Riconoscere i fattori fondamentali dell’attività mentale

Stasera mi è stato chiesto di parlare sulla natura della mente. Questo è, ovviamente, un argomento fondamentale nel Buddhismo. Se esaminiamo i vari tipi di sofferenza che proviamo, questi, ovviamente, avvengono in termini di come ne facciamo esperienza – dunque la mente, l’attività mentale. Quando parliamo di ottenere la liberazione e l’illuminazione, questo è anche qualcosa che ha a che fare con la mente. È molto importante e cruciale avere realmente una chiara comprensione di cosa intendiamo con mente per essere in grado di lavorare con essa.

La mente come attività mentale

La mente è forse un modo un po’ fuorviante di avvicinarsi a questo argomento perché mente implica che sia una sorta di “cosa”. Non stiamo parlando di una “cosa” quando discutiamo della mente; stiamo parlando di attività mentale, è un’attività, attività mentale. È individuale e soggettiva, ed è attiva tutto il tempo. Ora, per quando riguarda questa attività mentale, è definita da tre parole: chiarezza (gsal), consapevolezza (rig) e dall’aggettivo mero (tsam). Dunque, mera chiarezza e consapevolezza – questi sono nuovamente dei termini un po’ fuorvianti, sebbene siano letteralmente il significato delle parole. Abbiamo davvero bisogno di comprendere a cosa si riferiscono.

Quando parliamo di chiarezza, non stiamo parlando di qualcosa che è chiaro nel senso che è messo a fuoco. Non stiamo parlando di una qualità, come ad esempio “C’è chiarezza nella mia mente”, o qualcosa del genere. Al contrario, stiamo parlando dell’attività di dare origine a un ologramma mentale. Quando conosciamo qualcosa, ad esempio quando vediamo qualcosa, solitamente ciò che accade – se lo descriviamo anche da un punto di vista occidentale – raggi di luce entrano nell’occhio e incontrano cellule fotosensibili che poi sono tradotte o trasformate in impulsi elettrici, connessioni chimiche eccetera, e ciò che percepiamo effettivamente è un ologramma mentale che si basa su questo tipo di processo. Dunque, l’attività mentale implica il dare origine a un ologramma mentale, e questo ologramma mentale può essere un ologramma di una vista, oppure potrebbe essere un ologramma di un suono, può essere un ologramma di un odore eccetera, oppure potrebbe solo essere un ologramma di un pensiero. Questo è un aspetto o un modo di descrivere cosa sta accadendo con questa attività mentale.

Un altro modo di descrivere la stessa attività è consapevolezza, che significa un coinvolgimento cognitivo (’jug-pa), e un coinvolgimento cognitivo con un oggetto significa qualcosa come il conoscerlo. Può essere anche non conoscerlo; potrebbe essere comprenderlo; vederlo; sentirlo, come un’emozione, avere un’emozione verso di esso, un certo tipo di coinvolgimento cognitivo soggettivo con l’oggetto.

Ora queste due cose, queste due attività – dare origine a un ologramma mentale e un coinvolgimento, un coinvolgimento cognitivo con esso – stanno parlando della stessa attività, solo che la stiamo descrivendo da due punti di vista differenti. Non è che prima sorge un ologramma mentale, e poi lo conosciamo, perché come lo conosceremmo, ad esempio? Questo diventa piuttosto difficile. Se consideriamo l’esempio del pensare, non è che sorge un pensiero, e poi lo pensiamo. Il sorgere del pensiero e il pensare al pensiero sono la stessa cosa che viene descritta in due modi differenti. Dunque, dare origine a un ologramma mentale, ad esempio un ologramma mentale visivo, e vedere qualcosa, è la stessa attività.

C’è un oggetto e poi sorge un ologramma mentale di quell’oggetto. È questo ciò che avviene, dare origine all’ologramma mentale come un coinvolgimento cognitivo con esso. La parola “mero” significa che questo è tutto ciò che sta avvenendo. Ciò che si sta negando è che ci sia un io separato da tutto questo processo, che è o il controllore che lo fa avvenire o l’osservatore che vede quello che sta accadendo. Non c’è nessun io separato, e non c’è nessuna cosa separata, come una macchina chiamata mente, con questo io che sta premendo i bottoni per vedere o pensare o qualcosa del genere. È questo ciò che mero nega. Nega che ci sia un io separato oppure una mente separata che sta facendo tutto questo. C’è soltanto l’attività mentale che continua da un momento all’altro, da un momento all’altro. Se diciamo, “Chi sta pensando?”, beh, ovviamente io sto pensando, ma questo io non è qualcosa di separato da tutto il processo. Questa è attività mentale.

Possiamo anche vedere l’attività mentale da un punto di vista fisico, e da un punto di vista fisico, potremmo descrivere il fenomeno dell’attività mentale in termini dell’attività di energia molto sottile, oppure a un livello più grossolano, in termini dell’attività di energia elettrica e processi chimici. Questi sono solo modi differenti di spiegare lo stesso evento. Lo possiamo spiegare da un punto di vista soggettivo ed esperienziale (che vuol dire il mero dare origine a un ologramma mentale e a qualche coinvolgimento cognitivo con esso), oppure potremmo descriverlo da un punto di vista fisico oggettivo (il movimento di energia o cose del genere). Stiamo parlando dello stesso evento, la stessa cosa, che descriviamo semplicemente in due modi differenti. 

Inoltre, c’è la struttura fisica che è la base per quest’attività mentale, o ciò in cui avviene, come un cervello e il sistema nervoso. Tuttavia, un cervello da solo non ha quest’attività mentale. Mettiamo un cervello sul tavolo, e non ha attività mentale. È solo quando la coscienza è unita ad esso, che l’attività mentale può avvenire sulla base di ciò che è presente fisicamente. È questo ciò che intendiamo con attività mentale. Questa è la mente. OK? È chiaro? Non è così semplice da identificare, ma questo è ciò di cui stiamo parlando.

Oggetti coinvolti, il contenuto dell’attività mentale

Ora, l’attività mentale ha sempre un oggetto coinvolto o implicato (’jug-yul) che conosce attraverso la creazione di un ologramma mentale di tale oggetto. Non possiamo avere attività mentale senza contenuto, pertanto tale contenuto sarà l’oggetto coinvolto. Non possiamo semplicemente conoscere senza conoscere qualcosa. Non possiamo vedere senza vedere qualcosa. Non possiamo pensare senza pensare qualcosa, dunque c’è sempre un oggetto. Cosa conosce? Ciò che conosce si chiama l’oggetto coinvolto o l’oggetto implicato, e nella gran parte dei casi, è un oggetto di senso comune (’jig-rten-la grags-pa).

Un oggetto di senso comune, ad esempio, vuol dire un cane. Quando diciamo un oggetto di senso comune, ciò che significa è qualcosa che si estende nel tempo e lungo differenti dati sensoriali. Cos’è un cane? È la vista del cane? È l’odore del cane? È il suono del cane? È la sensazione fisica che proviamo quando accarezziamo il cane? Cos’è un cane? Un cane dura soltanto per un istante? Se lo esaminiamo nel corso di un periodo di tempo, vediamo oggetti completamente differenti, oppure vediamo il cane? Un oggetto di senso comune sarebbe il cane che si estende lungo la vista, l’udito, il gusto, la sensazione fisica, eccetera, del cane, che si estende anche nel tempo. Questo è un oggetto di senso comune.

Nel Buddhismo tibetano, ci sono molti modi differenti di spiegare tutto questo, ma all’interno del modo Gelugpa di spiegare, noi effettivamente vediamo un cane. Non vediamo solo una forma colorata di un cane. Vediamo il cane e la forma colorata di un cane. È questo ciò che vediamo. Oppure il suono di un cane che abbaia, dunque sentiamo quel sono, ma sentiamo anche il cane. Questi sono gli oggetti coinvolti, gli oggetti implicati – quell’oggetto di senso comune più, se è una cognizione sensoriale, un tipo particolare di informazione sensoriale.

Cosa vediamo quando vediamo un cane? Vediamo forme colorate – le forme colorate di un cane – e vediamo il movimento di queste forme colorate. Questo movimento si estende anche nel corso del tempo; il movimento non avviene in un istante. Cosa sentiamo? Spesso sentiamo una combinazione di molte tipologie di suoni. Non sentiamo solo una cosa. Potremmo sentire gli uccelli, e potremmo sentire la musica, e potremmo sentire il traffico fuori tutto allo stesso tempo. Potremmo anche sentire il volume allo stesso tempo; questa è un’altra cosa. Ci sono molte cose che sono coinvolte in termini di ciò che sentiamo. Inoltre, diciamo, in termini di sensazioni fisiche, possiamo sentire allo stesso tempo la temperatura e qualcosa che è ruvido o morbido. Ci sono molte cose differenti che formano il campo sensoriale della sensazione fisica.

Dunque, questo sarebbe l’oggetto implicato – l’oggetto di senso comune e un tipo di informazione sensoriale se stiamo conoscendo un oggetto di senso comune attraverso la cognizione sensoriale.

Cognizione 

Ci sono sei tipi di cognizione: ci sono cinque tipologie di cognizione sensoriale, più la cognizione mentale. C’è il vedere, il sentire, l’annusare, l’assaporare, e il sentire una sensazione fisica – i cinque sensi – e la cognizione mentale. Nella presentazione buddhista, suddividiamo la cognizione in questo modo.

Cos’è una cognizione? La cognizione è questo evento mentale che sta avvenendo, e questo evento mentale, quest’attività mentale – un momento di attività mentale – è formato da molte cose. C’è un oggetto implicato o coinvolto. Ciò che è coinvolto con ciascun senso o pensiero sarebbe un oggetto di senso comune più un ologramma mentale che lo rappresenta. È questo ciò che è coinvolto qui. C’è anche una coscienza primaria assieme a fattori mentali che l’accompagnano (e lo spiegherò) e un sensore cognitivo (spiegherò anche questo). In un evento mentale sono coinvolte queste tre tipologie di cose.

Coscienza primaria

Abbiamo già discusso l’oggetto, ciò che sorge ed è conosciuto. Ciò che compie [l’azione] di conoscere è la coscienza primaria (rnam-shes) e i fattori mentali (sems-byung). La coscienza primaria, o semplicemente una coscienza, conosce la natura essenziale (ngo-bo) dell’oggetto coinvolto o implicato. Questo sarebbe come con un computer, ad esempio. Sarebbe come sapere che gli 0 e gli 1 sono dati visivi o audio. È questo ciò che fa la coscienza primaria. Tutto ciò che conosce è fondamentalmente che tipo di dati sono. È un dato visivo? È un suono? È un odore? È un sapore? Una sensazione fisica? Oppure è esclusivamente un fenomeno mentale, come un pensiero o ciò che appare in un sogno, qualcosa del genere, che è conosciuto soltanto dalla mente?

Poi abbiamo un sensore cognitivo. Una coscienza primaria e i fattori mentali che l’accompagnano lavorano tramite un sensore cognitivo. Questo sensore cognitivo sarebbe ciò che si chiama la condizione dominante (bdag-rken). Dunque, abbiamo un sensore cognitivo specifico per ciascuna facoltà sensoriale. Quando parliamo di un sensore cognitivo, stiamo parlando delle cellule fotosensibili degli occhi, le cellule sensibili al suono delle orecchie, le cellule sensibili agli odori del naso, le cellule sensibili al gusto della lingua, le cellule sensibili alle sensazioni fisiche del corpo, e se si tratta di una cognizione mentale, come il pensare, il sensore qui è il momento immediatamente precedente di cognizione.

Qual è la funzione di un sensore cognitivo? Ciascun tipo di coscienza primaria opera soltanto attraverso un sensore cognitivo specifico per esso – ad esempio la coscienza visiva opera soltanto attraverso le cellule fotosensibili degli occhi; e ciascun tipo di informazione sensoriale incide ed è rilevata soltanto da un tipo specifico di sensore cognitivo – ad esempio, la vista tramite le cellule fotosensibili degli occhi. Ad esempio, noi vediamo un oggetto di senso comune, come un cane. C’è un cane di fronte a noi. Ora, il cane sta abbaiando, dunque c’è una visione, c’è un suono, e probabilmente c’è anche un odore, se siamo abbastanza sensibili all’odore del cane. L’informazione visiva verrà presa e registrata dalle cellule fotosensibili degli occhi quando queste cellule stanno funzionando come supporto della coscienza visiva, e l’informazione audio verrà presa e registrata dalle cellule sensibili al suono delle orecchie quando queste cellule funzionano come supporto della coscienza delle orecchie. Dunque, il vedere, il sentire, l’annusare o l’assaggiare o sentire una sensazione fisica o pensare operano tutte nello stesso modo fondamentale. “Pensare” forse non è la parola migliore – “cognizione mentale” sarebbe meglio – perché questo include anche il sognare, ad esempio, e la nostra parola “pensare” nelle lingue occidentali non corrisponde esattamente a come questo punto è discusso nella presentazione buddhista.

Inoltre, ciò che è interessante è l’apparenza. Il sensore cognitivo influenzerà l’apparenza dell’ologramma mentale che sorge con la coscienza primaria. Ad esempio, l’ologramma mentale che sorge attraverso le cellule fotosensibili dell’occhio umano o l’occhio di una mosca o di un pesce quando ciascuno di questi vede il cane sarà piuttosto differente, giusto, poiché le strutture delle cellule fotosensibili negli occhi di ciascuno sono differenti. Vedono tutti il cane? Sì, tutti vedono il cane, ma l’ologramma mentale del cane di ciascuno sarà piuttosto differente, vero? Questo è molto interessante, in effetti. Cosa vediamo?

Fattori mentali

Poi, ci sono i fattori mentali che accompagnano la coscienza primaria, i quali influenzano il modo in cui l’attività mentale cognitivamente ‘prende’, o ‘mantiene’, il suo oggetto. Quindi abbiamo cose come l’interesse. Ciascuna di queste abbraccia un ampio spettro. “Interesse” potrebbe essere nessun interesse oppure molto interesse. Potrebbe esserci l’attenzione, nessuna attenzione, oppure molta attenzione. L’intenzione riguarda cosa vogliamo fare verso l’oggetto. La concentrazione può essere poca concentrazione oppure molta concentrazione. Poi, potrebbero anche esserci emozioni positive verso l’oggetto, come amore o pazienza, oppure potrebbero anche esserci emozioni negative verso l’oggetto, come la rabbia o l’attaccamento.

Riconoscere l’attività mentale

Tutte queste cose compongono un evento mentale, un momento di attività mentale. Cosa sarebbe utile allora è cercare di distinguere e riconoscere quest’attività mentale mentre siamo qui seduti. Ricordate, con ciascun momento di attività mentale, c’è un oggetto di senso comune e un tipo specifico di informazione sensoriale riguardo l’oggetto e un ologramma mentale di quest’oggetto di senso comune come rappresentato da quella informazione sensoriale. Un ologramma mentale è una vista olografica o un suono che sorge sulla base di una specifica coscienza sensoriale, con il suo insieme di fattori mentali, che opera tramite un sensore cognitivo specifico per quella coscienza e per quella informazione sensoriale. Se è una cognizione mentale, il momento precedente di pensare o sognare sarà prevalente e renderà anche il momento successivo una cognizione mentale. Tutto questo accade in ciascun momento. Tra l’altro, potrebbero volerci anni per riconoscere tutto questo, quindi non pensate che sia così facile riconoscere cosa sia l’attività mentale.

Penso sia importante sottolineare qui che l’attività mentale non è una cosa sola. Ci sono molti, molti aspetti coinvolti, e ognuno di questi è coinvolto nell’attività mentale di far sorgere un ologramma mentale di qualche oggetto di senso comune come un coinvolgimento cognitivo con esso. Far sorgere un ologramma mentale ha a che fare con l’oggetto di senso comune e con che tipo di informazione c’è al riguardo – la sua vista, il suo suono, eccetera. Affinché sorga l’ologramma mentale, ci vuole una coscienza primaria che opera tramite un sensore cognitivo. Il coinvolgimento cognitivo è con una coscienza primaria che semplicemente conosce che è una vista o un suono, e con i fattori mentali associati – l’attenzione, l’interesse, l’amore, l’odio, eccetera. Tutto questo è ciò che accade in ciascun momento. Non c’è nessun io separato, nessuna macchina separata chiamata la mente che lo sta facendo, e nessun io separato che lo sta osservando, sebbene possa sembrare così nella nostra meditazione, che c’è un io che si sta sedendo dietro la nostra testa che cerca questa attività mentale e l’osserva. Persino quell’osservare o vedere è la nascita di un ologramma mentale di vedere e osservare; dunque, non c’è nessun io separato da tutto questo. Tuttavia, se ci poniamo la domanda, “Chi sta pensando?”, ovviamente sono io; non sei tu. È individuale.

Cominciamo almeno con il familiarizzarci con questa meditazione per riconoscere l’attività mentale. Ci sono molti modi per farlo, ovviamente: con i tuoi occhi aperti, guardando in giro, oppure con gli occhi chiusi. Qui penso sia meglio farlo con gli occhi aperti. In quel modo, stiamo vedendo, stiamo sentendo. Tra l’altro, sentite nulla? Io sento il ticchettio di quest’orologio. Non so se potete sentire nulla. La stanza è molto silenziosa. Anche se cominciamo a pensare verbalmente, c’è ancora la nascita di un ologramma mentale di un pensiero e un coinvolgimento cognitivo con esso – lo stiamo pensando, e non c’è nessun io separato che sta compiendo [l’azione di] pensare.

Muovete la testa. In questo modo, sorgeranno differenti ologrammi mentali perché state vedendo cose differenti.

Penso che l’ologramma mentale più interessante sia l’ologramma mentale di parole, o di una frase. Ci avete mai pensato? Noi sentiamo soltanto una consonante o una vocale, o una combinazione di consonanti o vocali, alla volta. Quando diciamo la prima sillaba di una parola e poi diciamo la seconda sillaba della parola, non sentiamo più la prima sillaba; stiamo sentendo la seconda sillaba. Quando diciamo la seconda parola, non stiamo sentendo più la prima parola. Dunque, come facciamo a comprendere quello che tutti stanno dicendo? Perché non sentiamo tutta la parola nello stesso momento, e certamente non sentiamo tutta la frase in un momento, eppure ne comprendiamo il significato. Questo perché c’è un ologramma mentale della parola o della frase. È questo ciò che stiamo ascoltando. Stiamo ascoltando i suoni attraverso un ologramma mentale che rappresenta tutta la parola o la frase. È molto interessante, in effetti. È incredibile come sentiamo e comprendiamo il linguaggio o come vediamo qualcosa in movimento. Vediamo solo un fotogramma alla volta, eppure siamo in grado di vedere il movimento – ologrammi mentali. 

[Meditazione]

Ok, ovviamente abbiamo bisogno di continuare ciascuna di queste brevi meditazioni, ma ora volevo soltanto darvene un assaggio. 

Domande

Dunque, tu dici che ogni cosa è un ologramma mentale, anche quello che pensiamo, i nostri pensieri?

Ogni cosa che vediamo e anche tutto quello che sentiamo e pensiamo avviene attraverso un ologramma mentale.

Chi crea l’ologramma, oppure cosa lo crea?

Cosa crea l’ologramma? Come ho detto, c’è una componente fisica di esso, c’è l’energia, eccetera. Se diciamo, “Io penso” oppure “Io vedo”, va bene. Ma non c’è un io o una mente che è separata da questo che lo sta creando. Ciò che vediamo o sentiamo… Ora, secondo il Gelugpa Prasangika: c’è un oggetto esterno, come questa statua – questo è l’oggetto esterno di senso comune – e lo vediamo attraverso un ologramma mentale. Anche la scienza occidentale sarebbe d’accordo con questo. Ciò che si direbbe nel Buddhismo è che l’ologramma mentale – la parola effettiva per quest’ultimo è semplicemente la parola aspetto (rnam-pa), ma questa non comunica molto – quest’ologramma mentale è trasparente, e dunque grazie ad esso vediamo l’oggetto esterno, la statua, e quell’ologramma mentale rappresenta la statua per noi.

Ma è diverso in ciascuna persona perché dipende anche dalle impronte che uno ha nella propria vita. Ad esempio, il cane. Quando vedo un cane, ho paura. Altre persone vedono un cane, e provano…

Giusto. Quello che vediamo sarà diverso, ma dobbiamo fare una distinzione qui. L’evento mentale è composto da molte cose. L’ologramma mentale sarà, come ho detto, un quadro mentale di un cane. Ora, per ciascuno di noi, quell’ologramma mentale sarà differente perché lo stiamo guardando da angoli, distanze, e altezze differenti, e potremmo vederlo attraverso occhi umani oppure occhi di ragno, e quindi sarà diverso. Ora, i fattori mentali che l’accompagnano saranno anche differenti, che ci sia paura oppure compassione, amore, eccetera, che insaporiranno questo evento mentale.

Osservando la statua, l’ologramma che sorge sarà differente perché siamo a distanze e angoli differenti.

Questo è un punto tecnico.

Beh, ma sarà differente. Se tu facessi una foto con la polaroid, e la facesse pure lui, non sarebbero esattamente le stesse foto... Stiamo tutti vedendo lo stesso oggetto? Questo diventa una complicata domanda filosofica.

L’attività mentale significa provare qualcosa

Ok, continuiamo. Un sinonimo per l’attività mentale, o mente, è provare qualcosa. Ora, l’esperienza non è nel senso di “Ho questo lavoro da molto tempo, e quindi ho molta esperienza”. Non stiamo usando “esperienza” per indicare questo. Non vuol dire nemmeno “Quella era un’esperienza terribile”, e dunque non stiamo utilizzando la parola “esperienza” nemmeno in quel modo. Sperimentare qualcosa è la grande differenza tra un essere senziente (qualcuno con una mente), e un computer. Il computer, sullo schermo, c’è qualche informazione che spunta, una certa rappresentazione, l’immagine di qualcosa, e potrebbe esserci… Beh, non so se c’è un coinvolgimento cognitivo, forse no, ma il computer non ha esperienza dell’oggetto. Grazie all’attività mentale, noi facciamo esperienza dell’oggetto. Dunque, cosa vuol dire esperienza? Per l’esperienza, abbiamo bisogno di avere due fattori mentali, ciò che si chiama consapevolezza di contatto (reg-pa) e provare un livello di felicità (tshor-ba).

Consapevolezza di contatto

Consapevolezza di contatto – alcune persone la traducono con “contatto”, ma non stiamo parlando di qualcosa di fisico; è un fattore mentale. Dunque, è una consapevolezza di contatto. Con tale consapevolezza, noi facciamo esperienza dell’oggetto come qualche livello [di sensazione] piacevole, spiacevole, o neutrale. È come facciamo esperienza dell’oggetto.

Come lo sperimentiamo? Lo sperimentiamo come qualcosa di piacevole o di spiacevole? È influenzato da molte cose. È influenzato dalle nostre tendenze karmiche. Potrebbe essere influenzato dalla nostra familiarità con l’oggetto in questa vita; più abbiamo familiarità con esso, più lo troviamo carino, oppure più lo troviamo meno carino.

Potrebbe essere influenzato da fattori ambientali, come ad esempio se è giorno o notte, se c’è abbastanza luce, qual è la temperatura, com’è il tempo. Guardando un panorama bellissimo quando sta piovendo e fa un freddo cane, potremmo considerare la vista di questo panorama non così piacevole. Se lo sperimentiamo in un bel sole caldo, potremmo trovarlo piacevole. È influenzato da questo. Può essere influenzato da chi o cosa è attorno a noi, dalla compagnia con cui ci troviamo. Potrebbe esserci un cane che abbaia molto forte e ringhia nello stesso tempo in cui stiamo osservando questo bel panorama, e quindi non lo troviamo più molto piacevole. Potrebbe esserci molto rumore per il traffico. Tutto questo influenzerà quella consapevolezza di contatto.

Poi, ci sono altri fattori, come fattori corporei, che l’influenzeranno. Siamo stanchi, siamo affamati, abbiamo freddo, siamo ammalati? Questo anche influenzerà se sperimentiamo l’oggetto come piacevole o spiacevole. Inoltre, gli altri fattori mentali influenzeranno come sperimentiamo quell’oggetto, e questi fattori mentali potrebbero essere indirizzati all’oggetto, come la rabbia o l’amore. O potrebbero essere indirizzati a qualcosa di completamente diverso: “Sono davvero arrabbiato per quello che è successo oggi, e dunque non trovo questo cibo particolarmente piacevole perché sono di cattivo umore”. Questo anche influenzerà come sperimentiamo l’oggetto.

Poi, cosa molto importante, come consideriamo l’oggetto? Lo consideriamo bello? Lo consideriamo delizioso? Lo consideriamo come mio? Questo influenzerà molto se lo troviamo piacevole o spiacevole. Lo sperimentiamo come fosse spazzatura? Il modo in cui consideriamo l’oggetto influenzerà anche il modo in cui lo sperimenteremo.

Non possiamo dire che l’oggetto dal suo lato sia piacevole o spiacevole, e che il modo in cui lo sperimentiamo non dipenda semplicemente dal nostro karma [il modo in cui lo sperimentiamo – con felicità o infelicità – dipende solo dal nostro karma]. Dipende da tutti questi altri fattori che influenzeranno il modo in cui sperimentiamo qualche oggetto. Questo fa parte dell’esperienza.

Provare un livello di felicità

Il secondo fattore mentale è provare un livello di felicità, e questo è il modo in cui sperimentiamo l’attività mentale di vedere, o sentire, o pensare all’oggetto. Questo è differenziato: come sperimentiamo l’oggetto, e come sperimentiamo la nostra conoscenza dell’oggetto, il nostro vedere l’oggetto. In accordo con il trovare un certo livello di piacevolezza, proveremmo lo stesso livello di felicità. La felicità è quel sentimento che quando sorge, vorremmo che continuasse, e in accordo con il trovare un certo livello di spiacevolezza, proveremmo un certo grado di infelicità. L’infelicità è quel sentimento che quando sorge, vorremmo che finisse. “Non voglio più vedere questo. Non voglio stare fuori sotto la pioggia e guardare questo panorama”. Dunque, siamo infelici. L’infelicità, un fattore mentale. Quel livello di felicità che proviamo matura da potenziali karmici positivi dal nostro precedente comportamento costruttivo, e l’infelicità proviene da potenziali karmici negativi provenienti dal nostro comportamento distruttivo precedente. Questa è una parte di tutta la maturazione del karma, ciò che proveremo in quel momento.

Dunque, ricordatevi che il modo in cui sperimentiamo l’oggetto è influenzato da tutti questi fattori differenti, l’ambiente, come lo consideriamo, i nostri fattori mentali, il nostro stato mentale, eccetera. E il sentirsi felici o infelici sarà in armonia con questo. Questo proviene da potenziali karmici, che maturano nel sentirsi felici o infelici in quel momento. La felicità, tuttavia, non è un tipo di felicità soddisfacente; non dura. Ci sono svantaggi in quel tipo di felicità. È questo ciò che intendiamo quando diciamo ‘fare esperienza di qualcosa”. Fa parte di questa attività mentale.

Puoi avere una consapevolezza di contatto spiacevole e un sentimento felice associato a questo?

Dicono sempre di no. Ma è molto interessante. Utilizziamo l’esempio di piacere e dolore. Il piacere e il dolore sono sensazioni fisiche. Non sono un sentimento di felicità o infelicità. Queste sono differenti. Potremmo avere dolore… Potremmo essere dei masochisti. Dunque, stiamo provando dolore. Ora, potremmo provarlo in un certo modo per via di come lo consideriamo. Se siamo dei masochisti, lo potremmo considerare come qualcosa di piacevole, e ne saremmo felici: “Me lo merito”, o qualunque altra cosa. Abbiamo bisogno di differenziare l’oggetto da come sperimentiamo l’oggetto.

Forse anche una mamma che dà alla luce un figlio.

Beh, è interessante. Dare alla luce un bambino, lei dice, è doloroso, ma provi felicità per questo. Lo sperimenti con felicità? Questo è interessante. Hai mai dato alla luce un bambino? Nemmeno io.

Molte madri ci dicono che trovano il dolore piacevole. È doloroso ma dà molta felicità.

Beh, no. Penso che qui ci sia una differenza. C’è una differenza. Qual è l’ologramma mentale? Un ologramma mentale che sorge è tramite le cellule sensibili alle sensazioni fisiche del corpo, che stanno provando dolore, molto dolore, ed è spiacevole, e non siamo molto felici al riguardo. Ma allo stesso tempo, stiamo pensando e vedendo un bambino che esce fuori, e questo ologramma mentale, questa cognizione, è piacevole, e ci sentiamo felici. Ciascuno di questi ha il suo aspetto di consapevolezza di contatto e la sua felicità.

Ora, tutte queste cose vanno avanti simultaneamente. C’è anche una teoria secondo cui si alternano, ma se vanno avanti simultaneamente, che è quello che molte persone accetterebbero, allora la differenza qui sta nella quantità di attenzione presente in quell’evento mentale. Se siamo davvero concentrati sul fatto che “Sta nascendo un bambino”, allora ci sentiremo molto felici, e ignoreremo il dolore perché non presteremo molta attenzione ad esso, sebbene stia sorgendo questo ologramma mentale, e stiamo provando il dolore.

Oppure quando il nostro dente viene trapanato con la novocaina, e quindi non proviamo dolore, eppure siamo molto infelici. Perché? Per quale ologramma mentale siamo infelici? Effettivamente è il pensiero che “Mi stanno trapanando il dente”, e il vedere il dentista su di noi, eccetera, e il rumore. Il rumore del trapano solitamente è ciò che ci rende infelici, ma non è la sensazione fisica perché non sentiamo nulla. Nuovamente, ciò a cui prestiamo attenzione riassumerà l’esperienza di quel momento. Questo è molto importante da comprendere, perché allora possiamo spostare il focus della nostra attenzione all’interno di quel momento, quindi in un certo senso…

Ad esempio, a casa mia, vivo in un angolo della strada molto affollato, e c’è molto rumore dal traffico. Lo sento tutto il giorno, ma non dò molta attenzione a questo. Ci sono così abituato che non ci faccio più caso, e posso fare il mio lavoro senza esserne infastidito. Tuttavia, all’inizio, ne ero molto infastidito perché prestavo troppa attenzione al rumore. È così, quindi.

Esercizio per riconoscere l’attività mentale

Cerchiamo ora di riconoscere o identificare nella nostra esperienza, nella nostra attività mentale, che tutto questo di cui abbiamo parlato sta accadendo. Abbiamo il sorgere di un ologramma mentale, attraverso i sensori, e c’è una certa coscienza primaria che capisce che questo è il vedere, o questo è il sentire o provare una sensazione fisica, oppure stiamo pensando o sognando. Forse qui non stiamo sognando perché non stiamo dormendo, ma potremmo sognare.

Il pensare, inoltre, non deve essere verbale. Potremmo avere un film mentale che avviene nella nostra testa. Ci sono molti tipi differenti di ciò che nel Buddhismo sarebbe chiamato ‘pensare’. Solitamente, in occidente, tendiamo a identificare il pensare semplicemente con il pensare in modo verbale, ma non dev’essere pensiero verbale. Anche quando è audio, non deve necessariamente essere verbale perché potremmo cantare una canzone o ripercorrere della musica nella nostra mente. Tutto questo fa parte della parola tibetana “pensare”. Non so come chiameremmo tutto questo nelle nostre lingue occidentali.

Tuttavia, c’è questa nascita di un ologramma mentale, il coinvolgimento cognitivo con esso, e l’esperienza. La consapevolezza di contatto, lo sperimentare l’oggetto come piacevole, spiacevole, o neutro – ricordatevi come ci sia un ampio spettro in tutto questo, e quindi non deve essere nulla di drammatico – e assieme a questo, ci sentiamo felici o infelici. Felici, vogliamo continuare a vederlo? Oppure ora siamo annoiati, stiamo vedendo lo stesso oggetto, ma ora siamo infelici, ora stiamo avendo una consapevolezza di contatto spiacevole, giriamo lo sguardo e vediamo qualcos’altro.

Perché giriamo la testa e vediamo qualcos’altro? Perché c’è un livello molto basso di infelicità unita a ciò che stiamo guardando. Siamo stanchi di vederlo. Questa è infelicità, un livello molto basso. Non dev’essere che piangiamo o siamo turbati. Quando guardiamo in giro, e la nostra visione si ferma su qualcosa, beh, poiché la troviamo piacevole, siamo felici di guardarla per un po’. È questo il problema. Non vorremmo guardarla per sempre. Ci stancheremmo molto dopo un po’. Oppure ascoltare la stessa canzone di continuo. Dunque, questo stato piacevole, spiacevole, felice, infelice, sta sorgendo anche come parte dell’attività mentale, ed è questo ciò che differenzia il nostro vedere da una macchina fotografica per fare una foto. La macchina fotografica non sperimenta il suo oggetto. 

Ma le macchine fotografiche moderne possono fare qualcosa per rendere la foto più bella.

Beh, fanno qualcosa per rendere la foto più bella, ma non è bella dal lato della foto, e la macchina fotografica non la considera più bella. Questo è come noi la sperimentiamo – la sperimentiamo come bella. 

È un tipo di esperienza della macchina fotografica, io direi. 

No. La macchina fotografica può essere programmata per dare origine a certi aspetti di qualcosa, ma ciò non significa che ha una consapevolezza di contatto piacevole o spiacevole associata alla foto e che si sente felice o infelice. 

Non c’è effettivamente molta percezione di un sentimento neutrale, vero?

Beh, no. C’è il sentimento neutro, ma questo si riferisce all’assenza di felicità o infelicità che sperimentiamo in stati estremamente profondi di concentrazione assorbita. Ma ad un livello ordinario, essere assolutamente nel mezzo di questo spettro di felice o infelice sarebbe, in effetti, raro. Tuttavia, è un fenomeno molto interessante. Quando diciamo “Non sento nulla”, cosa vuol dire non sentire nulla? Significa che in effetti non stiamo prestando attenzione a ciò che stiamo provando, e questo potrebbe essere per molte ragioni che lo stanno influenzando. Potremmo avere paura di sapere realmente ciò che stiamo provando. La tristezza è un tipo di infelicità, e potrebbe essere così profonda e così repressa che ciò che sperimentiamo è “il sentire nulla” quando in effetti ci sentiamo molto tristi.

Ora diventa molto interessante perché ci sono tre teorie qui. Stiamo guardando la stanza, e vediamo tutte queste persone, e stiamo vedendo il muro e queste bellissime thangke tibetane, questi dipinti con il broccato. Tutto questo è nel nostro campo visivo, ma cosa stiamo provando? Dunque, qui ci sono tre teorie.

  • Una è che abbiamo cognizioni individuali di ciascun pezzo che vediamo, dunque di ciascuna persona. È piacevole vedere questa, e ci sentiamo felici, ed è spiacevole vedere quest’altra, e ci sentiamo infelici, ed è una sensazione neutra vedere il muro, ed è piacevole vedere quella thangka. Ciascuna cosa individuale che vediamo avviene ciascuna in una cognizione individuale. Questa è una teoria.
  • Un’altra teoria è che stiamo vedendo tutti questi oggetti individuali, ma c’è solo una cognizione di tutto. C’è solamente una sensazione generale di felicità o infelicità nel vedere tutto questo, sebbene stiamo vedendo tutti questi oggetti individuali.
  • La terza teoria è che stiamo semplicemente vedendo tutto il campo sensoriale, un oggetto, e una sensazione associata ad esso.

Questo è molto interessante. Cosa proviamo quando guardiamo un po’ di cose, alcune delle quali ci piacciono e altre non ci piacciono? È davvero molto interessante. Come funziona? Non c’è una risposta chiara. Ci sono queste tre teorie.

Molto dipenderà da ciò su cui ci concentriamo all’interno di quel campo sensoriale. Vedendo tutto il campo sensoriale, ci stiamo però concentrando su questa persona oppure ci stiamo focalizzando sulla camicia che indossa. Questo sarebbe diverso dal concentrarsi sul viso, giusto? Potrebbe essere molto carino vedere il viso, ma potrebbe non essere proprio una bella camicia, ad esempio. Proprio come un esempio. Non sto dicendo che la tua camicia non è bella.

Dunque, sperimentare, questo è qualcosa che possiamo riconoscere e identificare come parte dell’attività mentale. Difficile dire cosa sia, vero? Ma sta avvenendo, facciamo esperienza di cose.

Attività mentale concettuale e non concettuale

Ora, l’attività mentale può essere concettuale o non concettuale. Quella non concettuale potrebbe essere quella sensoriale o nei sogni. Un sogno non avviene attraverso i nostri occhi o altri sensi, ma nel sogno sembra come se stiamo vedendo qualcosa o stiamo sentendo che qualcuno parla o proviamo una sensazione fisica come cadere o volare eccetera, e questo sarebbe attività mentale non concettuale.

Oppure l’attività mentale potrebbe essere concettuale, e ciò avviene solo a livello mentale, e questo nuovamente può accadere quando siamo svegli o sogniamo.

Qual è la differenza? L’attività mentale concettuale avviene attraverso il medium di una categoria. Ci sono molti tipi di categorie. Potrebbe essere la categoria di un oggetto (don-spyi), come ad esempio cane oppure marrone, oppure potrebbe essere una categoria audio (sgra-spyi) del suono di una parola. Com’è che vediamo molti animali differenti e li conosciamo tutti come un cane? È attraverso la categoria di cane. Tutti sembrano molto differenti, ma attraverso quella categoria di cane, li vediamo come cani. Oppure marrone, ci sono molte tonalità di marrone. Tutte queste le vediamo attraverso la categoria di marrone. Oppure una categoria audio del suono di una parola. È davvero molto, molto interessante. Possiamo dire la parola “cane” e potremmo sentirla nelle voci di molte persone differenti, e potrebbe essere pronunciata in modi molto differenti, e potrebbe essere pure con un volume differente, eppure l’ascoltiamo attraverso la categoria che questo è il suono della parola “cane”. Stanno tutti dicendo “cane”. Questo è davvero incredibile, ma è così che funziona. Dunque, ci sono queste categorie audio.

Poi ci sono le categorie di significato (don-spyi), come il significato della parola “amore”. Cosa significa la parola “amore”? In tempi differenti, noi proviamo amore. Stiamo provando esattamente la stessa cosa tutto il tempo? No, non proprio. Ciò che provo e ciò che tu provi, sono esattamente la stessa cosa? No. Ma gli abbiamo dato una parola, “amore”, che ha un significato. È davvero interessante, perché ciò che io penso sia il suo significato e invece il significato secondo te potrebbero essere molto differenti tra di loro, e ciò che dice il dizionario potrebbe anche essere qualcosa di diverso, ma io ho un significato per questa parola, e quando la uso, vuol dire questo.

Dunque, abbiamo queste categorie. L’attività mentale non concettuale non avviene attraverso il filtro di una categoria. Notate se, all’interno del mero sorgere di un ologramma mentale e un coinvolgimento cognitivo, possiamo identificare se sia coinvolta una categoria o no. Noi vediamo tutti questi oggetti come tavole. C’è una categoria di tavola. Dobbiamo pensare verbalmente, “Tavola, tavola, tavola”? No. Non concettualmente, proviamo qualcosa, ma attraverso la categoria di felice, ci sentiamo felici. C’è una differenza tra il vedere qualcosa o “Sto vedendo una tavola”.

Poi diventa ancora più interessante. Quando stiamo semplicemente vedendo qualcosa, stiamo davvero vedendo una tavola? Oppure è soltanto attraverso la categoria di tavola che la vediamo come una tavola? È davvero una tavola? Forse è una sedia. Possiamo vedere questa come una tavola o una sedia, ma sembra impossibile vedere qualcosa in maniera non concettuale senza anche vederla mentalmente come una sedia o una tavola. Questo è molto, molto difficile da identificare, cos’è la cognizione non concettuale, è estremamente difficile da riconoscere. Normalmente avviene in un microsecondo, è così veloce che non siamo in grado di notarla, ma l’attività mentale non concettuale sta solamente registrando come questa sia una visione, quello un suono.

Nuovamente, dipende dalla teoria di cognizione. È solo una visione perché stiamo semplicemente vedendo tutto il campo sensoriale? Oppure abbiamo cognizioni differenti per ciascun elemento nel campo sensoriale – dunque stiamo solo vedendo elementi: una persona, la tavola, una cosa, un elemento? O è ancora più piccolo? Stiamo percependo un colore, o stiamo percependo una forma? Oppure all’interno di una sensazione fisica, stiamo percependo la consistenza, oppure stiamo percependo la temperatura? 

Poi, riguardo all’esistenza dell’elemento, che tipo di elemento c’è? È una faccenda complicata. Volevo introdurre un po’ di altre cose prima di entrare in questa discussione, ma questo è proprio dove si incontrano la teoria della cognizione e la teoria della vacuità. Cosa determina che è una tavola? Cosa determina che è una sedia? È qualcosa interna di quell’oggetto, o cosa? Cosa la stabilisce come un elemento conoscibile? C’è una linea attorno ad esso – il quale lo separa da ciò che gli sta vicino – che lo rende un elemento?

Potremmo erroneamente mettere insieme differenti forme colorate di ciò che stiamo vedendo e [pensare] che costituisca un elemento. Come il colore rosso della tua tonaca e il rosso della tavola. Potremmo vedere tutto questo come una cosa sola perché la tua tonaca e la tua camicia hanno tonalità diverse di rosso, e la stessa cosa vale per la tavola. C’è una linea semplicemente attorno la tua tonaca che separa il rosso della tonaca dal rosso della tavola? Dov’è questa linea? Interessante.

Tutto questo proviene dal lato dell’attività mentale, non dal lato dell’oggetto, e ciononostante ci sono cose di senso comune.

I tre criteri di Chandrakirti per un’etichettatura valida

Questo ci fa entrare nell’argomento di come verifichiamo la validità di ciò che vediamo. Ci sono tre criteri.

  • C’è la convenzione della tonaca. Non c’è una convenzione per cui quella forma rossa sul tuo corpo e quella forma rossa della tavola creano insieme un elemento. Non c’è nessuna convenzione per questo. Non c’è nessun nome per questo. Dunque, una convenzione, e ciò proviene dal lato della mente.
  • Non è contraddetta da una cognizione valida della sua verità convenzionale. Se mi tolgo gli occhiali, vedo solo qualcosa di sfuocato, una forma indistinta rossa. Dunque, tu vedi una forma indistinta rossa? Vedi questa forma sfuocata rossa? No, diresti che “No, non c’è una forma sfuocata rossa di là”. È corretto che l’ologramma mentale che sto percependo è l’ologramma mentale di una forma indistinta rossa. Questo è corretto, ma non c’è una forma sfuocata rossa là fuori, e quindi non sarebbe valido vederla come una forma sfuocata rossa. Oppure ho pensato di aver sentito che dicevi di sì, ma quando chiedo a tutti gli altri e anche a te, tu dici che “Non ho detto di sì. Ho detto no”. Sono stato contraddetto da altri che l’avevano sentito in modo valido. Questo ancora una volta viene verificato come valido dal lato della mente.
  • Non è contraddetto da una mente che vede in modo valido la verità più profonda. Non dovrebbe essere contraddetto da questo. La verità più profonda è che non possiamo trovare qualcosa dentro quell’oggetto che lo renda una tavola o una sedia, stabilendolo tramite il suo potere come una tavola o una sedia. È stabilito come una tavola o una sedia poiché viene etichettato come tale e viene utilizzato come una tavola o una sedia, concependolo come una tavola o una sedia e usandolo in tal modo. Dal punto di vista convenzionale, se l’avessimo etichettato come un cane, beh, non potrebbe funzionare come un cane, quindi è contraddetto.

Questo ci fa entrare nell’argomento delle caratteristiche distintive, ma fatemi aggiungere qualche altra cosa qui. 

La cognizione non concettuale

La cognizione non concettuale – Sua Santità l’ha spiegata molto bene qualche settimana fa a Tolosa. Disse che la cognizione non concettuale contatta il suo oggetto coinvolto, l’oggetto di senso comune, e l’ologramma mentale mediante un processo di stabilire (sgrub-pa) l’oggetto come qualcosa che conosciamo: visivo, sonoro, mentale. Semplicemente lo determina; eccolo qui. Poi, abbiamo questa teoria che stavo spiegando: È tutto il campo sensoriale? Sono quelli individuali, oppure? In base alla teoria che accettiamo, la cognizione non concettuale determina il suo oggetto o come un tipo convenzionale di campo sensoriale (stabilendolo come una vista o un suono), oppure se stiamo vedendo elementi individuali soltanto con fasi individuali di coscienza, lo stabilisce come un oggetto convenzionale (come un elemento individuale) all’interno di un campo sensoriale, oppure come una caratteristica distintiva, se è questo ciò che è, all’interno del campo sensoriale o all’interno di un elemento, come ad esempio un livello di luce, un tipo di colore, un livello di temperatura, un tipo di consistenza. Tutto ciò che fa è stabilirlo in questo modo.

Isolati concettuali

La cognizione concettuale contatta il suo oggetto coinvolto attraverso un processo di esclusione (sel-ba) di qualunque cosa diversa dall’oggetto, specificando in questo modo l’oggetto. Questo diventa molto, molto interessante.

Ecco come funziona. Quando pensiamo a un cane, pensiamo alla categoria cane, giusto? Ora, come pensiamo a un cane?  Attraverso quella categoria, abbiamo un identificatore – si chiama un isolato concettuale (ldog-pa) – che identifica, esclude tutto il resto da questo ologramma mentale, ed è questo ciò a cui pensiamo quando pensiamo a un cane. Pensate a un cane. Come pensiamo a un cane? La categoria stessa esclude gatto e tavola, ma il modo in cui pensiamo, in cui funziona la mente, è che esclude tutto il resto, e dunque identifica un particolare ologramma mentale per rappresentare ‘cane’. Ora quell’ologramma mentale potrebbe essere presente soltanto quando stiamo pensando, e quindi il cane che sembra così non è lì. Oppure potrebbe essere presente quando stiamo effettivamente guardando il cane, e dunque quell’ologramma mentale che sorge osservando il cane, questo è ciò che lo rappresenta nella nostra mente, quando lo stiamo osservando, un cane. Mi seguite?

Questi sono modi molto differenti di conoscere qualcosa. Sua Santità ha spiegato molto chiaramente – è stato davvero molto illuminante per me – che la cognizione non concettuale semplicemente determina che è una vista, eccola qui, o che è un essere vivente. Ora, concettualmente, la specifica escludendo tutto il resto – è un cane. Tra tutte le specie di esseri viventi, è un cane, ed è questo ciò che sembra un cane quando stiamo semplicemente pensando al cane… Sono sicuro che ognuno ha un’immagine mentale diversa dell’aspetto di un cane.

Beh, non è che attivamente escludiamo tutto, perché non potremmo mai farlo. Ecco perché mi riferisco a questo sempre come “nient’altro che”. Stiamo concependo un cane attraverso questo isolato, che è “nient’altro che un cane”. Cos’è questo? Non è nient’altro che un cane, ma ciò esclude tutto il resto. Solitamente, questo viene tradotto come una doppia negazione: non è un non cane. Tuttavia, questo diventa molto, molto difficile da comprendere. 

È così che funziona il pensiero concettuale. Specifica, identifica, qualcosa. La cognizione non concettuale avviene senza specificare, ma sia la cognizione concettuale che quella non concettuale hanno con loro il fattore mentale del distinguere (‘du-shes). Questo diventa molto complicato, quindi innanzitutto comprendiamo quest’idea di specificare escludendo ogni altra cosa. Ci sono tipologie di attività mentale in azione molto differenti, giusto? Potete comprenderlo? È difficile da riconoscere – è molto sottile – perché non è un processo attivo di isolamento, e perché c’è anche il processo di includere qualcosa in una categoria. Questo ha a che fare con ciò che chiamiamo “etichettatura mentale”.

All’interno della nostra attività mentale, notate anche queste due tipologie di attività. Una è semplicemente determinare una vista e ora isolare e specificare concettualmente che “Questo è un essere umano”. Beh, stiamo rappresentando essere umano tramite questo ologramma mentale di “lei”. Ciò rappresenta un esempio di un essere umano per noi, che sei un essere umano, non semplicemente stabilire che stiamo guardando qualcosa. Tutto questo fa parte dell’attività mentale.

Distinguere nella cognizione non concettuale

Ora, sia l’attività non concettuale che quella concettuale possiedono il fattore mentale del distinguere (’du-shes). Questo viene spesso tradotto con “riconoscimento”, ma è più fondamentale di questo; è distinguere.

La cognizione non concettuale fa una distinzione prendendo una caratteristica distintiva non comune o un elemento caratterizzante (mtshan-nyid) del suo oggetto apparente (snang-yul) – questo è l’ologramma mentale del campo sensoriale o qualche oggetto di senso comune all’interno di esso oppure qualche caratteristica di quest’ultimo – e gli attribuisce un significato convenzionale (tha-snyad ’dogs-pa) come un oggetto conoscibile. Questo non è così semplice.

Dunque, cosa sta facendo? Questa cognizione distingue qualche caratteristica distintiva e gli attribuisce un significato convenzionale che questo è un oggetto conoscibile, che stiamo vedendo qualcosa. Tuttavia, deve esserci qualche caratteristica che ci consentirebbe di vederlo come un oggetto, o una caratteristica, o un elemento caratterizzante, che viene considerato come una vista o un suono. Dunque, questa cognizione distingue questo. All’interno di quel campo sensoriale, è questo ciò che sta distinguendo. Non gli dà un nome o il significato di un nome ad esso.

Ad esempio, non abbiamo mai visto prima un computer, ma con la cognizione non concettuale, possiamo distinguerlo come un elemento sul tavolo. Stiamo vedendo qualcosa. Non sappiamo cosa sia. Non ne conosciamo nemmeno il suo nome, ma lo stiamo distinguendo dalla tavola. Questa è cognizione non concettuale. L’atto di distinguere è presente. Oppure potrebbe essere distinguere una vista da un suono, distinguere un campo sensoriale visivo, non un campo sensoriale sonoro. Non dà un nome ad esso.

Come opera il distinguere nella cognizione concettuale

La cognizione concettuale opera una distinzione prendendo una caratteristica composta (bkra-ba) del suo oggetto apparente. Il suo oggetto apparente è una categoria. Nella cognizione non concettuale, sono le caratteristiche distintive dell’oggetto di senso comune nell’ologramma mentale. Nella cognizione concettuale, è una caratteristica della categoria, e attribuisce ad esse un nome o una parola convenzionale (con o anche senza un significato convenzionale del nome o della parola), ad esempio “cane” o “marrone” o “amore”.

Abbiamo una categoria. Come definiamo la categoria? Beh, la caratteristica distintiva composta della categoria è qualcosa che noi o altri inventiamo. È la caratteristica distintiva che tutti gli elementi che rientrano in questa categoria condividono in comune. Qualcuno l’ha inventata. La persona che scrisse il dizionario l’ha inventata, ma quella caratteristica distintiva della categoria la rende una categoria di marrone, non una categoria di giallo. Poi isola questa categoria da tutte le altre, e specifica, identifica un ologramma mentale per rappresentare la categoria, e appiccica il nome a quell’ologramma mentale, e attraverso quell’ologramma mentale, appiccica il nome sull’oggetto convenzionale di senso comune.

Dunque, abbiamo una categoria di cane con qualche caratteristica distintiva che non lo rende un lupo e non un gatto; è una categoria di cane. Poi, isoliamo, specifichiamo un ologramma che rappresenta il cane. Ora abbiamo una parola, che è qualcos’altro, una parola. Diciamo: “Beh, quella parola rappresenterà questa categoria, e ora la etichetterò come ‘cane’. Chiameremo la categoria ‘cane’”. E ora chiameremo quell’ologramma mentale un “cane”, e chiameremo pure l’oggetto di senso comune un “cane”, indipendentemente da quanto forte qualcuno dica la parola “cane” o con che voce la pronuncino. Quando gli sentiamo dire, “Oh c’è un cane”, sappiamo che stanno tutti parlando di quest’oggetto qui. OK?

Caratteristiche distintive

Ci sono caratteristiche distintive dell’ologramma e dell’oggetto di senso comune e caratteristiche distintive della categoria. Il distinguere nella cognizione non concettuale coinvolge le caratteristiche dell’ologramma mentale, e la cognizione concettuale riguarda il distinguere le caratteristiche della categoria.

Ora, ciò che è interessante è che le caratteristiche distintive non sono trovabili nel senso che non si stabiliscono da sole per via del loro potere dal lato degli oggetti convenzionali di senso comune, oppure dal lato dell’ologramma mentale, oppure dal lato delle categorie, ma convenzionalmente tutti i fenomeni hanno caratteristiche distintive. Possiamo trovare la caratteristica distintiva dentro questa categoria di cane che sta seduta lì grazie al suo potere creando una categoria di cane? Non è trovabile all’interno della categoria, e non è che per via del suo potere, o assieme all’etichettatura mentale della parola “cane” su di essa, che ciò lo renda un cane. La categoria di cane è una categoria di cane semplicemente grazie al potere della sola etichettatura mentale.

Ora potremmo dire che convenzionalmente ci sono caratteristiche distintive. Se le cerchiamo, non le troviamo. Questo non è molto facile da capire. Sebbene esistano convenzionalmente, non stabiliscono l’esistenza dell’oggetto come un oggetto conoscibile in maniera valida, oppure come “questo” o “quello”, per via del loro potere o persino grazie al loro potere unito all’etichettatura mentale.

Farò un esempio. La cognizione non concettuale è difficile, mentre quella concettuale è molto più semplice. C’è qualcosa dentro quest’oggetto che lo rende una tavola o una sedia, qualche caratteristica distintiva dal lato e grazie al potere dell’oggetto, indipendente dal concetto di una tavola o una sedia che qualcuno ha creato? Tuttavia, convenzionalmente diremmo che è una tavola e una sedia. Abbiamo creato una definizione di una tavola o una sedia – qualcosa su cui possiamo sederci, qualcosa che ha una superficie piatta su cui possiamo mettere degli oggetti. Poi, beh, sicuramente sul piano convenzionale questa è una sedia e quello è un tavolo. Tuttavia, se osserviamo dentro, quella caratteristica distintiva era sempre lì indipendentemente dal fatto che qualcuno abbia mai pensato a una tavola o una sedia? No.

Oppure un’emozione, l’amore. Proviamo molte cose differenti, vero? Ognuno di noi prova cose differenti, e proviamo cose differenti in ciascun momento differente. C’è qualcosa dentro ciascuno di questi sentimenti – sto utilizzando sentimento nel suo significato occidentale – dentro ciascuna di queste emozioni che per via del loro potere creano amore? Se non ci fosse nessun concetto di amore, cosa lo renderebbe amore? È il concetto di amore, a cosa si riferisce il concetto di amore, ma convenzionalmente diremmo, in modo valido, “Provo amore”, e altre persone sarebbero d’accordo. Non è contraddetto. C’è quella convenzione, e altre persone possono verificarne la validità; possiamo validarla. Non la stiamo rendendo una cosa fantastica, che è impossibile, come nel caso di “Durerà per sempre e ci renderà eternamente felici”. Le caratteristiche non possono essere trovate dal lato dell’oggetto, sebbene convenzionalmente – quando non stiamo guardando – dovremmo dire “Beh, sicuro, questo ha le caratteristiche dell’amore”, ma è molto difficile da trovare. Qualcuno l’ha definito, in maniera generale (nel dizionario), oppure la nostra stessa definizione. La definizione significa le caratteristiche distintive: questo e questo e quello.

Colore: marrone o giallo. Beh, abbiamo la luce, e abbiamo lunghezze d’onda di luce. Qualcuno ha dovuto inventare i concetti di colore per differenziare queste diverse lunghezze d’onda e anche per creare dei confini: “Tra questo e quello c’è il marrone. Tra questo e quello c’è il giallo”. Persone differenti hanno confini differenti, e culture differenti hanno confini differenti. Non c’è nulla dal lato della luce che la stabilisca come un colore o come questo colore o quel colore. La cognizione non concettuale la conoscerebbe come un colore. Quella concettuale la conoscerebbe come giallo o marrone, e persino da un altro punto di vista, diremmo che il colore è anche concettuale. Dipende dal fatto se stiamo percependo tutto un campo sensoriale oppure se stiamo percependo un elemento. Ci sono teorie differenti su come funziona la cognizione, ma sta percependo una caratteristica con una cognizione. OK?

Questo non è semplice. Questo ci fa entrare in tutta la discussione sulla vacuità in termini di cosa stabilisce un oggetto per quello che è. Stiamo vedendo giallo? Stiamo vedendo marrone? Beh, convenzionalmente, dovremmo dire, “Sì, sto vedendo giallo o marrone”. Altre persone sarebbero d’accordo, ma cosa lo stabilisce o lo rende marrone o giallo? Questa è una convenzione, etichettata, applicata mentalmente. C’è qualcosa dal lato dell’oggetto, come un uncino, che ci consente di applicarla? No. E questo potrebbe permetterci di applicare parole differenti per essa in lingue differenti? No. È una tavola? È un Tisch (la parola tedesca per tavola)? Cane? È un Hund? Che cos’è?

Inoltre, queste cognizioni potrebbero essere valide o non valide. Valida significa che è accurata e decisiva. Non abbiamo tempo per affrontare quest’argomento, ma questo ci fa entrare in una grande discussione su cosa sia la comprensione. “Comprensione” è una parola occidentale che implica conoscere effettivamente il significato di qualcosa. Per conoscere il significato di qualcosa, dobbiamo conoscere la parola per essa e la definizione della parola, oppure semplicemente sapere cos’è? Questa non è una domanda molto semplice perché la nostra parola “comprensione” non corrisponde esattamente alla parola tibetana (rtogs-pa); la cognizione non concettuale della vacuità certamente comprende la vacuità, ma non in maniera concettuale. Vuol dire comprenderla, ma non significa comprenderla come il significato della parola “vacuità” in maniera accurata e decisiva.

Le emozioni disturbanti e il karma

L’altro argomento per cui non abbiamo tempo, ma che è davvero fondamentale affrontare una volta che abbiamo identificato l’attività mentale – la nascita di un ologramma mentale, il coinvolgimento cognitivo con esso – tale nascita che può essere accurata o inaccurata (come una forma sfuocata) corrisponde all’oggetto di senso comune? Il modo di conoscerlo potrebbe essere decisivo o non decisivo in termini di quanta certezza sia presente nel distinguerlo. C’è il modo di sperimentarlo – piacevole, spiacevole, sentirsi felice, infelice – e, ovviamente, tutti questi altri fattori dell’attenzione, della concentrazione e dell’interesse e così via. Ma poi abbiamo un altro set di fattori mentali: le emozioni disturbanti e il karma. E la domanda che ci poniamo qui è: questi sono parte integrante della nostra attività mentale?

Le emozioni disturbanti – rabbia, avarizia, attaccamento, gelosia, tutte queste cose – quando sorgono fanno perdere alla mente, a quella attività mentale, la sua pace. Non è più pacifica, l’energia è tutta turbata, e perdiamo il nostro autocontrollo.

Il karma parla di impulsi karmici. Se ci atteniamo al punto di vista Prasangika di ciò di cui stiamo parlando qui, ciò che stiamo presentando – gli impulsi karmici della mente si riferiscono alle voglie impellenti – “compulsione” è una parola molto buona per questo – che, come un magnete, ci spingono a pensare qualcosa o a cantare la stessa canzone nella nostra testa. Voglie impellenti o compulsione – non abbiamo controllo su questo. Questi sono gli impulsi karmici della mente – il fattore mentale della voglia. Come un desiderio, ci spinge a pensare. Non è l’attività del pensare. Non c’è nulla di sbagliato nel pensare. La compulsività che incontrollabilmente guida l’attività del pensare – questo è il karma, ed è ciò che vogliamo eliminare.

Oppure se parliamo degli impulsi karmici del corpo, stiamo parlando della forma compulsiva che il nostro corpo assume compulsivamente come il metodo che implementiamo affinché avvenga un’azione del corpo. Il karma qui non è un’azione del corpo, come il colpire qualcuno, ma è la forma che assume compulsivamente il nostro corpo per arrivare all’azione di colpire qualcuno. Oppure con gli impulsi karmici della parola, sono i suoni compulsivi delle sillabe delle parole che compulsivamente esprimiamo come un metodo che implementiamo affinché avvenga l’azione della parola.

Il Prasangika e tutti i sistemi di principi buddhisti sono molto chiari nell’affermare che il karma non si riferisce alle azioni stesse, ma al contrario alle voglie impellenti che guidano il nostro pensiero, le forme compulsive che il nostro corpo assume quando agisce e i suoni compulsivi espressi dalla nostra parola quando parliamo. Ci sono molte teorie differenti, ma in nessuna di queste il karma è “azione”.

Io penso che, come modo per iniziare e ciò che è più rilevante nella nostra discussione dell’attività mentale è di cercare di riconoscere l’aspetto impellente delle voglie che generano gli ologrammi mentali nelle nostre cognizioni – la compulsività dei nostri pensieri. In maniera compulsiva, stiamo pensando in modo distruttivo o costruttivo ma confuso, accompagnato da emozioni o atteggiamenti disturbanti e tutto questo ci fa perdere la pace mentale e l’autocontrollo.

Poi cominciamo ad analizzare: è questo qualcosa che deve sempre essere parte integrante dell’attività mentale? Dare origine a un ologramma, un ologramma mentale, un coinvolgimento, qualche consapevolezza di contatto (piacevole, spiacevole, felice, infelice). Tutto questo è sempre presente. Non c’è nulla di sbagliato in questo. Non c’è nessuna forza contraria che potrebbe bloccarlo. Mentre le emozioni disturbanti e questa compulsività, specialmente con il pensiero, proviene dall’inconsapevolezza in termini di io, “Io devo farlo”.

Un buon esempio è l’essere un perfezionista, fare cose costruttive come, “Devo andare benissimo all’esame”, e “La mia stanza dev’essere perfettamente pulita”, e “Devo sembrare perfettamente curato”, e così via, una compulsività che riguarda la forma che il nostro comportamento sta adottando. Ma si basa tutta su io – “Io devo essere così” – pensando che questo io esiste come una sorta di entità trovabile e così via. C’è una forza contraria a questo, in termini di vedere che questo io non esiste così. Come ho detto, questo è un altro argomento molto grande, ma è il prossimo passo nel processo di identificare l’attività mentale.

L’attività mentale è, come dicono, pura. Non è macchiata da questi fattori disturbanti. Dobbiamo riconoscere all’interno di quest’attività mentale cosa è fondamentale per essa (semplicemente come funziona l’attività) e cosa può essere rimosso da essa. Ciò che può essere rimosso dall’attività mentale sono queste emozioni disturbanti e la compulsività riguardo ad esse. Questi sono i veri combinaguai, anche quando vuol dire essere buoni e costruttivi in maniera compulsiva, perché ciò genera quel tipo di felicità che non dura mai. Questo ci porta a tutta la discussione sulla vacuità.

Un’ultima cosa che volevo aggiungere da ciò che Sua Santità ha menzionato a Tolosa che era molto, molto interessante. Disse che il modo in cui meditiamo per riconoscere questa natura convenzionale dell’attività mentale, generare un ologramma mentale e un certo tipo di coinvolgimento con quest’ultimo… Questa è, credo, la maniera Gelug di farlo. (Il Karma Kagyu lo fa in modo differente. Noi cerchiamo di riconoscerla, nel Karma Kagyu, mentre vediamo e sentiamo, noi cerchiamo di riconoscerla all’interno di ciascun momento di tipologie differenti di cognizione). Sua Santità il Dalai Lama disse che ciò che dobbiamo fare è di non avere nessuna (o minimizzare la) cognizione sensoriale. Non eliminiamo mai completamente la cognizione sensoriale, perché anche se ci trovassimo in una stanza senza alcun stimolo sensoriale – totalmente nera, completamente silenziosa, e siamo seduti su qualcosa che non sentiamo neanche perché è molto soffice eccetera – tuttavia sentiremmo ancora il suono del battito cardiaco, sentiremmo il sangue che viene pompato nel nostro corpo, e così via. È impossibile non avere questo, ma minimizziamolo, e non abbiamo neanche nessun pensiero verbale. Cerchiamo di non avere nessuna categoria a cui stiamo pensando verbalmente oppure “Questo è silenzio”, nulla di tutto questo, e nessuna emozione estranea in atto, di provare paura. Perché molte persone, se si trovano in questa situazione, vanno in panico, “Non esisto”, eccetera, e dunque hanno paura e così via. Quindi è senza tutto questo. In tale situazione, cercate di riconoscere, di distinguere, l’attività mentale, cosa è, perché questa è la situazione migliore per essere in grado di distinguerla. Perché, ovviamente, poi possiamo sentire, possiamo percepire, la compulsività che ci farebbe pensare a qualcosa. È compulsiva, vero? Non abbiamo nessun controllo su questo. Cos’è? Stiamo cercando di andare a dormire. La compulsività tale per cui continuiamo a pensare, questo è karma, impulsi karmici, ed è orribile. Cercate di identificare: “C’è soltanto il sorgere di un ologramma mentale”, e così via.

Comunque, questo ci porta alla conclusione della nostra discussione. Volevo solo introdurre alcuni punti differenti che possono essere ulteriormente sviluppati, ma se almeno vi interessate a quest’argomento dell’attività mentale e alla meditazione sulla natura della mente, questo è davvero molto, molto potente.

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