Comprendere qualcosa: una revisione dell’apprendimento

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Cosa significa capire qualcosa è un argomento molto importante perché ci sono così tante cose che dobbiamo capire nella nostra vita quotidiana, non solo i vari punti del Dharma. Dobbiamo capire la lingua, cosa dice la gente, comprendere le altre persone e i loro problemi, quello che ci viene detto. Dobbiamo comprendere solo le parole esatte che dicono o anche i significati più profondi sottostanti? Dobbiamo capire come usare un nuovo computer, comprendere noi stessi e il nostro comportamento per migliorarlo, soprattutto se c’è qualcosa che non va. Dobbiamo capire perché noi e gli altri ci comportiamo così. Non stiamo parlando di qualche tema esoterico in epistemologia più o meno interessante bensì di qualcosa di molto rilevante per poter affrontare i problemi della vita quotidiana. 

L’attività mentale è mera chiarezza e consapevolezza 

Comprendere qualcosa è un tipo di attività mentale. L’attività mentale di base è il sorgere di un ologramma e di un impegno mentale – una sorta di impegno cognitivo; sono due modi di descrivere lo stesso evento. Non è che nasce un pensiero e poi lo pensiamo; il sorgere del pensiero è il pensare il pensiero. Solo questo accade; non c’è un io separato che lo controlla o lo osserva, e nessuna mente separata che, come una macchina, lo crea. 

Quando si pratica la meditazione consapevole è importante evitare questa complicazione: quando osserviamo il sorgere di vari pensieri, emozioni o sensazioni, il pericolo è di concepire che ci sia un io separato che osserva tutto questo. Tutto ciò che accade è il sorgere di queste sensazioni come un ologramma mentale, c’è un impegno cognitivo con esso e questa attività mentale è accompagnata dalla consapevolezza e dall’attenzione a ciò di cui l’ologramma mentale è un ologramma. Tuttavia, la consapevolezza e l’attenzione sono solo fattori mentali che accompagnano la nostra coscienza. Non c’è un io separato seduto nella nostra testa che lo guarda. Il problema, ovviamente, è che sembra così, che ci sia un piccolo io nella nostra testa che guarda tutto questo. Questa è un’apparenza ingannevole, ci inganna facendoci credere che corrisponda alla realtà. 

Cosa significa apprendere qualcosa? 

Ci sono molti modi per conoscere gli oggetti che possono essere corretti o errati. Potrebbero essere certi delle cose, potrebbero non esserlo, potrebbero essere solo supposizioni. “Immagino che questo sia il tuo problema. Non lo so davvero, ma immagino che sia questo”. Questi sono molti modi diversi di conoscere. Tuttavia, alcuni modi di conoscere sono chiamati “apprendimenti”. Un apprendimento è definito come una conoscenza accurata e decisiva di qualcosa. 

Ad esempio, qualcuno ha detto “sì”, noi abbiamo sentito “sì” e ne siamo certi. Non è che abbia detto “sì” e noi abbiamo sentito “no” o che non siamo sicuri di cosa abbia detto – “sì” o “no”. Solo perché si tratta di un apprendimento corretto e decisivo, però, non significa che comprendiamo cosa intende la persona dicendo “sì”. 

Tuttavia, quando parliamo di comprensione, se è affidabile ovviamente deve essere anche un apprendimento. In altre parole, la nostra comprensione deve essere corretta e decisiva. Naturalmente potremmo comprendere le cose in modo completamente errato “Bene, penso che questo sia quello che ho capito a riguardo. Non sono sicuro”, questo non è affidabile. Naturalmente potremmo essere completamente convinti che la nostra comprensione sia corretta quando, in realtà, è sbagliata. Ecco perché comprendere questo fattore fondamentale dell’apprendimento è molto importante se si tratta semplicemente di apprendimento o di comprensione. 

L’apprendimento è accurato 

Perché un apprendimento o una comprensione siano accurati devono soddisfare tre criteri.

[1] È necessaria una certa convenzione.

Nel Dharma possiamo usare l’esempio della vacuità. I testi buddhisti parlano della vacuità? Sì, nel Dharma c’è la convenzione di vacuità. 

Questo ci conduce a una questione complicata che mi è appena venuta in mente. La maggior parte di noi ha a che fare con il Dharma in traduzione e si imbatte in parole usate per tradurre termini buddhisti che hanno connotazioni cristiane molto forti, come la parola “peccato”. Possiamo chiederci “Ebbene, esiste questa convenzione?”. Potremmo guardare un intero gruppo di traduzioni e dire “Sì, molti traduttori hanno utilizzato questa convenzione”. Tuttavia, è davvero questa la convenzione nelle lingue originali? Questo è il problema. Solo perché un gruppo di traduttori ha adottato questa convenzione non è sufficiente per renderla una traduzione corretta, vero? Dobbiamo considerare il secondo criterio.

[2] Non deve essere contraddetto da una mente che conosce validamente la verità convenzionale.

Guarda la definizione della parola “peccato”. Quali sono le connotazioni della parola nelle nostre lingue? Implica che esista un insieme di leggi stabilite da un’autorità superiore, da Dio. Se infrangiamo la legge, allora siamo colpevoli, è un peccato e meritiamo di essere puniti. Quindi, esamineremo un’ampia selezione di testi buddhisti classici. Troviamo un giudice, leggi, innocenza e colpa? Non c’è assolutamente niente del genere se guardiamo attentamente, soprattutto nei testi in lingua originale. 

Cosa dicono i testi del termine sanscrito pāpa o, in tibetano, digpa (sdig-pa)? È un potenziale karmico negativo che deriva dall’agire in modo distruttivo basato sull’inconsapevolezza e sulla confusione riguardo alla causa e all’effetto comportamentale e al modo in cui noi e gli altri esistiamo. Nasce dalla confusione, non dalla disobbedienza a una legge; dal non sapere che da certe azioni sorgono problemi e sofferenze e matura nella nostra esperienza di problemi e infelicità. 

Se intendiamo questo termine nel senso di “peccato”, con tutte le sue connotazioni cristiane, allora è contraddetto da una mente che legge validamente i testi, ha studiato il Buddismo e conosce la verità convenzionale degli insegnamenti. Ecco perché è molto importante avere una mente molto critica riguardo ai termini della traduzione, perché molti di essi sono fuorvianti. Parole come “benedizione” – “Benedicimi affinché io capisca questo” – è un concetto cristiano, non buddhista.

[3] Non deve essere contraddetto da una mente che conosce validamente la verità più profonda. 

La verità più profonda è che tutti i fenomeni sono privi di un’esistenza in modi impossibili e tutto nasce in modo dipendente in termini di etichettatura mentale. Che cosa significa? Non è molto facile da capire. 

“Tutti i fenomeni” si riferiscono a cose che hanno un nome o una parola convenzionale, come “peccato” o “potenziale negativo”. Cosa dimostra che esistono? Cosa dimostra che esiste qualcosa come il peccato? Tutto quello che possiamo dire è che “peccato” è ciò a cui si riferisce la parola o il concetto “peccato”. Non c’è nulla dalla parte di qualcosa che abbiamo fatto che lo renda un peccato. C’è un concetto di peccato, ed è etichettato su qualcosa che abbiamo compiuto come base “È un peccato”: abbiamo ucciso qualcuno, abbiamo mentito o altro. È semplicemente l’atto di uccidere o mentire, non c’è nulla di inerente all’atto che lo renda peccato per suo potere. 

Cos’è il peccato? Ebbene, esiste il concetto di “peccato”, ed è ciò a cui il concetto si riferisce sulla base di qualche atto. Quindi, alcune azioni che costituiscono un peccato nascono semplicemente sulla base di quel concetto di peccato. Forse questa è un’etichetta mentale errata perché potremmo anche etichettarla come “forza negativa” o “potenziale negativo”. Giusto? Ancora una volta, questa è solo una convenzione, ma più accurata perché è anche conforme alla verità convenzionale – ciò che si dice nei vari testi. 

Se pensassimo che “peccato” sia la traduzione corretta di pāpa e digpa indipendentemente dal concetto di “peccato” sorto nel contesto della teologia cristiana, ciò sarebbe contraddetto da una mente che conosce validamente la verità più profonda.

Attraverso un processo come questo, possiamo arrivare a una comprensione accurata di qualcosa. Pensateci. Tutta questa faccenda dei fenomeni che nascono in base all’etichettatura mentale non è facile da comprendere. Tuttavia, pensate a questa spiegazione che forse può renderla un po’ più chiara. 

In breve, “peccato” è solo una convenzione e non concorda con le spiegazioni nei testi buddhisti sul significato di pāpa e digpa. È solo una convenzione, quindi potrebbero esserci convenzioni ed etichette mentali diverse: alcune sono accurate e altre no. Non esiste alcunché dalla parte di un atto che lo renda un peccato di per sé. 

È così che applichiamo il pensiero critico al comprendere qualcosa. 

L’apprendimento è decisivo

L’essere decisivo è la seconda caratteristica distintiva dell’apprendimento e significa escludere tutto il resto. Cosa resta quando abbiamo escluso tutto ciò che qualcosa non è? Resta quello che è ed è così che otteniamo la certezza su qualcosa. Lo specifichiamo escludendo tutto ciò che non è, il che significa che non è altro se non quello che è. 

Ad esempio, leggiamo che pāpa e digpa significano potenziale karmico negativo. Per avere certezza in merito bisogna escludere altre possibili traduzioni. Una volta escluse tutte le stranezze che questi termini potrebbero significare, possiamo essere certi che significano forza karmica negativa senza confonderlo con qualcos’altro. Dobbiamo pensare a tutti i possibili significati – non a tutti i significati possibili nell’universo ma a quelli che sono probabili per un certo termine nel Buddhismo – e poi escludere quelli che contraddicono i testi originali e non hanno senso. 

Lo facciamo in medicina. Come facciamo a diagnosticare una malattia? Facciamo delle analisi, escludiamo quello che non è e alla fine ci rimane quello che. Solo fare una diagnosi senza escludere altre possibilità non è così sicuro, vero? 

Ecco un semplice esempio. Avevo delle vertigini e, poiché ho la pressione alta, ho pensato che la medicina per la pressione dovesse essere modificata. Sono andato dal mio cardiologo e sì, la medicina per la pressione sanguigna doveva essere aggiustata, ma questa potrebbe non essere la causa delle mie vertigini. Quindi, ha dovuto escludere altre possibilità così mi ha mandato da un otorinolaringoiatra per vedere se il problema era nell’orecchio interno. Non era quello. Sono andato anche da un neurologo per sapere se si trattasse di un problema neurologico. Anche quello è stato escluso. In questo modo fummo certi che il problema fosse il mio medicinale per la pressione. È così che otteniamo certezze. 

È molto importante quando studiamo sollevare obiezioni – esaminare tutti i possibili significati – ed escludere quelle errate esaminandole e restringendo il campo. Allora la nostra comprensione è corretta e decisiva “Sono sicuro che questo è ciò che significa”. È molto importante. 

È facile avere comprensioni errate molto sottili. Ad esempio, comprendiamo che tutto esiste e può essere stabilito solo in termini di etichettatura mentale, tuttavia potremmo pensare che, poiché spazio e tempo sono concetti meramente concettuali, non esistono e quindi tutto esiste veramente indipendentemente dallo spazio e dal tempo. Ci sono alcune scuole filosofiche indiane che lo affermano, ma non il Buddismo. Ricordo abbastanza bene che, quando ero all’università e studiavo tutte le varie filosofie indiane, pensavo che questo fosse ciò che effettivamente affermava il Buddhismo. Questo prima di studiare con qualche maestro tibetano. Quella era una comprensione errata. Dovetti escluderlo più tardi, quando andai in India e imparai di più. 

Dobbiamo sempre verificare che cosa capiamo e quali sono le implicazioni di ciò che comprendiamo. Molto spesso sovrapponiamo al Buddhismo idee e concetti che provengono da altre filosofie. Non abbiamo specificato abbastanza bene gli insegnamenti buddhisti o confondiamo le spiegazioni di un sistema filosofico o di una tradizione tibetana con un’altra. È molto comune. Ad esempio, diciamo “Il Buddhismo afferma blah blah blah blah blah”, anche se non è affatto ciò che affermano i Theravadin o i buddhisti Zen o della Terra pura. La tradizione indo-tibetana differisce da loro su moltissimi punti. 

Se apparteniamo alla scuola Ghelug e studiamo il sistema Madhyamaka Prasanghika spesso pensiamo “Bene, Prasanghika dice questo”, mentre in realtà è solo la versione ghelugpa del pensiero Prasanghika a fare questa affermazione. Ciascuna delle altre scuole tibetane ha una diversa comprensione e anche all’interno di Prasanghika-ghelug ci sono diverse tradizioni di libri di testo dei diversi monasteri. Quando cominciamo a mescolare insieme spiegazioni di diverse scuole e di diversi maestri, non è detto che vadano molto bene insieme. Troveremo delle contraddizioni. Questo si chiama “mescolare”, fare una grande zuppa con tutto e ciò porta solo confusione. 

Questo significa che non studiamo altre scuole e spiegazioni? No, se abbiamo la capacità di non confonderci, allora possiamo – senza mescolare le diverse posizioni – vedere che qualcosa può essere spiegato in un modo, in un altro, o può essere spiegato in un terzo modo. Ci dà un quadro molto più ampio dei diversi modi in cui qualcosa può essere spiegato o compreso, come diversi livelli di...livello implica che uno è migliore dell’altro, ma diversi punti di vista e ognuno di essi ha la propria validità. Arricchiscono la nostra comprensione senza creare confusione. 

Un buon esempio che trovo molto utile è che troviamo nei testi dell’abhidharma di Vasubandhu e nei testi dell’abhidharma di Asanga definizioni leggermente diverse dei vari fattori mentali. Se impariamo entrambe le definizioni, arricchiamo la nostra comprensione. Nei testi di Buddhaghosa della tradizione Theravada ci sono ancora altre definizioni di molti di questi stessi fattori mentali. Dobbiamo ottenere ulteriori informazioni e, ancora una volta, è una questione di certezza. Certezza non significa diventare dogmatici e pensare “Questo è l’unico modo per comprendere”. 

Un confronto tra le religioni abramitica e dharmica 

C’è una differenza tra quelle conosciute come religioni abramitiche – ebraismo, cristianesimo e islam – e le religioni dharmiche – induismo, giainismo e buddhismo. Prendo spunto da un’analisi contenuta in un libro intitolato On Being Different di Rajiv Malhotra, un autore indiano che sottolinea che le nostre tradizioni abramitiche sono centrate sulla storia. 

Cosa significa? Significa che il tempo ha un inizio e ha una fine. Nell’arco del tempo lineare, una persona storica – Mosè, Gesù o Maometto – ha ricevuto da Dio la rivelazione finale della verità in un evento storico. Ciò che Dio ha rivelato loro è la verità finale e spetta a noi accettarla, non potremmo capirla da soli. Se lo facessimo “Ho avuto una rivelazione da Dio”, beh, cosa è successo a molte di queste persone che hanno detto questo? Si diceva che fossero posseduti dal diavolo e furono bruciati sul rogo come eretici. 

Le tradizioni dharmiche sono molto diverse: non sono centrate sulla storia, ognuno di noi è in grado di comprendere e realizzare da solo la verità sulla realtà. Questa è la base delle tradizioni dharmiche: vari insegnanti, incluso il Buddha, potrebbero indicarci la strada, ma ognuno deve capirla da solo. È molto diverso dalle tradizioni abramitiche, non è vero? Naturalmente, nelle tradizioni dharmiche ci sono molte diverse spiegazioni valide basate sulle esperienze di persone diverse. 

Malhotra spiega che queste tradizioni dharmiche dell’India abbracciano il caos. Non c’è problema con la molteplicità del caos, è la natura dell’universo. Se siamo mai stati o abbiamo vissuto in India, tutto – ad esempio il traffico o il sistema burocratico – è caotico, eppure tutto funziona. Nessuno ha problemi con il caos, tutti lo accettano e lo affrontano. Invece nelle tradizioni abramitiche il caos è una minaccia all’autorità dell’unica verità. Con questo atteggiamento, sentiamo di doverlo controllare, governare, assicurarci che tutto sia uniforme, o che tutti credano la stessa cosa, una verità, ecc. Molto diverso dalle religioni dharmiche, non è vero? 

Quando ci avviciniamo al Dharma e viene spiegato che questo autore spiega qualcosa del genere, quell’autore così, questa scuola così e quella scuola così, la tipica risposta occidentale a ciò è “Ma cosa significa veramente?”. Non possiamo sopportare il caos, dobbiamo controllarlo, deve esserci una verità - cosa significa veramente qualcosa. Se ci avviciniamo al Dharma in questo modo, avremo dei problemi. 

Possono esserci molte interpretazioni valide di alcuni insegnamenti del Dharma e possiamo apprendere che l’insegnamento le comprende tutte. Se siamo in grado di comprendere solo un significato in modo corretto e decisivo, dobbiamo accettare che non è l’unico modo per apprenderne il significato. È come il classico esempio di umani, fantasmi e dèi che guardano un liquido: gli umani lo vedono come acqua, i fantasmi come pus e gli dèi come nettare. Sono tutti modi corretti, tutti apprendimenti accurati e decisivi. Allora noi occidentali ci chiediamo “Ma cos’è veramente…?” Non possiamo accettare che siano tutti corretti.

Se applichiamo questo a un esempio a cui possiamo relazionarci, piuttosto che al fenomeno pus/acqua/nettare, cos’è questa cosa [indicando un orologio]? Per gli adulti è un orologio, per un bambino è un giocattolo. Cos’è veramente? Uno è più valido dell’altro? Pensateci. 

Questo è il principio base che troviamo nella terapia familiare, in particolare nella branca della terapia familiare contestuale, che è il principio di parzialità o equità multidimensionale: chiediamo a ogni membro di una famiglia come interpreta una situazione problematica e qual è il problema? Siamo onesti, a nostra volta, con tutti i membri della famiglia. Il punto è che la percezione del bambino, la percezione della madre e la percezione del padre sono tutte valide. Per comprendere davvero la situazione, dobbiamo comprendere il punto di vista di tutti. È come la situazione acqua/pus/nettare, vero? 

In breve, quando parliamo di capire qualcosa, ci sono molti modi diversi in cui possiamo capirlo. Tuttavia, ciascuno deve essere accurato e decisivo per essere affidabile e valido.

Domande 

Ho un’obiezione a credere che si debba essere decisivi. Significa aggiungere un ulteriore livello di attaccamento a una certa mentalità. Non sono sicuro del motivo per cui sia necessario se la precisione è già presente, perché ciò richiede già un certo giudizio per essere sicuri di qualcosa.

Ho fatto l’esempio: pensiamo che qualcuno abbia detto “sì”, ma in realtà non ne siamo sicuri. Potrebbe essere l’ipotesi corretta. Se la persona dice “sì” e noi sentiamo “sì”, ma non ne siamo veramente sicuri, allora non è decisivo. “Pensavo di averti visto ieri, ma non ne sono proprio sicuro”. Potrebbe essere l’ipotesi corretta. Quando indoviniamo la risposta, potremmo indovinare la risposta corretta o quella errata. Se è la risposta corretta, siamo accurati, ma è comunque un’ipotesi, non ne siamo sicuri. Quindi essere accurati non significa necessariamente essere decisivi.

Abbiamo visto le tre caratteristiche di una cognizione valida ed ora è stato detto che diversi apprendimenti possono essere validi. Qual è il loro rapporto reciproco? È vero che le tre caratteristiche non si applicano a un gruppo di persone nel suo insieme, ma a singole persone? 

Questo inizia a diventare piuttosto complicato. Cercherò di spiegarlo, ma sappiate che è un po’ complesso. 

Diciamo che nostro figlio pensa che abbiamo detto “Sì, puoi stare sveglio fino a tardi” mentre in realtà abbiamo detto “No”, quindi è contraddetto. La comprensione della situazione da parte del bambino non è accurata. Consideriamo l’esempio del fenomeno pus/acqua/nettare così come viene descritto e spiegato nel testo; ci sono caratteristiche che definiscono i fenomeni, tuttavia, non hanno il potere di stabilire l’esistenza di un fenomeno come questo o quello. Convenzionalmente ci sono dei tratti caratteristici. Non possiamo trovarli dalla parte di un oggetto, ma il fattore mentale della distinzione li riconosce, altrimenti non potremmo differenziare una cosa da un’altra. 

L’esempio che uso a questo proposito, che forse lo rende un po’ più comprensibile: abbiamo dodici uova e vogliamo fare qualche omelette. Le uova possono essere divise in tre gruppi da quattro, quattro gruppi da tre e sei gruppi da due. L’essere divisibili per tre, quattro, sei e due è una caratteristica delle dodici uova. Possiamo trovare quelle caratteristiche nelle dodici uova? Dove? Tuttavia, ci sono queste caratteristiche distintive di queste dodici uova, non è vero? Pensateci. Adoro questo esempio. 

Divisibile per quattro, tre o sei non è solo un concetto o, meglio, è un concetto che però si riferisce a qualcosa che è reale. Il punto è che ci sono molti tratti caratteristici validi di qualsiasi fenomeno. Naturalmente, essi vengono stabiliti mediante un’etichettatura mentale; tuttavia, convenzionalmente, ci sono molte caratteristiche distintive valide. 

Prendiamo l’esempio della famiglia: in termini di comportamento, qualcuno potrebbe avere a che fare con una sua caratteristica, e un’altra persona nella famiglia potrebbe avere a che fare con una caratteristica diversa. Ad esempio, il bambino dice “Non dici mai che mi ami”. Infatti, il padre non dice “ti amo” al bambino, quindi quello che dice il bambino è corretto. Il padre dice “Ma lavoro e ti fornisco una casa, cibo e ogni sorta di altre cose”. Anche questo è corretto. 

Qui abbiamo due caratteristiche distintive del comportamento del padre. Innanzitutto, il padre non dice “Ti amo” e l’altra che il padre dà tutto al bambino: entrambe sono corrette e possiamo concentrarci in modo deciso e accurato su ciascuna. Entrambe sono valutazioni accurate della situazione. La differenza sta nel modo in cui vengono interpretate. 

Questo porta all’inferenza. Il bambino dice “Non dici ti amo” e ne deduce che ciò significa che il padre non lo ami perché non lo dice. Tuttavia, il padre dice “Ma ti offro tutto questo, quindi ovviamente ti amo. Se non ti amassi, non lo farei”. Sia il bambino che il padre hanno un valido apprendimento dei fatti oggettivi della situazione, ma ciascuno etichetta mentalmente e comprende la situazione in modo diverso. È giusto che il bambino si senta non amato, ed è anche giusto che il padre si senta amorevole. Sono corretti entrambi. Tuttavia, si capiscono? No. Entrambi si afferrano al detto abramitico secondo cui deve esserci una sola verità. 

Ciò che il bambino e il padre devono imparare in questa situazione – ed è particolarmente rilevante nella terapia di coppia – è ciò che il fondatore della terapia contestuale ha spiegato come l’accettare pagamenti in valute diverse. Diciamo che il bambino vuole essere pagato in dollari (affetto) e il padre offre euro (prendersi cura del bambino). Ciascuno deve imparare che il pagamento può avvenire in entrambe le valute, che va bene ed è valido. Questo è il trucco. 

Questa è l’applicazione nelle relazioni con gli altri – e questa è un’analisi molto valida anche dal punto di vista del Dharma – che ci sono diverse spiegazioni, diversi insiemi di comprensioni, che possono essere tutte ugualmente valide. Dobbiamo imparare che esiste un altro modo (un’altra valuta, in un certo senso), in particolare quando si tratta di metodi di meditazione. Pensate alla recitazione dei mantra: i tibetani adorano i mantra e pensano siano un ottimo modo per calmare la mente e concentrarla. Ma un meditatore theravadin dirà che sono solo chiacchiere mentali e di non recitarli. 

Come lo affrontiamo? Fondamentalmente, entrambi distinguono e comprendono una diversa caratteristica della recitazione del mantra che ha senso all’interno di ciascun sistema, . Se vogliamo davvero comprendere la recitazione dei mantra, allora è utile conoscere questi diversi punti di vista. Quindi, vediamo cosa è più vantaggioso per noi. 

Se facciamo diverse meditazioni in un centro di Dharma, come fate qui – una sera la meditazione su Tara con la recitazione del suo mantra e una sera la meditazione theravada sulla consapevolezza – allora dobbiamo stare attenti. Quando recitiamo il mantra di Tara dobbiamo essere decisivi sul fatto che questo è benefico e non pensare “Beh, forse è benefico, ma i theravada dicono che è solo rumore nella testa e che devo calmare la mente”. Così non siamo decisivi sul fatto che questa sia una meditazione adeguata da fare e naturalmente non ne traiamo grandi benefici perché non abbiamo fiducia in quello che stiamo facendo e lo stiamo mettendo in discussione. Dobbiamo essere decisi riguardo ai benefici di ogni meditazione quando la facciamo.

Quindi, quando recitiamo il mantra di Tara distinguiamo una caratteristica della pratica e ciò ci aiuta a generare e rimanere concentrati su uno stato mentale benefico. Allora potremo essere decisivi riguardo ai suoi benefici. Quando stiamo praticando la meditazione di consapevolezza in un’altra occasione, distinguiamo un’altra caratteristica della recitazione dei mantra: se un mantra ci viene in mente mentre cerchiamo di calmare la mente, beh, è solo un chiacchiericcio mentale, un rumore mentale, che poi passa. Ci stiamo concentrando in modo accurato e decisivo su una diversa caratteristica della recitazione del mantra. 

Entrambi gli aspetti caratteristici della recitazione del mantra sono validi, come l’essere divisibile per quattro o tre. Tutto è valido nel proprio contesto, quindi non c’è confusione. Per gli spiriti affamati è pus, per gli esseri umani è acqua; nella meditazione su Tara, un mantra è una cosa, nel contesto della meditazione consapevole è qualcos'altro. Non c’è nessun problema o contraddizione. 

Inoltre, se proiettiamo sul Buddhismo che Buddha, come Mosè, ricevette da qualcuno la rivelazione che si dovrebbero recitare i mantra – Vajradhara disse “Recita i mantra” – e crediamo che questa sia l’unica verità, allora abbiamo molti problemi con tutta la varietà di meditazioni che vengono proposte. Non è che Buddha ha proclamato solo una verità, egli ha parlato di molte cose. È lo stesso per quanto riguarda i vari maestri buddhisti che hanno visioni pure in cui Guru Rinpoce, per esempio, rivela loro insegnamenti speciali. Ciò che ricevono non è l’unica verità.

Questo è un problema quando consideriamo il Buddha semplicemente come una figura storica e così abbiamo la versione mahayana di ciò che fece o la versione del tantra, e siamo completamente confusi. Questo perché pensiamo solo in termini di storia lineare e di eventi storici oggettivi. Una volta ho avuto una bella discussione con un mio amico indiano e lui mi ha fatto notare che la maggior parte degli indiani non crede nemmeno nella storia. Oppure pensano agli eventi epici di Krishna descritti nel Mahabharata e di Ram e Sita nel Ramayana come eventi storici oggettivi, con la stessa realtà del raj britannico. Molto diverso dal nostro punto di vista occidentale!

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