I primi tempi a Delhi
Arrivai a Delhi nel settembre 1969, senza un piano chiaro di quale sarebbe stato l’argomento della mia tesi o dove condurre la mia ricerca. Avevo ventiquattro anni. Mi rivolsi alla Casa Fulbright e poi al professor R.C. Pandeya, il capo del dipartimento di studi buddhisti all’università di Delhi, che fu scelto dal direttore della Casa Fulbright come supervisore della mia ricerca. La sostenne molto ma, sfortunatamente, non aveva alcun consiglio su come procedere.
Delhi a quel tempo era una città pacifica e quieta, senza nessun grattacielo né l’inquinamento e il traffico che la caratterizzano oggi. Grazie a un’introduzione dei White a Ginevra, alloggiai con i loro amici Joseph e Margaret Stein, che erano anche espatriati americani dal maccartismo. Joe era un grande architetto, molto acculturato, che aveva costruito varie ambasciate e un complesso di palazzi famosi a Delhi. Era ben connesso con la comunità diplomatica e con le classi politiche e intellettuali più elevate della società di Delhi. Margaret gestiva un deposito di artefatti venduti da molti rifugiati tibetani al loro arrivo in India per avere qualche mezzo di sostentamento. Li catalogava in modo che potessero essere preservati successivamente nei musei.
Durante tutti i miei soggiorni in India, ogni volta che ero a Delhi, stavo sempre con gli Stein o dopo con loro figlio Ethan dopo la loro morte. Ethan in seguito si sposò con Manjula Padmanabhan, una fumettista e commediografa che successivamente vinse il premio Nobel alternativo in letteratura. Gli Stein spesso ospitavano accademici internazionali in visita, come ad esempio Erik Erikson, che avevo ammirato molto ad Harvard. In un’occasione in cui ero con loro, sorprendentemente conobbi Sakya Trizin, il capo del lignaggio Sakya, che venne a pranzo. Grazie agli Stein, creai molte connessioni utili che mi aiutarono molto nel corso degli anni.
Durante la prima visita agli Stein, Margaret mi parlò di Casa Tibet, che non era molto distante dalla loro casa, e quindi qualche giorno dopo il mio arrivo, andai a visitare il suo museo. Lì incontrai un giovane americano amichevole vestito come un sadhu indiano che si faceva chiamare con un nome tibetano, Sherab Tharchin. Dopo aver parlato un po’, mi offrì di stare nel cottage che aveva affittato a Dalhousie, una stazione collinare alle pendici dell’Himalaya che aveva una grande comunità di rifugiati tibetani. Stava andando a Benares e non sarebbe tornato. Mi disse che i due college tantrici e la gran parte dei monaci dei tre principali monasteri Gelug si trovavano lì, dove vivevano anche due giovani tulku della mia età, Sharpa e Khamlung Rinpoche, che parlavano inglese e sarebbero stati in grado di aiutarmi. Sembrava perfetto. Quindi accettai la sua offerta e, il giorno seguente, presi il treno notturno e l’autobus fino a Dalhousie.
Stabilirsi a Dalhousie
Quando arrivai in questo piccolo paese di montagna, alloggiai in un hotel e andai a cercare dove vivevano Sharpa e Khamlung, non sapendo realmente chi fossero. Scoprii che nel 1962, Sua Santità aveva mandato Sharpa e Khamlung negli Stati Uniti assieme a Geshe Lhundup Sopa e Lama Kunga Thartse Rinpoche a vivere con Geshe Wangyal nel New Jersey, dove vissero per molti anni per imparare l’inglese. Thurman, che a quel tempo viveva e studiava con Geshe Wangyal, era stato il loro tutor inglese. Sharpa e Khamlung erano tornati in India poco prima che conoscessi Geshe Wangyal. La connessione era davvero incredibile. Geshe Sopa finì per insegnare all’università del Wisconsin e Lama Kunga fondò un centro Sakya a Kensington in California.
Successivamente scoprii che Sharpa Rinpoche era il figlio di una delle famiglie più nobili del Tibet, i Rampa. In Tibet, suo padre e lo zio erano stati ministri del governo del Dalai Lama. Khamlung Rinpoche era la reincarnazione del fratello del precettore giovane del Dalai Lama, Trijang Rinpoche. Anni dopo, Trijang Rinpoche rinacque come il figlio del fratello maggiore di Khamlung, Sonam Tobgyal, che visse con Sharpa e Khamlung a Dalhousie. Khamlung aveva la mia età, e sebbene Sharpa fosse di quattro anni più giovane, era un leader naturale e il più estroverso dei due.
Sharpa e Khamlung gentilmente mi invitarono a stare con loro per qualche giorno in modo tale che potessero organizzare l’arrivo di un monaco, Sonam Norbu. Sonam avrebbe vissuto con me e si sarebbe preso cura dei miei bisogni; aveva qualche anno in più di me e si era formato in Tibet come capocuoco. Era anche un maestro del canto e aveva una meravigliosa voce profonda, in grado di praticare il canto armonico. Suo padre era l’uomo del tempo, capace di leggere i segni del clima dalle nuvole e dalla natura, un’abilità che aveva appreso anche Sonam. Come molti altri monaci durante questi primi anni in esilio, Sonam a volte aveva lavorato nella costruzione di strade nelle colline himalayane, un compito difficile e pericoloso. Prendendosi cura di me, sebbene fosse totalmente inusuale per un monaco, riceveva un buon salario, mangiava bene e conduceva una vita molto più semplice e sicura. Era un accordo che aiutava entrambi.
Quando tutto fu pronto, Sonam e io ci stabilimmo nel cottage. I due tulku mi trovarono anche un maestro di tibetano. Così in meno di una settimana dal mio arrivo in India, tutti i pezzi del puzzle si misero insieme senza nessuno sforzo da parte mia. Sentivo che la mia vita fino a quel momento fosse stata come un nastro trasportatore che mi aveva portato fino a questo punto, e mi sentii totalmente a casa. Gli insegnamenti buddhisti sulle vite passate e il karma cominciarono ad avere senso. Tutto il duro lavoro che avevo compiuto a Princeton e Harvard non era sufficiente per spiegare cosa stava accadendo.
La mia casa e il contesto a Dalhousie
Il cottage in legno che Sherab Tharchin mi aveva offerto era stato costruito durante il dominio dell’impero britannico. Si trovava in alto su di una montagna dietro il bazaar di Dalhousie, nel bel mezzo di una foresta fitta e con un panorama spettacolare. Non c’era acqua né un bagno – solo il sistema secco indiano e uno spazzino adolescente e che veniva a svuotarlo ogni giorno. Non c’erano telefoni né giornali; solo il servizio estero della BBC su una radio ad onde corte. Ci voleva un mese per inviare una lettera negli Stati Uniti e un altro mese per ricevere la risposta. Per fare una telefonata, dovevi prenotare una “grande chiamata tronco” all’ufficio postale qualche giorno prima, aspettare solitamente molte ore il giorno della chiamata fino a quando non eri connesso, e la gran parte del tempo la connessione era molto rumorosa o non udibile. Sembrava come se fossi al tempo delle colonie britanniche. Nonostante dovessi tenere lontano dai muri il letto di corda per evitare che ragni giganti salissero su di me mentre dormivo, e scuotere le scarpe prima di indossarle per rimuovere qualunque scorpione fosse entrato dentro, amavo questa situazione.
C’erano solo pochi altri occidentali a Dalhousie o lì vicino – molti di loro erano i primi pionieri del Buddhismo occidentale come Joseph Goldstein (che iniziò, assieme a Jack Kornfield, il movimento vipassana in America), le prime monache buddhiste occidentali come Tenzin Palmo (che fece un ritiro solitario di dodici anni in una caverna sull’Himalaya fondando poi il convento Dongyu Gatsal Ling), e Ani Jimpa Palmo (che divenne la traduttrice del grande lama Nyingma Dilgo Khyentse Rinpoche). Gli altri occidentali presenti includevano un’ex fidanzata di Bob Dylan e un ex manager dei Rolling Stones. Questo fu prima che l’ondata di hippy arrivò in India. La marijuana cresceva su tutta la montagna, e come la gran parte dei miei vicini occidentali, anche io di notte facevo uso dell’erba che cresceva ai lati della strada.
La scuola domestica per giovani lama lungo la strada aveva appena chiuso. Fondata da Frida Bedi, lo sponsor del XVI Karmapa, è qui che giovani tulku come Chogyam Trungpa Rinpoche, Tarthang Tulku, Chokyi Nyima Rinpoche, Akong Rinpoche, e Gelek Rinpoche impararono per la prima volta l’inglese. Il marito di Frida Bedi, Baba B.P.L. Bedi, un eminente intellettuale e autore Sikh, viveva anche a Dalhousie. Andavo a visitarlo spesso per sentire le sue storie sull’impero britannico e su come avesse causato divisioni tra i Sikh per indebolire la loro comunità ed evitare pericoli al loro dominio. Dalhousie era effettivamente un posto speciale a quel tempo.
Sonam Norbu non parlava inglese, e io non parlavo tibetano, ma potevamo comunicare scrivendoci delle note in tibetano. Andava giù per la montagna ogni giorno per comprare cibo al mercato, riempiva qualche secchio d’acqua da una pompa, raccoglieva legna nella foresta, cucinava del cibo tibetano delizioso sul fuoco e preparava il tè tibetano al burro in una zangola di legno. C’era armonia tra di noi.
Cominciai presto le mie lezioni di tibetano parlato. Libri sull’argomento ancora non esistevano, e quindi non c’erano strutture particolari per le mie lezioni. Ogni giorno il mio maestro scriveva frasi utili che si usavano nelle interazioni quotidiane nel linguaggio colloquiale, incluse le forme onorifiche. Il mio primo compito, tuttavia, era di comprendere la struttura sonora della lingua, come un antropologo nelle giungle del Borneo. La mia conoscenza del cinese mi aiutò a identificare i toni, e il sanscrito mi servì per identificare le lettere aspirate e no. Poi dovevo comprendere come questi suoni si associassero all’ortografia. Adoravo risolvere enigmi complessi, e mi divertii molto a farlo. Feci grandi progressi in breve tempo.
Passavo molto tempo con Sharpa e Khamlung e i loro giovani amici tulku, che venivano spesso a visitarci per parlare e bere del tè. A differenza di molti miei compagni di classe a Princeton e Harvard, scherzavano e ridevano molto. Cominciai a comprendere un po’ i loro studi, e notai quanto fosse ampia la loro conoscenza e la loro formazione. Mi venne l’idea di fondare un ufficio di traduzioni con loro per tradurre i testi che stavano studiando.
Su consiglio di Sharpa, commissionai una grande thangka del mandala di Guhyasamaja. Mi avrebbe aiutato ad accumulare il potenziale positivo (merito) per evitare gli ostacoli nel mio studio del Guhyasamaja. Quando arrivò l’anno seguente, la offrii al monastero di Sonam Norbu, il Ganden Jangtse. Appresi che questo monastero era responsabile per la preservazione dei rituali di questo tantra.
La prima udienza con Sua Santità il Dalai Lama
Dopo qualche mese, andai a Dharamsala per un’udienza con Sua Santità il Dalai Lama. Aveva solo trentaquattro anni a quel tempo. Dharamsala all’epoca non era affatto sviluppata ed era prevalentemente coperta da una fitta foresta. McLeod Ganj aveva solo un piccolo bazaar e un ristorante dotato di alcune stanze con letti infestati da cimici. In alto sulla montagna dietro il bazaar, a un’ora di camminata, viveva il signor Hallet, che aveva vissuto lì sin dai tempi della colonia britannica. Aveva una piccola pensione, e senza altre possibili alternative, alloggiai lì. La residenza di Sua Santità e il tempio erano appena stati completati alcuni mesi prima.
Durante la mia udienza, che durò più di un’ora, parlammo parzialmente in tibetano e parzialmente in inglese. Ero incoraggiato dal fatto che potevo capire circa la metà di quello che diceva Sua Santità in tibetano e potevo esprimere almeno alcune delle cose di cui volevo parlare. Informai Sua Santità riguardo i miei studi ad Harvard come compagno di classe di Thurman, dei miei incontri con Geshe Wangyal, della mia connessione attuale con i rinpoche Sharpa e Khamlung, e della tesi che speravo di scrivere sul Guhyasamaja. Queste apparentemente erano le giuste connessioni e credenziali, e quindi Sua Santità mi prese totalmente sul serio. Appoggiò i miei piani per un ufficio di traduzioni e spiegò che il problema con le traduzioni precedenti di materiale tantrico era che ai traduttori mancavano gli studi preliminari, le iniziazioni e la pratica personale. Approvò i miei studi fino a quel punto e poi, quando sarei stato pronto, mi avrebbe dato il permesso di studiare successivamente ai due collegi tantrici di Dalhousie.
Mi disse che il cinese non mi sarebbe stato molto utile nei miei studi futuri. Il mio compito più urgente era di diventare fluente in tibetano, ottenere una formazione più profonda nel Dharma, equilibrare l’aspetto dharmico della saggezza con quello della compassione, e avere qualche esperienza nella meditazione buddhista. Quando sarei stato pronto, mi avrebbe conferito le iniziazioni necessarie di Guhyasamaja. Mi disse che, nel frattempo, avrebbe offerto l’iniziazione di Kalachakra a marzo del prossimo anno, e mi disse che Sharpa e Khamlung avrebbero dovuto portarmi con loro e prepararmi a riceverla per comprendere quello che sarebbe accaduto. Per iniziare il futuro ufficio di traduzioni, mi diede un breve testo di Tsongkhapa, La preghiera dell’inizio, dell’interim, e della fine virtuosi, e mi chiese di tradurla con Sharpa e Khamlung. L’avrebbe pubblicata quando era pronta. Sua Santità concluse l’udienza con un breve insegnamento sulla vacuità.
L’incontro con Sua Santità fu un momento cruciale per me. Ad Harvard e alle altre università americane, il Buddhismo tibetano era insegnato come se fosse un argomento morto, come gli studi sull’antico Egitto. Il linguaggio dei tantra era figurato, nascondeva intenzionalmente il significato più profondo e, sebbene i testi potessero essere tradotti letteralmente, non avevano molto senso. Ogni tentativo di spiegarne il significato era solo una congettura. Ma qui, incontrando Sua Santità, ebbi la prova che il Buddhismo tibetano era una tradizione vivente. Ecco qui qualcuno che conosceva realmente il significato dei testi e che era disposto a darmi l’accesso ai collegi in cui questi testi venivano studiati e presumibilmente messi in pratica. Avevo già cominciato a capire come il tantra fosse una tradizione vivente dai miei dialoghi con Sharpa e Khamlung.
Siccome avevo scoperto a Londra che il Tantra di Guhyasamaja era in corso di traduzione, sapevo che avrei avuto bisogno di cambiare il mio argomento della tesi, ma volevo ancora che fosse sul Guhyasamaja. Durante il corso ad Harvard dove confrontavamo la traduzione cinese di un testo sanscrito sulla logica con l’originale sanscrito, ero particolarmente interessato a come i termini tecnici sanscriti fossero stati compresi e tradotti. Così decisi di modificare l’argomento della tesi proponendo uno studio sulla terminologia sanscrita utilizzata nel tantra, e come questi termini furono stati compresi e tradotti in tibetano. Lo studio si sarebbe concentrato sul Tantra di Guhyasamaja e si sarebbe basato sulla tradizione orale dei maestri dei due collegi tantrici.
La visita a Varanasi e Kathmandu
Qualche settimana dopo partii per Varanasi (Benares) che, a quel tempo, era una città piena esclusivamente di risciò e nessun edificio in stile occidentale. Volevo conoscere alcuni accademici di sanscrito e i guru indù. Alloggiai con Sherab Tharchin, che mi introdusse molte personalità che conosceva in questi ambiti. I pandit sanscriti parlavano in sanscrito, cosa che trovai molto affascinante. Cercai di seguirli e di imparare un po’, ma solo come un esercizio intellettuale. Non sarebbe stato di alcun aiuto nel mio progetto sul Guhyasamaja, dato che non erano interessati al Buddhismo. Per quanto riguarda i guru indù che incontrai, non furono d’ispirazione come modelli da seguire. Nemmeno i sadhu erano molto interessanti – i rinuncianti induisti che vivevano lungo le rive del Gange e che, per quello che potevo capire, passavano la gran parte della giornata a fumare hashish e a chiedere l’elemosina. Da quello che avevo letto ad Harvard sull’uso vedico del soma psichedelico e sullo Shivaismo, pensavo di poter imparare molto sulla grande beatitudine nel tantra da questi guru e sadhu induisti, ma ne rimasi molto deluso.
Poi passai qualche settimana a Kathmandu, che era ancora una città medievale di strade di fango, nessun servizio igienico, branchi di cani rognosi randagi, maiali neri che sembravano preistorici, e nulla d’occidentale. Solo circa cento metri di strade erano asfaltate, e se volevi andare dovunque nella città o nel paese, dovevi camminare. Rimasi con un piccolo gruppo di amici di Sherab Tharchin che stavano ricevendo lì insegnamenti da alcuni lama. Ma come l’ondata di hippy che sarebbe presto arrivata, sembravano più interessati a fumare marijuana e a prendere psichedelici che al Buddhismo.
La marijuana a Kathmandu era molto più forte di qualunque altra cosa che avevo fumato fino a quel punto. Un tiro era sufficiente per sperimentare uno stato quasi catatonico, perso in fantasie mentali. Vedere un gruppo di persone così ad una festa, buttati sul pavimento senza nessuna interazione tra di loro, mi infastidì molto.
Mentre ero lì partecipai, allo stupa di Swayambhu, alla prima cerimonia pubblica del Cappello Nero che diede il XVI Karmapa in esilio e ad alcune jenang (permessi successivi) che conferiva. Solo qualche altro occidentale partecipò all’evento oltre a me e alle persone con cui stavo. Il Karmapa non diede nessuna spiegazione di quello che stava offrendo, e quell’approccio non mi piaceva.
Il primo incontro con Serkong Rinpoche
Avendo soddisfatto la mia curiosità su Benares e Kathmandu, incontrai Sharpa e Khamlung Rinpoche a Bodh Gaya. Bodh Gaya nel gennaio 1970 era totalmente sottosviluppata. C’era solo lo stupa e l’albero della bodhi, cinque templi vecchi, qualche negozio e banchetto per il chai, e molti cani rognosi randagi e maiali neri che sembravano venire dalla preistoria. Non c’erano hotel. C’erano solo due posti dove alloggiare, e in nessuno di essi c’erano gabinetti all’occidentale o acqua corrente. Era sempre saggio avere il proprio secchio di plastica e riempirlo d’acqua per lavarsi. Un’opzione dove alloggiare era nel dormitorio infestato di zanzare della pensione PWD (Public Works Department, dipartimento di lavori pubblici, N.d.T.). In ogni stanza c’erano dagli otto ai dieci letti a castello, e dunque non c’era modo di avere un po’ di privacy. Alloggiai lì e, un inverno, condivisi persino una di queste stanze con Geshe Wangyal, che era in visita. L’altra opzione dove alloggiare erano alcune stanze di cemento al Vihar birmano o le tende nel suo cortile o sul tetto.
Quell’anno ci fu una carestia nel Bihar, e c’erano dozzine di mendicanti e lebbrosi deformati e sporchi lungo la strada vicino lo stupa, che mostravano le mani implorando di dargli qualche spicciolo. Dovunque tu andassi, un’orda di bambini sporchi, emaciati e vestiti di stracci ti circondava e ti seguiva, tirandoti i vestiti e chiedendo cibo dicendo “Memsahab basheesh (Signora, elemosina)”, anche se eri un uomo. Lo stupa accanto all’albero della Bodhi dove il Buddha si illuminò era come un punto sacro nell’occhio calmo di un uragano di categoria cinque. Rimasi profondamente colpito da tutto questo, e pensai al corso della mia vita mentre circoambulavo lo stupa.
Sharpa e Khamlung Rinpoche mi portarono da Tsenshap Serkong Rinpoche, il maestro di dibattito e precettore assistente di Sua Santità il Dalai Lama. Nonostante il suo status elevato, alloggiava in una piccola stanza di cemento lontana qualche metro dai bagni dietro il tempio tibetano. Gli parlai della mia udienza con Sua Santità, e gli chiesi con chi avrei potuto studiare il Guhyasamaja ai collegi tantrici per la mia tesi. Come Sua Santità, anche lui mi prese totalmente sul serio. Mi consigliò di studiare con l’abbate in pensione di Gyuto, il collegio tantrico superiore, Khenzur Yeshe Dondrub, che avrebbe completato un ritiro di tre anni a Dalhousie in primavera. Nel frattempo avrei dovuto migliorare il mio tibetano parlato e, quando sarei stato pronto, mi avrebbe aiutato nei miei studi.
Non avrei mai potuto sapere che effettivamente ci sarebbero voluti molti anni prima che fossi pronto a studiare il Guhyasamaja, e che sarebbe stato lo stesso Serkong Rinpoche a insegnarmelo. Ma innanzitutto dovevo capire da solo che l’argomento di questa tesi era troppo complesso per me. Il consiglio di Rinpoche di studiare con l’abbate era un modo abile per farmelo capire da solo.
Dopo questo incontro, con Sharpa e Khamlung, partecipai poi agli ultimi giorni di un insegnamento sulla Grande presentazione del sentiero graduale (Lam-rim chen-mo) di Tsongkhapa tenuto dal precettore senior di Sua Santità, Yongdzin Ling Rinpoche, seguito da vari jenang – i permessi successivi. Rimasi colpito dalla differenza di stile da quello che avevo visto a Kathmandu. Ling Rinpoche spiegò ogni passo dei jenang mentre li conferiva. Ero uno stile che preferivo molto all’altro.
La mia prima iniziazione di Kalachakra
Dopo Bodh Gaya, mi unii a Sharpa e Khamlung per un pellegrinaggio a tutti i principali siti buddhisti. Ad eccezione di Sarnath, gli altri erano quasi totalmente deserti a quel tempo. Viaggiammo con treni e autobus di terza classe, a volte attaccandoci disperatamente alla portiera quando, per divertimento, i ragazzi dentro non ci facevano entrare, facendoci rimanere quasi fuori. A volte dovevamo dormire sulle panchine dei binari, divorati dalle zanzare. Non era mai previsto che un pellegrinaggio fosse facile. Durante il viaggio, i due rinpoche mi spiegarono i passi dell’iniziazione di Kalachakra. È così che cominciò lo studio di questo tantra.
Concludemmo il pellegrinaggio a marzo, tornando a Dharamsala in tempo per l’iniziazione. Si trattava della prima iniziazione di Kalachakra offerta da Sua Santità fuori dal Tibet. Oltre a me, c’era solo qualche altro occidentale. Ci sedemmo sul tetto del monastero di Namgyal. Non riuscii a capire abbastanza per essere in grado di tradurre per gli altri. Potevo solo seguire il rituale ma non avevo alcuna idea del suo significato più profondo. Volevo però conoscerlo sempre più in profondità, e così decisi di espandere la mia tesi per includere anche uno studio della terminologia tantrica nel Kalachakra. Questa decisione si basava anche su un sogno estremamente di buon auspicio che ebbi quando, al termine del primo giorno dell’iniziazione, ai discepoli vengono offerte dei fili di erba kusha da mettere sotto al materasso, con l’istruzione di esaminare i loro sogni per avere segni di successo nella pratica.
Considerando il tempo necessario che avrei impiegato solo per cominciare la ricerca per la mia tesi, passai brevemente per Delhi prima di tornare a Dalhousie. Andai all’ufficio Fulbright e spiegai cosa era successo con il mio progetto fino a quel punto. Poi richiesi un’estensione della borsa di studio per un secondo anno, e loro con molta gentilezza accettarono.
Cambiare l’argomento della tesi con il lam-rim
Tornato a Dalhousie, ripresi le mie lezioni di lingua tibetana. Come preparazione per i miei studi futuri, il mio maestro si concentrò ora sul linguaggio di Dharma classico che si trova nei testi di lam-rim, e su come venissero spiegati oralmente. Scriveva alcuni brani caratteristici e poi li vedevamo insieme. Il problema era che non parlava inglese, e non potevo fare domande del tipo, “Come si dice ‘perché’?”. Così invitai Rinjing, un giovane Sherpa che avevo incontrato a Dharamsala che conosceva l’inglese, a vivere con Sonam Norbu e me. L’accordo era che mi avrebbe parlato solo in tibetano, ma quando non capivo qualcosa o non sapevo come dirla, me l’avrebbe detto in inglese. Questo funzionò molto bene.
Nel frattempo Sharpa, Khamlung, ed io completammo la traduzione della preghiera che Sua Santità ci aveva chiesto di preparare. La mandammo all’Ufficio Privato, che la pubblicò dopo poco tempo. Questo fu l’inizio di una lunga serie di testi che Sua Santità ci diede da tradurre negli anni seguenti.
Quando Gyuto Khenzur Yeshe Dondrub finì il suo ritiro, andai a vederlo e gli chiesi degli insegnamenti che avrebbero potuto aiutarmi a studiare il Guhyasamaja. Sorrise e mi disse gentilmente. “Meraviglioso. Fra qualche giorno comincerò un ritiro di tre anni sul Guhyasamaja, vuoi unirti a me?”. Non avevo bisogno che qualcuno mi dicesse che era impossibile. Capii da solo quanto fossi impreparato e incompetente. Non avevo nemmeno ricevuto l’iniziazione di Guhyasamaja, e quindi educatamente mi scusai per non potermi unire a lui. Siccome avevo appena ricevuto l’iniziazione di Kalachakra e non avevo alcuna idea di quando sarebbe stata offerta un’iniziazione di Guhyasamaja, decisi di limitare il mio studio alla terminologia tantrica dei testi di Kalachakra. Non avevo alcuna idea che questo sarebbe stato un argomento ancora più difficile della terminologia Guhyasamaja.
La domanda ora era, come prepararsi? Sharpa e Khamlung mi suggerirono di andare a Dharamsala e di chiedere il consiglio del precettore junior di Sua Santità, Trijang Rinpoche. Andammo e Trijang Rinpoche suggerì di studiare il lam-rim – le fasi graduali del sentiero per l’illuminazione. Questo sarebbe stato l’inizio. Nella mia classe tibetana ad Harvard, avevamo letto alcuni brani del Lam-rim chen-mo, ma li avevamo analizzati solo linguisticamente. Anche se ascoltai alcune sessioni sul testo agli insegnamenti di Ling Rinpoche a Bodhgaya, non avevo alcuna idea di quale fosse il contenuto reale del lam-rim. Ancora non era stato tradotto e pubblicato nulla.
In realtà, a quel tempo, nessuno di noi occidentali aveva nessuna idea del contenuto e della vastità enorme degli insegnamenti trasmessi e preservati dai tibetani. La mia educazione buddhista a Princeton e ad Harvard era stata eccellente riguardo la sua storia e gli insegnamenti basilari, i sutra fondamentali, e le scuole principali. Mi offrì una base solida per poter approfondire i miei studi. Ma all’infuori di aver imparato, al livello superficiale, qualche dettaglio sul tantra, sapevo molto poco sul Buddhismo tibetano. Sebbene la biblioteca di Harvard possedesse molte edizioni del Kangyur e del Tengyur – la raccolta di traduzioni tibetane delle parole del Buddha e i loro commentari indiani – nessuno aveva documentato o studiato a quel tempo il loro intero contenuto.
Il mito prevalente, non informato, a quel tempo era che il “Lamaismo” fosse una forma degenerata del Buddhismo. Intuitivamente, ho sempre sospettato che ci fosse molto di più del “Buddhismo degenerato”, particolarmente dopo aver passato un po’ di tempo con Geshe Wangyal. Dopo aver incontrato Sua Santità e i suoi precettori, tuttavia, ero ancora più convinto di prima. Sarebbe stata un’avventura emozionate entrare in questo mondo. Questa era l’epoca in cui i libri di Carlos Castaneda sulla sua formazione con uno sciamano messicano stavano diventando popolari. I pochi occidentali che si trovavano con i tibetani a quel tempo sentivano di essere l’equivalente di Castaneda.
Lo studio del Lam-rim con Geshe Ngawang Dhargyey
Sharpa e Khamlung Rinpoche parlarono con il loro maestro, il Geshe Lharampa Ngawang Dhargyey, affinché mi insegnasse il lam-rim, e lui generosamente accettò. Era un maestro molto erudito e rispettato, e stava curando la formazione di sette discepoli tulku. Sarei stato il suo primo studente occidentale. Persino lo studio del lam-rim e l’analisi della terminologia sutra presente in esso sarebbe stato un argomento molto vasto e quindi, alla fine, cambiai nuovamente l’argomento della mia tesi ad uno studio della tradizione orale del lam-rim. Geshe Dhargyey offrì degli insegnamenti sul lam-rim utilizzando brani che scelse da un assortimento di testi lam-rim, supportati da citazioni dei testi classici buddhisti menzionati in questi brani. Sharpa scrisse per me lo schema di Pabongka Rinpoche del testo lam-rim del IV Panchen Lama, in modo tale che potessi seguirne la struttura.
Geshe Dhargyey viveva con il suo attendente, Sherab Tharchin, in una stalla di fango e pietre infestata di mosche e insetti. La sua stanza era minuscola, con lo spazio sufficiente per un letto e un po’ di spazio di lato dove Sharpa, Khamlung Rinpoche, ed io ci sedevamo per terra per le sessioni di insegnamento. Sherab Tharchin dormiva in uno spazio ancora più piccolo nella cucina vicino la porta. Un altro degli studenti tulku di Geshe Dhargyey, il quindicenne Jhado Rinpoche, si univa alle lezioni la gran parte del tempo. Quando crebbe, Jhado Rinpoche divenne l’abbate del monastero di Namgyal e poi di Gyuto.
Geshe Dhargyey parlava con un pesante e oscuro dialetto Khampa del tibetano, che non sono mai riuscito a capire bene. Con la traduzione di Sharpa Rinpoche, esplorammo tutto il lam-rim e discutemmo come tradurre al meglio i termini tecnici. Geshe Dhargyey spesso dettava i brani e le citazioni menzionate nei testi, che Sharpa scriveva in tibetano e che io poi traducevo quando tornavo a casa. Avevo acquistato qualche testo sanscrito a Delhi, e adottando i metodi di ricerca sinologica che avevo imparato ad Harvard, individuai l’originale sanscrito delle citazioni confrontandole con il tibetano. Ogni sera, scrivevo le mie note su una macchina da scrivere che mi ero portato dall’America. Quando si staccava la corrente elettrica, cosa che era molto frequente, dovevo lavorare a lume di candela la notte mentre faceva molto freddo, indossando tutti i vestiti che avevo. È così che feci la mia ricerca sul campo per la tesi.
Poco tempo dopo aver cominciato a studiare con Geshe Dhargyey, presi i voti laici upasaka. Questi voti implicavano evitare di uccidere qualunque creatura, rubare, mentire, bere alcohol, e avere un comportamento sessuale inappropriato. Non mi era mai piaciuto l’alcol, e quindi non dovevo rinunciare a molto con quel voto, e mantenerli come linee guida per la vita aveva totalmente senso per me. Cominciai anche una pratica giornaliera di meditazione e da quel momento non saltai mai un giorno. Realizzai che l’unico modo per comprendere il significato reale dei termini buddhisti tecnici era di impegnarsi nella pratica e cercare di sperimentare personalmente a cosa si riferissero. Era totalmente inadeguato basare le traduzioni solo sulla terminologia coniata dai missionari cristiani.
Quando raggiungemmo l’ambito iniziale degli insegnamenti sul lam-rim per evitare le rinascite peggiori, vidi quanto fondamentale fosse la questione della rinascita nel Buddhismo. Sebbene non fossi convinto dell’esistenza di vite passate e future, decisi di dargli il beneficio del dubbio e vedere cosa seguiva nel resto del lam-rim sulla base della rinascita. Ad esempio, se la rinascita è vera, allora forse sono la reincarnazione di mio fratello Joel. Questo spiegherebbe perché avevo sentito che sarei potuto nascere solo se fosse morto. O per metterlo in un altro modo, doveva morire affinché potessi nascere. Rimasi aperto a questa possibilità della rinascita.
In questo periodo arrivò S.N. Goenka a Dalhousie per insegnare un corso di meditazione vipassana per la prima volta agli occidentali. Partecipai al primo giorno del ritiro, ma non continuai. Avevo le mie lezioni con Geshe Dhargyey, ma trovai che questo stile di meditazione non fosse adatto a me.
Lanciarsi nella diplomazia accademica
A giugno, Sua Santità gettò la prima pietra della Biblioteca delle Opere e degli Archivi Tibetani (LTWA in inglese, N.d.T.). Dopo aver appreso questa notizia, ebbi l’idea che sarebbe stato meraviglioso connetterla con Harvard sul modello dell’istituto Harvard-Yenching che era stato istituito nel 1928 tra Harvard e l’università Yenching di Pechino. In una delle mie visite a Delhi, parlai della mia idea con Stein. Era stato l’architetto per l’Alta Commissione del Canada e la Fondazione Ford a Delhi, e prese i contatti di entrambi per me.
Innanzitutto incontrai James George, l’Alto Commissario del Canada. Aveva lavorato con Sua Santità per il reinserimento di rifugiati tibetani in Canada. Sosteneva le mie idee e mi incoraggiò a cercare il sostegno della Fondazione Ford. Presentai i miei piani ad uno degli amici di Stein della Fondazione, e dopo varie discussioni, mi fu conferita una sovvenzione per tornare ad Harvard per qualche mese quell’inverno per tenere delle discussioni esplorative. Gli ufficiali dell’ufficio Fulbright mi diedero persino il permesso di assentarmi dalla mia ricerca per un breve tempo. Ma poi appresi dei tagli ai fondi federali per la formazione universitaria che l’amministrazione Nixon avrebbe imposto, specialmente ad Harvard, come risposta alle proteste contro la guerra degli anni precedenti. Con tristezza, avendo capito che non era il momento appropriato per cercare di creare un nuovo istituto, rifiutai la sovvenzione e cancellai i miei piani.
Imparai molto sulla diplomazia accademica da questa esperienza. Mi fu di grande aiuto negli anni seguenti quando avrei negoziato con istituti accademici, università, e ministri di governi in Europa orientale e nell’URSS per creare programmi con Dharamsala e organizzare visite di Sua Santità in quelle regioni.
All’inizio dell’inverno, Bob e Nena Thurman, assieme al loro figlio di due anni Ganden e la neonata Uma, giunsero a Dalhousie. Thurman aveva anche ricevuto una borsa di studio Fulbright per lavorare sulla sua tesi. Era bello vederli vivere vicino a me in fondo alla strada come ad Harvard.
L’inverno del 1970-71 a Bodh Gaya
Dopo aver completato circa la metà del lam-rim, e siccome faceva troppo freddo a Dalhousie per continuare le mie lezioni, andai con Sonam Norbu a Bodh Gaya nel dicembre 1970, dove Ling Rinpoche avrebbe offerto l’iniziazione e insegnamenti di Vajrabhairava. L’impegno per ricevere gli insegnamenti era di fare un ritiro di un anno su Vajrabhairava, e sebbene Sonam fosse interessato a farlo, decisi che era troppo per me, e quindi non partecipai agli insegnamenti. Mentre ero lì comunque circoambulai lo stupa ogni giorno e pensai agli insegnamenti che avevo ricevuto, cercando di connetterli alla mia vita.
Sin da quando sentii parlare del Guhyasamaja ad Harvard, ero sempre affascinato dalle immagini. Cominciai a pensare a Vajradhara che abbracciava Vajrasparsha, le figure menzionate nel breve brano del testo che avevamo letto. Sebbene non avessi nessuna idea del significato più profondo della coppia o di qualunque insegnamento profondo del tantra, sapevo che Vajradhara rappresentava la mente che comprende la vacuità e Vajrasparsha la sensazione fisica del tatto. In altre parole, la coppia rappresentava la vacuità della sensazione del tatto. Improvvisamente ebbi un’intuizione su come queste immagini potessero relazionarsi a me.
Durante i miei anni da studente, ebbi problemi con la sensazione che fossi solo una mente e non un corpo, la sensazione che non esistessi affatto. Queste sensazioni disturbanti forse sorsero in concomitanza con l’uso della marijuana, o con la mia difficoltà a respirare a causa dell’asma, e forse erano connesse al non aver ricevuto l’attenzione di cui avevo bisogno da bambino. In ogni caso, avevo cercato di derivare la mia esistenza da oggetti esterni e da altre persone. Mi era venuta l’abitudine di toccare le finestre dei negozi per la strada come forma di rassicurazione. Mentre circoambulavo, capii che toccando le finestre dei negozi, stavo cercando di stabilire e provare che esistevo veramente, che avevo un corpo che poteva provare sensazioni fisiche. Cominciai a capire che, in termini di vacuità, questo era assurdo; cosa poteva mai provare il toccare qualcosa? Notai quanto fosse di beneficio persino la mia comprensione superficiale della vacuità, e quindi ero determinato ad andare più in profondità.
Nel frattempo, avevo invitato il mio amico d’infanzia Jon Landaw ad unirsi a me in India per frequentare le mie lezioni l’anno successivo con Geshe Dhargyey. Erano troppo belle per non condividerle con lui, e la mia borsa di studio era abbastanza generosa per sostenere entrambi. Dopo un breve viaggio a Delhi per incontrarlo, tornammo insieme a Bodh Gaya per aspettare l’arrivo di alcuni amici inglesi, Paul e Marie Thoroughgood, con cui avremmo fatto un viaggio nel sud dell’India. Mentre li aspettavamo, visitammo tutti i siti sacri buddhisti delle vicinanze.
Lama Thubten Yeshe e Lama Zopa erano venuti da Kathmandu per ricevere questa iniziazione da Ling Rinpoche. Lama Yeshe stava dando un insegnamento una sera, e quindi io e Jon ci andammo. Lama Yeshe parlava in quello che chiamavo “inglese degli hippy”, a un gruppo indecoroso di hippy. Anche se Jon rimase estremamente colpito dall’incontro e finì per studiare con Lama Yeshe, il suo stile d’insegnamento non mi attraeva. Preferivo lo stile accademico.
Quando arrivarono i miei amici inglesi, cominciammo il nostro tour lungo la costa orientale dell’India risalendo poi da quella occidentale. Mentre meditavo al Tempio del Sole a Kornak, Odisha, ebbi un’esperienza potente. Non avendo alcuna idea di quello che stavo facendo, cercai di invocare nel mio canale centrale l’energia “kundalini” descritta nei testi buddhisti tantrici, neo-taoisti, e indu-shivaiti. All’improvviso sentii che le mie energie correvano dovunque e mi spaventai molto. Ma poi ricordai gli insegnamenti sul rifugio e immaginai i Guru, il Buddha, il Dharma e il Sangha, uno per ogni lato del canale centrale, che contenevano l’energia. Funzionò. L’energia divenne meno violenta e controllabile.
Questa esperienza mi convinse del potere dei Tre Gioielli e di prendere saldamente rifugio in loro. Ero ora totalmente convinto che, con il Buddhismo tibetano, ero sul sentiero giusto. Giurai a me stesso che non avrei mai più provato nessuna pratica tantrica avanzata finché non sarei stato pronto, e mi impegnai a seguire il sentiero buddhista, passo dopo passo, nel modo tradizionale. Anni dopo, quando diventai un maestro buddhista e le persone mi facevano domande sulla pratica tantrica, consigliavo sempre e con forza di evitare di provarle senza una preparazione adeguata.
Il mio secondo anno a Dalhousie
Ritornando nel nord dell’India, Jon e io risalimmo a Dalhousie e le lezioni ricominciarono. Avevo affittato una baracca di stagno per Geshe Dhargyey, che era un po’ più grande della stalla dove stava prima. Riprendemmo le lezioni lì e Jon si unì a noi. Sua Santità continuava a mandarci brevi testi da tradurre per la pubblicazione. Seguimmo il modello tradizionale per un team di traduzione, con Geshe Dhargyey come maestro che spiegava i testi, Sharpa e Khamlung come madrelingua tibetani che conoscevano l’inglese, e io come madrelingua inglese che conosceva il tibetano. Jon, che non conosceva il tibetano ma il cui inglese era eccellente, leggeva alla fine le nostre traduzioni per assicurarsi che il testo scorresse bene e avesse senso in inglese.
Ciò che trovai più utile in tutti gli insegnamenti che ricevemmo furono i voti del bodhisattva e gli insegnamenti sull’addestramento mentale, il lojong. Ero così felice di apprendere che il Buddhismo offriva linee guida su cosa evitare e cosa sviluppare nel mio comportamento per potermi relazionare meglio con gli altri. Prima di questo, non avevo alcuna idea che gli insegnamenti contenessero linee guida simili.
Il visto turistico di sei mesi di Jon scadeva alla fine di giugno, e quindi dovette tornare nel New Jersey, ma io rimasi. Durante la stagione dei monsoni ci fu un’epidemia di colera in India. Come misura preventiva, Sua Santità inviò Serkong Rinpoche a conferire l’iniziazione di Hayagriva alle comunità tibetane nel nord dell’India, siccome la pratica di Hayagriva protegge contro le malattie infettive. Rinpoche venne a Dalhousie ad agosto per offrire l’iniziazione. Questa fu la prima iniziazione che ricevetti da lui.
Completammo gli insegnamenti di lam-rim nell’ottobre del 1971. Geshe Dhargyey, Sharpa, Khamlung e io poi andammo a Dharamsala per ricevere le iniziazioni di Guhyasamaja e Vajrabhairava, che sarebbero state offerte da Ling Rinpoche, e l’iniziazione di Chakrasamvara conferita da Trijang Rinpoche. Sua Santità era il discepolo principale e si sedette su un trono basso di fronte ai troni principali più alti per i suoi maestri. Mi sedetti con Sharpa e Khamlung nell’alcova al lato dei troni dove sarebbe stata poi posta una grande statua di Guru Rinpoche. Ero l’unico occidentale. Seduto così con Sua Santità e i suoi precettori qualche metro più avanti, riuscii a comprendere, almeno al livello superficiale, cosa volesse significare veramente ricevere un’iniziazione.
Le iniziazioni furono seguite da un lungo discorso di Sua Santità sui quattro commentari combinati del Guhyasamaja. Era impressionante vedere come Sua Santità passasse senza alcuno sforzo da un brano all’altro dei commentari, senza perdere mai il filo. Alla fine Sua Santità, tenendo in mano i quattro testi con le braccia aperte, si piegò in avanti dal trono toccando con i volumi la testa delle varie centinaia di membri del pubblico presenti in fila. Fu una cosa sovrumana.
Decidere di studiare alla Biblioteca delle Opere e degli Archivi tibetani
A questo punto, la Biblioteca delle Opere e degli Archivi Tibetani commissionata da Sua Santità era quasi pronta. Dopo l’insegnamento, Sua Santità chiese a Geshe Dhargyey di essere l’insegnante della biblioteca per gli occidentali, con Sharpa e Khamlung come traduttori, siccome i tre avevano già esperienza di lavorare con me. In un’udienza privata, chiesi se anche io potessi essere di aiuto. Sua Santità disse di sì, ma prima sarei dovuto tornare ad Harvard, presentare la tesi ed ottenere il dottorato.
Poi feci un’offerta formale: se sua Santità mi avesse offerto le condizioni per ricevere una formazione buddhista completa, l’avrei servito per il resto della mia vita per aiutare a preservare il Dharma. Sua Santità gentilmente acconsentì. Di conseguenza, grazie alle lettere di garanzia del suo Ufficio Privato, non ebbi mai problemi per ricevere un visto per residenti per stare in India fino a quando non tornai in occidente nel 1998. Dedicai il resto della mia vita a ripagare la fiducia che Sua Santità aveva posto in me.
Tornato ad Harvard, il professor Nagatomi mi disse che non era necessario preparare tutti gli insegnamenti sul lam-rim per la mia tesi. Solo l’ambito iniziale e intermedio sarebbero stati sufficienti; avrei potuto completare il resto dopo. Dopotutto, lui disse, una tesi di dottorato è solo un esercizio da studenti, non è l’opera finale pubblicata. Lavorando con la mia macchina da scrivere e la carta carbone sulla tavola della sala da pranzo di mia madre, scrissi la tesi nei mesi successivi. Quando infine presentai la tesi, Nagatomi mi chiese se potessimo saltare la discussione orale, siccome era una semplice formalità. Non ho idea perché lo disse, ma accettai felicemente la sua proposta.
Da sempre desideravo essere un professore universitario, e come avevo scritto qui in precedenza, “professore” era il mio nomignolo alla scuola elementare. Nagatomi aveva organizzato un primo incarico per me alla Cornell University; dovevo solo andare lì per il colloquio. In maniera simile, siccome aveva completato il suo dottorato quello stesso anno, aveva organizzato per Thurman un primo incarico all’Amherst College. Thurman accettò e divenne, anni dopo, un professore alla Columbia University. Ma a differenza di lui, io ringraziai il professor Nagatomi e rispettosamente rifiutai l’incarico. Gli dissi che sarei tornato in India per continuare i miei studi ed aiutare nelle traduzioni alla Biblioteca delle Opere e degli Archivi tibetani.
Nagatomi e tutti i miei amici mi presero per pazzo; ma considerata la possibilità di studiare con maestri come Sua Santità il Dalai Lama e i suoi precettori – i quali conoscevano il significato dei testi e incarnavano gli insegnamenti – rispetto a lavorare con professori che semplicemente tiravano a indovinare il significato e non erano modelli ideali per me, il mio percorso era ovvio. Sebbene avessi studiato a Princeton e Harvard con alcuni degli accademici più famosi ed eruditi del tempo, non c’era un confronto possibile con il Dalai Lama e i suoi precettori.
Inoltre sentii che avevo già ottenuto tutto quello che potevo dal mondo accademico. Stavo crescendo a livello intellettuale, ma al livello sociale non stavo funzionando molto. Per crescere di più, dovevo imparare a relazionarmi meglio con gli altri. Per fare questo avevo bisogno di rinunciare al mondo accademico e tornare in India. Ma prima, Thurman e io, assieme alle nostre madri, Nena e i bambini, celebrammo insieme il conferimento dei nostri dottorati. Tenemmo un piccolo ricevimento nella sua nuova casa appena costruita a Woodstock, nello stato di New York. Fu una bellissima conclusione di questo capitolo delle nostre vite.
Poco dopo partii per l’India. Jon si unì a me per i primi quattro anni, anche con una lettera di garanzia dell’Ufficio Privato. Questa volta sostenne finanziariamente entrambi, come avevo fatto io a Dalhousie. Il costo della vita era molto basso, e avendo lavorato quell’anno insegnando inglese a bambini immigrati in una scuola, Jon aveva i mezzi per sostenere entrambi.
In effetti sono stato incredibilmente fortunato e privilegiato per tutta la mia vita. Vivendo una vita dedicata al Dharma e in modo molto modesto, senza mai avere una macchina o una casa o una famiglia da sostenere, in qualche modo sono riuscito a sopravvivere senza dover lavorare nel modo classico, dalle nove alle cinque, neanche per un solo giorno. O ricevevo offerte per tradurre agli insegnamenti o quando davo io stesso insegnamenti, oppure ricevevo sovvenzioni da fondazioni per il mio lavoro e i miei viaggi, o benefattori generosi offrivano il loro sostegno finanziario. È grazie all’incredibile gentilezza degli altri che sono stato in grado di avere tutti questi successi nella vita.