La mente come attività mentale

Le quattro nobili verità riguardano la mente

Il tema della mente è fondamentale nel Buddhismo, probabilmente uno degli aspetti più essenziali. La ragione di ciò è che, se pensiamo alle difficoltà e alle sofferenze che tutti sperimentiamo, sono qualcosa che è creato dalla mente. E quando parliamo delle quattro nobili verità:

  • La sofferenza, la prima nobile verità, è sperimentata dalla mente.
  • La causa della sofferenza è fondamentalmente il nostro atteggiamento, la nostra confusione quindi riguarda sempre la mente.
  • Quando vogliamo ottenere una vera cessazione di ciò, di tutta questa confusione, della sofferenza e delle cause della sofferenza della mente ciò avverrà nella mente, è la mente il luogo in cui questo accade.
  • Il modo per ottenere quella vera cessazione è generare un vero sentiero (lam-bden), tradotto così di solito anche se è molto fuorviante: non si riferisce a un percorso su cui si cammina bensì a una mente che si chiama mente sentiero (lam). È un tipo di mente che funge da sentiero che condurrà a questa vera cessazione. Quindi anche questo ha a che fare con la mente.

Tutte e quattro le nobili verità parlano di qualcosa che accade nella mente e di qualcosa che compiamo con la mente. Quindi la maggior parte del lavoro da svolgere nel Dharma è fondamentalmente con le nostre menti, lavorando su queste e sui nostri atteggiamenti. Perché il modo in cui parliamo e comunichiamo, il modo in cui agiamo con i nostri corpi – tutto ciò è diretto dalla nostra mente.

Video: Geshe Lhakdor — “La nostra ossessione per il mondo fisico”
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La definizione di mente

Se il nostro lavoro principale nel Dharma consiste nel lavorare sulla mente, sarebbe bello sapere di cosa stiamo parlando. Cos’è la mente? La parola mente (sems, scr. chitta) non è una parola facile. Ma dopotutto cosa sono le parole? Fondamentalmente modelli acustici, solo un mucchio di suoni; sono totalmente arbitrarie. Qualche società ha deciso di trasformarli in una parola, dandole poi una definizione e ora è una parola. Se guardiamo alla totalità della nostra esperienza di vita, queste parole sono un po' come formine per biscotti: sottili stampini di metallo con una forma specifica per tagliare la pasta dei biscotti. Ogni cultura ha formine per biscotti di forma diversa, molte formine, per ritagliare l’esperienza di vita: questo è ciò che intendiamo per convenzione. È del tutto arbitrario quali sono le parole e le cose perché allora pensiamo che ci siano cose che corrispondono a queste parole, a questi biscotti come, ad esempio, la mente.

Ora, la difficoltà è che ogni cultura dà una definizione diversa di formina per biscotti che, se guardata nel dizionario, significa "mente". Perché anche le definizioni sono state inventate, stabilite da qualcuno, da un gruppo o un comitato di persone – Dio solo sa cosa è successo! Quando si parla di mente in sanscrito e in tibetano non è lo stesso biscotto di ciò di cui si parla quando si usa la parola mente in inglese o in spagnolo. Anche in altre lingue occidentali è molto diverso ciò che si intende per mente rispetto al significato tibetano e indiano. Inglese e spagnolo sono abbastanza simili; per esempio in francese esprit ha in sé l'idea di "spirito" ed è abbastanza simile in tedesco, Geist – “spirito”, "fantasma". La parola ha tutte queste accezioni, quindi è di nuovo un biscotto molto diverso. Sfortunatamente – o forse per fortuna (perché ci aiuta a capire meglio la vacuità) – quasi ogni parola tecnica che compare nel Buddhismo non è una corrispondenza esatta con le nostre parole che troviamo nel dizionario. Dopo tutto, è solo un dizionario. Non significa che siano equivalenti, che abbiano esattamente lo stesso significato.

Quando studiamo il Buddhismo e in particolare quando cerchiamo di capire qualcosa di così cruciale per intraprendere il sentiero buddhista, è molto importante imparare le definizioni in quanto la maggior parte della confusione e dei fraintendimenti che sorgono riguardo al Buddhismo sono in realtà causati dalle parole. Pensiamo in termini delle parole nelle nostre lingue occidentali che esprimono qualcosa di molto diverso da ciò di cui parla il Buddhismo, e quindi ovviamente tutte le associazioni di idee che derivano da quella parola occidentale ci portano sempre più lontano dai temi di cui parla il Buddhismo. Quindi è sempre molto importante mettere in discussione tutte queste parole e cercare davvero di scoprire e utilizzare le definizioni, senza lasciarsi coinvolgere dalla parola che purtroppo dobbiamo usare in occidente.

Non è sempre così facile, principalmente perché le parole sono usate nella lingua originale con definizioni diverse in contesti diversi, come lo sono le nostre parole. Dopo tutto il Buddhismo ha 2500 anni, quindi le parole sono leggermente cambiate, si sono evolute e diversi autori le hanno usate in modi diversi. Quindi dobbiamo sempre guardare al contesto specifico – come usa l'autore questa parola? Ma non dovremmo scoraggiarci, infatti è per questo che ci sono i maestri e anche i commentari esplicativi. Ci sono alcune parole che hanno mantenuto la stessa definizione fino ad oggi, e mente è una di queste, non ci sono problemi. Bisogna essere molto cauti con parole come vera esistenza, definita in modo alquanto diverso in contesti diversi. Ma questa sera esamineremo la mente, quindi cominciamo.

Nel Buddhismo come si specifica qualcosa? Il modo in cui specifichiamo qualcosa è che non è altro se non quello. Questo è in realtà una doppia negazione, il che è molto importante e significativo. Come si specifica cos’è qualcosa? Bisogna dire che ci sono tutte le cose diverse da quello, e non è nient’altro che quello. Non è così facile dirlo nelle nostre lingue. "Nient'altro" in realtà è il modo più semplice per dirlo. Che cos'è? Non è altro che sé stesso. Si può dire "nient'altro" in spagnolo? È il modo più semplice di dirlo nelle nostre lingue, significa che per specificare davvero ciò che è, dobbiamo mettere da parte ciò che non lo è. Ciò non significa che dobbiamo mettere da parte il tavolo, la sedia e il muro, perché è ovvio che non ne stiamo parlando.

È utile, per una nostra comprensione più accurata, indicare come ciò che intendiamo per mente non è ciò che il Buddhismo intende per mente: questo è il metodo buddhista; molto difficile indicarlo perché potresti dire “è così”, ma poi potresti pensare "Ma forse include anche qualcos'altro", quindi non è così specifico. È qui che entra in gioco la nostra confusione e il nostro fraintendimento di occidentali, perché includiamo in queste parole come la mente accezioni che non vi appartengono, ciò che noi associamo alla parola mente. Penso che sia il metodo da seguire – non solo qui, ma in generale nel Dharma – per capire qualcosa: eliminare le associazioni inadeguate che ci possono essere con la parola della nostra lingua.

Qui ciò che viene escluso prima di tutto è il cervello; non parliamo di qualcosa di fisico, non stiamo negando che il cervello sia coinvolto (il sistema nervoso e tutto il resto), ma piuttosto stiamo parlando di esperienza, esperienza soggettiva, che avviene sulla base di un cervello. Stiamo sostanzialmente parlando di una cosa, un evento, semplicemente descrivendoli in modo diverso. Puoi descrivere l'esperienza dal punto di vista fisico di ciò che sta accadendo – il cervello, le sostanze chimiche e le cose elettriche – oppure puoi semplicemente descriverla in termini di esperienza soggettiva. Parliamo dell'esperienza soggettiva quando parliamo di mente. Dopotutto, possiamo descrivere la stessa cosa in molti modi diversi, osservandola da diverse angolazioni e non significa che uno è più corretto di un altro.

Nelle nostre lingue abbiamo due parole, mente e cuore, fondamentali per il pensiero occidentale. Ma un'altra cosa che dobbiamo imparare è che molti aspetti sono culturalmente specifici, non sono universali e così non tutti dividono l'esperienza in mente e cuore; certamente il Buddhismo non lo fa, con un termine si riferisce ad entrambe. Ciò che di solito intendiamo con mente è un tipo di pensiero intellettuale razionale e con cuore le emozioni e l'intuizione, questo tipo di cose. Ma entrambi sono aspetti diversi dell'esperienza della vita, sono come la viviamo così sono tutti inclusi nella nostra parola, così come è inclusa tutta la nostra percezione sensoriale – vedere e sentire, annusare, gustare, provare sensazioni fisiche – dal momento che anche queste costituiscono la nostra esperienza di vita.

Pensiamo che quando si compila un dizionario risulta molto difficile decidere con quale parola tradurre questo: è piuttosto interessante notare che tutte le lingue occidentali hanno scelto mente anziché cuore (ignorando quell'aspetto, il che è un peccato). I cinesi e i mongoli davanti allo stesso dilemma hanno scelto la parola cuore piuttosto che mente.

Comunque, quando usiamo la parola mente dobbiamo avere una formina molto più grande: ciò che non vi stiamo includendo è spirito, non abbiamo questo problema in spagnolo o inglese ma esiste in francese e tedesco. Non è nella formina qui.

La prossima cosa importante che dobbiamo escludere qui dalla nostra formina è l'idea che quando parliamo di mente stiamo parlando di una cosa che fa qualcosa. Parliamo della parola mente, una cosa che pensa. Il cuore è una cosa che prova emozioni ma non stiamo parlando di cose qui. È davvero strano come questo permea il nostro modo di considerare la mente, parlarne come se fosse una cosa. Diciamo (non so se anche in spagnolo): "Toglitelo dalla testa", "Ha perso la testa" o "Questa persona è fuori di testa", "Tienilo a mente" – come se fosse una scatola o qualcosa del genere. Oppure “Questa persona ha una mente molto buona. Ha una buona macchina, ha una buona casa e ha una buona mente”. È così fondamentale nel nostro modo di vedere la mente, quindi è abbastanza facile che si insinui questa associazione, ma non è di questo che stiamo parlando bensì di un evento, un'attività.

Con questa parola esperienza bisogna stare un po’ attenti: con essa si intende lo sperimentare tuttavia non è l'esperienza, come "Oh, ho fatto una buona esperienza" bensì l'evento dell'esperienza vero e proprio. Sperimentiamo sempre qualcosa, non si può semplicemente sperimentare. Quindi non ci riferiamo all'esperienza come fosse una cosa, come "Questa persona ha molta esperienza" o "Ho avuto una brutta esperienza (o una bella esperienza)". Non è nient'altro. Queste sono le altre cose, ciò che escludiamo qui, il che è individuale: la mia esperienza non è la tua esperienza. La mia esperienza di fame e la tua esperienza di fame non sono la stessa cosa. Giusto? Non è che siamo tutti una sola mente o qualcosa del genere. Ora, tutti sperimentano la stessa cosa... ma non voglio usare la parola cosa qui. È lo stesso tipo di attività. Io cammino, tu cammini e qualcun altro cammina – tutto è camminare, ma il mio camminare non ti porta laggiù. È la stessa cosa per tutti, ma è individuale.

Ora siamo pronti per la definizione che contiene tre parole e ogni parola è molto significativa, non è lì senza motivo. Abbiamo già visto che mente e esperienza non sono la stessa cosa nelle lingue originali. Allo stesso modo le parole nella definizione nella maniera in cui sono tradotte solitamente non corrispondono neanche alle nostre parole. Più ravvicinato è lo sguardo su tutti questi argomenti nel Buddhismo, più si scopre che quasi nessuna delle parole corrisponde esattamente. Ancora una volta la vacuità ci aiuta, perché dovrebbero essere esattamente le stesse?  Sono state create, sono convenzioni linguistiche di un gruppo di persone; quindi nulla di sacro al riguardo. Sono solo convenzioni arbitrarie, utili perché ci aiutano a comunicare. Altrimenti non potremmo comunicare, abbiamo così bisogno della lingua. Quindi funziona, ma dobbiamo essere cauti e capirne il significato.

Ora il modo in cui la definizione viene solitamente tradotta è:

  • Mera (tsam), significa "solo". Questa parola non è un grosso problema, ma devi capire a cosa si riferisce;
  • Chiarezza (gsal) e consapevolezza (rig), queste sono le due parole problematiche.

Chiarezza e consapevolezza suonano come se fossero cose ma ricordate che non stiamo parlando di cose. Chiarezza, oltre a suggerire la luce o qualcosa del genere, sembra come se stesse parlando di qualcosa che è a fuoco, ma non è affatto così. Nelle nostre lingue consapevolezza suggerisce che ci sia comprensione ma non è necessariamente così. Questi aspetti non sono inclusi nelle formine di chiarezza e consapevolezza.

Vediamoli uno alla volta ricordando che si riferiscono a un'attività, a un evento, a qualcosa che accade.

Chiarezza

La parola chiarezza si riferisce ad avere un'apparenza cognitiva di qualcosa. A volte viene spiegato con la parola sorgere (shar-ba), come il sorgere del sole; per questo uso spesso la parola sorgere. Aspetto (snang-ba) – devi stare attento perché l'apparenza non parla di qualcosa di visivo. Quindi devi eliminare apparenza dalla formina. Può esserci un'apparenza di un odore, un suono, un'emozione e così via – proprio qui; sta sorgendo.

Penso che uno dei modi più semplici per capire a cosa ci riferiamo con questa parola chiarezza sia l'attività di creare un ologramma mentale di qualcosa. Fare è anche un po’ strano, perché non stiamo parlando di elfi nel laboratorio di Babbo Natale che fanno questa cosa che poi fuoriesce dalla nostra testa: è solo un sorgere, chiamiamolo così. Prendo questo concetto dell'ologramma mentale da una descrizione occidentale, da un libro chiamato L'universo olografico che penso descriva davvero molto bene di cosa parla il Buddhismo.

Perché, se ci pensate, cosa accade quando vediamo qualcosa? Questa è la descrizione occidentale: ci sono tanti tipi di raggi di luce, fotoni, onde e così via, che colpiscono diverse cellule della retina; tutto ciò viene tradotto in informazioni elettriche e avvengono anche alcuni processi chimici. In occidente diremmo che la mente ne ricava un ologramma mentale, ovvero ciò che effettivamente vediamo. Ma non c’è qualcosa che lo fa – succede e basta. Questo è un ologramma mentale. Non si nega la cosa fisica/chimica, ma ciò che si esclude qui è che ci sia una sorta di cosa, come una macchina chiamata mente, che lo compie. Non nega la parte fisico/chimica; è solo un'altra descrizione di ciò che accade.

È la stessa cosa quando si ascolta la gente parlare. Accade solo un momento alla volta, quindi sentiamo solo un piccolo suono di una parola alla volta. Quando sentiamo il suono della prima lettera di una parola e poi sentiamo il suono della seconda lettera, il suono della prima lettera non esiste più, è finito. Eppure cosa sentiamo? Non solo una parola ma un'intera frase con significato. Ti sei mai chiesto come mai succede? È incredibile se senti solo una lettera di una parola alla volta, questo è un altro tipo di ologramma mentale, che non è visivo. Devi espandere il tuo concetto di ologramma.

È la stessa cosa per tutti i sensi: sono solo impulsi elettrici su diverse cellule delle papille gustative della lingua. Cos'è? È sempre un ologramma mentale di un gusto, di un odore o di una sensazione fisica; la stessa cosa vale per il pensiero, l'emozione o simili: sono tutti ologrammi mentali.

Bisogna iniziare ad essere molto precisi con la lingua adesso. Molte persone usano le parole diretta e indiretta per diverse variabili quando si parla di mente per coprire diverse cose, diverse variabili, che poi diventano incredibilmente confuse, specialmente quando vengono utilizzate per concettuale e non concettuale; è davvero fuorviante. Quindi i termini diretta e indiretta (almeno il modo in cui alcuni traduttori li usano e sono completamente d'accordo): ci sono alcune teorie buddhiste che affermano che la percezione funziona senza un ologramma mentale: questo è diretto. Tuttavia, se c'è un ologramma mentale è indiretto. È attraverso gli ologrammi mentali che conosciamo il mondo: è indiretto perché sperimentiamo il mondo attraverso un ologramma mentale.

I Vaibhashika affermano che noi sperimentiamo direttamente il mondo – senza ologrammi mentali – mentre tutti gli altri sistemi filosofici indiani dicono invece che lo sperimentiamo attraverso ologrammi. Tenete presente che anche le diverse tradizioni tibetane forniscono interpretazioni diverse:

  • I Gelug affermano che questi ologrammi mentali sono totalmente trasparenti: in realtà vediamo il mondo.
  • Le altre tradizioni tibetane – ovvero Sakya, Nyingma e Kagyu – affermano che questi ologrammi mentali sono opachi. La ragione di ciò è che la produzione dell'ologramma mentale avviene un millisecondo dopo l'evento che rappresenta. È come una censura, c'è una specie di ritardo. Quindi per questo motivo non è effettivamente trasparente.

Questo fa pensare: percepiamo davvero il mondo o c'è sempre un ritardo di un secondo? Questo ovviamente ha implicazioni incredibili per i cosmologi, scienziati che hanno a che fare con la natura del tempo e dello spazio. È molto interessante, sono ottimi argomenti su cui pensare. Ma un ologramma mentale ha molto senso.

Ovviamente l'ologramma mentale non deve essere a fuoco. Se mi tolgo gli occhiali, c'è un ologramma mentale di sfocatura ma non c'è una sfocatura là fuori nella stanza, vero? Quindi non è a fuoco, ma è incluso nella nostra parola chiarezza. Per questo la parola chiarezza è spesso molto fuorviante.

Questa è la prima delle tre parole. Non ci siamo ancora occupati di mera che viene per ultima nell'originale. L'ordine delle parole è diverso, dobbiamo mettere solo o mera per prima, ma in realtà nella lingua originale è la terza parola.

Consapevolezza

La seconda parola è consapevolezza e anche questa è un'attività. È una presa cognitiva di un oggetto, anche se non suona bene nella nostra lingua.

Ora, prendere un oggetto – molte cose prendono oggetti, ad esempio, una pala da neve è qualcosa che prende la neve; non puoi avere una pala da neve indipendente dall’esistenza della neve, non ci può essere una pala da neve senza neve. Non potresti inventare una pala da neve e chiamarla pala da neve se non ci fosse la neve, tuttavia una pala da neve non prende sempre il suo oggetto. Quando è appesa in garage in estate, non prende il suo oggetto, la neve. Ma la mente in ogni singolo momento prende un oggetto – c'è una presa di un oggetto e non importa se dormiamo, se siamo incoscienti. L'oggetto che prende potrebbe essere l'oscurità, un'assenza di luce, di suono, di sensi o qualcosa del genere: sono oggetti.

Un'assenza è qualcosa che possiamo conoscere. Possiamo vedere tutti l'assenza di un elefante in questa stanza. Non c'è un elefante. Che cosa stiamo vedendo? Ma questo fa sorgere un'altra domanda: cosa vediamo effettivamente quando non vediamo elefanti nella stanza? Cosa sorge? Qual è il tuo ologramma mentale di nessun elefante nella stanza? È molto interessante; eppure lo sappiamo, lo possiamo vedere tutti.

La presa di un oggetto di cui stiamo parlando qui è cognitiva, è un tipo di esperienza di esso. Ci sono molti modi e tipi di cognizione – prendere un oggetto – vederlo, sentirlo, annusarlo, assaporarlo, provare una sensazione fisica (caldo o freddo), o potrebbe essere pensarlo. Una sensazione fisica – non limitandolo al sentire morbido, ruvido o il tocco di qualcuno. Parliamo di caldo e freddo, movimento, tutte queste cose che sono sensazioni fisiche. Quindi questo è un modo di prendere cognitivamente un oggetto. Si usa anche la parola impegno ('jug-pa) che va bene, ma ancora una volta ciò può portare a qualche malinteso.

Questa presa di un oggetto può essere corretta o errata e può essere con certezza o senza certezza – “Mi chiedo cosa sia”, "Immagino cosa sia". È una presa di un oggetto, ma non c'è nessuna certezza, “Non so cosa sia”.

Queste due attività di cui abbiamo parlato qui, il sorgere di un ologramma mentale e l'assunzione cognitiva di qualcosa – il che non significa necessariamente che tu sappia di cosa si tratta, ma solo di un impegno cognitivo – avvengono consecutivamente o contemporaneamente? C'è prima il sorgere di un pensiero, un ologramma mentale di un pensiero e poi lo pensiamo? C'è prima il sorgere di un ologramma mentale di una forma e poi dopo che è sorto lo vediamo? Se fosse così, come potremmo sapere che l'ologramma è sorto? C'è un ologramma mentale visivo e quindi devo decidere se guardarlo? È piuttosto strano; quindi la produzione di un ologramma mentale è il vedere qualcosa, il vederlo. Non è che ci siano due attività contemporaneamente: è la stessa attività appena descritta da due diversi punti di vista.

Mera

La terza parola – di solito (perché suona meglio) tradotta mera ma potrebbe anche essere solo, esclude qualcosa nel senso che la parola originale è usata per escludere qualcosa. Anche nelle nostre lingue: "È solo questo" significa che non è quello; è solo questo. Qui sono escluse due cose:

  • Una che c'è una cosa – come una macchina, la mente – che fa questo.
  • La seconda, che è ancora più cruciale da capire, è che non c'è un me o una persona separati da tutta questa cosa che lo sta facendo, che sta usando ... C'è un io qui, e ora vado a prendere questa macchina mente e la accenderò, quindi quella macchina penserà o vedrà o qualcosa del genere. Niente di tutto ciò, non c'è una persona separata che lo fa. Non c'è mente come una macchina che lo fa, semplicemente accade. Ovviamente c'è una persona che pensa, sono io che penso. Io vedo, non tu; non sto negando questo. Ma non esiste un'entità separata da tutto questo processo. Ma comunque entreremo in quella discussione quando parleremo della vacuità. Ovviamente è un punto molto importante.

In ogni caso, è solo questa attività mentale che accade.

Altri termini importanti

Comprensione

Ci sono più di due parole qui, perché un'altra parola mi è venuta in mente. La prima parola di cui volevo parlare è capire (rtogs-pa), una parola molto semplice. Cosa intendiamo quando diciamo di aver capito qualcosa? Bisogna mettere in discussione ogni parola. È la stessa parola usata per ciò che viene di solito tradotto – almeno io la traduco in questo modo – percepire (rtogs-pa) un oggetto, ed è definito come prenderlo correttamente e in modo decisivo. È l'equivalente della parola comprendere.

Prendere uno spaventapasseri per un essere umano non è corretto ma percepire un essere umano come un essere umano, è corretto. E indecisione sarebbe come per esempio “È un essere umano o uno spaventapasseri? È troppo lontano, non riesco davvero a vedere”. È indecisione, un modo di prendere l'oggetto, perché ovviamente si vede qualcosa. Ma quando lo vediamo correttamente come un essere umano e la percezione come essere umano è decisiva, allora questa è comprensione. Non c’è bisogno di applicare una parola o qualcosa del genere; altrimenti si capisce solo concettualmente, e non è così (si può anche capire non concettualmente). È molto interessante, in un certo senso sappiamo cos'è senza necessariamente applicare una parola, senza pensare "Oh, c'è un essere umano". Vedi un essere umano come un essere umano con certezza.

Comprensione esplicita e implicita

Ora c'è un'altra variabile qui spesso tradotta come diretta e indiretta, ma la si confonde con l'altra variabile così è meglio dire esplicita e implicita. Esplicita (dngos-su-rtogs-pa) significa che c'è una conoscenza di ciò – perché parliamo di una percezione o di una comprensione – e quando è esplicita c'è la produzione di un ologramma mentale di ciò. Se è implicita (shugs-la-rtogs-pa) non c'è produzione di un ologramma mentale di essa.

Pertanto quando vediamo questo essere umano come un essere umano con certezza, conosciamo, capiamo, apprendiamo esplicitamente "C'è un essere umano". C'è un ologramma mentale di un essere umano. Giusto? Ma possiamo anche capire o comprendere implicitamente allo stesso tempo "Non è uno spaventapasseri" ma non esiste un ologramma mentale di non è uno spaventapasseri. C'è solo un ologramma mentale dell'essere umano, non c'è certamente quello di uno spaventapasseri. Tuttavia sappiamo che quello non è uno spaventapasseri e lo sappiamo correttamente e in modo decisivo, quindi lo comprendiamo – implicito. È davvero magnifica questa analisi buddhista dell'attività mentale, così incredibilmente precisa.

Cognizione concettuale e non concettuale

Il prossimo insieme davvero confuso di termini è concettuale (rtog-pa) e non concettuale (rtog-med). È molto importante sapere cosa si intende nel Buddhismo quando si usano queste parole: sono ovviamente modi di prendere un oggetto, di sperimentare qualcosa. Le categorie, che ho introdotto prima con le formine da biscotti, sono coinvolte nella conoscenza concettuale di qualcosa.

Esistono molti tipi diversi di categorie, un tipo è la categoria audio (sgra-spyi). Non è necessario che sia il suono di una parola, potrebbe anche essere un suono usato come parola (come "eh?") o il suono di una sveglia – che ha un significato. Quindi è una categoria che può essere utilizzata per molte cose diverse. Non abbiamo parole solo per una singola cosa nell'universo. Sarebbe davvero difficile, se ogni piccola cosa… Se non ci fosse la parola tavolo e se ogni possibile tavolo avesse una parola diversa. Questo è ciò che intendiamo per categoria. C'è una categoria chiamata tavolo, che è solo uno schema acustico: "ta-vo-lo", un suono davvero arbitrario prodotto da alcuni Neanderthal, qualcosa creato e “Okay. Grande. Chiamiamola così ed è una categoria che farà ora riferimento a...”. Quindi, prima di tutto, abbiamo una categoria di parole, una categoria di suoni ed è molto interessante perché non importa con quale voce o quanto velocemente sia pronunciata. Perché potrebbe anche essere molto diverso. Quindi è una categoria. Non importa come sia pronunciata – a voce alta, voce bassa, in modo stridulo, dolcemente, sussurrata – è una parola. Non importa come è scritta, il che è ancora più strano. Non è che ogni volta che diciamo tavolo diciamo una parola diversa e nemmeno quando altre persone dicono tavolo stanno dicendo una parola completamente diversa, non correlata. È una categoria audio. A volte questo si chiama universale, ma penso che categoria dia un'idea molto migliore.

Poi c'è una categoria di significato (don-spyi), che è la stessa parola in tibetano di categoria di oggetti sebbene ci sia un po' di differenza: è la categoria in cui rientrano i vari elementi a cui fa riferimento una categoria audio, ad esempio la categoria audio di tavolo. La categoria di significato è la categoria di tutti i diversi oggetti che possono essere validamente chiamati "un tavolo". Non tutti gli oggetti rientrano in una categoria: le categorie di significato hanno definizioni e gli elementi devono soddisfare le definizioni, le caratteristiche distintive. Ma le definizioni sono solo convenzioni inventate da persone, ad esempio per "tavolo", qualcosa di piatto con le gambe su cui si può mettere qualcosa. Ovviamente ci sono molti articoli diversi che soddisfano questa definizione. "Tavolo" non è solo la parola per un elemento.

Sebbene la parola tibetana per una categoria di significato sia la stessa di una categoria di oggetti, una categoria di oggetti nella cognizione di un essere non deve necessariamente essere la categoria di significato di una parola. Ad esempio, una mucca ha la categoria di oggetti fienile o il mio cucciolo o qualcosa del genere. Non è il significato di una parola per la mucca ma per noi. Tuttavia una mucca conosce il ciboqualcosa da mangiare; conosce la differenza tra cibo e cemento della strada. Può vedere molti diversi steli d’erba come cibo: quindi è una categoria di oggetti, non una categoria di significato sebbene corrisponda a una categoria di significato delle nostre parole umane. Un cane, ad esempio, ha un ologramma mentale di un odore. Come fa a sapere che questo è l'odore del suo padrone? Come lo sa? E come fa a sapere che ogni volta che lo annusa è il padrone? Quindi c'è un odore mentale e un ologramma di categoria dell'odore del mio padrone, e ogni volta il cane sa "Questo è l'odore del mio padrone", ma certamente non c'è una parola. Giusto?

Quindi sapere qualcosa – conoscerlo – attraverso una categoria, è concettuale. Le categorie, tuttavia, non hanno una forma propria. Quindi, oltre a una categoria c'è anche un secondo ologramma mentale di qualcosa che rappresenta quella categoria per noi. Abbiamo così due ologrammi mentali e quello che rappresenta una categoria – per seguire la spiegazione Gelug – è semi-trasparente. È sovrapposto o proiettato sul primo ologramma quando vediamo o sentiamo qualcosa, ed è semi-trasparente nel senso che attraverso esso percepiamo anche l'ologramma mentale di un oggetto esterno, ma non in modo vivido. Quindi è "semi-trasparente".

Anche quando pensiamo, c’è un ologramma mentale che rappresenta la forma visiva di una categoria di oggetti o il suono di una categoria di audio; anche in questi casi, questi ologrammi mentali sono semi-trasparenti. La cosa a cui pensiamo non deve essere presente, ovviamente, ma i tibetani direbbero che in realtà ne sei impegnato cognitivamente. Se penso a mia madre, mi occupo cognitivamente di lei anche se è morta sei anni fa e di certo non è presente. C'è un quadro mentale – questo è l'ologramma mentale – e poi c'è la categoria mia madre. Non è che sto solo pensando a un ologramma mentale, sto pensando a mia madre. Non è vivido, perché è un ologramma misto. Non importa quanto perfettamente riesca a visualizzare mia madre, non è vivido come vederla.

Quindi questo è ciò che intendiamo per concettuale e non concettuale. Quindi anche gli animali hanno una cognizione concettuale, non intellettuale. Intellettuale – questa è una parola occidentale, una formina occidentale. Non ci sono formine corrispondenti nel barattolo dei biscotti buddhista.

Pensare

L'ultima parola che voglio discutere – e di cui non parlerò troppo – è la parola pensare. Cosa significa pensare? Ciò a cui ci riferiamo con la parola pensare è di solito verbale, è un'intera linea di pensiero. Nel caso di qualsiasi presa cognitiva di un oggetto – sia corretta sia errata, in modo deciso o indeciso – se c'è una categoria coinvolta, questo è pensare. Quindi un cane pensa, pensa al suo padrone: l'odore, la categoria il mio padrone. Senza le parole, quindi non è certamente intellettuale. Da un punto di vista buddhista un istante, un secondo di questo è pensare. Pensare non significa necessariamente un'intera linea di pensiero.

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