagna elettorale nella maniera in cui viene fatta in molti paesi va totalmente contro ogni principio del bodhisattva. “Io sono il migliore. L'altro tizio non è buono.”
Shantideva, il grande maestro indiano autore del testo “Impegnarsi nel comportamento dei bodhisattva” (Bodhicharyavatara), scrisse:
(IV.2) Nel caso di imprese che abbiamo condotto quasi all'improvviso, o che abbiamo fatto senza aver esaminato molto bene, è corretto in seguito riconsiderare: 'Lo faccio? O ci rinuncio?'
(IV.3) Posso farlo, o è una cosa che non posso fare? Ma nel caso dei voti del bodhisattva e del lavoro per ottenere l'illuminazione, si tratta di qualcosa che è stato esaminato in maniera molto profonda dai Buddha, e l'ho esaminato io stesso molto, molto, bene; pertanto, come posso mai voltare le spalle ad esso?
E quindi questa è una riga molto importante, in due versi, la quale afferma che prima di prendere i voti del bodhisattva, la bodhicitta dell'impegno, è importante studiare questi voti, è corretto studiarli (si trovano sul mio sito web, con le spiegazioni complete, nella sezione dei voti su berzinarchives.com), capirli ed esaminarli. Il Buddha disse: “Bene, se vuoi raggiungere l'illuminazione, questo è quanto devi evitare se vuoi veramente essere di beneficio agli altri.” E quindi esaminare noi stessi molto bene: “Si tratta di qualcosa che posso o non posso seguire?” E dopo prendi il voto. Non si tratta di qualcosa che si fa all'improvviso perché tutti gli altri lo stanno facendo e c'è un lama lì che sta conferendo i voti, per cui lo si fa senza aver esaminato davvero molto bene. Shantideva sottolinea questo molto chiaramente. (Al momento è soltanto in inglese sul sito, ma col tempo sarà disponibile in altre lingue, incluso il russo).
Gli atteggiamenti lungimiranti
Cosa comporta mantenere realmente i voti del bodhisattva? Comporta, in pratica, lo sviluppo delle sei... il termine sanscrito è paramita (pha-rol-tu phyin-pa); è tradotto di solito come perfezioni, ma io preferisco una traduzione più letterale, che è quella degli atteggiamenti lungimiranti. Questi ci portano molto, molto lontani, fino all'altra sponda, che è l'illuminazione.
Nel Buddhismo indiano vi è un certo numero di sistemi differenti, e secondo uno di questi (chiamato Svatantrika) è soltanto nello stato di un Buddha – voglio dire, è qui che la parola avrebbe più il senso di perfezione - che questi sarebbero gli effettivi atteggiamenti lungimiranti. Quello con cui lavoriamo da bodhisattva (e anche prima di diventare un bodhisattva, quando abbiamo preso i voti)... perché, come ho spiegato ieri, diventiamo davvero un bodhisattva soltanto quando abbiamo una bodhicitta spontanea, non dobbiamo passare attraverso il processo del “tutti sono stati mia madre” e via dicendo per provarla, ma ce l'abbiamo tutto il tempo, giorno e notte... ma il processo, gli stadi prima della Buddhità – ovvero questi atteggiamenti lungimiranti – sarebbero solamente un'approssimazione di quella che è la cosa reale.
Mentre nel sistema Prasanghika entrambi gli stadi – dai voti del bodhisattva fino allo stato di Buddha, così come nella Buddhità stessa – verrebbero chiamati gli “atteggiamenti lungimiranti.”
Quindi, indipendentemente dal sistema che seguiamo, stiamo parlando della stessa cosa. Ho ricordato questo perché alcune scuole tibetane seguono una e alcune l'altra.
Le dieci perfezioni (dieci paramitas)
Dovrei inoltre ricordare che vi è anche un'altra spiegazione di dieci atteggiamenti, in cui i quattro ulteriori sono praticamente divisioni del sesto, la consapevolezza discriminante di vasta portata, o saggezza. Quindi che si parli di sei, oppure in una forma più completa di dieci atteggiamenti lungimiranti, si tratta di stati mentali – atteggiamenti – che non sono necessariamente forme di comportamento, sebbene modellino il nostro comportamento: li mettiamo in pratica il più possibile a seconda della situazione, delle capacità, e via dicendo. Ma quel che ci stiamo esercitando a sviluppare sono questi atteggiamenti, questi stati mentali. Shantideva chiarisce questo molto, molto bene.
Inoltre non dovremmo pensare che un sistema di dieci atteggiamenti lungimiranti sia esclusivo del Mahayana. Abbiamo lo stesso nell'Hinayana, nella scuola Theravada. Si tratta di una serie leggermente diversa di dieci: molti di essi sono gli stessi, ma ci sono alcuni che sono differenti. E nuovamente, come abbiamo accennato, la differenza tra la scuola Hinayana e Mahayana – in quanto praticano molte delle stesse cose – è se la forza positiva sia dedicata al raggiungimento della liberazione oppure al raggiungimento dell'illuminazione. Quindi ne praticano dieci che includono molti di questi, con la dedica che la forza positiva contribuisca alla loro liberazione.
Non dovremmo mai quindi pensare che i praticanti Hinayana non lavorino per recare beneficio agli altri, e che non siano generosi, pazienti e così via. Naturalmente lo sono. E hanno amore, sviluppano compassione, e tutte queste cose. Dunque nei testi Mahayana, la posizione Hinayana viene quasi portata all'estremo – ovvero che stai soltanto lavorando in maniera egoistica per il tuo beneficio personale, e gli altri non t'interessano – al fine di sottolineare l'estremo che dobbiamo evitare. Non dovremmo pensare che i veri praticanti Theravada, specialmente quelli attuali, siano così. Possiamo trovare praticanti Mahayana che sono così, proprio allo stesso modo in cui possiamo trovare praticanti Hinayana che sono così.
Questo è un metodo che viene usato nella scuola Prasanghika del Mahayana, Madhyamaka, con il quale si portano le cose alla conclusione assurda, estrema, con lo scopo di aiutare le persone ad evitare i pericoli che possono essere presenti in un certo modo di pensare. E così, proprio come la conclusione assurda, estrema, di lavorare per ottenere la liberazione sarebbe che si diventa completamente egoisti e non ci si preoccupa di nessun altro – non si fa nulla per aiutare gli altri, non si ha amore e compassione – allo stesso modo, uno potrebbe dire che la conclusione assurda ed estrema del Mahayana sarebbe che si va soltanto fuori ad aiutare tutti, e non si lavora mai sul provare a superare la propria rabbia, il proprio attaccamento e via dicendo, il quale sarebbe ugualmente un grande errore. Perciò, dobbiamo comprendere la metodologia che viene usata qui, e non cadere nella posizione assolutamente sbagliata del settarismo, pensando che la scuola Mahayana sia così fortemente critica dell'Hinayana. Per questo motivo tra i voti del bodhisattva ve ne sono parecchi che hanno a che fare con il fatto di non screditare l'Hinayana.
Quindi rimaniamo con il sistema di base dei sei atteggiamenti lungimiranti. Questi sei sono:
- generosità (sbyin-pa),
- autodisciplina etica (tshul-khrims),
- pazienza (bzod-pa),
- perseveranza gioiosa (brtson-'grus),
- costanza mentale (bsam-gtan, stabilità mentale),
- consapevolezza discriminante (shes-rab). È spesso chiamata saggezza, ma la parola saggezza viene usata per tradurre così tanti termini tecnici diversi, i quali sono tutti differenti, che davvero, usando solamente questa parola, si perdono tutte le distinzioni fra questi vari termini; per questo utilizzo qui consapevolezza discriminante per questo termine particolare.
Arriveremo alle definizioni man mano che proseguiamo. Ed utilizzo costanza mentale, tra l'altro, invece di concentrazione, perché ha un significato più ampio della semplice concentrazione.
La differenza fra consapevolezza discriminante e consapevolezza profonda
È stata fatta una domanda, durante la pausa, riguardo a queste due differenti parole che vengono tradotte con saggezza. Queste due parole tibetane le traduco in modo differente – sono diverse anche in sanscrito – e vengono spesso tradotte, entrambe, con saggezza (e in questo modo si perde la differenza che esiste tra le due). Quindi, una è detta consapevolezza discriminante; sherab (shes-rab) in tibetano, o prajna in sanscrito. E l'altra è chiamata profonda consapevolezza; yeshey (ye-shes) in tibetano, o jnana in sanscrito. Queste due parole sono molto diverse. Ne spiegherò quindi la differenza.
Sebbene esistano molti utilizzi differenti per ciascuna di queste parole, se cerchiamo di essere un po' più chiari su questo, la definizione della consapevolezza discriminante è che aggiunge certezza al discernimento. Il discernimento – tradotto spesso come riconoscimento – è distinguere il fatto che qualcosa sia questo e non quello. Aggiunge, dunque, un'assoluta certezza a ciò. Si tratta quindi del discriminare fra quanto è costruttivo e quanto è distruttivo; quanto è utile, quanto non lo è; quanto è opportuno, quanto è inopportuno; cosa è veritiero e cosa non lo è (in termini di cosa sia la realtà e cosa non lo sia). Quindi di solito è associato alla vacuità. È la comprensione della vacuità, la quale discrimina come le cose non esistono in maniere impossibili, ma esistono nella maniera in cui sono effettivamente possibili. Questa è la consapevolezza discriminante.
Anche un verme possiede questo. Un verme è in grado di distinguere, essere molto sicuro: cibo, non cibo. Una mucca è in grado di distinguere fra la porta aperta del fienile e la parete del fienile, e non andare a sbattere addosso al muro. Chiamare questo saggezza, quindi, non è il massimo qui.
Se parliamo in termini di vacuità, allora la consapevolezza discriminante è solo la verità più profonda delle cose, la vacuità.
Quest'altro termine, la profonda consapevolezza, è la consapevolezza delle due verità, sia delle due verità assieme, sia nel contesto di ognuna. Ma la profonda consapevolezza è anche parte della natura di Buddha, qualcosa di molto profondo che tutti possiedono, la quale si riferisce quindi alla [profonda consapevolezza] simile allo specchio (me-long lta-bu'i ye-shes, la capacità di raccogliere le informazioni), equiparante (mnyam-nyid ye-shes, notare gli schemi, mettere assieme le cose), personalizzante (sor-rtog ye-shes, essere consapevoli dell'individualità di questo o di quello), e così via.
Per cui, in termini di questi aspetti della natura di Buddha, il verme possiede anche questi. Quindi, nuovamente, chiamare questo saggezza risulta un poco inadatto.
Questo termine, profonda consapevolezza, può essere usato in maniere leggermente diverse nelle diverse tradizioni tibetane. Ma in ogni caso, non è la stessa cosa della consapevolezza discriminante. Nella scuola Ghelug, viene anche usato per designare quello che un arya ('phags-pa) possiede – qualcuno cioè che ha una cognizione non-concettuale della vacuità – come un significato ulteriore della parola.
Le due reti
Abbiamo anche detto che per raggiungere l'illuminazione – per raggiungere qualsiasi obiettivo nel Buddhismo, obiettivi spirituali – è necessario rafforzare ed incrementare le due reti. Tutti possediamo queste due reti, in una certa misura, come parte della nostra natura di Buddha; non è come se partissimo da zero. Ma abbiamo bisogno di rafforzarle, di incrementarle sempre di più. E in base a ciò verso cui vengono dedicate, possono contribuire al samsara (in questo caso non facciamo alcun tipo di dedica, e vanno a migliorare solo la nostra condizione samsarica), alla liberazione (le dedichiamo alla liberazione), o all'illuminazione (le dedichiamo al raggiungimento dell'illuminazione). Dunque, nuovamente, la dedica qui è estremamente cruciale.
E queste due reti, reti in quanto qualsiasi cosa in loro si connette, si collega, e si rinforza a vicenda. E crescono; non sono come una collezione di francobolli. Quindi una rete di solito viene tradotta come la collezione di meriti (bsod-nams-kyi tshogs, sct. punyasambhara), la quale non è una collezione di punti; merito in realtà vuole dire forza positiva – per cui è la rete di forza positiva originata dal compiere azioni positive e così via. E dopo c'è la rete di profonda consapevolezza (ye-shes-kyi tshogs, sct. jnanasambhara), che viene chiamata a volte la rete della saggezza, ma si tratta di un termine diverso rispetto a consapevolezza discriminante. Per cui ad esempio aiutare gli altri senza che venga fatta alcuna dedica, naturalmente andrà a migliorare il nostro samsara. A meno che non lo si dedichi all'ottenimento della liberazione o dell'illuminazione, non contribuirà all'ottenimento di queste due.
Assegnare gli atteggiamenti lungimiranti alle due reti
Nella presentazione Mahayana generale in cui si dividono i sei atteggiamenti lungimiranti in queste due reti, vi è un sistema. E se lo facciamo secondo il Prasanghika, che sono una speciale divisione del Mahayana, avremo un altro modo di dividerle. Ora, capire questo ci aiuta a comprendere: “Qual è lo scopo di queste reti? Che cosa fanno?” Come ho spiegato anche all'inizio di questa settimana, con l'illuminazione si hanno quelli – si possono dividere in molte maniere – che vengono detti a volte Corpi di Buddha, in quanto sono effettivamente una rete di varie cose, e non solamente un corpo come questo corpo, ma una rete di molte, molte cose. E quindi si ha il Dharmakaya (chos-sku, Insieme Onnipervasivo), il quale è l'intera rete della mente onnisciente di un Buddha e la vacuità di tale mente, e così via. E poi vi è la rete delle forme illuminate (gzugs-sku, sct. Rupakaya, Corpus di Forme), e vi sono quindi forme sottili (longs-spyod rdzogs-pa'i sku, sct. Sambhogakaya, Corpus di Pieno Uso) e forme grossolane (sprul-sku, sct. Nirmanakaya, Corpus delle Emanazioni). Vi sono moltissime forme nelle quali un Buddha può apparire – milioni di forme – simultaneamente, è dunque per questo motivo che viene chiamata rete; non si tratta di un corpo soltanto. E un Buddha conosce qualsiasi cosa simultaneamente. Non si tratta quindi di una cosa soltanto. Ma di una rete.
Quindi queste due reti, le reti che costruiscono l'illuminazione... se parliamo in termini di Buddhità, sono come... Nel Buddhismo si parla di molti, molti tipi differenti di cause: sei diversi tipi di cause e molti diversi tipi di condizioni. È molto, molto complesso. Ma vi è un tipo di causa: se usiamo un esempio, sarebbe come l'impasto per fare il pane. È la sostanza che diventa il pane, ma non si ha più l'impasto nel momento in cui si ha il pane. L'impasto, in un certo senso, si trasforma in pane quando viene cotto.
Perciò queste reti che costruiscono l'illuminazione sono come l'impasto: si trasformano in, sono la sostanza da cui... La rete di forza positiva si trasforma nella rete di forme illuminate per aiutare gli altri. E la rete di profonda consapevolezza è l'impasto che si trasforma nella rete del Dharmakaya, la mente onnisciente di un Buddha. Ma dobbiamo avere entrambe per realizzare entrambe. Devono sostenersi a vicenda. Non si può ottenerne soltanto una e lavorare soltanto su una. Devono andare di pari passo.
Quindi, per ciascuna di esse, una funge da impasto. Per ciascuna di queste reti illuminanti di un Buddha, una delle reti che costruiscono l'illuminazione agirà come l'impasto, e l'altra sarà come il calore del forno. L'impasto non diventerà pane senza che vi sia il calore del forno. E quindi, a questo modo, si sostengono a vicenda. Dobbiamo avere entrambe per ottenere uno qualsiasi dei Corpi di un Buddha – ciascuno dei Corpi di un Buddha, le reti di un Buddha.
Per cui, come dicevo, vi sono due modi di dividere i sei atteggiamenti lungimiranti in queste due reti che costruiscono l'illuminazione. Secondo quella Mahayana generale, le reti lungimiranti... Ora dovremo vederle una alla volta, in modo tale che le comprendiate chiaramente e poi risponderò. Quindi ora darò la lista, secondo il Mahayana generale, ovvero quali delle sei contribuiscono a ciascuna delle due reti lungimiranti, reti che costruiscono l'illuminazione. Mahayana generale.
Secondo il Mahayana generale, per quanto riguarda la rete di forza positiva che costruisce l'illuminazione abbiamo innanzitutto la generosità, e poi la disciplina etica. La pazienza poi assume tre forme diverse, e quindi abbiamo due forme della pazienza: la pazienza di non arrabbiarsi di fronte alle difficoltà che si hanno con gli altri, e la pazienza di non arrabbiarsi di fronte ai problemi personali. Queste contribuiscono alla rete di forza positiva.
Ora, quali contribuiscono alla rete di profonda consapevolezza? Prima di tutto, l'atteggiamento lungimirante della consapevolezza discriminante, la lungimirante stabilità mentale, e il terzo tipo di pazienza, la pazienza di non diventare frustrati di fronte alle difficoltà del praticare il Dharma.
L'atteggiamento lungimirante dell'entusiasmo positivo, o perseveranza gioiosa, contribuisce e rafforza entrambe le reti.
Ora, nel Kalachakra (che potrebbe diventare familiare per alcuni di voi la prossima settimana, grazie alla visita di Kirti Tsenciab Rinpoche in Lituania) si parla di tre reti che costruiscono l'illuminazione. In questo caso la terza è la rete della disciplina etica. In questo schema di classificazione, la disciplina etica - che nel Mahayana generale contribuiva alla rete di forza positiva – è presa separatamente, costruendo pertanto una rete della disciplina etica.
Assegnare gli atteggiamenti lungimiranti alle due reti (continua)
Come dicevo, per quanto riguarda questa classificazione generale dei sei atteggiamenti lungimiranti nelle due o tre reti, non è molto utile pensare solamente: “beh, è soltanto uno schema intellettuale. Non significa nulla,” ma possiamo invece pensare: “bene, cos'è che si trasforma nell'avere tutte queste forme e via dicendo, in modo da essere in grado aiutare gli altri come un Buddha?” Essere generosi nell'aiutare realmente, specificatamente, gli altri. Dobbiamo avere la disciplina di aiutarli e di non ferirli. E di essere pazienti, ossia non diventiamo frustrati nel cercare di aiutare gli altri, perché non è sempre facile, e siamo pazienti con i nostri stessi problemi e debolezze mentre stiamo cercando di aiutarli – lavorare su queste cose, su noi stessi naturalmente, ma senza arrendersi. Questa combinazione è dunque ciò che si trasforma nell'avere tutte le forme e le capacità di un Buddha di aiutare gli altri.
E che cosa si trasformerebbe nella mente di un Buddha? Beh, dobbiamo possedere, naturalmente, la consapevolezza discriminante. Dobbiamo avere stabilità mentale, che non significa soltanto concentrazione, ma il non andare su e giù con l'umore e le emozioni disturbanti e via dicendo. E dobbiamo avere la pazienza di non abbatterci di fronte alle difficoltà del praticare il Dharma, in particolare in termini di meditazione e di cercare di ottenere la cosiddetta saggezza. Questo è quindi ciò che si trasforma nell'avere la mente di un Buddha.
E la perseveranza gioiosa è necessaria ad entrambe. Se parliamo in termini molto generali: dobbiamo perseverare, non mollare, ed effettivamente provare gioia sia nell'aiutare gli altri che nel meditare. In questo modo si contribuisce ad entrambe le reti: aiutando gli altri si incrementa la forza positiva – se parliamo in termini molto, molto generali – e meditando si incrementa la profonda consapevolezza. Ovviamente aiutiamo e meditiamo in entrambe, sviluppando la forza positiva e la profonda consapevolezza. Sto soltanto facendo il punto generale qui, in modo che sia più facile da comprendere.
Non importa quello che stiamo facendo, dobbiamo perseverare su questo, senza mollare. Questa è la perseveranza. E gioire nel farlo, non pensare “uffa, è orribile. Odio farlo, ma lo farò comunque, perché mi sento obbligato o mi sentirei in colpa se non lo facessi.” Provarne piacere. “Amo meditare. Amo aiutare altre persone. Mi dà una grande gioia.” “Amo tradurre. È un grande piacere per me. Niente mi rende più felice.”
Non ricordo la citazione esatta, ma Shantideva diceva qualcosa come:
(VII.64) Un bodhisattva è qualcuno che non è felice a meno che non stia realmente facendo qualcosa per il beneficio degli altri, per aiutare gli altri.
Se non provi gioia nel fare il tuo lavoro, allora sarai infelice. E non stiamo parlando di essere un maniaco del lavoro in ufficio, ma stiamo parlando di aiutare gli altri. A meno che non si stia realmente facendo qualcosa che è di beneficio per gli altri, non si è veramente felici. “Voglio sempre fare qualcosa per aiutare gli altri. Questo è quello che mi dà la gioia più grande nella vita.” Questo è ciò di cui stiamo parlando qui, a proposito della perseveranza gioiosa. Non importa quindi quello che stiamo facendo per aiutare gli altri: occuparci dei nostri figli, lavorare in qualche attività che è orientata ad aiutare gli altri in un modo o nell'altro, insegnare il Dharma. Non importa. Facciamo ciò che siamo capaci di fare.
Ora, Prasanghika... quando dico Prasanghika, si tratta della tradizione Ghelug Prasanghika. Tsongkhapa fu un incredibile rivoluzionario, incredibilmente coraggioso, ed esaminò molto, molto in profondità i testi indiani, e realizzò che quelli Prasanghika effettivamente avevano alcune spiegazioni piuttosto specifiche. Vi è quindi il sistema Prasanghika secondo la scuola Ghelug. I sistemi precedenti – Nyingma, Sakya e Kagyu – hanno una comprensione diversa della posizione Prasanghika. Secondo il Ghelug Prasanghika, qui Tsongkhapa presenta un altro modo di classificare questi sei atteggiamenti lungimiranti (dico questo perché le persone arrivano qui sia da un centro Drigung Kagyu che da un centro Ghelugpa). Qui Tsongkhapa fa una differenziazione in base alle due verità. E quindi la consapevolezza discriminante lungimirante non è in questo caso la consapevolezza discriminante rispetto a ciò che è costruttivo o distruttivo in termini di karma, ma soltanto in termini della verità più profonda, la vacuità. Questa è ciò che contribuisce alla rete di profonda consapevolezza, alla mente di un Buddha. E tutte le altre, inclusa la consapevolezza discriminante di ciò che è d'aiuto e ciò che è dannoso, contribuiscono alla rete di forza positiva, per l'ottenimento del Corpus di Forme di un Buddha. È quindi soltanto un altro modo di classificare in base alle due verità. Sentirete infatti le due diverse spiegazioni, ed entrambe sono effettivamente molto utili.