Integrare le cinque saggezze del Buddha nella nostra vita

Esercizio per armonizzare i vari aspetti della nostra personalità

Un’altra applicazione di questo metodo di meditazione in cui si utilizzano i cinque tipi di consapevolezza profonda è un metodo per diventare più consapevoli di tutti i vari aspetti della nostra personalità e per cercare di integrarli ed equilibrarli. E lo facciamo senza essere giudicanti; al contrario, vediamo oggettivamente i vantaggi e gli svantaggi di ciascun aspetto per equilibrarli. Questo richiede un’attenzione particolare per quegli aspetti che tendiamo a trascurare o quelli che ingigantiamo e che tendono a sopraffarci. Cominciamo l’esercizio nel modo seguente:

  • Per armonizzare tutti gli aspetti della nostra personalità cominciamo portando a mente il più possibile, con la consapevolezza profonda simile allo specchio, tutti i vari aspetti della nostra personalità,
  • Poi, con la consapevolezza profonda dell’uguaglianza, consideriamo tutti i vari aspetti come parti uguali, nessuno è più importante degli altri.
  • Con la consapevolezza profonda individualizzante, ci concentriamo su un aspetto particolare che forse abbiamo trascurato o banalizzato oppure, dall’altro lato, che abbiamo sopravvalutato.
  • Con la consapevolezza profonda del conseguimento, estendiamo la nostra energia e disponibilità a questo aspetto della nostra personalità per prendercene cura, per non ignorarlo o esagerare la sua importanza.
  • Con la consapevolezza profonda della realtà, siamo consapevoli di cosa sia questo aspetto e, riconoscendo e incrementando le sue buone qualità e riconoscendo e riducendo quelle negative, sappiamo come riequilibrare questo aspetto nella nostra vita.
  • Infine, ci rilassiamo, ci concentriamo sul respiro e lasciamo che l’esperienza si stabilizzi. Lentamente, apriamo gli occhi e torniamo al momento presente.

Domanda su come applicare questo metodo nella nostra vita

Durante l’esercizio, mi sono venuti in mente, quasi come fosse vedere automaticamente un menù, gli aspetti differenti della mia personalità, elencati dai più grossolani a quelli più sottili. Inoltre, ho scoperto che anche quando mi concentravo sugli aspetti scomodi o negativi della mia personalità, riuscivo a trovare qualcosa di buono che potesse essere tirato fuori per esaltarne il potenziale in modo positivo. La mia domanda è: nella nostra vita quotidiana e nella nostra pratica del Dharma, suggerisci che dovremmo lavorare con questi aspetti della nostra personalità uno alla volta o nel loro complesso?

Il sistema che sto usando proviene dalla tradizione Karma Kagyu, in cui si esaminano le nostre personalità mediante ciò che questa tradizione chiama “consapevolezza di base”, “consapevolezza generale” e “consapevolezza specifica”. Queste tre tipologie di consapevolezza sono correlate rispettivamente alla consapevolezza profonda simile allo specchio, dell’uguaglianza, e individualizzante. In ogni momento, la nostra attività mentale dà origine al (1) campo cognitivo delle apparenze, di cui siamo consapevoli grazie alla consapevolezza di base, (2) il quadro generale di ciò che appare nel campo, che è ciò di cui siamo consapevoli con la consapevolezza generale, e (3) i vari dettagli che sono gli oggetti che conosciamo con la consapevolezza specifica. Fondamentalmente, questi tre lavorano insieme, ma qui in questo esercizio, cominciamo per fasi. Nel campo delle nostre vite, portiamo a mente l’intero campo della nostra personalità, ma poi lavoriamo per equilibrare ciascun aspetto individualmente nel contesto di tutto il campo.

Ciascuno di noi ha diverse sfaccettature o aspetti delle nostre personalità. Questi sono i materiali di base con cui dobbiamo lavorare in questa vita specifica. Ad esempio, potremmo avere un buon senso dell’umorismo o un carattere molto irascibile; potremmo essere lenti o molto veloci. Potremmo essere molto seri o informali, atletici o intellettuali. Potremmo essere socievoli o introversi. Abbiamo ogni genere di tratti della personalità, e abbiamo bisogno di riconoscerli e lavorare con tutti nella nostra vita. Come lavoriamo con questi tratti? Come li equilibriamo per minimizzare gli aspetti negativi e massimizzare quelli positivi? È questo lo scopo dell’esercizio.

Ora, ovviamente può sorgere questa domanda: possiamo davvero cambiare la nostra personalità? Forse questa è una distinzione artificiale, ma penso che ci siano, da un lato, tratti della personalità, e dall’altro, emozioni disturbanti. Le emozioni disturbanti non sono necessariamente una parte integrale della nostra personalità di base di questa vita specifica.

Ad esempio, avere un buon senso dell’umorismo o essere seri è molto differente dall’essere molto avari o molto arrabbiati. Nel contesto delle emozioni disturbanti, ovviamente noi tutti possiamo lavorare con i metodi di Dharma per eliminare l’avarizia, l’egoismo, la rabbia, la gelosia, l’arroganza, eccetera. In questa distinzione tra emozioni disturbanti e tratti, tuttavia, la preferenza tra lo stare con molte persone o stare da soli sarebbe di più un tratto della personalità. Nessuna tra queste due preferenze è necessariamente un problema.

Alcune cose, come ad esempio il nostro livello d’intelligenza, non sono così facili da cambiare. Ovviamente, possiamo aumentare la nostra intelligenza con vari metodi, ma è un tratto fondamentale che abbiamo. Potremmo avere molta immaginazione oppure no. Nuovamente, possiamo addestrarci nell’immaginazione, ma c’è un livello fondamentale con cui iniziamo in questa vita. Altre caratteristiche della personalità potrebbero essere, ad esempio, l’essere creativi o non molto creativi, avere bisogno di affetto, o non averne molto bisogno, avere una forte spinta sessuale o una debole. Possiamo cercare di equilibrare tutto ciò che possiamo, ad esempio concentrandoci sui nostri punti forti minimizzando i punti deboli di ciascuno di questi aspetti.

Tuttavia, a prescindere dai materiali di lavoro che possediamo, è importante cercare di combinarli in un mix armonioso e ben integrato, come avere molti strumenti diversi in un’orchestra. Vogliamo metterli insieme per suonare una bellissima sinfonia, senza che ci siano dissonanze e lotte tra di loro. Per usare questo approccio, abbiamo davvero bisogno di lavorare con ogni aspetto della nostra personalità – prima uno alla volta – e poi armonizzando insieme sempre più aspetti.

Applicare il metodo per armonizzare le varie relazioni della nostra vita

Questa metodologia può anche essere estesa ad altre dimensioni della nostra vita. Ad esempio, possiamo osservare tutte le varie relazioni che abbiamo. Abbiamo relazioni con vari membri della nostra famiglia, amici, maestri, soci d’affari, e persone che gestiscono i negozi in cui compriamo varie cose. Possiamo esaminare tutte queste relazioni e applicare gli stessi passi per massimizzare gli aspetti positivi di ogni relazione e minimizzare le qualità negative o non salutari di queste connessioni. Possiamo cercare di armonizzare tutte le varie relazioni che abbiamo nelle nostre vite.

Questo però non vuol dire che tutti i nostri amici debbano andare d’accordo tra di loro, o che passiamo con ognuno di loro la stessa quantità di tempo. Il punto è come ciascuna relazione rientri nella nostra vita. Stiamo forse esagerando l'importanza di una relazione e trascurandone un'altra? Una relazione sta sabotando un’altra relazione? È un’area interessante da esplorare, e questi cinque tipi di consapevolezza profonda possono aiutarci a farlo.

A volte non riconosciamo l’importanza di una relazione specifica nella nostra vita. Ad esempio, potremmo essere molto coinvolti nella nostra famiglia e non realizzare l’importanza di avere amicizie indipendenti al di fuori dell’ambito familiare, e non solo stare con gli amici del nostro partner. È molto importante che una donna abbia amiche femmine e che un uomo abbia amici maschi, a prescindere che siano in una relazione o in un matrimonio. Se questi aspetti vengono trascurati, ciò può causare difficoltà nella nostra vita, contribuendo alla sensazione che manchi qualcosa.

Integrare altri aspetti della nostra vita 

Un’altra dimensione dell’applicazione di questo metodo consiste nell’esaminare i vari capitoli della nostra vita e cercare di integrarli. Spesso ci sono certi aspetti della nostra storia che tendiamo ad enfatizzare eccessivamente. Ad esempio, in una certa fase della nostra vita, potremmo essere stati bullizzati e abusati. Questo diventa l’evento principale di tutta la nostra vita. Potrebbero esserci altri capitoli che vogliamo dimenticare del tutto, come ad esempio un periodo in cui eravamo in una relazione non molto salutare. Potremmo anche esaminare i vari argomenti che abbiamo studiato durante la nostra educazione. Come integriamo tutti questi elementi? Se ci sono state brutte esperienze, cosa abbiamo imparato da esse? Che tipo di risultati positivi possiamo derivare dalle nostre esperienze negative? Di nuovo, cerchiamo di avere un equilibrio riguardo a vari aspetti di tutta la nostra vita.

Ricordate la nostra discussione precedente sull'‘io’ convenzionale e su come, in quanto persona, l'io convenzionale sia un'imputazione applicata a una base di imputazione. Nelle nostre discussioni precedenti abbiamo parlato, in generale, sulla base per l’imputazione di ‘io’, ovvero i cinque aggregati: il corpo, la mente, eccetera. Ma, in realtà, la base per l’imputazione include tutto ciò che ci riguarda: tutte le sfaccettature della nostra personalità, tutte le relazioni che abbiamo con gli altri, ora e in passato, e tutte le cose che ci sono accadute nella nostra storia. Questa è la base per l’imputazione ‘io’. Più ampia è la base che consideriamo, più è salutare il senso dell’io convenzionale che possiamo avere. In aggiunta, dovremmo sempre essere aperti a estendere tale base a nuove relazioni, nuove cose che impariamo e nuovi aspetti che sviluppiamo.

Il falso ‘io’ sorge quando attribuiamo tale ‘io’ a solo uno o due aspetti [della base d’imputazione], considerandolo il vero “io”, e dimenticandoci di tutti questi altri aspetti che in realtà appartengono anche alla base d’imputazione. Questo ci crea molti problemi. Riflettiamo un attimo su questo.

La relazione tra l’esercizio e la comprensione della vacuità

Riflettendo sugli esercizi con i cinque aggregati e i cinque tipi di consapevolezza profonda, ho scoperto che ci sono molti pensieri, emozioni, e sensazioni in ogni momento specifico. Ho la capacità di portarli a maturazione in un modo positivo o negativo. Ho anche notato che c’è un breve spazio di tempo prima che ciascuno di questi pensieri o sensazioni avvenga, e che qualunque cosa io pensi o senta sia un processo di nascita e di scomparsa. In tutte queste cose, ho la possibilità di lavorare con tutti questi aspetti in modo costruttivo o distruttivo. Tutte queste nuove scoperte mi aiuteranno ad avvicinarmi alla comprensione della vacuità, la comprensione della rinascita e la comprensione dell’esperienza del bardo?

Tutte queste scoperte sono in effetti molto utili per la comprensione della vacuità. Come abbiamo detto, una persona, l’io convenzionale, è un fenomeno d’imputazione applicato alla base dei cinque aggregati. I fattori che formano i nostri cinque aggregati in ciascun momento cambiano in continuazione; non c’è nulla di statico che rimanga identico in ciascun momento. I cinque tipi di consapevolezza profonda che ci aiutano a percepire e conoscere le cose apprendono anche costantemente vari oggetti, e cambiano da un momento all’altro. L’io convenzionale è un mero fenomeno d’imputazione applicato a tutta questa base; non c’è nulla di trovabile dal lato di quella base che sia un ‘io’ statico, immutabile, monolitico.

Ma cos’è che rende me ‘me’? Questa è una domanda molto importante. Se la base per ‘me’ è quello che sperimentiamo e tutti i vari fattori della nostra personalità, relazioni, e storia, e se tutti loro cambiano in continuazione, allora cos’è che sta rendendo me ‘me’? Dal punto di vista Gelug Prasangika, come abbiamo discusso prima, proprio come l’io convenzionale non può essere trovato dal lato degli aggregati, non c’è nulla di trovabile dal lato dell’io convenzionale, come una caratteristica distintiva singola che, per il suo stesso potere, renda me ‘me’. Siccome né una persona né una caratteristica distintiva singola di una persona può essere trovata dal lato delle loro basi d’imputazione, l’unico modo per determinare l’esistenza della persona o della caratteristica distintiva è che è semplicemente ciò a cui la parola “persona” (o la frase “caratteristica distintiva di una persona”, o il concetto di una persona o il concetto di una caratteristica distintiva di una persona) si riferisce quando viene designata o etichettata mentalmente sulla base di un set di aggregati.

Inoltre, se non c’è nessuna caratteristica distintiva trovabile dal lato della persona con il potere di rendere me ‘me’, allora non c’è nessun appiglio dal lato della base a cui possiamo appicciare la parola ‘me’ o il nostro nome, come con il gancio e l'occhiello nel cucito. Non c’è nessun occhiello dal lato della base a cui possiamo agganciare il gancio della parola ‘me’.

Se non riusciamo a trovare ‘me’, questo non significa che non esisto e che non sono una persona. Ma cosa prova o stabilisce che io esisto come una persona validamente conoscibile, un ‘io’ convenzionale? Questa è la domanda che affrontano i vari sistemi di principi buddhisti. Potremmo dire che ciò che prova la mia esistenza è che io faccio cose e le sperimento. Questo è un modo di affrontare la questione, ma il Prasangika risponde a questa domanda seguendo un altro punto di vista.

Tutti noi abbiamo il concetto di ‘io’ e la parola ‘io’, e il Gelug Prasangika afferma che il sé, l'io convenzionale di una persona, è semplicemente ciò a cui il concetto e la parola si riferiscono, basandosi sui cinque aggregati in costante mutamento. Non c’è nulla di trovabile dal lato del sé o dal lato degli aggregati che stabilisca l’esistenza di ‘io’, persino in combinazione con il fatto di etichettare mentalmente gli aggregati con il concetto di ‘io’ o di designarli con la parola ‘io’. Non c’è nessuna caratteristica distintiva trovabile dal lato degli aggregati o dal lato di un ‘io’ trovabile che abbia il potere di rendere me ‘me’, e offrire un occhiello a cui agganciare il concetto e la parola ‘io’.

Noi tutti accettiamo che esiste la convenzione e la parola ‘io’. Chiunque veda il mio corpo che cammina per strada vede me. Nessuno con una vista non difettosa non sarebbe d’accordo. Ma quell’io e quel qualcosa che rende me ‘me’ non può essere trovato dal lato del corpo, perché non ci sono cose del genere, e nessuno che comprenda correttamente la vacuità non sarebbe d'accordo. Questi tre punti stabiliscono che esiste una cosa come l’io convenzionale, ed è meramente ciò a cui la convenzione (o il concetto e la parola ‘io’) si riferisce sulla base degli aggregati.

State attenti: etichettare mentalmente il concetto ‘io’ sugli aggregati e designarli con la parola ‘io’ non crea l’io, e se non l’avessimo etichettato e designato mentalmente, l’io non esisterebbe. L’io convenzionale, la persona, è un fenomeno d’imputazione sulla base degli aggregati, e questo è un fatto. Ma questo ‘io’ è come un’illusione perché appare solido; sembra che sia solido e che possa essere conosciuto in sé e per sé, ma non è così. Cambia da un momento all’altro perché le nostre esperienze cambiano da un momento all’altro. E questo non significa che ‘io’ in quanto persona sia una cosa solida che cambia in ogni momento in un’altra cosa solida leggermente differente e poi in un’altra cosa solida leggermente differente, ma che fondamentalmente rimane sempre la stessa cosa. Anche questo non è il caso.

Ciò che è difficile da capire è che non c’è nulla dal lato di ‘me’ o dal lato della base per ‘me’, che renda me ‘me’. Non c’è nessuna caratteristica distintiva che possa essere trovata; eppure, ciononostante, ognuno di noi è una persona individuale, e possiamo distinguere correttamente una persona dall’altra, proprio come i pinguini possono distinguere correttamente un pinguino dall’altro in quella colonia dell’Antartide.

Dunque, ci sono caratteristiche distintive singole che consentono al nostro aggregato del distinguere di differenziare correttamente una cosa dall’altra. Ma se tale caratteristica fosse trovabile dal lato di un oggetto e avesse il potere di stabilire quell’oggetto come una cosa validamente conoscibile, sarebbe come se fosse seduta all’interno dell’oggetto, generando una copertura di plastica attorno all’oggetto rendendolo una cosa, separata da tutto il resto.

Un esempio semplice di come le caratteristiche distintive non funzionino così è lo spettro di luce e la gamma di colori. C’è qualcosa dal lato dello spettro di luce che lo divide in colori specifici – ad esempio questo è rosso, questo è arancione, questo è giallo, eccetera? C’è una copertura di plastica attorno ad ogni colore che ne delimita l’estensione oltre la quale la luce è di un colore differente? C’è qualcosa che crea una copertura di plastica intorno a una certa gamma di luce nello spettro, rendendola un colore specifico che viene poi chiamato in un certo modo dalle persone? È impossibile. Non ci sono linee di demarcazione dal lato dello spettro di luce. I vari colori sono semplicemente delle convenzioni concettuali. Alcune persone si sono riunite concordando che questa e quella lunghezza d’onda di luce verrà chiamata rosso o arancione; hanno semplicemente creato le parole. Se pensiamo in termini delle persone delle caverne, in un certo senso hanno messo insieme dei grugniti e dei suoni, e si sono messi d’accordo che alcune combinazioni di suoni senza significato sarebbero diventate una parola – un suono che trasmetteva un significato.

Cosa stabilisce, allora, che ci sia una cosa convenzionale come il colore “rosso”? Possiamo solo dire che quello che determina l’esistenza del rosso è solo ciò a cui il concetto e la parola “rosso” si riferisce sulla base di una certa gamma predefinita di lunghezze d’onda di luce e di un gruppo di persone che sono d’accordo con questa convenzione. La mente concettuale divide lo spettro di luce in colori specifici, ma non c’è nulla di trovabile dal lato della luce.

Nonostante ciò, il rosso non è blu. I colori sono colori individuali, non sono una sorta di zuppa unica. Come distinguiamo allora i colori? Lo facciamo utilizzando la mente, grazie al fattore mentale del distinguere e l’aggregato del distinguere. Stiamo distinguendo secondo caratteristiche distintive convenzionali, che sono totalmente inventate.

Che dire dell’oggetto che la nostra mente convenzionale etichetta con un concetto di qualcosa designandolo con una parola? È l’oggetto semplicemente una sorta di tabula rasa solidamente esistente su cui possiamo proiettare qualunque cosa? No. Se lo fosse, allora potremmo dare qualunque nome a qualunque cosa. Le parole e i nomi sono validi semplicemente grazie al potere delle convenzioni che un gruppo di persone adotta. Se non avessimo le convenzioni di una lingua, non saremmo in grado di comunicare gli uni con gli altri. Abbiamo bisogno di essere d’accordo gli uni con gli altri sul modo in cui chiamiamo le cose.

Sebbene nulla possa essere trovato dal lato di qualunque cosa che abbia il potere di stabilire l’esistenza di qualcosa come un oggetto validamente conoscibile e distinguibile dagli altri oggetti, ciononostante, le cose funzionano. Producono effetti. Il tavolo ha la funzione di tenere un bicchiere sopra di esso. Non importa come chiamiamo quest’oggetto. Ci sono così tante parole diverse in così tante lingue che si riferiscono a ciò che in inglese [e in italiano] intendiamo con la parola “tavolo”; tuttavia, quest’oggetto di fronte a me svolge una funzione.

Siccome gli oggetti sono in grado di fare cose, alcuni sistemi di principi buddhisti arrivano a dire che ciò che determina l’esistenza vera di un tavolo è il fatto che svolge la funzione di un tavolo. Ma ciò a cui la parola “tavolo” si riferisce può svolgere più di una funzione, e molti tipi differenti di oggetti possono svolgere ciò che si chiama “la funzione di un tavolo”. 

L’abilità di svolgere una funzione si può trovare nell’oggetto? Di nuovo, il Prasangika dice “no”. Persino la funzione di un tavolo può essere stabilita come esistente soltanto ed esclusivamente come ciò a cui il concetto e l’espressione “funzione di un tavolo” si riferiscono, per convenzione, quando ciò viene etichettato mentalmente e designato su questo oggetto.

Riguardo il nostro esempio di questo tavolo, notiamo come stia svolgendo molti compiti. Sta sostenendo il bicchiere, la brocca d’acqua, il registratore e la tovaglia. Sta adornando la stanza rendendola bella. Sta svolgendo la funzione di offrire uno sfondo per i fiori che ci stanno davanti, e sta anche creando un’ombra. Chiaramente, sta facendo molte cose. Ciascuna di queste funzioni sono racchiuse nella plastica come cose trovabili da qualche parte dal lato di questo oggetto, come colori distinti incapsulati nella plastica in qualche modo trovabili ed esistenti dal lato dello spettro di luce? No. Dall’altro lato, è solo un oggetto vergine che possiamo mentalmente etichettare come avente qualunque tipo di funzione e che poi sarà in grado di svolgere quella funzione? No, questo oggetto non impedisce ai ladri di entrare in casa e al cielo di cadere, per esempio. Non possiamo semplicemente etichettare qualunque funzione sull’oggetto.

Cosa stabilisce che questo oggetto svolga effettivamente una funzione? Deve essere la cognizione valida, e questo si stabilisce dal lato della mente. L’oggetto funziona in termini di causa ed effetto secondo risultati verificabili. Chiunque abbia una mente valida e non compromessa può vedere che sta sostenendo un bicchiere, ma che non impedisce al cielo di cadere. Questo si può capire chiaramente. Se spostassimo l’oggetto, il cielo cadrebbe o no? No, il cielo non cadrebbe. Non stava svolgendo quella funzione.

Il Gelug Prasangika direbbe che non possiamo nemmeno trovare qualcosa dal lato dell’oggetto che stabilisca la sua esistenza come un oggetto validamente conoscibile. Se pensiamo che ci sia qualche copertura di plastica attorno all’oggetto, qualche linea immaginaria che lo renda una cosa, un oggetto in sé e per sé, se esploriamo, possiamo trovarla? Dov’è quel confine solido tra gli atomi del tavolo e gli atomi dell’aria? Non c’è nessuna linea, vero?

Applichiamo questo agli argomenti di cui abbiamo parlato riguardo lo spettro di tutte le emozioni e i sentimenti, che fanno parte del nostro aggregato. È possibile trovare qualcosa dentro i nostri corpi e le nostre menti, queste cose incapsulate chiamate senso dell’umorismo, intelligenza, o uno qualunque di questi tipi di tratti di personalità o emozioni di cui stiamo parlando? È come l’esempio dei colori. La loro esistenza come questo o quel tratto di personalità o emozione può essere stabilita solo come ciò a cui i concetti e le parole [usate per indicarli] si riferiscono, sulla base dei momenti dell’esperienza.

Persino le definizioni di ciascun tratto ed emozione sono stabilite esclusivamente dalla convenzione e dall’etichettatura mentale. Ad esempio, culture differenti definiranno in modo differente la loro parola per ciò che chiamiamo “fedeltà” in inglese [e in italiano]. Il Giappone, l’America, e la Francia medievale hanno diversi concetti per questo, vero?

Anche all’interno di una cultura, varie emozioni mantengono ancora la loro individualità: la rabbia non è avarizia. Solo perché non ci sono solide linee di demarcazione che dividono nettamente le cose come palline da ping-pong, ciò non significa che tutto sia una grande zuppa indifferenziata. Ci sono cose distinte; tuttavia, non c’è nulla dal lato delle cose che, come una copertura di plastica, le renda qualcosa.

La stessa cosa si applica alle nostre relazioni con altre persone. C’è una sorta di involucro di plastica attorno a una qualunque delle nostre relazioni con un’altra persona che la isola e la separa da qualunque altra cosa nelle nostre vite e tutte le altre persone con cui loro si relazionano e noi ci relazioniamo? No, ovviamente questo non è vero. La base per il fenomeno d’imputazione ‘io’ è così: non ci sono solide linee di demarcazione dal lato della base, e nulla che incapsuli questo e quello come una relazione, un tratto di personalità, o un’emozione che abbiamo. E persino ‘io’ come una persona, come un fenomeno d’imputazione sulla base di questi tratti ed emozioni, non è qualcosa di trovabile, avvolto nella plastica.

Usare quest’immagine delle palline di ping-pong può essere molto utile: se i nostri tratti della personalità, emozioni, e altri fattori mentali che formano i nostri aggregati fossero come palline da ping-pong, e ‘io’ in quanto persona fossi come un grande barattolo che le contiene, allora nessuno di loro potrebbe mai cambiare, e noi non potremmo mai crescere o cambiare. Nulla potrebbe influenzarli perché sarebbero come una collezione di palline in un grande barattolo. Non potrebbero davvero interagire le une con le altre; le palline sarebbero semplicemente le une accanto alle altre. Non potrebbero integrarsi a vicenda e rimarrebbero semplicemente una collezione di palline da ping-pong in un grande barattolo.

Tuttavia, non esistono come palline da ping-pong. Non c’è nulla dal lato di nessuna di queste cose che la renda una solida pallina da ping-pong. Per via di questo, possono interagire, e possono cambiare. E per via di questo, l’‘io’ che è un fenomeno d’imputazione sulla base di esse non è come un barattolo che li contiene, ma può anche cambiare e crescere.

Dunque, per rispondere alla tua domanda, sì, in questo modo, il nostro studio dei cinque aggregati e il nostro studio di questi cinque tipi di consapevolezza profonda possono portarci più addentro alla comprensione di molti aspetti del Dharma – particolarmente l’aspetto riguardante la vacuità.

Dedica

Per rendere la nostra dedica più significativa, prendiamoci uno o due minuti per digerire l’ultima porzione della nostra discussione e qualunque cosa abbiamo imparato o sperimentato in questa serie di insegnamenti. In altre parole, esaminiamo la forza positiva e la comprensione che è scaturita da questa discussione. Riaffermiamo che questa forza positiva e la comprensione non sono come palline da ping-pong che abbiamo raccolto, e dedicare queste qualità all'illuminazione non significa gettarle nel cestino dell'illuminazione. Non è così.

Dunque, qualunque comprensione che abbiamo ottenuto, qualunque forza positiva che è sorta dal nostro tempo passato insieme, che possa agire come una causa affinché tutti raggiungano l’illuminazione per il beneficio di noi tutti… e non solo la mia illuminazione, ma l’illuminazione di tutti. Grazie.

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