L’aggregato del distinguere

Ripasso

Fino a questo punto, abbiamo discusso due aggregati che formano la nostra esperienza: le forme di fenomeni fisici e le sensazioni di qualche livello di felicità. Ciascuno di questi aggregati di fenomeni mutevoli è formato da molti oggetti, e un assortimento di questi oggetti, tutti connessi insieme, forma ciascun momento della nostra esperienza. Non facciamo esperienza degli aggregati solo uno alla volta, ma tutti e cinque simultaneamente.

La rilevanza di questo nella pratica meditativa consiste nell’essere in grado di riconoscere in ciascun momento tutti i continui fattori differenti all’interno dei vari aggregati. Abbiamo bisogno di poter analizzare e smontare ciascun momento della nostra esperienza in tutte le parti componenti che si connettono insieme, ed essere consapevoli del fatto che tutte cambiano continuamente, ciascuna a un ritmo diverso. Non c’è nessun “io” solido in nulla di questo. Ricordatevi, vogliamo rimuovere la confusione che si manifesta quando identifichiamo in modo erroneo quello che avviene e diciamo “Questo sono io”. Invece di avere questa confusione e incomprensione in ciascun momento della nostra esperienza, vogliamo confutarla ed eliminarla. Vogliamo vedere come questa confusione si basi su sciocchezze assolute, e vogliamo invece fare sì che tutto quello che proviamo in ogni momento sia accompagnato da una comprensione corretta dell’io convenzionale.

Ecco dove stiamo andando con lo studio e la comprensione degli aggregati. Man mano che osserviamo i vari fattori aggregati, raggiungiamo un punto in cui dobbiamo analizzare e capire se esiste un “io” separato. C’è un “io” che guarda e osserva questi aggregati, o li controlla, che sta seduto da qualche parte nelle nostre teste? Potremmo sentire che un io del genere esista, ma quando lo cerchiamo e lo analizziamo, dov’è questo “io” solido?

Domande

Consapevolezza del costante cambiamento momento per momento

Stavi parlando di essere in grado di smontare ciascun momento dell’esperienza. Se la realtà cambia da un momento all’altro, questa decostruzione avviene alla stessa velocità?

Corretto.

Come lo facciamo?

Lo facciamo con questa pratica. Come suoniamo sessantaquattro note con uno strumento musicale? È solo grazie a molta pratica che siamo in grado di suonare le note così velocemente.

In termini di come osservare questo cambiamento e rimanere lì, questo introduce il punto che ad accompagnare i cinque aggregati in ciascun momento della nostra esperienza è l’attenzione a ciò che sta accadendo ora. La nostra esperienza cambia molto rapidamente, è vero. Tuttavia, fare in modo che l’attenzione accompagni ciascun momento non significa che in ciascun momento, nelle nostre menti, stiamo “stampando” al computer tutti gli oggetti che stanno accadendo ora, etichettandoli mentalmente tutti. Non abbiamo bisogno di fare questo.

Prendiamo l’esempio della nostra macchina. Potremmo essere abbastanza consapevoli di tutte le parti in movimento che formano il motore e la macchina. Possiamo essere consapevoli che si stanno muovendo e stanno cambiando in ciascun momento. È sufficiente essere consapevoli del fatto che stanno cambiando. Non dobbiamo essere consapevoli di ciascuna marcia in questa o quella posizione. Non dobbiamo essere consapevoli delle cose specifiche, ma semplicemente del fatto che ci sia una macchina molto complicata formata da un numero enorme di parti, che si stanno muovendo e stanno cambiando allo stesso tempo. Se qualcosa non funziona con la macchina, allora in quella situazione vorremmo analizzare cosa non va e identificare la parte difettosa. L’unico modo per identificare le parti difettose è di conoscere tutte le parti della macchina e sapere come interagiscono fra loro. Così possiamo identificare quella che non funziona correttamente.

Se, ad esempio, qualcosa non funzionasse con il nostro corpo, un dottore analizzerebbe tutti i sistemi del corpo per capire cosa non funziona. Sanno che il corpo è composto da un numero incredibile di parti che cambiano di continuo, molto di più di una macchina. Quando ci sono dei problemi o c’è una malattia, con la conoscenza di tutti i sistemi, un dottore può rilevare e analizzare quella parte che non funziona e capire come sta influenzando le altre parti del tutto.

Abbiamo bisogno di avvicinarci alla nostra esperienza come farebbe un dottore ed essere consapevoli che la nostra esperienza è formata da moltissimi fattori differenti che cambiano e interagiscono continuamente tra di loro. Se stiamo avendo dei problemi, come ad esempio degli sbalzi d’umore o altri disturbi emotivi, a quel punto analizzeremo nello specifico cosa sta avvenendo per vedere dove sta il problema.

Può essere molto semplice. Ad esempio, proviamo una situazione di grande disagio. Se la analizziamo e vediamo cosa sta accadendo, potremmo notare che si tratta di una sensazione fisica del nostro vestito: è troppo stretto. Allora sapremo che avremo bisogno di comprare dei vestiti più grandi. La soluzione potrebbe essere semplice, o potrebbe essere più complessa e profonda di aver solo bisogno di comprare dei pantaloni più grandi.

Lo spettro dell’esperienza

Hai detto che un Buddha non è un essere senziente, che va oltre questo. Può un Buddha sperimentare tutto lo spettro delle informazioni visive, uditive, olfattive, ecc. e anche provare lo spettro tra felicità e infelicità?

Sì. Tuttavia, i livelli differenti di felicità e infelicità samsarica che un Buddha prova sarebbero connessi al continuum mentale di altre persone, altri esseri, non al suo. Questo fa parte del continuum mentale di qualcun altro, non del continuum mentale di un Buddha. Un Buddha prova solo felicità beata non samsarica – la felicità di essere liberi da tutti gli oscuramenti.

Hai parlato del ventaglio di esperienze possibili nel regno umano tra piacere e dolore e tra felicità e infelicità. Ci sono differenze in questo ventaglio tra i differenti esseri umani, ed è modificabile?

Questo ventaglio di esperienze sarà leggermente diverso per ciascuna persona, ma si limiterà allo spettro umano di piacere e dolore.

Se hai familiarità con il mio lavoro, io faccio una differenza tra Dharma “light” e il “vero” Dharma, allo stesso modo in cui la Coca cola light è diversa dalla “vera” Coca cola. La versione Dharma “light” dei sei regni è che sono tutti stati psicologici che gli esseri umani possono sperimentare, sono come delle metafore. Questo va bene, ma non è il “vero” Dharma. Certamente ci sono alcuni esseri umani che provano più sofferenza e infelicità di altri. Ma nel Buddhismo, quando parliamo dei sei regni degli esseri, stiamo parlando di stati di rinascita differenti che vanno oltre i limiti esperienziali dell’apparato umano.

Con il Dharma genuino è essenziale pensare al di là di questa vita e al di là di questa forma di vita. I nostri continua mentali sono capaci di provare molto più dolore e sofferenza di quanto nessun essere umano possa mai provare senza svenire. Abbiamo bisogno di sviluppare una compassione sincera per tutti gli esseri limitati di questi regni. Prendiamo tutto questo così sul serio che vogliamo conoscere le cause che generano queste sofferenze, e non vogliamo davvero accumulare nessun’altra causa che possa produrre tali sofferenze. Se abbiamo già accumulato le cause per queste sofferenze, vogliamo sbarazzarcene. Questo è il punto cruciale. Non ci interessa conoscere l’aspetto di queste creature infernali o sapere dove vivono.

Ciò che sperimentiamo come felicità può diventare infelicità e ciò che sperimentiamo come infelicità può diventare felicità. La felicità e l’infelicità sono facce della stessa medaglia?

Non è che la nostra esperienza di felicità è un’esperienza di infelicità. Può cambiare da un momento all’altro. Un momento di felicità può essere, nel momento successivo, un momento di infelicità. Questa è la “sofferenza del cambiamento”.

Possiamo anche trasformare le circostanze negative in circostanze positive, ma questa è un’altra cosa. Ad esempio, ci sloghiamo la caviglia e proviamo questo con un po’ di dolore e infelicità. Forse non saremo in grado di bloccare il dolore fisico, ma possiamo arrestare l’infelicità con cui sperimentiamo il dolore guardandolo in modo differente. Potremmo pensare, ad esempio, che siamo stati davvero fortunati a non romperci una gamba – è solo una caviglia slogata dopotutto – e quindi possiamo esserne felici.

Inoltre, dobbiamo fare una distinzione tra sensazioni disturbanti e sensazioni non disturbanti. Se quella sensazione di felicità o infelicità è accompagnata da confusione, saremo propensi ad esagerarla e a trasformarla in un grosso problema. Aggiungiamo la brama alla confusione ed esageriamo quello che stiamo provando: “Devo sbarazzarmi di questo dolore, è la cosa più orribile del mondo”. Oppure, “Devo cercare di continuare a provare questo piacere. È la cosa più meravigliosa del mondo”. Chiaramente, questa è una sensazione disturbante. Perdiamo la nostra pace mentale. Ciononostante, possiamo anche provare la felicità e l’infelicità in un modo non disturbante e senza confusione. In altre parole, possiamo vedere queste varie cose che proviamo semplicemente come una sensazione di felicità o infelicità. Non è un grosso problema e non è così terribile. Ovviamente, preferiremmo non provare infelicità, ma non è accompagnata da un desiderio disperato di eliminarla.

Le sensazioni hanno alti e bassi. Questa è la natura del samsara. La cosa importante è non farne un grosso problema – non è nulla di speciale. Ad esempio, se dobbiamo andare al lavoro ogni mattina, a volte facciamo l’esperienza di andare a lavorare provando felicità, a volte provando sofferenza. E quindi? Andiamo lo stesso a lavorare. Non ne facciamo un grande problema; siamo infelici di andare a lavorare ma semplicemente andiamo. Non lasciamo che questa cosa ci disturbi. “Non sono felice di andare a lavorare; cosa c’è di nuovo in questo?”. È proprio questo il modo di comportarsi – non crearsi problemi per queste cose – non è nulla di speciale.

Piacere e dolore, felicità e infelicità

È importante essere precisi con la nostra terminologia. Il piacere e il dolore sono sensazioni fisiche dell’aggregato delle forme di fenomeni fisici. Le sensazioni di felicità e infelicità sono uno stato mentale che accompagna un’esperienza sensoriale – non solo sensazioni fisiche, ma anche vedere, sentire, annusare, e assaggiare qualcosa – oppure è uno stato mentale che accompagna l’esperienza di qualche azione mentale, come pensare o ricordare qualcosa.

Possiamo fare esperienza del dolore fisico con felicità o infelicità. Ad esempio, possiamo farci fare un trattamento fisico come un massaggio profondo in cui il principio generale è: “Se non fa male, non serve”. Se il massaggio fa male in certi punti, allora ci sentiamo felici perché sappiamo che servirà a rilassare e aiutare quel muscolo teso. Stiamo parlando di questa dimensione di essere felici e infelici che accompagna la sensazione fisica o lo stato mentale. Spero che questo possa chiarire cosa s’intende per felicità e infelicità fisica e mentale. Ora torniamo al resto degli aggregati. 

L’aggregato del distinguere

Il terzo aggregato è quello del distinguere. In ciascun momento, noi stiamo distinguendo una caratteristica specifica di un certo oggetto, che sia una forma di fenomeno fisico o qualche oggetto mentale. Stiamo distinguendo una caratteristica specifica che rende qualcosa un oggetto validamente conoscibile, distinto dalle altre cose presenti nel nostro campo sensoriale.

Cosa vuol dire? Quando guardiamo una stanza, vediamo tutta una collezione di forme colorate. Stiamo effettivamente vedendo questo. Se facciamo una foto e la salviamo nel computer, sarebbe una collezione di pixel colorati. Ma non vediamo solo forme colorate, vediamo anche oggetti di senso comune. Come mettiamo insieme queste forme colorate in modo tale che formino oggetti individuali di senso comune nella nostra percezione? Cerchiamo di esaminare questo.

Osservando nella stanza tutte queste varie forme colorate, com’è che siamo in grado di mettere insieme queste forme colorate generando l’oggetto di un volto di un essere umano? Come facciamo ad evitare di connettere queste forme colorate con le forme colorate del muro accanto e a cercare di generare un certo oggetto da questa combinazione? Non ci sono linee solide attorno a queste forme colorate che delineano un certo gruppo di queste in un oggetto e un altro gruppo in un altro oggetto. È davvero affascinante vedere come funziona.

Se non riusciamo a distinguere qualche caratteristica distintiva nel campo sensoriale che ci consenta di fare una distinzione tra un oggetto conoscibile e un altro, allora non abbiamo speranze. Senza di questo, non possiamo assorbire tutte queste informazioni e capire quello che stiamo sperimentando nel campo sensoriale. Senza quest’abilità, è solo una collezione incomprensibile di forme colorate, come un dipinto astratto. Incredibile, vero?

Questo fattore mentale del distinguere è presente in ogni singolo momento. È il modo in cui le forme colorate vengono messe insieme diventando oggetti. Lo facciamo distinguendo una caratteristica distintiva, i cosiddetti “segni caratteristici distintivi”. Non abbiamo nemmeno bisogno di aver visto l’oggetto in precedenza. Non dobbiamo sapere cosa sia l’oggetto, e non dobbiamo nemmeno conoscere il nome o la parola per quell’oggetto. Siamo comunque in grado di vedere qualcosa di nuovo che non abbiamo mai visto prima, e possiamo distinguere l’oggetto dal muro e dalla tavola. Possiamo anche individuare che c’è qualcosa sulla tavola. Non abbiamo la più pallida idea di cosa sia, ma c’è qualcosa lì.

Pertanto, una traduzione comune di questa abilità, il cosiddetto “aggregato del riconoscimento”, è fuorviante. Riconoscere qualcosa significa che l’abbiamo sperimentata in precedenza. Confrontiamo quello che stiamo provando ora con le nostre esperienze precedenti, e poi lo riconosciamo. “Ri-conoscerlo” significa conoscerlo di nuovo. Non stiamo parlando di questo. Ci stiamo riferendo a qualcosa di molto più basilare e fondamentale; anche i bambini possono farlo. I bambini possono distinguere il caldo dal freddo, la luce dall’oscurità. Certamente non hanno un nome per questo; ciononostante, stanno distinguendo qualcosa da altre cose all’interno di un campo sensoriale. Non dobbiamo nemmeno distinguerlo come un oggetto. Possiamo semplicemente distinguere questo colore da quel colore. Fondamentalmente, è la consapevolezza di una caratteristica distintiva di qualcosa. C’è una profonda discussione filosofica riguardo il luogo e il modo di esistere di queste caratteristiche distintive; tuttavia, non abbiamo bisogno di soffermarci in questo al momento.

Tutto questo si applica anche al pensiero. Quando pensiamo a qualcosa, dobbiamo essere in grado di distinguere la caratteristica distintiva della cosa a cui stiamo pensando; altrimenti come possiamo pensarla? La distinguiamo da tutto il resto a cui potremmo pensare, vero? Questo processo avviene anche in tutti i campi sensoriali. Ascoltiamo il suono del traffico e il suono di un uccello. Non li mettiamo insieme in un oggetto che crea sia il suono del traffico sia quello dell’uccello. Siamo capaci di distinguere l’uno dall’altro.

Un altro aspetto cruciale è il bisogno di distinguere le parole. In qualunque lingua, se non possiamo distinguere le parole tra i suoni che vengono emessi, è solo una catena di suoni. Se conosciamo la lingua, o almeno un po’ della lingua, possiamo cominciare a distinguere le parole di quella lingua, anche se potremmo non sapere nemmeno il significato delle parole. Questa distinzione avviene tutto il tempo, vero? Non è un riconoscimento perché non stiamo confrontando qualcosa che stiamo conoscendo ora con qualcosa che conoscevamo in passato.

Fondamentalmente, siamo in grado di distinguere unità e oggetti conoscibili. Ad esempio, ascoltate qualcuno che parla in cinese. Ci sono toni in cinese che l’occhio occidentale non può nemmeno distinguere. Un cinese sente con facilità due toni totalmente differenti e può distinguere due parole diverse. Ad esempio, solo per divertirsi, ascoltate queste parole: Ma Mama ma ma ma, ma ma Ma Mama ma? In cinese, questa frase vuol dire: La signora Ma ha gridato al cavallo, o è stato il cavallo a gridare alla signora Ma? Non possiamo nemmeno distinguere i toni differenti, per non parlare delle parole.

Distinguiamo costantemente molte cose all’interno di differenti campi sensoriali, tutte allo stesso tempo. Facciamo un esercizio per chiarire ulteriormente questo aggregato. Guardiamo intorno alla stanza e concentriamoci solamente sul campo sensoriale visivo. Cercate di notare come stiamo distinguendo vari oggetti tra le forme colorate che stiamo vedendo. Se indossiamo occhiali, toglieteli; in un certo senso, è come vedere un quadro astratto. Non riusciamo a distinguere nessun oggetto. Quando ci rimettiamo gli occhiali, possiamo tornare a distinguere le cose. Cercate di notare questo aggregato della distinzione e come non coinvolga dare un nome alle cose o sapere cosa sia qualcosa. Semplicemente distinguiamo un oggetto da un altro, e un oggetto dal suo contesto. È questo il significato della distinzione.

[Pausa]

Livelli differenti di distinzione

La nostra capacità di distinguere le cose può anche differire in contesti e situazioni differenti con le persone. Ad esempio, possiamo ricevere una certa quantità di dati riguardo al comportamento di qualcuno; tuttavia, potremmo o non potremmo essere in grado di distinguere una certa caratteristica distintiva di quel comportamento che ci consenta di comprenderlo come un oggetto conoscibile, come la depressione, la paranoia, eccetera. Se potessimo distinguerlo accuratamente, ci consentirebbe di sapere come interagire con quella persona. Abbiamo bisogno di poter distinguere qualche caratteristica distintiva e metterla insieme in un oggetto conoscibile.

Possiamo ad esempio comprendere che c’è qualcosa che non va con il nostro amico. Quando lo facciamo, cosa stiamo facendo? Stiamo distinguendo qualche caratteristica distintiva del loro comportamento, del loro aspetto, dei suoni che fanno, ecc. Potremmo non sapere specificatamente cosa non va, ma possiamo fare una distinzione mettendo alcune cose insieme e concludendo che c’è qualcosa che non va. Siamo in grado di distinguere un oggetto validamente conoscibile. A volte, tuttavia, distinguiamo in modo errato. Mettiamo insieme cose che non vanno insieme.

Come possiamo avere una distinzione errata? Ad esempio, qualcuno mette insieme e distingue ciò che lui pensa sia una caratteristica distintiva condivisa di aspetti differenti del nostro comportamento, ma queste cose in realtà non vanno affatto insieme. Nel caso della paranoia, una persona potrebbe pensare: “C’è qualcosa che sta succedendo qui. Non piaccio a quella persona. Quella persona è contro di me”. Ci sono alcune variabili qui: potremmo distinguere che qualcosa non va, e in effetti c’è qualcosa che non va, ma la identifichiamo in modo errato. Dall’altro lato, potremmo distinguere che c’è qualcosa di sbagliato mentre, in realtà, non c’è assolutamente nulla di sbagliato. Queste sono due possibilità di come possiamo distinguere in modo errato.

La capacità di distinguere è una parte cruciale di ogni momento della nostra esperienza. Senza di esso, la nostra esperienza sarebbe troppo astratta. Prendiamoci un momento per digerire questo punto.

[Pausa]

Distinguere è la base per la consapevolezza discriminante

Mi sembra che, come esseri umani, con questo aggregato del distinguere, abbiamo la possibilità di cercare di raggiungere un certo equilibrio tra felicità e infelicità; mentre negli altri regni miserabili non è possibile. Com’è che nel regno umano siamo in grado di generare la motivazione e il desiderio di avere una rinascita migliore o di abbandonare totalmente il samsara? Come accade questo?

La ragione per cui gli esseri umani sono in una posizione migliore di qualunque altra forma di vita per sviluppare il desiderio di sbarazzarsi della sofferenza, di ottenere la liberazione, e così via, è grazie a un altro fattore mentale, ovvero un altro aggregato. In linguaggio molto semplice, si tratta dell’intelligenza. Più tecnicamente, è la consapevolezza discriminante.

Come esseri umani siamo in grado di discernere tra ciò che è utile e ciò che è dannoso. Tuttavia, non deve essere solo qualcosa di immediato come accade con gli animali. Ad esempio, gran parte degli animali sa che se vanno a finire nel fuoco soffriranno, ma una falena non lo sa; non può discernere una cosa del genere. La falena vola direttamente nel fuoco. Chiaramente, alcuni animali hanno un po’ di capacità di discernere correttamente, ma certamente non quanto un essere umano. Possiamo fare una distinzione – questa è intelligenza.

Ma non è la stessa cosa del distinguere. Per prima cosa, abbiamo bisogno di distinguere tipologie differenti di comportamento, ad esempio, e solo dopo possiamo discernere quali comportamenti, tra questi, saranno di beneficio e quali saranno dannosi in una prospettiva di lungo termine. Il distinguere, allora, è la base della consapevolezza discriminante.

È per via di questa intelligenza umana che Sua Santità il Dalai Lama enfatizza sempre come questo sia il nostro più grande dono da esseri umani. Abbiamo bisogno di usare la nostra intelligenza. Tutto questo fattore della consapevolezza discriminante è di grande interesse. Che meraviglia essere in grado di discriminare tra ciò che è utile e ciò che è dannoso, ma anche quello che è corretto e quello che è errato.

Sua Santità una volta chiese a un gruppo di neuroscienziati quale sia la differenza – puramente da un punto di vista fisiologico, chimico, o elettrico – tra il pensare “Uno più uno fa due” e “Uno più uno fa tre”. Lo scienziato rispose che non c’è proprio nessuna differenza fisica nell’avere questi due pensieri. Ciò indica che c’è qualcosa di più di un semplice processo fisico. Questo è ciò che chiamiamo “mente” nel Buddhismo, che è in grado di avere una consapevolezza discriminante tra ciò che è corretto e ciò che è errato. “Uno più uno fa due” è corretto, mentre “Uno più uno fa tre” è sbagliato. Tuttavia, non possiamo saperlo solo sulla base di un encefalogramma o di una TAC.

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