Sviluppare interesse nel beneficiare le vite future

Le origini del testo del testo

Questo testo fu composto da Atisha, un grande maestro indiano vissuto circa 1.000 anni fa, che intraprese un lungo e difficile viaggio per andare studiare nell’isola di Sumatra, in Indonesia, ove il Buddhismo si era già diffuso da molto. Vi si recò in particolare per ottenere da un famoso maestro gli insegnamenti su compassione, bodhicitta e argomenti correlati che non erano ben preservati in India a quel tempo, e portò con sé alcuni di quei lignaggi.

Si trovava in uno dei grandi monasteri indiani nel nord dell’India, Vikramashila, quando fu invitato dal re del Tibet occidentale a recarsi lì; all’epoca c’era molta confusione sul Buddhismo e il re voleva il suo aiuto per farlo rivivere. Ci sono varie versioni della storia: la cosiddetta versione buddista “pia”, la versione buddista “santa”, e poi c’è una versione più storica di ciò che è realmente accaduto.

C’era stata una repressione del Buddhismo circa 150 anni prima in Tibet che, in realtà, era un movimento contro i monasteri e quella che era percepita come una politica di eccessivo sostegno alla religione da parte del precedente re, che aveva assegnato molte case e villaggi per sostenere i monasteri e i monaci. Il problema era che non arrivavano soldi al governo. Era un po’ fanatico della religione e suo fratello, il famigerato re Langdarma, lo assassinò e si impadronì del trono.

Fece chiudere i monasteri, ma non li distrusse né uccise tutti i monaci, così le biblioteche erano ancora intatte quando arrivò Atisha. In ogni caso, non c’erano grandi centri di apprendimento e così, mentre l’impero del Tibet si frammentava nel corso degli anni, la gente non capiva più gli insegnamenti. Questa era la situazione: la gente aveva delle idee molto strane su cosa fosse la pratica buddhista, prendendo gli insegnamenti, in particolare riguardo al tantra, molto letteralmente, senza capirli davvero.

Fu in quel periodo di frammentazione che un re del Tibet occidentale, Yeshe Ö, decise di invitare dei traduttori e di inviare delle persone in India per imparare le lingue, e alla fine invitò Atisha. C’è una lunga storia nelle storie buddiste del sacrificio che il re Yeshe Ö fece per portare Atisha in Tibet. Da un punto di vista storico, sembra piuttosto dubbio che quella storia sia realmente accaduta.

Atisha arrivò in Tibet attraverso molte difficoltà, in particolare quella di uno dei successivi re, il nipote di Yeshe Ö, Jangchub Ö; è il discepolo menzionato nel testo. Atisha rimase lì per diversi anni, contribuì a chiarire molti malintesi e fu una delle figure principali di quella che viene chiamata la “seconda fioritura” del Dharma in Tibet. Scrisse questo testo nel Tibet occidentale e sperando che avrebbe aiutato anche gli indiani. Questo testo è considerato molto importante per l’intero genere di letteratura che venne in seguito chiamato lam-rim, gli stadi graduali del sentiero verso l’illuminazione.

Questi stadi possono essere presentati in molti modi diversi e li troviamo in tutte le quattro tradizioni del Buddhismo tibetano. Sebbene il contenuto di questo sentiero graduale sia lo stesso in tutte e quattro le tradizioni, la struttura effettiva di come viene presentato è leggermente diversain ciascuna di queste. La struttura che Atisha usa è quella dei tre scopi spirituali che è stata poi seguita nella tradizione kadam che da Atisha prosegue fino alla tradizione ghelug, la tradizione kadam rinnovata dopo che si era divisa in molti rami. La stessa struttura dei tre scopi è usata anche in una delle tradizioni kagyu, la shangpa kagyu.

Ecco una breve panoramica delle origini del testo. 

Omaggio

Atisha inizia qui:

Mi prostro al bodhisattva il giovane Manjushri.

È riportato il nome del testo in sanscrito e poi il nome in tibetano; in italiano il nome è Una lampada per il sentiero verso l’illuminazione. È tradizione sempre riportare prima il titolo in sanscrito, lingua in cui fu composto. Per rispetto è dato prima il titolo in sanscrito, poi in tibetano. I testi indiani tradizionali iniziano sempre con un omaggio o una prostrazione. Manjushri è l’incarnazione della saggezza o della chiarezza mentale e della comprensione di tutti i Buddha. Spesso la prostrazione viene fatta a lui all’inizio dei testi.

Promessa di comporre 

In Occidente, spesso abbiamo un piccolo riassunto all’inizio di un articolo che ci anticipa il contenuto; questa è anche la tradizione indiana. Atisha dà quella che viene chiamata la “promessa di comporre”. Anticipa gli argomenti trattati.

(1) Essendomi prostrato nel modo più rispettoso a tutti i Trionfanti dei tre tempi, al loro Dharma e alla comunità del Sangha, accenderò una lampada per il sentiero verso l’illuminazione, essendo stato esortato dal mio eccellente discepolo, Jangciub Wo. 

I Trionfanti” sono i Buddha. Gli insegnamenti iniziano sempre con l’omaggio, quindi qui c’è la prostrazione alle tre gemme supreme. Sono chiamate “gemme” perché sono molto rare e preziose; le chiamiamo, in sanscrito, Buddha, Dharma e Sangha. Poi dice “accenderò una lampada per il sentiero verso l’illuminazione”, che è il titolo effettivo del testo, cercando di illuminare ciò che accade su quel sentiero.

Atisha fu incaricato dal successore di Yeshe Ö, Jangchub Ö, suo discepolo, di scrivere questo testo. Ciò segue un principio buddhista di base, ovvero che un maestro insegna solo quando richiesto, tranne in circostanze eccezionali quando c’è un discepolo eccezionale e l’insegnante vede una connessione speciale. Quindi, un insegnante può offrirsi di insegnare, ma normalmente il discepolo deve richiederlo. Non è un tipo di religione missionaria in cui l’insegnante cerca di diffonderla alle persone.

Nel secondo verso, Atisha dice più specificamente di cosa scriverà:

(2) Siccome (i praticanti) si trovano ad avere (capacità) piccole, intermedie, e supreme, essi sono noti come le tre tipologie di persone spirituali. Quindi descriverò queste divisioni specifiche, chiarificandone le caratteristiche distintive. 

Ci sono diversi ambiti spirituali che si attraversano, definiti come “diversi livelli di motivazione”. Tuttavia, questa parola “motivazione” in italiano non rende esattamente il significato corretto bensì si riferisce alle ragioni psicologiche o emotive per cui facciamo qualcosa. Ad esempio, siamo motivati dall’avidità, dalla rabbia, dalla gelosia o dall’amore e dalla compassione.

Sebbene lo stato emotivo che ci motiva a fare qualcosa, in particolare la nostra pratica spirituale, sia un fattore importante da esaminare, non è a questo che si riferisce la parola tibetana. Si riferisce allo scopo: a cosa miriamo, all’obiettivo. Quando seguiamo un sentiero spirituale, i nostri obiettivi cresceranno. Ecco di cosa parla quando dice “avere” questi diversi scopi. Usa una parola che significa che si sviluppano e crescono, da uno scopo spirituale all’altro.

Ciò implica due cose: che ci siano varie persone che potremmo incontrare che hanno uno di questi obiettivi spirituali, anche se il punto principale qui non è classificare le persone in base al loro obiettivo spirituale. Tuttavia, dire “piccole, intermedie e supreme” non sono giudizi di valore degli altri ma si riferiscono a un processo organico che ognuno di noi deve attraversare per maturare sul cammino spirituale.

È come un fiore che sboccia: inizia piccolo, poi è intermedio e poi è completamente aperto. In questo modo, diventa più grande e più pieno. Allo stesso modo, l’obiettivo della nostra pratica può iniziare molto piccolo, molto limitato, ad esempio “Ho molti problemi e vorrei essere felice, in qualche modo migliorare le cose”. Potremmo iniziare così, avendo l’obiettivo di diventare più felici. Tuttavia, man mano che cresciamo e maturiamo sul cammino spirituale, le nostre menti e i nostri cuori si aprono sempre di più e il nostro obiettivo diventa sempre più ampio.

Ecco di cosa parla Atisha, di questi livelli di crescita. Sebbene per varie ragioni potremmo essere naturalmente inclini a uno o all’altro di questi scopi, per un sentiero spirituale stabile è molto importante attraversare effettivamente ciascuno di questi livelli. Ci sono alcune persone che sono naturalmente molto amorevoli e pensano di aiutare tutti e così via, il che è molto bello. Potremmo pensare “Questo è lo scopo avanzato, il Mahayana, quindi posso saltare i primi due livelli. Non ne ho davvero bisogno perché sono avanzato. Il mio obiettivo è già superiore”.

Molti fanno anche peggio: vedono le varie figure tantriche che vengono pubblicizzate, come la pubblicità fuori da un cinema che rende i film davvero emozionanti in modo da attrarre le persone, facendo sì che le persone vogliano vederli. Alcuni presentano il tantra in questo modo e lo facevano anche al tempo di Atisha; questo è uno dei motivi per cui il re lo invitò. Avviene anche oggigiorno, mi dispiace dirlo. Le persone pensano “Sono attratto da questo, quindi non devo fare nulla di ciò che viene prima. Sono una persona eccezionalmente avanzata”.

Se ci lanciamo immediatamente nella pratica Mahayana regolare o in quella tantrica, senza lavorare seriamente su questi livelli iniziali, allora incontreremo problemi piuttosto seri sul cammino spirituale. Non solo non abbiamo fondamenta, ma non abbiamo nemmeno radici nel terreno. Ciò che facciamo alla fine si rivela non essere nemmeno buddhista, bensì una specie di viaggio fantasy alla Disneyland, in cui ci immergiamo nella nostra terra delle fate tantrica. Atisha afferma qui molto chiaramente che il cammino spirituale è di crescita e maturità graduali; come ho detto, come un fiore. Atisha dice “descriverò queste divisioni specifiche, chiarificandone le caratteristiche distintive”.

Ciò che è davvero un po’strano, devo dire, è che Atisha dedica solo un verso agli scopi iniziale e intermedio, e tutto il resto del testo riguarda lo scopo avanzato. Ha composto anche suo commento a questo testo, e persino lì non scrive nulla sui primi due scopi, dicendo che se ne parla altrove. Ciò solleva davvero una domanda: perché l’ha scritto in quel modo? Cosa succede qui?

Gli insegnamenti che avrebbero dovuto essere descritti per gli scopi iniziale e intermedio sono già presenti in una forma piuttosto espansa nel successivo principale testo di lam-rim, il Gioiello ornamento della liberazione di Gampopa. Atisha era un contemporaneo di Marpa, che visse un po’ più tardi, e Gampopa era discepolo di Milarepa, che era discepolo di Marpa. È probabile che sia stato scritto circa un secolo dopo.

Gampopa è famoso per aver combinato i lignaggi kadampa, seguiti da Atisha, con i lignaggi mahamudra. Ciò significa che Gampopa non ha inventato gli insegnamenti per questi scopi iniziali e intermedi; anche se non usa quei termini - non parla dei tre scopi - è lo stesso materiale, ma non usa quella struttura. Ciò implica che quegli insegnamenti erano presenti nella tradizione kadam e ciò significa che dovevano provenire da Atisha.

Pertanto, la conclusione logica è che Atisha insegnò molto più ampiamente sugli scopi iniziale e intermedio mentre era in Tibet, ma non in questa opera perché, come dice nel suo commento, è altrove. Qui sono fondamentalmente descritti gli insegnamenti del bodhisattva, ciò per cui andò in Indonesia (Sumatra), per riportarli indietro. Questo era ciò che riteneva fosse più raro da scrivere.

Lo dico perché penso che sia una logica sbagliata concludere dal testo che, poiché solo due strofe sono dedicate allo scopo iniziale e intermedio e 64 per lo scopo avanzato, allora i primi due scopi sono davvero banali, poco importanti e non dobbiamo dedicarci molto tempo. Secondo me è una logica sbagliata.

Quali sono le caratteristiche distintive di questi tre livelli?

Lo scopo iniziale 

(3) Chiunque abbia un interesse intenso a (raggiungere), in qualche modo, semplicemente la felicità del samsara che ricorre in modo incontrollabile è noto come una persona dalla minima capacità spirituale. 

Lo scopo iniziale mira solo alla felicità del samsara per se stessi. Quando guardiamo ai lam-rim che seguono da questo, potremmo pensare che sia un po’ diverso qui perché, nelle formulazioni successive dove è spiegato più ampiamente, si dice abbastanza specificamente che lo scopo iniziale mira a migliorare le vite future. “Migliorare la felicità del samsara”, non include anche la felicità del samsara in questa vita?

Poiché il samsara include sia questa vita che quelle future, potremmo pensare che entrambi questi obiettivi, la felicità in questa vita e la felicità nelle vite future, siano inclusi qui nello scopo iniziale. Come ho detto, questo è un punto cruciale per il sentiero spirituale, perché leggiamo “Qual è la linea di demarcazione tra le persone spirituali, qualcuno nel Dharma e qualcuno non nel Dharma”? L’essere più interessati a migliorare le vite future che questa vita.

Anche un animale si impegna solo per migliorare questa vita; non c’è niente di straordinariamente spirituale in uno scoiattolo che mette via le noci per sopravvivere all’inverno, se non quello di essere felice e migliorare questa vita. O qualcuno che costruisce una casa per essere felice, non è particolarmente spirituale. Una persona veramente spirituale è quella che pensa in termini di miglioramento delle vite future.

Questo rappresenta un ostacolo importante per la maggior parte di noi occidentali che crede nelle vite passate e future. Nelle nostre religioni occidentali abbiamo discussioni sull’aldilà, su paradiso e inferno, ma quante persone che si avvicinano al Buddhismo credono nel paradiso o nell’inferno?

Questa parola “samsara” usata qui, “samsara che ricorre incontrollabilmente” come la chiamo io, in realtà parla di rinascita che avviene ripetutamente sulla quale non abbiamo alcun controllo.

Ora, faccio una distinzione tra Dharma-light, che è come la Coca-Cola light, e il Dharma reale, che è la vera Coca-Cola. Il vero Dharma parla di rinascita, presuppone assolutamente che tutti credano nelle vite passate e future, è dato così per scontato che non se ne parla nemmeno. Dharma-light è ciò da cui noi in Occidente ci sentiamo spesso molto più attratti, ovvero parlare della pratica del Dharma e del suo scopo limitato a questa vita.

Non pensiamo solo in termini di gratificazione e felicità immediate, ma anche di migliorare la nostra situazione più avanti nella vita, ma sempre in questa vita. Il samsara si riferisce alle “situazioni incontrollabilmente ricorrenti”, io lo traduco in questo modo. Entriamo in una relazione di dipendenza malsana e problematica con qualcuno, non funziona, ci lasciamo e poi ne entriamo in un’altra. È di nuovo la stessa dipendenza, poi finisce e ne instauriamo un'altra. Si ripete incontrollabilmente: questo è il samsara.

Ci rivolgiamo agli insegnamenti buddhisti per uscire da questa sindrome incontrollabilmente ricorrente che porta molto dolore e sofferenza. Consideriamo anche questi tre scopi in termini di questa vita. Con quello iniziale vogliamo migliorare un po’ le cose, con quello intermedio vogliamo ottenere la liberazione da tutti i problemi, non solo migliorarli un po’ e con il livello avanzato vogliamo aiutare tutti gli altri a raggiungere lo stesso obiettivo. Ciò descrive una progressione di obiettivi e, da un certo punto di vista, potremmo dire che questi sono scopi spirituali. Ma lo sono davvero?

Non lo so. Forse li potremmo raggiungere anche seguendo una qualche terapia occidentale; penso che non ci sia molta differenza tra una tale formazione buddhista e una forma di terapia più sofisticata. In altre parole, questo riduce il buddhismo a un’altra forma di terapia; è ciò che chiamo Dharma-light, come la Coca-Cola light, con insegnamenti di base che piacciono a tutti, che sono frizzanti come la Coca-Cola, “Sii una brava persona” e “Non fare del male a nessuno”, e così via. Non c’è niente di sbagliato nella Coca-Cola light e nemmeno nel Dharma-light: è molto utile. Tuttavia, se guardiamo alle vere definizioni di cosa sia la pratica del Dharma, non è proprio così.

Il vero Dharma (abbiamo parlato di questi tre scopi) è innanzitutto il desiderio di migliorare le vite future, il che ovviamente presuppone che comprendiamo e crediamo nella loro esistenza; altrimenti, perché vorremmo migliorarle? Ovviamente, ciò richiede di comprendere le vite passate e future secondo la spiegazione buddhista, non secondo quella indù, cristiana o altre. Quindi, lo scopo intermedio è il desiderio di ottenere la completa liberazione dalla rinascita, non rinascere più. Come possiamo aspirare alla liberazione dalla rinascita se non crediamo nemmeno nella rinascita?

Quindi, lo scopo avanzato consiste nel lavorare per aiutare a liberare tutti dalla rinascita. Ma se non crediamo alla rinascita, perché dovremmo aiutare qualcuno a liberarsene? Nell’anuttarayoga tantra si medita su morte, bardo e rinascita per superarli e aiutare gli altri a superarli. Ma se non crediamo alla rinascita, perché pratichiamo il tantra? È una barzelletta.

Torniamo al testo di Atisha. Ovviamente, la rinascita è un punto centrale dato totalmente per scontato negli insegnamenti del Buddha. Atisha non specifica cosa intende per felicità del samsara nello scopo iniziale, così possiamo intenderlo in due modi. Uno è migliorare le vite future, e questo è il modo in cui lo interpretano tutti i successivi lam-rim che elaborano su questo. Penso che ci sia un altro modo di interpretarlo, che sarebbe quello di lavorare per la felicità del samsara sia in questa vita che in quelle future.

Tuttavia, questo non significa sforzarsi solo per questa vita senza alcun interesse per quelle future. Per essere fedeli alla tradizione dovremmo dire “impegnarsi per la felicità di questa vita come un trampolino di lancio per impegnarsi per la felicità delle vite future”. Nella nostra fase diremmo “Non capisco davvero gli insegnamenti del Buddha sulla rinascita…”.

In realtà, sono molto complicati. Per comprenderli dobbiamo capire che la mente non ha inizio né fine e cosa effettivamente passa di momento in momento, il che si adatta a tutti gli insegnamenti buddhisti sul fatto che non esiste un sé solido. Diremmo:

“Ok, ammetto che non lo capisco ancora davvero, riconosco che la rinascita è molto importante e centrale nel percorso buddhista. Ho un sincero interesse e l’intenzione di provare a capire gli insegnamenti sulla rinascita, di impararli, di pensarci e meditarci davvero, cercando di capirli in modo che migliorare le vite future significhi effettivamente qualcosa per me a livello emotivo e non siano solo parole. Non è come il paradiso per i cristiani, non è affatto ciò di cui parla il buddhismo. Nel frattempo, praticherò il Dharma-light e mi impegnerò per cercare di migliorare questa vita come trampolino di lancio”.

Penso che Atisha abbia formulato questa caratteristica definitoria dello scopo iniziale in modo da consentire quella seconda interpretazione, anche se non è l’interpretazione classica tibetana, perché - ora dobbiamo entrare in un dibattito veloce - se lavorare per la felicità del samsara non includesse anche la felicità di questa vita, allora ne conseguirebbe l’assurda conclusione che questa vita non è samsara e questo non possiamo accettarlo.

È per questo motivo che parlo di queste fasi di Dharma-light e Dharma reale. Penso che sia molto importante per noi occidentali che ci avviciniamo a materiali come il testo di Atisha; altrimenti, ci facciamo un’idea davvero molto instabile del contenuto, mal interpretandolo “Sta solo parlando di questa vita; non pensare alle vite future o cose del genere”. Ma, dalla mia esperienza del Buddhismo in Occidente, questo non è il vero Dharma: c’è qualcosa che manca molto davvero qui.

Quindi, quali sono gli insegnamenti dello scopo iniziale? Non voglio spendere molto tempo sugli scopi iniziale e intermedio perché Atisha non lo fa. In breve, ciò che si deve fare per ottenere la felicità del samsara - questa vita e le vite future – è avere il “rifugio”.

“Rifugio” ha una connotazione troppo passiva; implica andare dal Buddha e dire “Oh Buddha aiutami, salvami”, e poi veniamo salvati. Non è affatto così, significa piuttosto “una direzione sicura nella vita”, quindi è qualcosa di attivo: andiamo in quella direzione che è sicura in quanto ci salviamo dai problemi. Cosa indica quella direzione? Le tre gemme rare e supreme. Il Dharma è la principale, parla della rimozione totale di tutti i problemi, delle loro cause e dello stato mentale che li eliminerà e di quello che risulta quando questi problemi e le loro cause vengono eliminati. Queste sono la terza e la quarta nobile verità: lo stato dei problemi che vengono rimossi e la mente che li rimuove. Questo è ciò a cui miriamo.

Ciò non esiste solo in astratto, deve esistere nel continuum mentale di qualcuno. I Buddha sono coloro che l’hanno raggiunto pienamente e ci insegnano come farlo noi stessi. Il Sangha è la comunità di esseri altamente realizzati che hanno raggiunto questo obiettivo non ancora completamente, ma in parte, perché hanno avuto una cognizione non concettuale della vacuità, della realtà. Sono molto, molto avanzati.

Questa è la prima cosa di cui abbiamo bisogno per ottenere la felicità del samsara: una direzione sicura nella vita e una direzione chiara di cosa stiamo facendo, a cosa stiamo mirando, qual è lo scopo della nostra vita.

Le persone spesso banalizzano il rifugio in una breve cerimonia in cui tagliamo una ciocca di capelli, ripetiamo alcune parole in tibetano, riceviamo un nome tibetano e basta; ora siamo entrati a far parte del club buddhista tibetano e possiamo indossare un cordino rosso al collo. È così incredibilmente banale che sembra uno scherzo. Avere davvero una direzione sicura nella nostra vita, sapere qual è, essere chiari al riguardo ed essere fiduciosi che è possibile raggiungere questo obiettivo noi stessi, non solo questi Buddha del passato, e poi attivamente pensare “Sto per dare quella direzione alla mia vita, questo è ciò per cui mi impegno. La mia vita ha un significato, ha una direzione”, questo è un enorme cambiamento nella vita, una svolta incredibile.

Per ottenere la felicità del samsara abbiamo bisogno di avere una direzione positiva e sicura nella nostra vita. Ci sforziamo per liberarci dei nostri problemi e delle loro cause, per ottenere questo stato mentale che li rimuoverà, nel modo in cui i Buddha hanno fatto in pieno, completamente, e nel modo in cui il Sangha ha fatto parzialmente. Ora, per raggiungere questo obiettivo, abbiamo bisogno di alcune circostanze favorevoli a questo. Prima di tutto, guardiamo se le abbiamo nella nostra situazione attuale: si chiama la preziosa vita umana.

Dobbiamo apprezzarla e riconoscerla; trarne vantaggio e usarla per seguire questo sentiero, perché un giorno finirà; la morte arriverà di sicuro. Se pensiamo in termini di Dharma reale, quando moriamo rinasceremo e potrebbe essere molto peggio. Potremmo nascere in una situazione, come scarafaggi, in cui non abbiamo una vera possibilità di migliorarla. Tutti quelli che ci vedono vorranno solo calpestarci ma, poiché vogliamo evitarlo, ora dovremmo fare qualcosa ora per impedirlo. Questo ci porta agli insegnamenti sul karma.

Il karma parla di impulsi che ci spingono a fare qualcosa in modo compulsivo, e questi provengono da abitudini derivanti dal nostro comportamento precedente. Ci sono molti insegnamenti su quali siano i diversi tipi di azioni distruttive; quindi, non c’è bisogno di entrare nei dettagli. Tuttavia, uccidere, rubare, mentire, pensare costantemente “Come posso ottenere ciò che ha qualcun altro?”, sono tutte azioni distruttive, e il commetterle ci porterà a ripetere compulsivamente questi tipi di azioni e a trovarci in situazioni in cui altre persone si comportano in quel modo nei nostri confronti e, in generale, a sperimentare sofferenza.

Se agiamo in modo costruttivo, astenendoci dall’agire in modo distruttivo, allora è esattamente l’opposto. Voglio sottolineare che il solo fatto che io non vada a caccia o a pescare, di per sé non è costruttivo; quindi, di per sé non costituisce un’azione costruttiva di cui stiamo parlando che invece ha luogo quando c’è l’impulso di uccidere, come una zanzara che ci ronza intorno al viso e in quel momento decidiamo di non ucciderla, perché ci rendiamo conto che sarebbe distruttivo e porterebbe a infelicità e difficoltà future. In realtà è costruttivo astenersi dall’agire in modo distruttivo quando vogliamo agire in quel modo.

L’agire in modo distruttivo porta infelicità, in modo costruttivo porta felicità. Tuttavia, quando osserviamo le nostre vite vediamo che qualcuno ruba e non viene mai preso, ottiene molti soldi, è in grado di comprare ciò che vuole ed è felice. Cos’è questo? O un monaco in Tibet che ha meditato e fatto ogni sorta di cose positive e costruttive, e poi viene gettato in una prigione cinese e torturato a morte. Dov’è il karma in questo?

Oppure “Sono stato un bravo praticante e mi sono impegnato tanto nella mia vita, e poi mi è venuto un cancro orribile e sono morto in modo molto doloroso”. Se non si pensa in termini di vite future e si pratica il Dharma solo basandosi su questa vita, allora sorgono domande e problemi molto seri con il karma “Stavo praticando così bene, e ora ho questo cancro orribile” e pensiamo “Il Dharma è inutile, avrei dovuto provare felicità come risultato della mia pratica: non ha funzionato”.

Ecco perché è molto importante fin dall’inizio avere una certa comprensione delle rinascite, in quanto il karma matura principalmente nelle vite future; alcuni possono maturare in questa vita, ma la maggior parte in quelle future. Altrimenti, è molto difficile avere davvero fiducia in questi insegnamenti.

Nello scopo iniziale, l’astenersi dal commettere azioni distruttive ci consentirà di ottenere circostanze favorevoli in futuro. Tuttavia, questo non è l’obiettivo finale. L’obiettivo del Buddhismo non è rinascere in un paradiso, ci sono molte altre religioni per ottenerle. L’intero scopo iniziale in realtà non è così buddhista di per sé. Possiamo pensare “Beh, ho una vita preziosa e voglio usarla perché morirò e non voglio andare all’inferno ma in paradiso. Quindi, sarò una brava persona”.

Non è necessariamente buddhista, vero? Si potrebbe seguire quel percorso ed essere cristiani. Ciò che lo rende buddhista è che migliorare le vite future significa continuare ad avere circostanze favorevoli in modo da poter raggiungere questo obiettivo di cui stiamo parlando in termini di direzione sicura. Possiamo praticare una versione valida di Dharma-light dicendo:

“Ok, ora cercherò di evitare comportamenti distruttivi perché voglio continuare in questa vita ad avere le circostanze che saranno più favorevoli alla pratica del Dharma perché un giorno morirò. Non so quanto tempo ho e voglio trarne il massimo per il mio sentiero spirituale sapendo che, se agisco in modo distruttivo, sto davvero sprecando il mio tempo. Mi rendo anche conto che ciò che sperimenterò in questa vita non è determinato o modellato esclusivamente da ciò che faccio in questa vita; molto sarà maturazione da vite passate. Cercherò di purificare il karma negativo il più possibile, rendendomi conto che non posso liberarmene completamente finché non otterrò la liberazione che è molto lontana”. E “Mi impegno in questo modo con questa direzione sicura, lavorando con il karma e così via”.

Questo è l’obiettivo iniziale, con la disposizione “Voglio capire le vite future, e vedo che questo è un passo necessario per migliorarle. Se voglio davvero fare progressi dovrò affrontare il tema della rinascita ed esaminarlo molto seriamente”.

Questo è lo scopo iniziale. 

Domande 

Potrebbe rileggere la strofe riguardante lo scopo iniziale?
(3) Chiunque abbia un interesse intenso a (raggiungere), in qualche modo, semplicemente la felicità del samsara che ricorre in modo incontrollabile è noto come una persona dalla minima capacità spirituale. 

Atisha parla dell’utilizzare qualche tipo di metodo per ottenere la felicità del samsara per se stessi. Ovviamente, non intende “Diventa ricco con qualsiasi mezzo tu possa, imbrogliando gli altri e così via, per poter comprare tutto ed essere felice”. In realtà, solleva una domanda molto interessante “Qual è la felicità del samsara?” È qualcosa su cui riflettere. Cosa intendiamo per felicità? “Voglio essere felice”. Cos’è in realtà quella felicità che stiamo cercando? È un argomento su cui riflettere da soli.

Questa è una bella domanda perché, se rubi dei soldi e costruisci una casa per la tua madre anziana, puoi essere felice.

Di nuovo domandiamoci “Cos’è quella felicità che proviamo? Quanto durerà? Com’è quella sensazione?”. “Sono nella mia stanza e non mi sento molto felice. Non so esattamente perché, ma mi sento infelice e vorrei essere felice”. Bene, cos’è che vorremmo sentire? Cosa ci farebbe sentire così? Durerà? Non è una domanda a cui rispondere superficialmente. Quando Atisha dice “in qualche modo”, intende con mezzi distruttivi?

Ciò ci porta agli insegnamenti sul karma, è molto complesso. L’atto di rubare i soldi ci ha dato un tipo di risultato: ora abbiamo i soldi e, come risultato, abbiamo costruito una casa e nostra madre anziana ha una casa. Ci sentiamo felici vedendo che ora ha una bella casa, tuttavia, da un punto di vista buddhista, quando parliamo di felicità derivante da un’azione costruttiva e infelicità derivante da un’azione distruttiva, non ci riferiamo a questo tipo di risultato. Questo è più simile a un risultato meccanico: rubiamo i soldi e poi abbiamo soldi, questo è il risultato meccanico, non il risultato karmico dell’azione.

Potremmo costruire una casa e nostra madre potrebbe odiarla. Che a nostra madre piaccia o no è il risultato del suo karma. Che ci sentiamo felici o meno è anche il risultato del nostro karma, non è il risultato dell’azione. L’azione del rubare ci ha solo permesso di costruire la casa; ciò che sentiamo è qualcos’altro. Potremmo comunque avere molte discussioni con nostra madre e non essere molto felici.

Quindi significa che non importa cosa succede, ma solo come ci sentiamo al riguardo?

No, non è questo che sto dicendo ma che ciò che accade e ciò che proviamo al riguardo possono derivare da cause diverse. Potremmo rubare i soldi, costruire la casa, ma la casa crolla. Oppure la casa potrebbe bruciare, molte situazioni potrebbero verificarsi, è molto complicato. Ognuna di queste deriva da una causa karmica. Non sto parlando solo della causa meccanica di “hai rovesciato la lampada e la casa ha preso fuoco”.

Dedica 

Concludere con una dedica è molto importante quando pensiamo in termini di karma. Se compiamo qualcosa di positivo o costruttivo, come ascoltare un insegnamento e cercare di capirlo - volevamo andare al cinema, ma siamo venuti qui invece, o qualsiasi altra cosa – c’è una certa forza positiva che viene accumulata da questa azione costruttiva. Di solito è tradotta come “merito” che, almeno in italiano, è una parola molto sciocca perché sembra che “Ho ottenuto tre punti per essere venuto qui”, teniamo il punteggio e alla fine, forse, se abbiamo abbastanza punti, vinceremo la partita. Non è di questo che stiamo parlando, bensì di una sorta di energia di “forza positiva”.

Cosa fa il karma positivo? Maturerà nella felicità del samsara. Se non lo dedichiamo dopo aver fatto qualcosa di costruttivo, allora quella forza positiva contribuirà automaticamente a migliorare il samsara. Possiamo usare l’analogia di un computer: l’impostazione predefinita sul nostro computer interno è che la forza positiva venga salvata nella cartella “miglioramento del samsara”. Se vogliamo che contribuisca a raggiungere l’illuminazione, dobbiamo effettivamente salvarla nella cartella “illuminazione”.

Dobbiamo premere il pulsante e salvarlo nella cartella “illuminazione”, altrimenti andrà automaticamente nella cartella “samsara”. Questa è la dedica: salvarlo nella cartella “illuminazione”. È quello che facciamo alla fine “Qualunque forza positiva si sia accumulata, possa contribuire a raggiungere l’illuminazione per essere in grado di beneficiare tutti”. Sta dando una spinta in quella direzione a quell’energia, a quella forza positiva, in modo che non contribuisca solo ad avere una conversazione interessante davanti a una tazza di tè e tutti saranno intrattenuti - questo migliora il samsara, non è niente di che.

Pensiamo che qualunque forza positiva possa scaturire da questa discussione, possa davvero aiutarci e contribuire al raggiungimento dell’illuminazione a beneficio di tutti.

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