Punto 3: trasformare le circostanze avverse in un sentiero per l’illuminazione
Il terzo punto mira ad esaminare le circostanze avverse lungo il sentiero per l’illuminazione, e si suddivide in molte parti. Uno riguarda i nostri pensieri, e l’altro le nostre azioni.
Trasformare i nostri pensieri riguarda il pensiero che sta dietro al nostro comportamento, e poi alla nostra visione o prospettiva della realtà. Innanzitutto, il pensiero che sta dietro al nostro comportamento:
Quando l’ambiente e i suoi abitanti sono pieni di forze negative, devo trasformare le condizioni avverse in un sentiero per l’illuminazione, scacciando una cosa che (possiede) tutta la responsabilità e meditando con grande gentilezza verso chiunque.
Non entrerò molto nei dettagli del comportamento, ma l’enfasi principale è di realizzare che le nostre difficoltà provengono dal prendersi cura di noi stessi, e che tutte le qualità positive provengono dal prendersi cura degli altri. Dunque, dobbiamo scacciare o sbarazzarci di una cosa, ovvero l’atteggiamento egocentrico, che possiede tutta la responsabilità per la nostra sofferenza. Avendo realizzato l’importanza e i benefici del prendersi cura degli altri, meditiamo con grande gentilezza verso chiunque. Pertanto, quando soffriamo, cerchiamo di vedere questa sofferenza come il difetto e il risultato dell’atteggiamento egocentrico.
Cosa intendiamo con atteggiamento egocentrico? Beh, diciamo che siamo invitati a cena a casa di qualcuno, e preparano qualcosa che davvero non ci piace. Siamo infelici, e soffriamo. È una situazione negativa. Come possiamo cambiarla in una situazione positiva, che ci aiuti lungo il sentiero che porta all’illuminazione? Abbiamo bisogno di notare qual è il difetto, e perché stiamo soffrendo. Se cominciamo a pensare che il padrone di casa è una cattiva persona, addossando tutta la responsabilità su di lui, allora il problema è che in effetti stiamo solo pensando a noi stessi. Non stiamo pensando affatto all’altra persona che voleva preparare per noi una cena che fosse di nostro gradimento, al padrone o alla padrona di casa che non aveva nessuna intenzione di fare qualcosa che non ci piaceva. Siccome pensiamo a me e a ciò che piace a me, e quello che io voglio, soffriamo e siamo infelici. Dunque, in questo tipo di situazione, cerchiamo di usare la circostanza per attaccare la forte preoccupazione che abbiamo per me e per quello che io voglio.
La struttura qui è abbastanza simile al tonglen. Nelle visualizzazioni tonglen più forti, prendiamo il vomito e la diarrea e così via, a cui naturalmente resistiamo per via del nostro atteggiamento egocentrico. Abbiamo bisogno di superare la nostra resistenza a sporcarci e a soffrire, lasciando andare questa resistenza. In maniera simile, non facciamo molte storie per il cibo che qualcuno ci prepara per cena. Per via del nostro desiderio di dare felicità all’altra persona, prendiamo su noi stessi la sofferenza di mangiare qualcosa che non ci piace molto. Ovviamente ci sono eccezioni, ad esempio, se siamo allergici a un cibo che ci farà sentire male. Non dobbiamo essere dei fanatici. Tuttavia, ci sono modi per scusarci che sono più rispettosi del pensare solo a quello che vogliamo, e diventare irritati pensando che “Stai cercando di avvelenarmi?!”.
Un altro modo per cambiare le situazioni negative in positive è di vederle come modi per dissipare i nostri potenziali karmici negativi – qualcosa che abbiamo bisogno di fare per raggiungere l’illuminazione. Possiamo pensare: “Va bene, finiamola qui!”. È come andare dal dentista; invece di fargli usare il trapano a poco a poco nel corso di cinque sessioni differenti, potremmo fare tutto in un’unica volta e poi è finita. Facciamo tutto ora, e poi è finita, per sempre.
Quando pensiamo a prendere su noi stessi la sofferenza degli altri, ciò cambia il focus della nostra attenzione, e non pensiamo più al “povero me” che è fondamentalmente un atteggiamento egocentrico e di autoindulgenza. Ci sforziamo di seguire l’esempio di una madre il cui figlio ha il raffreddore, ma non vorrebbe nient’altro nel mondo se non che potesse avere lei il raffreddore invece di suo figlio. Se ci stiamo prendendo cura di qualcuno con il raffreddore, dovremmo essere totalmente disposti a prenderci il raffreddore noi stessi. Se siamo molto tesi al riguardo, non funzionerà. Madre Teresa diceva questo alle persone che volevano andare a lavorare con lei. Diceva che per lavorare con i lebbrosi, dobbiamo essere totalmente disposti a prenderci la lebbra. Se abbiamo paura di prenderci la lebbra, allora scordatevelo. In effetti, più abbiamo paura di prendercela, maggiori sono le possibilità di beccarcela, il che è molto ironico. Noi tutti sappiamo che quando siamo molto tesi per qualcosa che potrebbe andare storto, allora spesso le cose in effetti non vanno per il verso giusto.
La vacuità, dal meditare sulle apparenze ingannevoli come i quattro corpi di buddha, è il protettore senza pari.
Possiamo anche trasformare le circostanze difficili in circostanze positive mediante la nostra visione o prospettiva, precisamente la nostra visione della vacuità o della realtà. Le apparenze ingannevoli qui si riferiscono all’apparenza della nostra sofferenza come se fosse stabilita in maniera autonoma.
- Reminiscente di un Dharmakaya – la mente onnisciente di un Buddha, ovvero lo stato puro, naturale, della mente – che non è creata da cause e condizioni, la nostra sofferenza non nasce mai in maniera autonoma e indipendente, perché non esiste una cosa del genere.
- Reminiscente di un Sambhogakaya – le manifestazioni sottili di un Buddha – che non smettono mai di insegnare in terre pure, la nostra sofferenza non ha mai una cessazione autonoma e indipendente, che si stabilisce da sé.
- Reminiscente di un Nirmanakaya – forme di un Buddha che appaiono nel nostro mondo – che non stanno mai ferme, ma che aiutano sempre gli altri in modi che cambiano continuamente – la nostra sofferenza non permane mai in maniera autonoma, indipendente e isolata.
- Reminiscente di uno Svabhavakaya – l’inseparabilità di questi tre Corpi del Buddha – la nostra sofferenza non può mai avere una nascita, una permanenza, e una cessazione autonome, indipendenti. Siccome la sofferenza nasce, permane, e cessa in base a cause e condizioni, è totalmente priva di una nascita, permanenza, e cessazione autonome e indipendenti.
È così che trasformiamo le circostanze difficili con i nostri pensieri.
Il metodo supremo implica quattro azioni da utilizzare, (quindi) devo applicare istantaneamente alla meditazione qualunque cosa che potrò incontrare.
Trasformare le circostanze avverse con le nostre azioni implica quattro azioni o metodi che possiamo usare.
- Accumulare forza positiva – spesso questo viene tradotto con “raccogliere il merito”, che è una traduzione un po’ fuorviante. Non stiamo raccogliendo punti o francobolli e se ne abbiamo abbastanza, vinceremo un premio. Ciò a cui si riferisce è come possiamo rafforzare le nostre reti di potenziale positivo, agendo in maniera costruttiva e utilizzando le nostre qualità positive. In questo modo, possiamo trasformare le circostanze negative in positive. Ad esempio, se c’è un incidente, invece di spaventarci o deprimerci, possiamo utilizzarlo come un’opportunità per aiutare il più possibile coloro che si sono fatti male. Questo accumula ulteriore forza positiva dentro di noi, e cambia tutta la situazione.
- Purificare la nostra forza negativa – se abbiamo agito in maniera negativa e abbiamo fatto del male a qualcuno, ad esempio, potremmo sentirci in colpa dopo. Possiamo cambiare questa circostanza in una positiva facendo più pratiche di purificazione. Invece di sentirci in colpa, riconosciamo quello che abbiamo fatto e vediamo che si trattava di un errore. Ciò che abbiamo fatto non ci rende una “persona cattiva”, ma tuttavia ci pentiamo di aver agito in questo modo. Prendiamo la decisione di cercare di non ripeterlo, riaffermiamo la nostra direzione sicura nella vita, e poi facciamo qualcosa di costruttivo per controbilanciarlo.
- Fare offerte agli spiriti dannosi – affinché ci diano più sofferenza. Questo è un po’ difficile da comprendere per noi occidentali. C’è una pratica molto bella che ha sviluppato Tsultrim Allione, una mia amica che è un insegnante di Dharma in occidente. Questa pratica si basa sulla pratica buddhista del chod (taglio). La chiama “nutrire il demone”. Diciamo che le cose non stanno andando molto bene, stiamo soffrendo e siamo infelici e depressi. Immaginiamo che i nostri problemi siano causati da uno spirito dannoso o un demone dentro di noi, in qualunque forma vogliamo, che fuoriesce e si siede su un cuscino di fronte a noi. Chiediamo al demone, “Cosa vuoi?” e lui ci dice cosa vuole: “Voglio che le persone prestino attenzione a me. Voglio che le persone mi amino. Voglio stare in salute, voglio essere di nuovo giovane”, o qualunque altra cosa che ci tormenta. Poi nutriamo il demone dandogli ciò che vuole. Se vuole amore, gli diamo amore, se vuole energia e giovinezza, gliela offriamo. È una pratica molto potente e utile. Quando il demone si è riempito, molte persone scoprono che se ne va via. Sebbene in molti testi preghiamo che gli spiriti dannosi ci danneggino ancora di più, questo modo di nutrire gli spiriti è anche estremamente efficace. Ci mostra che abbiamo già dentro di noi le cose che sentiamo di non avere e di cui abbiamo bisogno, abbiamo semplicemente bisogno di attingere alla nostra forza interiore per offrirle a noi stessi.
Come con ogni pratica, il modo in cui la iniziamo e come la concludiamo sono importanti. Proprio come un programma al computer, se non lo usiamo correttamente, il computer potrebbe andare in tilt. In maniera simile, quando facciamo pratiche di meditazione che coinvolgono emozioni potenti, dobbiamo cominciare e concludere in gentilezza, o potremmo collassare. Il modo per entrare ed uscire dalla pratica consiste nel concentrarci sulla sensazione del respiro che entra ed esce dal naso, oppure la sensazione dell’addome che si espande e si sgonfia mentre respiriamo. Questo ci connette al nostro corpo e alla terra, ed è davvero utile se stiamo affrontando emozioni davvero negative o terrificanti. Se stiamo lavorando con un’esperienza emotiva molto forte, è meglio concentrarsi sull’addome. L’addome è dove è situato il chakra dell’ombelico, il centro della terra – ciò che in occidente potremmo chiamare il centro di gravità del corpo – e questo ci aiuta a radicarci di più.
Questo è davvero un esercizio interessante. Sebbene in superficie alcuni degli insegnamenti potrebbero sembrare strani, è importante approfondirli. Se in effetti prendiamo la direzione sicura o il rifugio nel Dharma, allora avremo fiducia che c’è qualcosa che ha senso, e non è soltanto una strana superstizione tibetana. È qualcosa che possiamo provare quando siamo tormentati da sensazioni come, “Voglio essere accettato, voglio avere successo. Voglio essere amato”.
- Richiedere l’influenza illuminata dei protettori del Dharma – per ricevere più sofferenza e distruggere il nostro egocentrismo. Un modo meno abile di lavorare con questi protettori consiste nel fare offerte affinché maturino i nostri potenziali positivi – in altre parole, per fare in modo che le cose vadano bene per noi. Questo non è il miglior modo per lavorare con i protettori del Dharma perché allora quel potenziale positivo finirà, collasseremo e ci rimarrà il potenziale negativo. Il miglior modo è di fare offerte e impegnarsi nelle puja affinché il nostro potenziale negativo maturi, ma in maniera ridotta. In questo modo, gli ostacoli che avrebbero potuto essere molto più grandi, vengono eliminati in una maniera molto più banale. Così ci rimangono i nostri potenziali positivi, e le cose andranno bene.
Il mio maestro Serkong Rinpoche di nuovo offre un esempio perfetto di come questo può funzionare. Ero solito viaggiare con lui come il suo interprete in tutto il mondo, e prima di partire, faceva sempre una grande puja di un protettore. Poi, all’inizio del viaggio, qualcosa andava sempre storta, ma si trattava di qualcosa di banale. Una volta prendemmo il treno notturno da Pathankot a Delhi per andare in aeroporto, ma qualcosa non andava nella nostra prenotazione. L’unico posto in cui potevamo dormire erano le cuccette proprio vicino al bagno, in un vagone di terza classe. C’erano solo due cuccette, e dunque Rinpoche e io ne prendemmo una a testa, mentre i due assistenti tibetani dovettero dormire sul pavimento. Dunque, accadde qualcosa di negativo, ma non era niente di che – c’era solo puzza e non era molto confortevole – ma questo ha eliminato ostacoli. Il resto del viaggio andò molto bene.
Dunque, con i protettori del Dharma, la cosa principale da richiedere è: “Fatemi soffrire, fate maturare i miei potenziali negativi. Li posso affrontare!”. La nostra disponibilità a provare ciò che matura fa in modo che la nostra sofferenza diminuisca, e poi gli ostacoli finiscono. Quando le cose vanno male, chiediamo che altre cose vadano anche male, in modo tale da potere eliminare il tutto. Non stiamo pregando a Dio o ai protettori del Dharma o ai Buddha che ci diano queste cose, ma i nostri desideri e le nostre preghiere aiutano a creare le condizioni affinché maturi il nostro stesso karma. È una cosa davvero molto pratica!
Punto 4: sintesi della pratica in una vita
Il quarto punto consiste nel sintetizzare la pratica in una vita tramite le cinque forze. Possiamo applicare la pratica in questa vita e anche quando moriremo. Anche questo punto è molto pratico.
In breve, l’essenza degli insegnamenti quintessenziali è di applicare le cinque forze.
- La forza dell’intenzione – in questa vita, in ciascun giorno che abbiamo, possiamo avere un’intenzione appropriata. Quando ci svegliamo al mattino, possiamo stabilire la nostra intenzione, “Che io possa aiutare chiunque; che io possa raggiungere l’illuminazione per aiutare tutti nel modo più completo”. Questo è importante non solo quando ci svegliamo, ma quando in imbattiamo in qualunque situazione difficile. Ad esempio, i bambini stanno gridando e stiamo per entrare nella loro stanza per farli calmare. Innanzitutto, dovremmo stabilire una forte intenzione, “Che io non perda la pazienza, e che io possa agire in modo amorevole e gentile per farli smettere”. Deve essere fatto in un modo tale per cui la nostra motivazione sia davvero di aiutare i bambini, non farlo semplicemente per la nostra pace mentale. Prima di andare a fare shopping, potremmo avere l’intenzione di comprare soltanto ciò di cui abbiamo bisogno, “Non comprerò cioccolato e biscotti solo perché sono avaro oppure perché avrò l’impulso di farlo in quel momento”.
- La forza del seme bianco – l’intenzione di rafforzare la nostra rete di forza positiva e di cercare di sbarazzarci dei nostri potenziali negativi. Se le cose stanno andando bene ora, è il risultato delle nostre precedenti azioni costruttive e dei potenziali positivi che ne sono scaturiti; quando le cose non vanno bene, è per via delle nostre precedenti azioni distruttive e i potenziali negativi che sono rimasti per via di tali azioni. Il seme delle nostre difficoltà è il comportamento distruttivo, e dunque cerchiamo di sbarazzarci di quel seme e di rimpiazzarlo con il seme del comportamento costruttivo.
- La forza dell’abitudine – qualunque cosa stiamo facendo, dovremmo cercare di utilizzare la situazione per accumulare ulteriormente l’abitudine positiva per cui ci prendiamo cura degli altri. Questo può includere qualunque azione neutrale che stiamo compiendo, come il mangiare. Possiamo mangiare per diventare forti in modo tale da poter aiutare gli altri. Possiamo indossare abiti caldi in modo tale da non ammalarci per poter aiutare gli altri. Anche se andiamo a dormire presto o a vedere un film, possiamo avere il pensiero che lo stiamo facendo per rilassarci, e dunque per essere in grado di accumulare la forza e l’energia di aiutare gli altri ancora di più. In questo modo, anche il rilassamento può trasformarsi in un’azione incredibilmente positiva. Ovviamente dobbiamo essere sinceri al riguardo. Non possiamo semplicemente dire, “Mi ingozzerò con tutta questa vaschetta di gelato in modo tale da poter aiutare gli altri”. Questa è solo una scusa per mangiare tutto il gelato! Qualunque cosa che facciamo, pensatela in termini di farla per il beneficio degli altri.
- La forza di eliminare tutto in una volta – non appena sorgono nella nostra mente emozioni disturbanti come l’avidità, l’attaccamento e la rabbia, cerchiamo di fare del nostro meglio per sbarazzarcene il prima possibile – immediatamente se ce la facciamo – come faremmo se il nostro gatto saltasse sul cibo in tavola proprio prima di cominciare a mangiare. Lo scacciamo immediatamente. I tibetani adorano usare gli animali per illustrare gli insegnamenti in questo modo, e spesso può essere molto utile.
- La forza della preghiera – per essere in grado di conseguire la nostra pratica. Non nel senso di “Dio, che io possa fare questo”, ma al contrario noi stessi abbiamo il forte desiderio di farlo. C’è anche l’implicazione di essere così disgustati e stufi del nostro egocentrismo che non vediamo l’ora di sbarazzarcene. È come quando una mosca vola sulla nostra testa; ci irritiamo così tanto che facciamo di tutto per farla uscire dalla stanza. Più rifiutiamo il nostro egoismo perché ne siamo disgustati, più diventa debole.
Al termine della giornata, possiamo pregare: “Che io non mi separi mai dal bodhichitta”. Serkong Rinpoche disse che non dovremmo chiedere ai nostri lama di pregare per noi affinché i nostri affari vadano bene e per non avere malattie. Al contrario, la migliore richiesta di preghiere da un lama è di pregare per essere in grado di sviluppare il bodhichitta il prima possibile. Ovviamente questa preghiera deve essere sincera, e non deve essere fatta per impressionare il lama! Questo tipo di preghiera è davvero importante perché normalmente abbiamo l’abitudine di pregare solo per le cose terrene che vogliamo.
L’insegnamento quintessenziale per il trasferimento Mahayana della mente consiste nelle cinque forze stesse, mentre dò importanza al mio sentiero della condotta.
Al momento della morte possiamo anche applicare queste cinque forze, e questo è considerato il miglior tipo di powa, o trasferimento di coscienza, a differenza di qualche metodo drammatico in cui lanciamo la nostra mente verso qualche terra di Buddha, senza che ci sia molto sentimento dietro a questo. Se non c’è nessuna comprensione di ciò che stiamo facendo, allora il nostro livello di motivazione sarà alquanto superficiale.
- La forza dell’intenzione – la cosa migliore da tenere a mente quando moriamo è l’aspirazione, “Che io sia in grado di sviluppare ulteriormente il bodhichitta e possa continuare questa pratica in tutte le mie vite future in modo tale da poter aiutare gli altri”. È molto, molto, molto importante avere quest’intenzione quando stiamo per morire. Cos’è il powa, e dove vogliamo trasferire le nostre menti? Non vogliamo andare in paradiso – questo non fa parte del Buddhismo. Vogliamo trasferire la nostra coscienza all’illuminazione.
- La forza del seme bianco – Dare tutti i nostri averi agli altri prima di morire, in modo tale da non avere nessun attaccamento a soldi, beni, o persino ai nostri corpi. Questo, di nuovo, è importante. È molto triste vedere quello che accade ai beni delle persone quando muoiono, perché spesso i parenti litigano sull’eredità, causando molti problemi. Oppure potremmo preoccuparci che semplicemente butteranno via nella spazzatura tutte le nostre cose “preziose”, perché per loro sono solo cianfrusaglie di cui si vogliono sbarazzare. È molto meglio affrontare tutto questo prima della nostra morte. Date via tutto, alle vostre famiglie, agli amici, e ai bisognosi – questo è molto meglio di buttare via tutto nella spazzatura quando ce ne siamo andati.
Superare l’attaccamento al nostro corpo, d’altro canto, non è una cosa molto semplice. Esistono molte pratiche intense che possono essere fatte a questo scopo. Ad esempio, se l’usanza della nostra cultura è di essere seppelliti sottoterra, possiamo fare un’offerta del nostro corpo ai vermi, “Vermi, avrete il mio corpo, pertanto godetevelo. Buon pranzo!”. I tibetani usano un’immagine davvero orribile, ovvero se siamo troppo attaccati al nostro corpo, rinasceremo come uno di quei vermi che strisciano lungo tutto il nostro cadavere. È davvero disgustoso, quindi cercate di non essere troppo attaccati!
- La forza dell’abitudine – meditare sul bodhichitta continuamente in modo tale che al momento della morte, man mano che la nostra mente diventa sempre più sottile, saremo in grado di rimanere focalizzati sul bodhichitta e l’illuminazione.
Dobbiamo renderci conto di come questo sia anche un insegnamento della classe più elevata del tantra. L’illuminazione è una natura di Buddha o chiara luce della mente pienamente realizzata. Nell’anuttarayoga tantra, il livello più elevato, cerchiamo di morire con la piena consapevolezza che la nostra coscienza grossolana e le menti concettuali si dissolvono nella chiara luce della mente più sottile. Cerchiamo di rimanere concentrati su tale dissoluzione completa che avverrà successivamente, segnalando la nostra morte. Nelle pratiche tantriche è lo stesso, perché dobbiamo rimanere concentrati sulla mente di chiara luce in maniera tale che diventi una pratica di bodhichitta. Si fa con l’intenzione di realizzare e dimorare in questa mente in modo tale da beneficiare gli altri.
- La forza di eliminare tutto in una volta – superare, al momento della morte, la nostra tendenza a curare il nostro corpo. Si insegna che dovremmo morire come un uccellino che vola da una roccia, senza guardare indietro. Poi, disgustati dalle nostre azioni e atteggiamenti negativi passati, cerchiamo di prendere i voti e fare autoiniziazioni prima di morire. Questo non è difficile, perché anche se abbiamo solo un po’ di coscienza, possiamo riaffermare i nostri voti del bodhisattva.
- La forza della preghiera – questo è difficile, perché si tratta di una preghiera per rinascere in un regno infernale per prendere su noi stessi la sofferenza di tutti gli altri, e per non essere separati dal bodhichitta. Come potremmo mai essere sinceri al riguardo?! Proprio come chiediamo l’aiuto dei protettori del Dharma affinché ci diano le circostanze per bruciare i potenziali negativi, in maniera simile rinascendo in un regno infernale, li elimineremmo, e questa sarebbe la loro fine. Abbiamo bisogno di provare che finché abbiamo il potenziale di rinascere all’inferno o come un animale, sarebbe meglio finire questo potenziale in modo tale che grazie al bodhichitta, potremo continuare sul sentiero per l’illuminazione.
Cos’è il desiderio di andare all’inferno? Non è che vogliamo andare perché siamo persone cattive, o ce lo meritiamo. Il desiderio di rinascere lì è motivato dall’intenzione di aiutare gli altri il più possibile, e per questo motivo dobbiamo sbarazzarci dei nostri ostacoli karmici. Invece di avere paura e repulsione per situazioni di rinascite difficili, le invitiamo come possibilità per bruciare i nostri potenziali negativi.
Possiamo anche avere l’aspirazione, “Che questo possa bastare per tutti coloro che devono rinascere in un inferno”, e dunque non stiamo solo pensando a noi stessi. Grazie alla motivazione positiva, i potenziali negativi matureranno in qualcosa di molto ridotto. Si dice che con una forte motivazione di bodhichitta, la rinascita in un inferno è come una palla che rimbalza. Rimbalzeremo in un regno infernale per alcuni momenti e poi ne usciremo, ma questo comunque brucia tantissimo potenziale negativo. Naturalmente, funziona solo se la motivazione è sincera: “Voglio realmente sbarazzarmi di questi ostacoli in modo tale da poter aiutare gli altri di più”. Se abbiamo la motivazione semplicemente di non voler stare per un lungo tempo in un regno infernale, allora non funzionerà.
Molte persone associano l’idea degli inferni a religioni diverse dal Buddhismo, e siccome potrebbero aver avuto esperienze difficili con una di queste religioni, non vogliono sentir parlare degli inferni nel Buddhismo. Questo è poco lungimirante. Un modo per comprendere gli inferni è di considerare come, in quanto esseri umani, ciascuno dei nostri organi sensoriali è limitato nella sua abilità di percepire l’intero spettro di informazioni nel suo specifico campo sensoriale. Ad esempio, possiamo solamente percepire luce visibile, ma non luce ultravioletta o a infrarossi. Non possiamo sentire molti suoni o odori in maniera tanto raffinata quanto quella di un cane. In maniera simile, devono esserci livelli di piacere e dolore che vanno al di là di quello che i nostri sensori corporei delle sensazioni fisiche possano processare. Oltre un certo livello di dolore, entra in gioco un meccanismo automatico che ci fa svenire. Una rinascita infernale sarebbe una con un corpo che possiede l’abilita sensoriale di provare, in piena coscienza, gli estremi più elevati dello spettro del dolore. Per me, almeno, questo sembra molto plausibile.
Se abbiamo tuttavia paura di rinascere all’inferno, allora non dovremmo assolutamente fare questa pratica. È affermato in maniera molto chiara negli insegnamenti del Buddha, che un bodhisattva di livello inferiore non dovrebbe tentare di fare pratiche che sono adatte a bodhisattva di livello superiore. La volpe non dovrebbe saltare dove può solo il leone. Queste sono pratiche molto difficili e avanzate. Tra queste cinque forze, possiamo certamente cercare di rimanere focalizzati sul bodhichitta mentre moriamo, e dare via i nostri averi prima in modo tale da non avere molto attaccamento. Non abbiamo bisogno di morire e lasciare pasticci dietro di noi, ma possiamo preparare tutto in anticipo. Possiamo morire senza nessun rimpianto, e senza nessuna questione in sospeso.