La pratica della meditazione sul bodhichitta

La decisione eccezionale

Il passo successivo dopo il tonglen (dare e ricevere) consiste nello sviluppare la decisione eccezionale (lhag-bsam), che è il desiderio ancora più forte di essere in grado di eliminare tutta la sofferenza degli altri dando loro la felicità della liberazione e dell’illuminazione. Ciò che è eccezionale al riguardo è l’intenzione per cui anche se dobbiamo farlo tutto da soli, lo faremo e non molleremo mai. Ovviamente, questa decisione eccezionale si basa sull’avere una compassione ancora più grande, per cui non possiamo aspettare che altre persone siano in grado di farlo; lo faremo noi stessi.

Sviluppare l’obiettivo di bodhichitta per raggiungere l’illuminazione per il beneficio di tutti.

Il passo successivo dopo la decisione eccezionale è il bodhichitta stesso. Esaminiamo noi stessi e vediamo: “Sono davvero capace di fare tutto questo da solo? Posso portare tutti alla liberazione e all’illuminazione?”. Ci rendiamo conto che “No, nella mia situazione attuale, non riesco nemmeno ad aiutare molto bene me stesso, e l’unico modo per essere davvero capace di aiutare gli altri consiste non solo nell’ottenere la liberazione, ma l’illuminazione perfetta di un Buddha”.

Con il bodhichitta, ci concentriamo sull’illuminazione, e qui non stiamo parlando dell’illuminazione in generale, non stiamo parlando dell’illuminazione del Buddha Shakyamuni. Ci stiamo riferendo, invece, alla nostra illuminazione individuale, ma questa illuminazione individuale non sta avvenendo al momento; ancora non sta avvenendo. Ad esempio, ora siamo nell’anno 2009, e il 2010 non sta avvenendo al momento; è qualcosa che ancora non sta avvenendo. C’è qualcosa come l’anno 2010, ma semplicemente non sta avvenendo ora, e dunque questo è un tipo di fenomeno esistente, qualcosa che non sta ancora avvenendo. Possiamo pensarci su, ci possiamo concentrare su di esso, ad esempio possiamo pensare all’anno 2010, e dunque possiamo conoscerlo in modo valido.

Quando ci concentriamo su questa illuminazione che ancora non sta avvenendo, abbiamo l’intenzione di raggiungerla – in altre parole, di raggiungere un’illuminazione che sta accadendo ora – comprendendo tutto il lavoro necessario per ottenerla. Lo stato del bodhichitta dell’aspirazione (smon-sems) è semplicemente per ottenerla, e lo stato impegnato (‘jug-sems) è che faremo tutto quello che è necessario per ottenerla, con l’intenzione totale di aiutare tutti gli altri il più possibile per mezzo di questa realizzazione, e anche di beneficiarli il più possibile lungo tutto il percorso secondo le nostre capacità.

Abbiamo già, alla base, l’amore e la compassione e questa decisione eccezionale. Abbiamo anche una comprensione realistica di quello che implica l’illuminazione e cosa saremo capaci di fare quando saremo esseri illuminati. La frase famosa di un sutra per cui “Il Buddha non è in grado di estirpare la sofferenza degli altri come tirare fuori una spina dal piede; tutto ciò che il Buddha può fare è di mostrare la via agli altri e di ispirarli a seguirla”. Non immaginiamo di diventare un dio onnipotente che semplicemente con uno schiocco delle dita – o senza nemmeno quello – sarà in grado di eliminare tutta la sofferenza degli altri. Da un punto di vista buddhista, questo è impossibile, nessuno può fare una cosa del genere.

Concentrarsi sulla nostra illuminazione non ancora avvenuta sulla base dei nostri fattori della natura di Buddha

Nello sviluppo del bodhichitta, solitamente ci sono due fasi. La prima consiste nel focalizzarsi su tutti gli esseri con l’intenzione di aiutarli e di eliminare queste sofferenze, e dunque questo rafforza il nostro amore e la nostra compassione. Poi, ci concentriamo sulla nostra illuminazione non ancora avvenuta con l’intenzione di raggiungerla per aiutare gli altri. La domanda è, “Su cosa in effetti ci stiamo concentrando?” e “Come ci concentriamo sull’illuminazione non ancora avvenuta?”. Se parliamo in maniera molto generale, abbiamo bisogno di comprendere che possiamo raggiungere l’illuminazione grazie ai nostri fattori della natura di Buddha, e dunque abbiamo due tipologie di fattori della natura di Buddha.

Inoltre, questa parola “natura di Buddha” non è tecnicamente la parola che viene usata; ci sono molti termini, ma il termine più comune è “tratto familiare” o “caratteristica”; è la caratteristica di tutti coloro che appartengono alla famiglia del Buddha, ovvero la famiglia di coloro che possono diventare un Buddha, cioè tutti. A ogni modo, nelle nostre lingue occidentali, abbiamo adottato la convenzione di chiamarla “natura di Buddha”, ma dobbiamo comprendere che non stiamo parlando di qualche natura singola. Stiamo parlando di molti fattori differenti che in un certo senso sono connessi al nostro continuum mentale individuale. Ci sono affermazioni differenti riguardo a questo sulla base dei vari sistemi di principi indiani, e questo si riferisce specificatamente ai sistemi di principi Mahayana, non a quelli Hinayana. Stiamo parlando del Chittamatra e del Madhyamaka, e all’interno del Madhyamaka, ci sono affermazioni differenti dello Svatantrika e del Prasangika; le varie tradizioni tibetane hanno le loro spiegazioni riguardo ciò che asseriscono i vari sistemi di principi indiani. Ci sono molte affermazioni diverse qui. 

I due tipi di fattori della natura di Buddha e i corpi del Buddha

Sebbene questo sia un argomento molto complicato, esaminiamo soltanto l’affermazione Prasangika, per come viene spiegata nella tradizione Gelug, per cui in tutte le affermazioni riguardo questi fattori nei sistemi differenti, abbiamo i cosiddetti fattori in evoluzione (rgyas-’gyur-gyi rigs), che si sviluppano e si evolvono, e i fattori dimoranti (rang-bzhin gnas-rigs), che rimangono sempre gli stessi. I fattori in evoluzione sono fattori che cresceranno diventando i vari corpi di un Buddha, e questo lo possiamo comprendere in termini del corpo, della parola, e della mente di un Buddha; oppure lo possiamo capire in termini dei Corpi della Forma di un Buddha e il Dharmakaya di Consapevolezza Profonda di un Buddha, che si riferisce alla mente onnisciente di un Buddha.

Il Dharmakaya ha due aspetti: il Dharmakaya di Consapevolezza Profonda (ye-shes chos-sku) e il Dharmakaya della Natura (ngo-bo-nyid sku), qualcosa del genere; non ricordo come lo traduco esattamente. Spesso, ci riferiamo ad essi con i termini sanscriti, il Jnana Dharmakaya e lo Svabhavakaya, e il fattore dimorante si riferisce a ciò che è responsabile per lo Svabhavakaya, il Corpo della Natura. Ci sono molte affermazioni diverse sul significato dello Svabhavakaya, e dunque non è un termine semplice da tradurre. Qui nell’interpretazione Gelug Prasangika, lo Svabhavakaya si riferisce alla vacuità della mente di un Buddha, e la vacuità delle nostre menti individuali o continua mentali è responsabile per il fatto che c’è la vacuità della mente di un Buddha, lo Svabhavakaya. La vacuità della nostra mente ordinaria e la vacuità della nostra mente quando è illuminata è esattamente la stessa. La vacuità è un fenomeno statico; non cambia. Quando parliamo della vacuità, stiamo parlando di un’assenza totale di modi impossibili di esistere; dunque, questo è un fatto immutabile e identico, sia che la nostra mente sia nel suo aspetto ordinario on nel suo aspetto illuminato. Che abbia oscuramenti mentali – cognitivi ed emotivi – o che sia libera da essi, la vacuità della mente rimane la stessa.

Pertanto, la vacuità della mente è un fattore dimorante della natura di Buddha. Se parliamo delle affermazioni più generali dei fattori in evoluzione della natura di Buddha, allora parleremmo delle due reti che costruiscono l’illuminazione, solitamente chiamate le due “collezioni”. Stiamo parlando della rete di forza o potenziale positivo (bsod-nams-kyi tshogs), comunemente tradotto come “collezione di merito”, e la rete di consapevolezza profonda (ye-shes-kyi tshogs), che viene spesso tradotta come “collezione di saggezza”.

Quando parliamo di questa rete di forza positiva, ve ne sono di vari tipi. Se la forza positiva non viene espressa con una dedica per la liberazione e l’illuminazione, si tratta soltanto di una rete che costruisce il samsara. In altre parole, agirà come una causa per provare situazioni piacevoli nel samsara, ovvero la sofferenza del cambiamento (’gyur-ba’i sdug-bsngal). Se, assieme alla rinuncia, è dedicata alla liberazione, allora sarà una rete che costruisce la liberazione. Se viene dedicata con l’atteggiamento pieno del bodhichitta, diventerà una rete che costruisce l’illuminazione. Dunque, la dedica è molto importante. 

La rete di consapevolezza profonda tecnicamente si accumula quando abbiamo nello specifico la cognizione non concettuale della vacuità. Tuttavia, la meditazione sulla vacuità prima di questa (o tipi differenti di consapevolezza profonda) è simile e probabilmente può essere inclusa, ma la definizione tecnica è che si accumula da questa cognizione non concettuale. Possiamo avere una spiegazione molto precisa, o più generale come questa qui. La rete di forza positiva si accumula da tutte le altre pratiche costruttive oltre a questo assorbimento non concettuale sulla vacuità.

Ora, non è questo il momento di entrare in una discussione dettagliata della natura di Buddha o di queste reti, dunque lasciamo stare questa discussione. Ciò che è rilevante qui è che quando parliamo delle cause per ottenere i Corpi di un Buddha che sono non-statici – “non-statici” significa che di momento in momento cambiano e fanno cose differenti – da un altro punto di vista, tutti i Corpi di un Buddha sono eterni, e dunque questo viene tradotto come “permanente” e a volte ciò crea un po’ di confusione. I Corpi della Forma di un Buddha sono eterni, ma ciononostante, in ciascun momento, potrebbero fare cose differenti e apparire in forme diverse.

Nell’ottenerli, abbiamo ciò che si chiama una causa di ottenimento (nyer-len-gyi rgyu) e una condizione che agisce in modo simultaneo (lhan-cig byed-pa’i rkyen). Una causa di ottenimento è come il seme di una pianta. È da questo seme che uno ottiene il risultato, ma quando si ottiene il risultato, la causa non esiste più. Otteniamo la pianta o il germoglio dal seme, ma al tempo del germoglio, non abbiamo più il seme. Le condizioni che agiscono simultaneamente dal germoglio sarebbero l’acqua, il terreno, eccetera. La causa di ottenimento dei Corpi della Forma di un Buddha è la rete di forza positiva, e la condizione che agisce simultaneamente che deve accompagnarla sarebbe la rete di consapevolezza profonda. Mi riferisco a una versione che costruisce l’illuminazione di ciascuna di queste reti.

Per il Dharmakaya di Consapevolezza Profonda di un Buddha – in altre parole, la mente onnisciente di un Buddha che, sebbene eterna, in ciascun momento sarebbe consapevole di cose differenti mentre aiuta ciascun essere nel tempo – la causa di ottenimento è la rete che costruisce l’illuminazione di consapevolezza profonda, e la condizione che agisce in maniera simultanea è la rete che costruisce l’illuminazione di forza positiva. Queste due reti, in generale, sono cose che noi tutti abbiamo, da un tempo senza inizio. Fanno parte di qualunque continuum mentale, perché esiste un livello di fondo di consapevolezza profonda quando parliamo dei cinque tipi di consapevolezza profonda (simile allo specchio, dell’uguaglianza, e così via). La rete di forza positiva non ha nessun inizio, perché noi tutti abbiamo fatto, incessantemente, alcuni tipi di azioni costruttive e altri tipi di azioni distruttive. Ci sono alcuni aspetti della natura di Buddha che possono essere ottenuti per la prima volta; come in qualunque continuum mentale individuale, ci sarà una prima volta in cui si genera il bodhichitta che non verrà mai abbandonato fino all’illuminazione, e che trasformerà (se viene applicato) le reti che costruiscono il samsara in reti che costruiscono l’illuminazione, o avvierà questo processo, perché possiamo dedicare la forza positiva di tutte le nostre azioni del passato, ma anche quelle del presente e del futuro. 

Quando sviluppiamo il bodhichitta per la prima volta senza mai abbandonarlo più – il bodhichitta è anche un fattore della natura di Buddha – ciò che fa consiste in questo: quando viene applicato con la dedica, le reti che costruiscono il samsara vengono trasformate in reti che costruiscono l’illuminazione. Ovviamente, qualunque meditazione successiva che facciamo sul bodhichitta quando diventiamo realmente un bodhisattva (ovvero quando abbiamo un bodhichitta spontaneo, rtsol-med byang-sems), continuerà ad accumulare ulteriore forza positiva che costruisce l’illuminazione. Ora, su cosa ci stiamo concentrando con la meditazione sul bodhichitta? Ricordate che, in generale, stavamo dicendo che siamo concentrati su un’illuminazione non ancora avvenuta ma che ciononostante può avvenire sulla base di questi fattori della natura di Buddha.

I fattori della natura di Buddha come fenomeni d’imputazione

Ora, dobbiamo comprendere i fenomeni d’imputazione. Quando parliamo di fenomeni non statici (cose che cambiano di momento in momento), allora abbiamo forme di fenomeni fisici, come viste, suoni, odori, eccetera. Abbiamo modi di essere consapevoli delle cose, e dunque la coscienza visiva, la coscienza uditiva, tutti i fattori mentali, le emozioni, la concentrazione, eccetera. Questi cambiano di momento in momento. Poi abbiamo certi fenomeni che cambiano di momento in momento, ma che non sono in nessuna di queste due categorie, come ad esempio il movimento. C’è una sequenza di momenti: la nostra mano è qui, e poi nel momento successivo è in una posizione leggermente differente, e poi il momento seguente è ancora in un’altra posizione leggermente differente, e il movimento è un fenomeno imputato o attribuito a tale base. Un fenomeno d’imputazione è uno che non può esistere né può essere conosciuto separatamente da una base. Il movimento della mano non può esistere o essere visto indipendentemente da una mano che si trova sequenzialmente in posti leggermente diversi. L’esistenza del movimento come un fenomeno d’imputazione non richiede che qualcuno attivamente attribuisca tale fenomeno. Il movimento convenzionalmente esiste. Può essere visto in maniera non concettuale.

In ciascun momento, ci sono cinque fattori aggregati che stanno avvenendo. In questo momento, c’è la visione di un tavolo, c’è coscienza visiva, e stiamo distinguendo il tavolo dal pavimento (la forma colorata del tavolo), e lo stiamo conoscendo con un certo livello di felicità (un livello molto basso di felicità), e ci sono altri fattori mentali dell’attenzione e dell’interesse, eccetera. Tutto questo cambia ogni momento. Un continuum mentale individuale è un fenomeno d’imputazione su questa sequenza di momenti mutevoli dei cinque aggregati, dei cinque aggregati che stanno avvenendo ora. Questo continuum individuale non può esistere o essere conosciuto indipendentemente da questa sequenza individuale dei cinque aggregati che cambiano nel tempo, proprio come il movimento è un fenomeno d’imputazione su qualcosa che è in posizioni differenti nello spazio nel corso del tempo. Sulla base di ciascun momento di quel continuum mentale che sta avvenendo ora, un semplice “io” che sta avvenendo ora (o un “io” convenzionale) esiste come un fenomeno d’imputazione, e sulla base di questo “io” che sta avvenendo ora esiste un altro fenomeno d’imputazione: la forza o potenziale karmico che sta avvenendo ora.

Quando facciamo un’azione costruttiva, c’è una forza o merito karmico; stiamo parlando della tipologia costruttiva. Questa è l’interpretazione Gelug Prasangika. Un aspetto della forza karmica è l’impulso karmico dell’azione stessa durante il momento dell’azione fisica, verbale, o mentale. Poi, dopo che l’azione è stata completata, la forza karmica si trasforma in un fenomeno d’imputazione sulla base del mero “io”, e questo stesso è un fenomeno d’imputazione sulla base del continuum mentale. Anche questo è costruttivo. E come fenomeno d’imputazione su tutta la forza karmica che si accumula in questo modo, c’è una rete di forza karmica, una forza positiva.

Qui stiamo parlando specificatamente della rete che costruisce l’illuminazione, e ci sono due sfaccettature di questa rete – “sfaccettatura” (cha) significa come una faccia o aspetto. Una è la capacità di dare origine al suo risultato, che non è ancora avvenuto; il risultato non è ancora avvenuto. Ha l’abilità di dare origine a un risultato, ma il risultato non sta ancora avvenendo, ma tale abilità sta avvenendo ora. Giusto? Questo è importante da comprendere. Se non fossimo consapevoli che c’è la capacità di questa rete di dare origine a un risultato, non penseremmo che possiamo raggiungere l’illuminazione. Dobbiamo essere convinti che ne siamo capaci. Dunque, come facciamo? È sulla base di questa rete. Un aspetto di queste reti è la capacità di dare origine a un risultato, ma tale risultato non sta ancora avvenendo. 

L’altra sfaccettatura rilevante qui è che temporaneamente non sta dando origine a tale risultato (re-zhig-gis ma-skye-pa’i cha), e sulla base del non dare temporaneamente origine a un risultato, un risultato non ancora avvenuto esiste come fenomeno d’imputazione. Dunque, questo è l’accadimento non ancora avvenuto (ma-’ong-pa) della nostra illuminazione.

Concentrarsi su una rappresentazione della nostra illuminazione che non è ancora avvenuta

Ecco su cosa ci stiamo concentrando con il bodhichitta, l’accadimento non ancora avvenuto della nostra illuminazione, che può avvenire sulla base della capacità di queste reti di dare origine ad essa. Su cosa ci focalizziamo nella meditazione? Dobbiamo in qualche modo rappresentarla, in modo tale che ciò su cui ci concentriamo è il risultato, l’illuminazione che non è ancora avvenuta. Queste sono due cose differenti: c’è l’accadimento non ancora avvenuto dell’illuminazione, e c’è l’illuminazione che non è ancora avvenuta. L’illuminazione non ancora avvenuta è un fenomeno di negazione, ma la rappresentiamo con un fenomeno d’affermazione, un’illuminazione che non è ancora avvenuta, e questo è un tipo di forma su cui possiamo concentrarci. Questa è nota come una forma totalmente concettuale (kun-brtags-pa’i gzugs) – un’altra traduzione è una forma totalmente immaginaria – ma questo non significa che può essere conosciuta soltanto concettualmente, è solo una traduzione del termine. È una forma che può essere conosciuta soltanto dalla mente, come la forma di un sogno (rmi-lam-gyi gzugs). Per noi, siccome non siamo esseri illuminati, possiamo solo avere una cognizione concettuale di questo tipo di forma mentale, e ciò rappresenta l’illuminazione che non è ancora avvenuta. Questa può essere un’immagine visualizzata di un Buddha, oppure l’immagine visualizzata di una figura di Buddha come Chenrezig (scr. Avalokiteshvara), oppure di un grande maestro spirituale (del lignaggio o ancora vivo). Ci sono molte varianti.

Ciò rappresenta la nostra illuminazione, che non sta ancora avvenendo, che si basa sulla nostra comprensione dell’accadimento non ancora avvenuto di tale illuminazione; non ci illudiamo nel pensare che stia avvenendo [ora], ma tale accadimento non ancora avvenuto dell’illuminazione è un fenomeno d’imputazione sulla base del non dare origine temporaneamente all’illuminazione di tali reti, e tale rete ha la capacità di dare origine all’effetto, l’illuminazione. Tale rete è un fenomeno d’imputazione su tutti i potenziali o forze karmiche individuali. Tali momenti individuali di forza karmica sono fenomeni d’imputazione sul mero “io”, e il mero “io” è un fenomeno d’imputazione sul continuum mentale, e il continuum mentale è un fenomeno d’imputazione su tutti i momenti della nostra esperienza formati dai cinque fattori aggregati che cambiano tutto il tempo.

Se comprendiamo tutti questi livelli differenti di fenomeni d’imputazione, allora mentre ci sediamo qui, o in qualunque altro momento – seduti in meditazione o altro – e stiamo sperimentando i cinque aggregati che cambiano in ogni momento, allora potremo vedere tutti questi livelli di fenomeni d’imputazione, e sulla base di questo, c’è l’accadimento non ancora avvenuto della nostra illuminazione. Possiamo rappresentarlo con questa visualizzazione e concentrarci su questa forma con l’intenzione totale di ottenerla per avere un’illuminazione che sta avvenendo ora. Ovviamente, non vogliamo diventare questa visualizzazione, ma abbiamo un’illuminazione che sta avvenendo in questo momento. La visualizzazione semplicemente la rappresenta, è quello che possiamo raggiungere. Siccome conosciamo la capacità di queste reti di dare origine a tale risultato – sebbene temporaneamente non stia dando origine a questo risultato – abbiamo l’intenzione di raggiungere tale risultato, sulla base di creare tutte le cause che produrranno l’ottenimento di tale risultato. Tutto questo è accompagnato da amore e compassione.

Questa è una descrizione molto tecnica di quello che facciamo effettivamente nella meditazione sul bodhichitta. Tuttavia, se possiamo comprendere tecnicamente cosa sta accadendo, allora sarà molto più semplice generare questo stato mentale in meditazione e sapere quello che stiamo facendo. Altrimenti, quello che spesso accade per la gran parte delle persone è che pensano di fare la meditazione sul bodhichitta, ma in effetti stanno meditando sull’amore e la compassione che sebbene sia di grande beneficio, non è la meditazione sul bodhichitta.

Cerchiamo di fare questa meditazione sul bodhichitta. Ricordatevi innanzitutto di concentrarvi su tutti gli esseri e cercate di generare quella sensazione di amore e compassione, e poi focalizzatevi sulla vostra illuminazione individuale che non è ancora avvenuta. Come sottolineava molto Tsongkhapa, per fare qualunque pratica di meditazione, dobbiamo sapere su cosa ci stiamo concentrando in quella meditazione (in altre parole, cosa appare nella nostra mente) e come la nostra mente si sta relazionando o sta conoscendo quell’oggetto, e qui c’è l’intenzione di raggiungere l’illuminazione per aiutare tutti.

[Meditazione]

Penso che ora possiamo iniziare ad apprezzare l'assoluta necessità di avere il bodhicitta per praticare qualunque tipo di tantra. Nella pratica del tantra, ci visualizziamo nella forma di una figura di Buddha sulla base della consapevolezza che abbiamo la capacità di realizzarla con queste reti e così via. Capiamo che non sta ancora accadendo, quindi non ci illudiamo, ma immaginiamo che stia accadendo ora, e poi ci visualizziamo effettivamente ad aiutare gli altri – con luci che si diffondono e alleviano le sofferenze di tutti, e così via – con la motivazione del bodhicitta che alla fine saremo in grado di farlo. Praticando ora in modo simile a ciò che vogliamo raggiungere come risultato, il tantra diventa un metodo più efficiente e veloce.

Tuttavia, senza tutta la fondamentale base del bodhicitta dietro questo processo di visualizzazione, e la rinuncia (che significa allontanarsi dai nostri aspetti ordinari samsarici perché sono colmi di sofferenza), e la comprensione della vacuità, che è responsabile di questa intera trasformazione, senza questi tre aspetti principali del sentiero (Tsongkhapa li chiama rinuncia, bodhicitta e vacuità), l'intera pratica del tantra è solo follia. La pratica del tantra non è affatto un livello di pratica iniziale. È molto importante non banalizzarla o praticarla prematuramente in una fase in cui ci confonderemmo molto, perché in tal caso ci saranno più danni che benefici.

Cosa avviene al continuum mentale individuale dopo che raggiungiamo l’illuminazione? Hai detto che non esiste un continuum mentale universale. Dunque, il continuum individuale della mente inizia qualcos’altro dopo l’illuminazione, o rimane individuale?

Rimane individuale, con una qualità differente, ovviamente: non è più non illuminato, e dunque non è più limitato. Nella terminologia Nyingma, abbiamo due nomi differenti. Abbiamo la parola “sem” (sems), che traduco con “mente limitata”, che significa una mente non onnisciente. Ciò che solitamente si traduce come essere senziente è “semchen” (sems-can), qualcuno con una mente limitata. Il Buddha non ha una mente limitata; un Buddha non è un essere senziente. Ecco perché non mi piace usare il termine “essere senziente”, perché confonde. Un Buddha non ha una mente limitata o un corpo limitato; dunque, un Buddha non è un essere limitato. Sfortunatamente, in molte lingue, quando traduciamo “essere limitato” sembra come se fosse una persona disabile, ma non è questo il significato qui; anche se in un certo senso, è una persona disabile nei termini di non essere in grado di sapere tutto e aiutare chiunque. Nella terminologia Nyingma, abbiamo il termine “rigpa” (rig-pa), che è la “consapevolezza pura”, il tipo di mente che possiede un Buddha; non ha limiti ed è anche la base delle nostre menti limitate.

In alcune filosofie induiste c’è l’idea che tutti i fiumi, tutti i torrenti finiscono nell’oceano, e dunque con la liberazione, tutti i continua mentali diventano uno, ma certamente questa non è la posizione buddhista. Un continuum mentale del Buddha Maitreya non è lo stesso continuum mentale o illuminazione del Buddha Shakyamuni. Il livello di realizzazione è lo stesso: sono entrambi ugualmente onniscienti e conoscono tutto. Tuttavia, alcuni esseri hanno accumulato il karma per essere aiutati dal Buddha Shakyamuni, e alcuni esseri hanno accumulato il karma per essere aiutati dal Buddha Maitreya, e dunque sono individuali in termini della loro esperienza di aiutare gli altri. Mantengono questa individualità. In molte delle nostre pratiche buddhiste, riconosciamo di non aver accumulato il karma di incontrare effettivamente e studiare direttamente con il Buddha Shakyamuni, e dunque abbiamo queste preghiere di Maitreya che vengono recitate quotidianamente da tutti i monaci e monache tibetani per poter accumulare quella connessione karmica che ci consentirà effettivamente di poter studiare alla presenza del Buddha Maitreya.

Dedica

Concludiamo con una dedica. Pensiamo che qualunque forza positiva, qualunque comprensione sia emersa da questa discussione, che possa andare sempre più in profondità e agire come una causa per raggiungere l’illuminazione per il beneficio di tutti.

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