L’analisi buddhista come aiuto per rinunciare allo stress

Questa sera mi è stato chiesto di parlare della rinuncia – la determinazione ad essere liberi dai nostri problemi – in particolare del modo in cui possiamo comprenderla nel contesto dello stress di vivere in una grande città, come qui a Mosca. Ma credo che quando iniziamo ad analizzare l’argomento, scopriamo come la maggior parte dei problemi che affrontiamo nel mondo moderno non si limitino soltanto al vivere in una grande città.

Gli stimoli eccessivi come una fonte di stress

Chiaramente in una metropoli c’è l’inquinamento, il traffico e così via che potrebbero non esserci in un villaggio, ma non sono questi gli unici fattori che contribuiscono al nostro stress. Se guardiamo più in profondità, troviamo problemi che la maggior parte delle persone nel mondo moderno sta affrontando, a prescindere da dove vivano; e penso siano attribuibili al fatto che abbiamo sempre più cose disponibili, sempre più scelte, più informazioni, più canali televisivi, più film e prodotti tra cui scegliere. La maggior parte delle persone porta con sé un cellulare, così arrivano le email, messaggi costanti, chat e cose simili e così c’è lo stress di sentire che dobbiamo guardare tutto, rispondere istantaneamente, perché gli altri si aspettano che risponderemo immediatamente. Sebbene queste cose abbiano una certa utilità per mantenerci connessi con gli altri quando è importante esserlo, a volte è semplicemente troppo; è costante e diventiamo molto insicuri perché, se ci pensate, la mentalità che vi è dietro è quella di “Non voglio perdermi qualcosa che potrebbe essere importante. Non voglio essere lasciato fuori”.

Così ci sentiamo obbligati a controllare in continuazione quello che accade, ma certamente ciò non ci fa mai sentire sicuri perché c’è sempre qualcosa di nuovo che accade, un nuovo messaggio o una nuova chat in arrivo. Se scegliamo di guardare qualcosa su YouTube o in televisione – non so quanti canali avete a disposizione qui a Mosca, ma in Europa e in America ce ne sono a centinaia, così non ti senti a tuo agio quando guardi qualcosa perché pensi “Beh forse c’è qualcos’altro di meglio”, così c’è sempre quell’impulso a guardare, a vedere: “Beh forse c’è qualcosa di meglio che mi sto perdendo”.

Ricercare l’approvazione e l’accettazione nei nostri mondi virtuali

Penso che questi tipi di situazioni davvero aumentino il nostro stress, a prescindere da dove viviamo, che sia una metropoli o un paese, soprattutto nel mondo moderno. Vogliamo far parte di qualche tipo di società, di un gruppo di amici e vogliamo i “mi piace” sulla nostra pagina Facebook per qualunque post mettiamo, così da poter sentire che in qualche misura siamo accettati e riconosciuti, ma non siamo calmi al riguardo. Non siamo mai soddisfatti del numero di “mi piace” che ci arrivano, ne vogliamo sempre di più o “lo pensano davvero?”. Stanno solo premendo un bottone o forse è una macchina che preme un bottone: si può pagare per avere molti “mi piace”. Siamo eccitati con trepidazione quando il nostro telefono ci indica che abbiamo ricevuto un messaggio: forse è qualcosa di speciale.

E siamo eccitati e trepidanti quando entriamo nella nostra pagina Facebook e vediamo: “Ho ricevuto altri mi piace?”. Oppure diventiamo, come spesso mi capita di descrivermi, drogati di notizie, controllando sempre le notizie per vedere se è successo qualcosa di nuovo, di interessante, perché non voglio perdermi nulla.

Naturalmente se analizziamo questa questione in modo più profondo, scopriamo un sentimento sottostante di “Sono così importante da dover sapere tutto quello che accade. E devo piacere a tutti”. Potremmo compiere un’analisi approfondita dal punto di vista buddhista sul perché sento di essere così importante, di dover sapere tutto, di dover essere così riconosciuto. Perché siamo così preoccupati di noi stessi, ma questa sera non voglio approfondire in questo senso.

Scappare dalla realtà della nostra situazione

D’altra parte ci sentiamo spesso sopraffatti dalla situazione che ci circonda e cerchiamo di scappare guardando il nostro telefono, ascoltando la musica quando siamo in metropolitana o quando camminiamo. Indossiamo sempre gli auricolari con i nostri iPod, il che rappresenta una contraddizione molto interessante se ci pensate. Da un lato vogliamo essere accettati in un gruppo sociale ma dall’altro lato, quando siamo davvero con gli altri, scacciamo tutti giocando con il nostro telefono o ascoltando musica a volume altissimo.

Cosa vuol dire questo? Vuol dire solitudine, no? Vogliamo il riconoscimento sociale; ci sentiamo soli perché non sentiamo mai di essere realmente accettati, ma dall’altra parte ci chiudiamo scappando nel nostro mondo virtuale, che è anch’esso molto solitario, no?

Sentiamo impulsivamente che abbiamo bisogno di intrattenimento; non ci può essere un momento in cui non accade nulla. Anche questa è una contraddizione perché se da un lato desideriamo pace e quiete, dall’altro siamo spaventati dal vuoto, l’assenza di informazioni o l’assenza di musica.

Vogliamo scappare in qualche modo dallo stress del mondo esterno, nella metropolitana o altrove, allora scappiamo nel nostro piccolo mondo virtuale del telefono, in internet, ma anche lì ricerchiamo l’approvazione degli amici e così via, e non ci sentiamo mai sicuri. È qualcosa a cui dovremmo davvero pensare: il ritirarci nel nostro cellulare è davvero la soluzione al nostro problema con lo stress? Sia che viviamo in una grande città o in qualunque luogo, è questa la soluzione?

Riconoscere le routine abituali negative, e sviluppare la determinazione ad essere liberi

Ciò che dobbiamo fare è riconoscere l’infelicità che sperimentiamo quando siamo bloccati in queste routine abituali, e identificarne le fonti. Perché siamo bloccati in queste abitudini?

Poi sviluppiamo la determinazione ad essere liberi da tale infelicità, basata sul conoscere i metodi per liberarci dalle sue fonti, fiduciosi che funzioneranno. Non è che vogliamo semplicemente eliminare questa infelicità e poi diventare come degli zombie, senza sentire nulla, girando in città come morti che camminano. La felicità non è semplicemente l’assenza dell’infelicità; è qualcosa che si aggiunge a una sensazione neutrale e calma. Non cerchiamo di non avere sensazioni, nemmeno questo è il punto.

Abbiamo allora bisogno di renderci conto che gli oggetti e le situazioni esterne non sono veramente la fonte dell’infelicità, della sofferenza e dello stress che viviamo: se lo fossero, tutti dovrebbero sperimentarle allo stesso modo.

E il problema non è internet e nemmeno i nostri telefoni: se usati in modo appropriato, possono senza dubbio essere estremamente utili nelle nostre vite. Il problema è il nostro atteggiamento rispetto ad essi, e le emozioni che fanno affiorare e che rinforzano, e come noi gestiamo questo meraviglioso mondo di internet e come gestiamo le situazioni nella nostra vita.

Abbiamo molte, molte abitudini autodistruttive, e tutte sono provocate da qualche stato mentale disturbante, che sia l’insicurezza, la paura di non essere accettati, di essere tagliati fuori, l’impulsività, e questo tipo di cose. Tuttavia, le strategie che cerchiamo di adottare per superarli, scappando sui social media ecc., ci rendono soltanto più stressati: è un circolo vizioso. Questo rende l’ansia del “Piacerò alla gente?”, ecc. ancora più forte.

Diventa ancora peggio se pensiamo agli adolescenti e al bullismo su internet. Non è solo il ricevere i mi piace e che tutti li vedano, ma se si è vittima di bullismo, come i “non mi piace” ecc., allora poi tutti li vedono ed è orribile, no?

Le persone postano foto sui social media, foto di loro stessi durante i bei momenti, no? Non postano foto dei brutti momenti: così vedi tutti i tuoi amici che stanno avendo momenti fantastici e, povero me, sono qui nella mia stanza che guardo il mio telefono, da solo. Non è uno stato mentale molto felice, giusto?

Dobbiamo avere qualche atteggiamento realistico di ciò che accade su tutti questi social media, ecc. Dobbiamo comprendere che avere cumuli di “mi piace” sulla nostra pagina Facebook non ci farà sentire più sicuri, non possiede quella capacità. È soltanto l’opposto. Siamo ingenui, crediamo che farà una grande differenza, mentre crea un desiderio ardente di volere più “mi piace” – l’avidità, ne vogliamo sempre di più – insieme all’insicurezza del guardare continuamente se ce ne sono degli altri.

Ammetto che sono così con il mio sito web: guardo costantemente le statistiche per vedere quante persone l’hanno visitato nell’arco della giornata. È la stessa cosa. Oppure il guardare ogni giorno il tasso di cambio per vedere quanto hai perso. Non abbiamo mai pace mentale (risata). Oppure pensiamo che possiamo scappare nel mondo virtuale di un gioco al computer e in qualche modo i nostri problemi se ne andranno. Non è molto diverso dal bere molta vodka pensando che se ne vadano, no?

Se esaminiamo questa sindrome notiamo che è molto autodistruttiva, e i nostri modi di cercare di gestire la pressione e lo stress della vita producono soltanto più problemi.

La necessità della consapevolezza discriminante per gestire efficacemente le situazioni

Per affrontare queste sindromi abbiamo bisogno della consapevolezza discriminante delle situazioni in cui ci troviamo. Per esempio un lavoro impegnativo va gestito: è un dato di fatto. Dobbiamo accettare la realtà, e la realtà è che possiamo solo fare del nostro meglio. Se accettiamo questa realtà, ciò ci aiuterà a smettere di proiettare sul nostro lavoro [l’idea] che sia un’orribile tortura e che “io non sono abbastanza bravo”.

Il problema è che pensiamo di dover essere perfetti ma, a meno di non essere un Buddha, nessuno è perfetto. E anche se il nostro capo pensa che dobbiamo essere perfetti e ci fa pressioni per esserlo, la realtà è che questo è impossibile. E poiché è impossibile, perché battiamo la testa contro il muro sentendoci in colpa di non essere capaci di fare qualcosa che è impossibile?

Così facciamo semplicemente del nostro meglio, stabilendo le priorità ed accettando la realtà della situazione. Poi cerchiamo di mantenere la concentrazione, consapevoli della realtà della situazione che affrontiamo, senza sopravvalutarla (“Questo è impossibile”) o sottovalutarla (“Posso fuggire nel mio telefono, giocando e navigando per scappare”).

Dobbiamo affrontarla, dobbiamo affrontare il lavoro. Se lo sottovalutiamo allora pensiamo che sia qualcosa che non dobbiamo affrontare veramente. Per esempio, quando hai qualcosa da fare al lavoro e non ti va di farlo, allora che fai? Hai la disciplina per cui semplicemente lo fai, oppure istantaneamente inizi a navigare o subito hai l’istinto di guardare il tuo telefono per vedere se forse ci sono nuovi messaggi o se forse qualcuno ha postato qualcosa di più interessante? Questo è sottovalutare la realtà del fatto che devi fare quel lavoro. Tutto questo è coinvolto nella determinazione ad essere liberi: cercare di riconoscere cosa ci causa davvero il problema.

Come gestirlo?

Video: Geshe Tashi Tsering — “Superare lo stress e l'ansia”
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Capire come le azioni influenzano le nostre reazioni ormonali

Cominciamo con l’autodisciplina, dalle piccole cose, così possiamo capire come funziona il modo in cui affrontiamo il nostro stress, anche da un punto di vista scientifico, se consideriamo gli ormoni. Questo ci offre una prospettiva completamente diversa e anche un fondamento piuttosto scientifico su ciò di cui parla il Buddhismo.

Gli ormoni cortisolo e dopamina

Ti senti stressato, quindi quello che avviene a livello ormonale è che il nostro livello di cortisolo è aumentato. Il cortisolo è l’ormone dello stress, così cerchiamo un po’ di sollievo. Qual è la nostra strategia che pensiamo possa procurarci della felicità così da poterci liberare di questo cortisolo nel nostro organismo? Pensiamo: fumerò una sigaretta, aiuterà; o navighiamo su internet, controlliamo i social media per alleviare questo stress con qualcosa d’interessante. Ciò che accade è che siamo eccitati e felici per l’anticipazione che ci farà sentire meglio, così il nostro livello di dopamina cresce. La dopamina è l’ormone dell’anticipazione di una ricompensa; è ciò che un animale sente quando insegue un altro animale: c’è questa anticipazione. È facile da riconoscere quando vai ad incontrare una persona che ami, qualcosa del genere. La dopamina è molto alta con l’anticipazione di quanto sarà meraviglioso. Quando incontri la persona potrebbe non essere affatto così bello, ma è l’anticipazione che innalza il tuo livello di felicità basato su questa dopamina, questo ormone.

Siamo esseri biologici. Tuttavia, dopo la sigaretta o il navigare su internet non siamo soddisfatti, così il nostro stress ritorna: non è quindi una strategia così buona.

Dobbiamo riconoscere gli svantaggi del credere alla nostra idea errata che la sigaretta risolverà il problema. Oppure che trovare qualcosa di interessante tra le notizie o nella mia pagina Facebook possa risolvere il problema dello stress.

Quando capiremo gli svantaggi del pensare che questa sia la migliore strategia da seguire, potremo allora generare la determinazione di essere liberi da questo tipo di abitudine; l’abitudine non funziona.

Astenersi dal seguire reazioni negative abituali

Così smettiamo di rifugiarci nelle sigarette. Fumare sigarette è tutto un altro campo in termini di: c’è qualche beneficio nel fumare sigarette? No, non ce ne sono. Ma rispetto all’uso di internet, dei social media e del controllare i messaggi in continuazione, questo va regolato, non bisogna aprirli sempre. In altre parole, smettiamo di usarli come nostro rifugio. Smettiamo di utilizzarli come una fuga. Usiamoli per scopi utili e non per scopi che non potranno mai essere soddisfatti.

Certamente è molto difficile: quando siamo annoiati, quando affrontiamo qualcosa che non ci va particolarmente di fare a lavoro o a casa, c’è questa spinta compulsiva di guardare i nostri telefoni, o no? Proprio come abbiamo bisogno di seguire una dieta alimentare per eliminare l’obesità, così abbiamo bisogno di una dieta d’informazioni per eliminare la nostra obesità mentale. Dobbiamo cercare di restringere la quantità di informazioni, messaggi, musica, ecc. che riceviamo, proprio come quando diminuiamo l’assunzione del cibo.

Ora, astenersi dalle nostre vecchie abitudini autodistruttive aumenterà inizialmente i livelli di cortisolo dello stress, poiché le vecchie abitudini sono molto, molto forti. Quindi proprio come abbiamo terribili sintomi d’astinenza quando smettiamo di fumare, di bere o di assumere droghe – l’ormone dello stress cortisolo – allo stesso modo quando ci prendiamo una pausa da internet, dai messaggi sociali o dalla musica c’è lo stress da astinenza. È come una disintossicazione; alcuni hanno detto di come si sono disintossicati dalla musica, soprattutto quando sono dipendenti dall’avere sempre le cuffiette con i loro iPod e di come per parecchio tempo dopo, avessero continuato a cantare la musica nelle loro teste. Ci vuole molto tempo perché si calmi. Penso sia un’ottima immagine, essere obesi con la musica nella testa… eccola qua.

Non puoi funzionare perché non puoi pensare a nulla perché c’è la musica che continua, soprattutto quando lo stesso ritmo si ripete in continuazione si impazzisce. Ma se perseveriamo con questo, il livello di stress dell’astinenza alla fine si sgonfierà e proveremo una pacifica calma mentale. Allora saremo in una posizione migliore per rimpiazzare le nostre abitudini negative con quelle positive.

Qui ci sono dei metodi buddhisti molto belli che non sono necessariamente limitati ai buddhisti: come il realizzare che facciamo parte dell’umanità, siamo tutti interconnessi, il nostro benessere dipende da tutti gli altri e questo è un metodo molto più stabile per ottenere quella soddisfazione del nostro bisogno di sentirci connessi e legati agli altri, che in realtà il fare parte di un social network su internet non offre.

L’ormone ossitocina

Esiste un ormone per questo, l’ossitocina. Questo è l’ormone del legame che avete, quello delle madri con i figli e così via. È la presenza di questo ormone che ci spinge al bisogno di legare con gli altri, di fare parte di qualche gruppo. Può essere soddisfatto positivamente, come quando ci sentiamo parte dell’umanità, siamo tutti uguali, tutti vogliono essere felici e non vogliono soffrire: questo tipo di cose che sono molto più stabili del tentativo di soddisfarlo facendo parte di un gruppo dei social media, che poi dipende dai mi “piace”.

Vi parlo degli ormoni per un motivo specifico: Sua Santità il Dalai Lama spesso parla del bisogno d’essere dei buddhisti del ventunesimo secolo, il che significa creare un ponte tra gli insegnamenti buddhisti e la scienza per dimostrare che all’interno degli insegnamenti buddhisti ci sono davvero molti punti in comune con la scienza. Così egli partecipa molto spesso a queste conferenze di Mind and Life, discutendo con gli scienziati per vedere se ci sono punti di comprensione comuni ad entrambi, e come ambedue le parti possono aiutarsi reciprocamente per acquisire un quadro della vita più completo.

Se capiamo che, ad un livello puramente fisico e e biologico, ci sentiamo meglio e più felici sulla base di alcuni ormoni presenti nel nostro corpo, allora possiamo analizzare quali sono le strategie che stiamo utilizzando ora per cercare di soddisfarli e, qualora non funzionassero, trovare altre strategie che possono trarre vantaggio da questi in un modo positivo, senza essere autodistruttivi.

La dopamina, l’ormone dell’anticipazione e stabilire obiettivi costruttivi

Stiamo parlando della dopamina, questo tipo di ormone dell’anticipazione di una ricompensa. Ci fa sentire molto eccitati, come un leone che insegue un’antilope per mangiarsela. Così abbiamo certi modi distruttivi che non funzionano per cercare di trarre vantaggio da questa sindrome di dopamina, come l’aspettativa di avere più “mi piace” sulla nostra pagina Facebook: questo non funziona.

Oppure possiamo avere dei modi neutrali nel cercare di soddisfarla: ho un amico che è un sollevatore di pesi, così egli prevede ora di poter sollevare 180 chili, e si aspetta di essere in grado di sollevare 200 chili. È molto eccitato, è molto felice quando pregusta la ricompensa. Ma anche se fosse – diciamo che lui riesca ad alzare 200 chili – da buddhisti, molto cinicamente diremmo, lo aiuterà questo ad ottenere una rinascita migliore? 

Ma se usassimo questa sindrome da dopamina per conseguire lo shamatha (la concentrazione perfetta), o per ottenere la pazienza, per superare la nostra rabbia, ecc., allora sarebbe molto eccitante. Invece di sentirci frustrati: “Non sono abbastanza bravo, non sono in grado di farlo”, puoi iniziare a lavorarci pensando che “Ecco una sfida, sono davvero felice di provare a raccogliere questa sfida”.

Dobbiamo cercare di farlo – tu trovi questo nelle istruzioni di meditazione – senza aspettative o delusioni. È quando ti aspetti di ottenere risultati istantanei, allora ovviamente rimani deluso. Quindi senza aspettative, ma stai lavorando verso un obiettivo. E lavorando verso un obiettivo, specialmente se si tratta di un obiettivo significativo, è qualcosa che è fonte di felicità. Sentiremmo che quella felicità ha una sua base biologica, quindi è perfettamente compatibile con il metodo scientifico: il Buddhismo del XXI secolo. In altre parole possiamo spiegare, in un modo che gli scienziati possono accettare, come e perché i metodi buddhisti sono efficaci. Questo è lo scopo.

I tre addestramenti superiori: autodisciplina, concentrazione e consapevolezza discriminante

In breve, abbiamo bisogno di sviluppare la determinazione ad essere liberi, quella che nel Buddhismo chiamiamo rinuncia. Così, per liberarci dalle nostre vecchie abitudini negative dobbiamo allenarci nell’autodisciplina, nella concentrazione, e nella consapevolezza discriminante, i cosiddetti tre addestramenti: distinguere ciò che è utile da ciò che è dannoso, cosa funziona, cosa non funziona, rimanere focalizzati concentrandosi su quello e la disciplina per modificare di conseguenza il nostro comportamento.

L’ostacolo all’autodisciplina: il rimorso

Questi tre devono funzionare armoniosamente insieme, ma per svilupparli propriamente dobbiamo liberarci dai fattori che li ostacolano. Il rimorso ostacola la nostra autodisciplina. Per esempio ci pentiamo di non aver controllato internet o di non aver risposto istantaneamente ai messaggi o alle email. Tali pentimenti danneggiano la nostra autodisciplina del controllarli solo a determinate ore della giornata.

La strategia utile è quella di disattivare le notifiche – “hai ricevuto un messaggio” - che appaiono sul nostro computer o sul telefono, controllandoli solo in periodi del giorno stabiliti. Rispondiamo soltanto ai messaggi importanti non appena arrivano, quindi abbiamo bisogno di autodisciplina, per rispondere in seguito alle domande che possono aspettare quando siamo meno occupati, oppure lasciandole a certi momenti della giornata che utilizziamo regolarmente per rispondere ai messaggi.

Devo confessare di essere colpevole di questo, così ho adottato una strategia per cercare di gestire il flusso di email che ricevo. Non vado sui social media così non ricevo quei messaggi, ma ricevo almeno trenta o più email ogni giorno. Cosa faccio, invece di rispondere istantaneamente così da non concludere mai nulla, è questo: controllo e a quelle molto importanti rispondo, mentre metto un segno al resto. E io so che alla sera, quando la mia mente non è così lucida per poter scrivere o svolgere cose più importanti, allora risponderò. Così riservi un determinato periodo, altrimenti perdi il controllo.

Ostacoli alla concentrazione: sonnolenza, torpore mentale e volubilità

Sonnolenza, torpore mentale e volubilità ostacolano la nostra concentrazione; con uno qualunque di questi perdiamo la nostra consapevolezza del fatto che, se evitiamo di guardare costantemente i nostri messaggi, la nostra vita sarà meno complicata. Consapevolezza [presenza mentale, mindfulness] significa ricordarselo, rimanere concentrati su questo.

Cerca di ricordare: la mia vita sarà molto meno stressata, con meno pressioni se accetto il fatto che risponderò alla maggior parte dei messaggi di sera, o in qualunque momento io abbia deciso di farlo. Ciò che ostacola è la sonnolenza, la stanchezza, così te ne dimentichi. È più facile andare sulla tua pagina Facebook. Oppure ti senti intorpidito e, invece di alzarti e bere un bicchiere d’acqua o qualcosa del genere, vai su internet. O siamo volubili, la nostra mente vaga ovunque, e questo sta accadendo; quello sta accadendo, e proprio senza pensarci tu rispondi al messaggio. E lo leggi. “Non voglio perdermi qualcosa”.

Ostacoli alla consapevolezza discriminante: titubanza indecisa e dubbio

Infine la titubanza indecisa ostacola la nostra consapevolezza discriminante. Vacilliamo rispetto al controllare i nostri messaggi solo in certi momenti, “è la decisione giusta?”. Siamo incerti di noi stessi. Dubbio.

Questi dubbi sorgono perché è difficile e stressante evitare di controllarli. Per affrontare questi dubbi dobbiamo ricordare a noi stessi i vantaggi del cambiare le nostre abitudini: avremo una vita meno frammentata se possiamo rimanere solo su una cosa e prenderci cura delle cose in un ordine giusto, in una giusta struttura. Altrimenti è il caos e il caos è stressante.

Equanimità e compassione

Ci sono anche altre strategie che possiamo adottare per rallegrare le nostre vite. Per esempio, come gestiamo l’essere in una metropolitana affollata. Quanto più ci concentriamo solo su noi stessi, volendoci proteggere e scappando nei nostri cellulari, tanto più ci sentiamo chiusi. Non sto parlando dell’usare tranquillamente il tempo nella metropolitana per leggere un libro, visto che richiede molto tempo andare in qualunque luogo. Sto parlando di quando scappi nei telefoni, nella musica, o nei giochi. Quanto più ci concentriamo su noi stessi e vogliamo proteggerci scappando nei cellulari, tanto più ci sentiamo chiusi, quindi la nostra energia viene spremuta e ci sentiamo più tesi. Non siamo rilassati perché ci sentiamo minacciati dal pericolo, soprattutto qui a Mosca dove le metropolitane sono incredibilmente affollate. A Berlino non sono così affollate.

Anche se siamo assorbiti dal gioco del nostro telefono o dalla musica ad alto volume che stiamo ascoltando nel nostro iPod, abbiamo messo su un muro attorno a noi, non vogliamo essere disturbati e così siamo sulla difensiva. In realtà è un’esperienza molto spiacevole, anche se stiamo cercando di intrattenerci. Non siamo calmi.

D’altra parte, se ci consideriamo come parte dell’intera massa di gente all’interno della metropolitana e sviluppiamo premura e compassione per tutti coloro che si trovano nella nostra stessa situazione, le nostre menti e i nostri cuori si aprono. Possiamo certamente stare in guardia dai pericoli, ma senza la paranoia del concentrarci solo su noi stessi. Vogliamo che tutti siano sicuri; non vogliamo far scomparire gli altri con la musica o con videogiochi: questo semplicemente ci isola e noi non vogliamo isolarci.

Avere un sentimento di apertura verso tutti

Che cosa c’è di più utile di sentirsi aperti a tutti, anche se l’essere aperti è un punto molto delicato. Se ti afferri a un io solido che sta dentro, “ora sono aperto, ora sono vulnerabile, mi feriranno”, non può essere fatto su questa base. L’aprirsi pensando a tutti da un lato soddisfa questo istinto animale di essere parte del branco. Ci sentiamo più sicuri quando apparteniamo a un branco rispetto a quando ci isoliamo dal branco. Questo funziona a un livello animale. Dobbiamo tuttavia essere attenti anche rispetto allo smontare questo solido io che si trova dentro di noi, che è ora senza difese... “Ora tutti mi attaccheranno”.

È un’operazione delicata, ma molto utile se riuscite a farla. Per riuscirci dobbiamo unire l’autodisciplina, la concentrazione e la consapevolezza discriminante.

Prendersi pause efficaci dal lavoro intenso

Ci sono tante altre strategie, anche molto semplici, che possiamo adottare per cercare di gestire lo stress delle nostre vite. Per esempio se abbiamo bisogno di una pausa dal nostro lavoro incalzante, invece che navigare in internet, alziamoci, beviamo un bicchiere d’acqua, guardiamo fuori dalla finestra… In altre parole meno stimoli invece che più stimoli. Lo stress proviene dall’eccessiva stimolazione. Non si risolve introducendo ulteriori stimoli: meno è meglio.

Con questa determinazione ad esserne liberi, applicando i tre addestramenti dell’autodisciplina, concentrazione e consapevolezza discriminante, saremo in grado di minimizzare lo stress della nostra vita quotidiana e le abitudini autodistruttive che abbiamo. Avremo una mente più calma per poter gestire le pressioni lavorative, familiari, economiche, ecc. E sarà specialmente efficace soprattutto nella gestione della situazione attuale in cui c’è questa ampia disponibilità di internet, social media, musica, ecc. Non significa che dobbiamo rinunciare a internet, gettar via i nostri telefoni e non ascoltare mai più la musica: non significa questo. Ma vuol dire sviluppare una strategia migliore e abitudini migliori per utilizzarli in un modo più sano e benefico. Grazie.

Domande

Il problema è che nella vita moderna dobbiamo reagire alle cose. Per esempio, se guardiamo le notizie non lo facciamo solo per la nostra preoccupazione ma anche perché vogliamo sapere cosa dovremmo fare, come dovremmo reagire. Per esempio i tassi, a volte mostrano online come stanno cambiando e potremmo aver bisogno di reagire a questo. O qualcuno potrebbe inviarti un messaggio che una persona è malata e ha bisogno di aiuto. Oppure i nostri colleghi ci scrivono per chiederci qualcosa, ma se noi non controlliamo non lo sappiamo. Oppure le previsioni del meteo: se non le controlliamo prima di uscire la mattina, potrebbe fare freddo, non lo sapevamo e potremmo ammalarci. In tutti questi casi diventiamo meno efficienti, e potremmo perdere il nostro tempo, la nostra salute o altro.

Per questo ho detto che dobbiamo sviluppare una strategia sana e intelligente sul modo di usare internet. Se siamo obesi e iniziamo una dieta, non vuol dire che smettiamo di mangiare del tutto, ma limitiamo il cibo che mangiamo. In maniera simile se abbiamo obesità di informazioni, limitiamo ciò che vediamo, guardando solo il necessario e l’utile mentre per le altre cose – come ho detto – si usa la strategia del guardare dopo, del preoccuparsene dopo; ad esempio nel mio programma di email posso segnalare alcuni messaggi per sapere che li guarderò dopo.

Ma questa strategia implica in ogni caso che noi riceviamo tutte le informazioni e poi scegliamo a quali rispondere e a quali non rispondere, ma comunque leggiamo tutti i messaggi, le notizie, ecc.

Anche qui bisogna adottare strategie diverse: c’è una certa differenza tra il controllare le previsioni del tempo la mattina quando ti alzi e il controllare quanti “mi piace” hai ricevuto durante la notte. Non devi controllare quanti “mi piace” tu abbia ricevuto. E riguardo ai messaggi che ricevi alcuni sono pubblicitari, altri di persone che non sono così importanti in termini del tuo lavoro, ecc.; puoi occuparti dopo di certe cose. Tu sai cosa è importante e cosa non lo è nella tua lista di indirizzi. Ho un amico a cui piace fare foto delle colazioni che prepara e poi le spedisce alla gente: certamente non le devo guardare.

Lui lo sa che non le guarda?

Le guardo dopo, ma certamente non interrompo il mio lavoro per guardarle.

Anche altre religioni forniscono metodi per coltivare questo senso di benessere ormonale. Qual è allora la differenza tra queste e il Buddhismo?

Sicuramente anche altre religioni se ne occupano, in termini di “Gesù mi ama” e “Dio mi ama”, ecc., l’essere accettati e lavorare verso certi obiettivi. Questi ci sono certamente, è vero. I metodi di cui ho parlato non sono assolutamente specifici del Buddhismo, si trovano senza aver bisogno di nessun contesto religioso; sono semplici strategie generali che sono utili per chiunque. Non c’è nulla di esclusivamente buddhista in quello che ho detto.

Quando chiediamo cosa sia esclusivamente buddhista, è la sua visione della realtà su un piano molto sottile. E queste conversazioni con gli scienziati stanno rivelando che non è così unica, poiché questa visione della realtà è piuttosto coerente con la visione dell’universo quantico. Se porti la teoria quantistica alla sua conclusione logica in termini della struttura dell’universo, tu ottieni gli insegnamenti buddhisti sulla vacuità e sull’origine dipendente.

Cosa dovremmo fare se ci prepariamo per vedere una persona ma, quando poi siamo insieme, lei guarda solo il suo telefono senza prestarci molta attenzione? In questa situazione va bene dirle espressamente che non va bene comportarsi così perché ci stiamo incontrando di persona?

Personalmente penso di sì. Penso sia giusto dire alla persona: “Ciao, sono qui!”. C’è una certa cosa chiamata l’etichetta del telefono che è molto importante, soprattutto se sei un genitore e hai figli adolescenti, per stabilire la disciplina di non chattare e parlare al telefono quando si è a tavola. Sì, tu dici che non è consentito e fai in modo che posino il telefono lontano. Ho un’amica che insegna in un’università americana che fa lasciare i telefoni degli studenti sul suo tavolo. Non gli è consentito di portarseli al banco. Penso sia giustissimo. Ciò che è interessante è che ogni 45 o 60 minuti – non ricordo perché è un seminario di tre ore – deve concedere agli studenti una pausa per il telefono. Non perché debbano andare in bagno ma perché sono così tesi per il fatto di non guardare il loro telefono, da sentire il bisogno di affrettarsi a prenderlo per guardarlo durante la pausa. Penso sia sociologicamente molto interessante.

Questa del telefono è una vera e propria dipendenza cronica che hanno le persone, e spesso c’è bisogno di aiutare le persone a sviluppare una sorta di disciplina sociale. Penso sia giusto, se fatto in un modo educato. C’è sicuramente una differenza se è per essere informati di qualche disastro o se è solo per chiacchierare di cose poco importanti. Realisticamente, quante volte riceviamo chiamate per dei disastri? Se incontriamo qualcuno e stiamo aspettando la chiamata di nostro figlio che ci deve dire che è arrivato a casa o cose del genere, lo si dice alla persona educatamente: “Sto aspettando una chiamata, sto aspettando la conferma da mio figlio che è arrivato a casa”, così loro capiscono e tutto si chiarisce.

Quando sono nella metropolitana ascolto sempre musica, non per avere più stimoli, ma per diminuire la quantità di stimoli negativi, per il fatto che intorno a me la gente parla e a volte io non voglio ascoltare i loro discorsi, che spesso sono molto negativi. Poi c’è la pubblicità che si conosce a memoria. Così, per chiudermi da questi stimoli negativi spesso ascolto musica. Sto scappando? Oppure sto cambiando i miei stimoli negativi molto intensi in stimoli meno intensi e meno distruttivi?

È una domanda molto interessante. La prima cosa che mi viene in mente è la risposta indiana, che forse non è la risposta più appropriata: quando si viaggia in India di notte negli autobus con la televisione, questa rimane accesa tutta la notte. C’è lo stesso film, ripetuto in continuazione, al massimo volume. Se si chiede all’autista gentilmente di abbassare o cose del genere, lui risponderà “Non ascoltarlo”.

Nella metropolitana non devi ascoltare tutto quello che dicono. È una questione di attenzione. Su cosa ti stai concentrando? Se la tua attenzione è rivolta a tutte le persone e ti accorgi che le espressioni dei loro volti non sono molto felici, puoi desiderare con compassione che possano essere libere dalla loro infelicità, che possano essere felici: così la tua attenzione non si focalizza su quello che stanno dicendo e nemmeno sulla pubblicità. Presti attenzione a qualcos’altro.

Se non riesci a farlo allora va bene la musica, che però non dovrebbe essere una scusa per ignorare le persone; è una perfetta opportunità per praticare la compassione.

Pensa al principio del tonglen, una pratica buddhista piuttosto avanzata del prendere e del dare. Quello che cercheresti di fare in questa situazione, invece di respingere e innalzare barriere attorno a quello che dice la gente, è di accettare che stanno discutendo qualcosa di banale o negativo (così sei aperto), e poi gli mandi desideri amorevoli auspicando che qualunque cosa li agiti, possano risolverla; che possano fare qualcosa di più positivo e significativo. Quindi è una grande opportunità per la pratica del tonglen.

Molto spesso, quando abbiamo inizialmente la determinazione ad essere liberi, a un certo punto diminuisce e, forse a causa della pigrizia o altre cose, non la sentiamo più. Se accade questo, come possiamo farla per ristabilirla?

Il consiglio principale che viene solitamente offerto è quello di ricordare a noi stessi gli svantaggi di quella cosa di cui vogliamo liberarci, qualunque sia la situazione di sofferenza, e i benefici del liberarsene. Poi ricordiamo a noi stessi quali sono i metodi per liberarsene, riaffermando la fiducia che non soltanto il metodo funziona, ma che siamo in grado di farcela. Tutto ciò è una parte molto importante di questa determinazione ad essere liberi da qualcosa. In altre parole, ricordare a noi stessi che “Posso essere libero da questa cosa se mi sforzo abbastanza”. Altrimenti ci sentiamo semplicemente scoraggiati e poi non facciamo nulla, ci arrendiamo.

Se meditiamo questo ci rende più stabili ed è qualcosa che possiamo ottenere. Ma se prendiamo medicine per renderci più stabili, questo avviene essenzialmente senza sforzo e non ci cambia. Naturalmente se una persona è malata deve prendere le medicine. Ma che ne pensa di qualcuno che prende quotidianamente qualcosa solo per migliorare il proprio stato, per ridurre lo stress e le altre influenze negative della mente?

Penso che dobbiamo essere realistici sui metodi buddhisti: sono efficaci per coloro che hanno già raggiunto un certo livello di maturità e stabilità. Se sei seriamente disturbato emotivamente e mentalmente, allora non sei ancora in grado di applicare i metodi buddhisti. Devi prima raggiungere una sorta di stabilità e le medicine possono essere molto utili, che siano tranquillizzanti, antidepressivi o altro. Hai bisogno di qualcosa che ti aiuti. Dire semplicemente “bene, medita” … queste persone non sono ancora in grado di farlo. Ma quando si diventa più stabili allora certamente bisogna superare la dipendenza dalle medicine. Quando sei più stabile, sei in uno stato mentale in cui puoi davvero applicare le pratiche di meditazione. Prima di questo sei troppo disturbato, e quindi non hai concentrazione.

In Birmania tre persone sono state imprigionate per aver affisso in un ristorante una pubblicità con un’immagine del Buddha con delle cuffie. Come commenta su questo episodio da un punto di vista buddhista?

Devadatta, il cugino geloso del Buddha, cercava sempre di danneggiarlo ma naturalmente Buddha non poteva essere danneggiato e sicuramente non si arrabbiava. Quindi il Buddha non si offenderebbe per una foto in cui indossa delle cuffie. Ma per i seguaci del Buddhismo o per i seguaci di qualsiasi religione, è molto offensivo quando la gente manca di rispetto al loro simbolo principale. Non c’è motivo di offendere le persone, è molto scortese. Ma metterli in prigione o multarli pesantemente forse non è affatto appropriato. Comunque non va fatto. Libertà di parola non significa necessariamente la libertà di offendere gli altri, soprattutto quando si è coscienti che ciò infiammerà una popolazione. Certamente dipende da chi decide che qualcosa sia offensivo oppure no, e su questo ci potrebbero essere abusi. Ma quando si parla di religione – come il mancare di rispetto a Gesù, Maometto o Buddha – è piuttosto chiaro che ciò sia inappropriato. Come reagirebbero i cristiani a una pubblicità per il nuovo iPod che ritrae Gesù sulla croce che con le cuffie ascolta il suo iPod? Non credo che dei forti cristiani credenti la apprezzerebbero.

Possiamo sforzarci di raggiungere traguardi mondani o spirituali; penso ci possano essere due estremi. Uno è di concentrarsi soprattutto sugli obiettivi mondani, ma questo non ha fine perché raggiungi un obiettivo e poi ce n’è un altro. L’altro estremo che posso osservare nelle comunità buddhiste, per esempio, è che cercano di perseguire obiettivi spirituali, dimenticandosi di quelli mondani. Ci sono dei metodi o dei modi per risolvere questo e trovare equilibrio?

Sua Santità il Dalai Lama dice sempre 50/50. Dobbiamo vedere qual è la realtà della nostra vita e quali sono le nostre responsabilità: la nostra situazione finanziaria, abbiamo persone a carico? Quindi siate realistici.

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