Stabilirsi a Dharamsala
Dopo essere stato in giro per l’Europa con mio nipote di quindici anni, Glen Goodnough – mentre aspettavo che ci dessero i nostri visti indiani – Jon e io tornammo in India nel settembre 1972. Di nuovo a Dharamsala, Sharpa Rinpoche aveva preparato per noi un alloggio dove vivere – una baracca al di fuori del villaggio. Non vissi mai a McLeod Ganj, il villaggio tibetano più in su sulla montagna. Sonam Norbu si unì a noi e continuò a cucinare e a prendersi cura di noi, cosa per cui gli siamo molto grati. Persino quando Jon se ne andò quattro anni dopo, Sonam rimase con me per i successivi dieci anni. Quando Sonam tornò al suo monastero, che fu ricostruito nell’India centrale, condivisi un cuoco tibetano, Nyebala, con i miei vicini. Sebbene pochi altri occidentali avessero accordi simili, era molto comune per le persone che vivevano in India, ad eccezione dei più poveri, avere qualcuno che viveva con loro il quale comprava ogni giorno il cibo al mercato e cucinava. Gli Stein e persino Geshe Ngawang Dhargyey avevano queste persone.
La baracca che ci aveva preparato Sharpa era fatta di fango e pietra, aveva una piccola stanza che condividevamo io e Jon, e una cucina ancora più piccola dove dormiva Sonam. Non c’era un frigo o un lavello, e Sonam cucinava su un fornello a kerosene per terra. La baracca aveva un tetto di stagno, e un soffitto in legno dove i topi e piccole altre creature si annidavano. In una delle finestre non c’era il vetro, solo una grata di ferro. D’estate, coprivamo la finestra con un sottile velo indiano per tenere fuori gli insetti. D’inverno coprivamo la finestra e il soffitto in legno con della plastica per cercare di proteggerci dal freddo. Come il bungalow a Dalhousie, non c’era acqua corrente. Sonam raccoglieva l’acqua da un rubinetto comune lì vicino e la teneva in due secchi – uno per cucinare e l’altro per lavare. L’acqua era disponibile solo due volte al giorno e solo per un’ora alla volta. A volte c’era solo un filo d’acqua.
Non c’era un bagno moderno, solo un bagno secco alla turca indiano nel giardino. I primi anni c’era uno spazzino che raccoglieva ogni giorno la carta sporca dei giornali e la buttava dall’altro lato della montagna. Quando poi non venne più e vivevo lì da solo, lo feci io, sostituendo la carta di giornale con una vaschetta di plastica. Per lavarci, dovevamo raccogliere l’acqua fredda in un secchio, riscaldarla sul fornello a kerosene se volevamo acqua calda, e gettarla su di noi con un mestolo di plastica in una piccola cabina di cemento attaccata alla casa. Lavare i vestiti a mano con l’acqua fredda era sempre difficile, specialmente d’inverno dato che l’acqua era così scarsa. Durante la stagione dei monsoni quando pioveva quasi sempre, asciugare i vestiti era quasi impossibile, e qualunque abito di pelle si ricopriva velocemente di muffa. Questa è stata casa mia per il resto del tempo che ho passato in India – ventinove anni in tutto. Sebbene fosse così differente da quello a cui ero abituato in America, non mi sono mai mancati i comfort dell’occidente, e non provai mai nostalgia di casa.
Non appena tornai in India, decisi di aggiungere al mio voto di non bere alcol anche quello di non fumare marijuana. Sballarsi era qualcosa di assolutamente dannoso e l’esatto opposto di quello che volevo raggiungere formandomi nel Buddhismo. Invece di aumentare la concentrazione, incrementava la divagazione mentale. Invece di ridurre le formazioni mentali, non faceva altro che moltiplicarle. Invece di connettermi meglio con gli altri, mi faceva rintanare “nella mia testa” per così dire, osservando gli altri in modo emotivamente distaccato o perdendomi nel mio mondo di fantasia. Invece di diminuire la brama e l’attaccamento, li incrementava, perché mi faceva sentire come se non potessi godermi nulla senza essere sballato. Non avevo alcun desiderio di questo, e da quel momento non presi più la marijuana o altre droghe ricreative. A meno che non ci sia un motivo medico per usarle, consiglio sempre alle persone di evitarle il più possibile, particolarmente se vogliono seguire il sentiero buddhista.
Ricevere il consiglio di Sua Santità
Dopo essermi stabilito, ebbi un’udienza privata con Sua Santità. Mi istruì, come pratica preliminare per il mio lavoro e i miei studi, di ripetere i mantra di Avalokiteshvara e Manjushri 600.000 volte per ciascun mantra, e mi spiegò le pratiche correlate. Mentre recitavo il mantra di Avalokiteshvara, dovevo generare e rimanere concentrato sulla compassione e sul desiderio di essere di beneficio agli altri come mia motivazione per lo studio. Mentre recitavo il mantra di Manjushri, dovevo generare uno stato mentale chiaro e concentrato come strumento necessario per comprendere gli insegnamenti e per conoscere come aiutare gli altri. Seguii felicemente le sue istruzioni. Anche se Sua Santità non lo chiamò mai un “ngondro”, questo fu in effetti l’inizio delle mie pratiche preliminari.
Chiesi anche un suo consiglio sulle traduzioni. Ero stanco di tutto quel lavoro noioso per comporre note a piè di pagina che sarebbero state interessanti al massimo per poche persone. Inoltre, negli articoli che avevo scritto a Princeton e Harvard, avevo sempre usato parole arcane e molto accademiche, incomprensibili per la maggioranza delle persone, e avevo aggiunto con arroganza termini stranieri senza la traduzione inglese. Ero sempre premiato con voti alti per questo. Mi resi conto di quanto fossi arrogante. Sua Santità mi consigliò di scrivere come se dovessi spiegare qualcosa a mia madre. Il punto principale era di rendere il testo il più possibile chiaro e leggibile, e non renderlo intenzionalmente oscuro. Se avessi desiderato aiutare gli accademici, avrei potuto aggiungere delle note alla fine. Ho cercato di seguire il suo consiglio nel mio lavoro futuro.
La Biblioteca delle Opere e degli Archivi Tibetani
Fino a quando Geshe Ngawang Dhargyey non lasciò Dharamsala nel 1982 per un esteso tour di insegnamenti per il mondo stabilendosi infine in Nuova Zelanda, studiai con lui alla biblioteca. In quegli anni, gli studenti dei paesi del Commonwealth non avevano bisogno di visti per l’India, mentre gli americani e gli europei potevano facilmente ottenere visti per studenti di lungo termine per studiare alla biblioteca. Molti di noi rimasero per anni, e alcune coppie ebbero anche bambini mentre vivevano lì. La maggioranza viveva in stanze di cemento fredde e umide in una serie di camere vicina alla biblioteca, mentre altri vivevano in baracche indiane attorno alla montagna, come facevamo Jon e io. Le condizioni erano primitive, ma eravamo tutti in questa situazione, e diventammo una comunità molto unita.
I nostri vicini di casa erano della Nuova Zelanda, Brian e Marie Beresford, che ebbero lì due bambini. Jon e io li aiutavamo nel prendersi cura di loro quando Brian andava spesso in Afghanistan per comprare ed esportare tappeti per sostenere la loro crescita. Con l’aiuto di Sonam Norbu, portammo pure Marie in ospedale durante la notte durante un forte monsone perché stava per nascere Dolma, la loro primogenita. Da due giorni aveva forti dolori e stava soffrendo molto. Brian era fuori, e aveva bisogno di andare subito in ospedale. Quando Dolma crebbe, divenne la direttrice del Meridian Trust, un’organizzazione inglese che raccoglieva e preservava le prime registrazioni audiovideo dei lama tibetani che si erano formati in Tibet.
C’erano due classi di Dharma ogni mattina, cinque giorni a settimana, più un giorno di classi di meditazione. Geshe Dhargyey conduceva il Lama Chöpa (Guru Puja) due volte al mese e occasionalmente i grandi lama in visita, come il Karmapa o Dilgo Khyentse Rinpoche, ci offrivano insegnamenti. Trijang Rinpoche viveva poco lontano dalla biblioteca, e molti di noi passavano da lui, di tanto in tanto, per bere del tè con lui. Era un posto ideale per studiare il Dharma.
Siccome molti di noi rimasero alla biblioteca per anni, Geshe Dhargyey fu in grado di insegnarci corsi annuali sui testi principali. Questi includevano il Bodhicharyavatara (Impegnarsi nel comportamento dei bodhisattva), l’Abhisamayalamkara (Una filigrana di realizzazioni), il Madhyamakavatara (Impegnarsi nella via di mezzo), l’Abhidharmasamuccaya (Antologia di argomenti speciali di conoscenza), Suhrllekha (Lettera a un amico), il Lam-rim chen-mo (Grande presentazione delle fasi del sentiero), Ngag-rim chen-mo (Grande presentazione delle fasi del mantra), nonché corsi più brevi sul lorig (Modi di conoscere), vari testi sul lojong (Addestramento mentale), e molte altre opere. In aggiunta, Geshe Dhargyey ci offrì iniziazioni tantriche e lunghi insegnamenti sulle sadhane associate. Dopo qualche anno, il suo discepolo, Geshe Sonam Rinchen, venne a condividere i suoi insegnamenti. Ricevetti da lui corsi annuali sull’Abhidharmakosha (Un tesoro di argomenti speciali di conoscenza), e il Madhyamaka Catuhshataka (Quattrocento versi sulla via di mezzo), più molti altri testi più brevi.
Anche se trattavamo ogni argomento di questi testi, non li studiavamo così in profondità come si faceva nei monasteri per la formazione dei geshe; inoltre non c’erano dibattiti, discussioni in classe o persino sessioni di domande e risposte. Dipendeva da noi contemplare e assimilare gli insegnamenti a modo nostro. Questo stile era molto adatto per me, e fui molto grato per la mia formazione universitaria perché mi offrì una base per lavorare con tutto questo materiale. Per via della mia formazione, presi note complete di tutte le classi e preparai bozze di traduzione dei testi man mano che li studiavamo. Questi fondamenti ampi nel sutra e nel tantra mi aiutarono molto in seguito per il mio lavoro e la pratica.
Molti altri studenti delle classi, che diventarono maestri di Dharma o traduttori, ricevettero anche parte della loro formazione buddhista di base alla biblioteca negli anni ’70. Questi includevano Thubten Chodron, Alan Wallace, Stephen Batchelor, Karma Lekshe Tsomo, Glen Mullin, Michael Roach, Ruth Sonam, Gavin Kilty, Ian Coghlan, e Michael Richards. Era una comunità vivace, e diventammo tutti amici. Mi dedicai anche ad alcuni interessi non dharmici durante questi primi anni a Dharamsala, e così studiai l’astrologia occidentale con Karma Lekshe Tsomo, che in seguito divenne una professoressa all’università delle Hawaii. Questi studi mi tornarono molto utili qualche anno dopo quando studiai l’astrologia tibetana per integrare i miei studi sul Kalachakra.
Per tutto questo periodo, Sua Santità continuò a darci vari testi da tradurre con Geshe Dhargyey e, finché non partirono per l’occidente, con Sharpa e Khamlung Rinpoche e, fino a quando non tornò a casa, con Jon. Furono tutti pubblicati dalla biblioteca come parte della creazione del dipartimento di traduzione a cui ero informalmente associato.
Ad Harvard ero stato formato a tradurre quello che si chiama “traduzionese” – un inglese che replica ogni caratteristica grammaticale della lingua originale. Il risultato era un inglese molto strano che tuttavia indicava una comprensione della grammatica. Ora, nelle nostre traduzioni iniziali, andammo all’altro estremo. Jon e io traducemmo alcuni testi in maniera molto libera, specialmente quelli in versi, ricreando il linguaggio poetico e in un modo che fosse semplice da recitare. Anni dopo, cercai di trovare una via di mezzo – rimanere fedele ai termini e alla grammatica originale, ma rendendo l’inglese il più fluido possibile.
La vita da traduttore
Sua Santità e Geshe Dhargyey non mi incoraggiarono mai di diventare monaco, e io non ero interessato. Ma il mio stile di vita era comunque quello di un monaco. Andai ad università solo per maschi, e in India le persone che frequentavo erano principalmente monaci, specialmente geshe e rinpoche. Con poche eccezioni, non partecipai mai a feste durante gli anni dell’università. Ciononostante, pensavo che sarei stato più utile a Sua Santità da laico.
Sharpa Rinpoche mi spiegò che la ragione principale per diventare monaco era di acquisire maggiore disciplina e dedicarsi al Dharma. Ero già estremamente disciplinato e dedito al Dharma. Non avevo bisogno di altro sostegno per questo. Inoltre da monaco avrei dovuto partecipare ogni giorno a puja di gruppo, che erano cantate molto lentamente e duravano a lungo. Sebbene non avessi alcun problema a partecipare a queste puja due volte al mese, ho preferito sempre studiare e praticare da solo la meditazione, alla mia velocità elevata. Essere un monaco che non viveva in un monastero non aveva alcun senso per me, e vivere in un monastero mi avrebbe escluso dalla società proprio come ai tempi dell’università.
Quando divenni il discepolo di Serkong Rinpoche, mi diceva scherzando che ero come un pipistrello. Quando sta con gli uccelli, il pipistrello direbbe che non è un uccello, è un topo. Quando si trova con i topi, direbbe che non è un topo, è un uccello. In maniera simile, durante la mia permanenza a Dharamsala, studiavo con i tibetani ma vivevo tra gli indiani, non ero mai solo uno o l’altro. Era la stessa cosa con i monaci e i laici. In effetti ero anche un pipistrello con gli asiatici e con gli occidentali e ora, quando mi trovo con i tedeschi e gli americani.
Anche prima di comprendere l’assenza di identità delle persone e il fatto che non c’è un’identità vera e propria, che si possa stabilire da sola, ho sempre istintivamente evitato di identificarmi stabilmente con qualunque gruppo, che sia un’organizzazione buddhista, un centro di Dharma, o persino con qualcun altro in una coppia. Anche se ho cercato e ricevuto sostegno emotivo da alcuni dei miei buoni amici maschi, siccome mi mancava il fatto di non averlo ricevuto da mio padre quando ero bambino, non mi sono mai sentito a mio agio con l’idea di far parte di una relazione di coppia, che sia con un uomo o una donna. Non pensavo nemmeno a me stesso in termini di essere un membro della mia famiglia. Non importava con chi fossi, ero sempre il pipistrello.
Non solo non fui mai incoraggiato a diventare un monaco, ma non fui mai incoraggiato a studiare il dibattito, ed evitai di farlo. Sebbene apprezzassi il suo valore, studiando anche un testo sulla logica ad Harvard, sapevo che se fossi andato in quella direzione, sarei diventato un “mostro del dibattito”. Non sarei mai stato in grado di spegnere la modalità dibattito quando chiunque avrebbe detto qualcosa di illogico. Inoltre, sin da bambino, non desiderai mai competere con nessuno, nemmeno a carte, per non parlare degli scacchi. Non mi piaceva affatto la mentalità di cercare di sconfiggere un avversario, e immaginavo che avrei avuto bisogno di quella mentalità aggressiva per avere successo nel dibattito. Inoltre non mi piaceva dovermi difendere, ed evitavo i conflitti il più possibile. Ad esempio, non volli mai scrivere una recensione del lavoro di qualcun altro.
La biblioteca offriva anche classi di lingua tibetana. L’insegnante, Narkyid Ngawang Thondub, che in seguito divenne l’archivista e il biografo di Sua Santità, aveva preparato un manoscritto di un libro di testo per imparare la lingua colloquiale parlata. Sebbene potessi già capire molto di quello che dicevano le persone, c’erano ancora molte lacune nella mia comprensione orale del tibetano. Ngawang Thondup mi chiese di aiutarlo con il testo, e così il mio linguaggio parlato migliorò notevolmente.
Siccome la mia lingua parlata era ora più accettabile, cominciai a visitare Ling Rinpoche. Ricevetti da lui l’iniziazione di Vajrabhairava ancora una volta a Bodh Gaya a gennaio 1973 e, avendo iniziato la mia prima pratica giornaliera della sadhana come uno degli impegni, gli posi varie domande sulla pratica, a cui lui rispondeva molto gentilmente. In seguito tradussi occasionalmente per lui durante i successivi inverni a Bodh Gaya quando dava insegnamenti ai suoi ospiti nella sua stanza.
Durante quei primi anni a Dharamsala, partecipai a tutti gli insegnamenti pubblici che dava Sua Santità, e lentamente cominciai a comprendere di più il suo tibetano eloquente e sofisticato. Con il passare degli anni, Sua Santità mi permise persino di partecipare agli insegnamenti avanzati, “solo per invito” che offriva nello spiazzo della sua residenza.
L’evento principale durante questo periodo fu l’iniziazione di Kalachakra che Sua Santità conferì a Bodh Gaya a gennaio 1974. Parteciparono più di centomila persone da tutte le regioni Himalayane – molti sembravano che fossero appena usciti dal medioevo. Alcuni di loro praticavano ancora i sacrifici animali, e Sua Santità si rivolse a loro in modo piuttosto duro, ammonendoli che questa pratica doveva finire.
Con una folla così grande, accorsero anche centinaia di mendicanti e lebbrosi che si allineavano sulla strada. Non avevo mai visto persone in condizioni così misere, ancora peggiori di quando ci fu la carestia il primo anno che visitai Bodh Gaya. In aggiunta a quell’atmosfera, non c’erano bagni pubblici. Tutti la facevano nei campi, senza nessuna privacy. Molto presto arrivò un’ondata di mosche. Un gruppo di noi occidentali da Dharamsala arrivò pure a Bodh Gaya per partecipare all’evento. Ci riunimmo nei dormitori della pensione PWD e cucinammo insieme in un campo più distante. Il senso di cameratismo era meraviglioso.
Diventare discepolo del primo Tsenshap Serkong Rinpoche
Tsenshap Serkong Rinpoche era stato all’iniziazione di Kalachakra; era giunto a Bodh Gaya dopo un lungo periodo in Nepal. Ma con questa folla enorme e il caos tutto attorno, non l’avevo visto. Tornati a Dharamsala, conferì a maggio l’iniziazione di Vajrabhairava alla biblioteca, e poi Geshe Dhargyey ci insegnò la sadhana.
Dopo poco tempo, Jon ed io tornammo nel New Jersey per visitare le nostre famiglie per l’estate e per evitare le pioggie monsoniche indiane. Mentre eravamo a casa, visitammo Lama Yeshe e Lama Zopa, che si trovavano a New York in quel momento. Jon invitò Lama Zopa a visitare la nostra città e a dare insegnamenti ad alcuni amici nostri, cosa che avvenne a casa di mia zia Sarah e di mio zio Irving Weinberg.
Quando tornammo a Dharamsala nell’inverno del 1974, visitai Serkong Rinpoche, ed ora ero in grado di parlare direttamente con lui senza aver bisogno di un interprete. Forse sentiva che io avevo la connessione karmica per diventare il suo interprete personale e infine un maestro di Dharma, e quindi mi prese sotto la sua ala protettrice. Ogni volta che andavo a trovarlo, cosa che avveniva spesso, mi faceva sedere su un lato della stanza mentre parlava con le varie persone che venivano a trovarlo. Siccome volevo imparare come trattava le persone, mi chiariva cosa faceva, e quando non capivo qualcosa mi spiegava le parole che usava.
In questo modo, senza aver bisogno di una conferma verbale, divenni il suo discepolo e cominciai un apprendistato in stile medievale. Gli feci la richiesta, utilizzando una tradizionale formula tibetana, di fare di me – una sorta di asino – un essere umano. Gli chiesi di insegnarmi come potevo relazionarmi con gli altri e come aiutarli. Sorrise semplicemente; ma in seguito, a prescindere da quante persone con cui eravamo, se dicevo o facevo qualcosa di stupido, onorava la mia richiesta chiamandomi ad alta voce un idiota. In effetti “idiota” era il suo nome per me. In tutta risposta, nei nove anni che passai con lui quasi ogni giorno, mai una volta mi arrabbiai o mi irritai quando mi rimproverava così. La mia solita risposta era una risata nervosa. Sapevo perché mi stava chiamando così – gliel’avevo chiesto io di farlo. Inoltre, nonostante tutto il lavoro che feci per lui, le traduzioni, la scrittura di lettere, l’organizzazione e la gestione dei suoi tour mondiali eccetera, mi ringraziò solo due volte. Tutto ciò che feci era di aiutarlo a fare del bene per gli altri e non ottenere una pacca sulle spalle per farmi scodinzolare, come era solito dire.
Anche se questo modo classico tibetano di formare i discepoli seri non fosse molto adatto per la maggioranza degli occidentali, specialmente se hanno bassa autostima, era un metodo perfetto per me. Serkong Rinpoche era effettivamente un maestro di metodi abili. Ero arrivato in India come un giovane arrogante che era stato quasi sempre il primo della classe, persino ad Harvard. Avevo bisogno di sviluppare umiltà e convenzioni sociali. Rispetto ai grandi maestri come Sua Santità, i suoi precettori e i grandi lama, non ero nemmeno all’asilo, e considerando il modo in cui mi comportavo, ero effettivamente un idiota. Ad esempio, una volta quando stavo traducendo per Rinpoche qualche anno dopo, finì l’inchiostro della mia penna, e chiesi ad una donna seduta vicino a me di prestarmene una. Al termine dell’insegnamento, allungò la mano per riceverla indietro. Pensando che volesse ringraziarmi per la traduzione, le strinsi la mano. Rinpoche ruggì verso di me: “Idiota, ridalle indietro la sua penna”. Fui molto grato per la gentilezza di Rinpoche nel formarmi in questo modo. Era esattamente ciò di cui avevo bisogno.
Rinpoche curò molto la mia formazione come traduttore. Con il senno di poi, credo che mi stesse formando come fossi un’offerta per Sua Santità, per poter tradurre per lui. Era incredibilmente devoto a Sua Santità e conosceva le abilità di cui avrei avuto bisogno. Ad esempio, cominciò allenando la mia memoria. Ogni volta che ero con lui, interrompeva la conversazione in ogni momento, e dovevo ripetere parola per parola quello che aveva detto lui o che avevo detto io. Dovetti imparare a stare sempre vigile, e ad avere sempre il mio “bottone di registrazione” interno acceso. Una volta gli chiesi il significato di una parola e rispose severamente: “Te l’ho spiegato sette anni fa. Io me lo ricordo, perché tu no?”. Poi mi disse che si ricordava ogni cosa che aveva mai studiato. Era verso la fine dei suoi sessant’anni a quel tempo. Trovai questa cosa di grande ispirazione. Speravo di essere in grado di fare lo stesso.
Dopo poco tempo, altri occidentali cominciarono a visitare Rinpoche per richiedere insegnamenti, specialmente sul tantra. Rinpoche sentiva che ora ero sufficientemente preparato per tradurli, e così cominciammo l’inverno del 1975. La persona più entusiasta che partecipò a questi insegnamenti era Alan Turner, un giovane inglese che frequentava anche le classi alla biblioteca. Alan era giunto in India con un forte desiderio di praticare il tantra e voleva imparare tutto su di esso. In seguito divenne uno dei miei più cari amici, ma purtroppo ebbe un fortissimo infarto nel 2009 e morì, lasciando la moglie brasiliana e i suoi due figli. Siccome praticava così intensamente e sinceramente, Rinpoche lo soprannominò il suo “yogi inji” – “inji” si riferiva agli inglesi, ma era anche usato dai tibetani per riferirsi agli stranieri in generale.
Lo studio con i maestri Nyingma, Sakya, e Kagyu
In precedenza nello stesso anno, Sua Santità aveva dato a Sharpa e Khamlung Rinpoche, Jon ed io un testo Sakya intitolato “Separarsi dai quattro attaccamenti”, un testo mahamudra del Karma Kagyu, e un testo dzogchen della scuola Nyingma, chiedendoci di tradurli per essere poi pubblicati dalla biblioteca. Cominciammo con i due capitoli sul sutra e il tantra del testo Nyingma con Geshe Dhargyey, ma infine divenne una mia responsabilità trovare un maestro Nyingma per i due capitoli rimanenti sullo dzogchen, e dei maestri Kagyu e Sakya per gli altri due testi e poi tradurli da solo. L’anno seguente Sharpa e Khamlung si smonacarono, sposandosi e andando a vivere in Wisconsin, mentre Jon andò in Nepal per studiare con Lama Yeshe e Lama Zopa. Jon divenne un maestro e uno scrittore buddhista di fama internazionale, sposò una studentessa olandese di Lama Yeshe ed ebbero tre figli.
In realtà non fu molto difficile trovare questi maestri – addirittura il primo fu lui a trovare me. Come di consueto, andai a Bodh Gaya nell’inverno del 1975-76; Ling Rinpoche ancora una volta avrebbe offerto l’iniziazione di Vajrabhairava e dato insegnamenti sulla pratica. Jon andò invece in Nepal per frequentare un corso a Kopan. Mentre ero a Bodh Gaya, Beru Khyentse Rinpoche, uno dei giovani tulku Karma Kagyu formati personalmente dal XVI Karmapa, mi contattò chiedendomi di tradurre i due jenang, i permessi successivi che avrebbe offerto a un gruppo di giovani occidentali. Accettai e fui molto impressionato dalle sue spiegazioni e dalla profondità della sua conoscenza. Pertanto gli chiesi di insegnare il testo mahamudra che Sua Santità voleva tradotto. Non c’era tempo quell’inverno, ma accettò di farlo l’inverno prossimo a Bodh Gaya.
Poi tornai a Dharamsala con Jon, per continuare i nostri studi alla Biblioteca con Geshe Dhargyey, e io per proseguire la mia formazione con Serkong Rinpoche. Quell’estate del 1976, Jon e io tornammo nel New Jersey ancora una volta per visitare le nostre famiglie. Questa visita coincise con la presenza a New York di Dudjom Rinpoche, il capo della tradizione Nyingma, e di Dezhung Rinpoche, uno dei maestri Sakya di Sua Santità. Matthew Kapstein, un mio amico e studente di Dudjom Rinpoche si trovava anche a New York dall’India, pure lui per visitare la famiglia. Conosceva il vocabolario tecnico Nyingma, che non avevo mai studiato, e quindi andammo insieme a visitare Dudjom Rinpoche per chiedergli un commentario sul testo Nyingma. Dudjom Rinpoche gentilmente accettò, ma c’era tempo solo per il terzo capitolo, quello più difficile. Kapstein fu di aiuto nella traduzione. Poi andammo a vedere Dezhung Rinpoche e facemmo una richiesta simile per il testo Sakya, e pure lui gentilmente accettò di offrirci insegnamenti su questo testo. Kapstein in seguito divenne un professore all’università di Chicago.
Gli incontri con Catherine Ducommun
Dopo questa visita alle nostre famiglie, tornai a Dharamsala alla fine dell’estate. Siccome Jon era andato a vivere a Kathmandu, ora condividevo il cottage solo con Sonam Norbu, che continuò a cucinare per me per qualche altro anno. Tornai a studiare alla biblioteca e a formarmi con Serkong Rinpoche.
Verso la fine dell’inverno, arrivò a Dharamsala una giovane donna franco-svizzera, Catherine Ducommun. Si era appena laureata in medicina la settimana prima, e sarebbe presto diventata un’amica intima e una persona importante nella mia vita. Era un’amica d’infanzia di George Dreyfus che l’aveva introdotta al Buddhismo tibetano, ed era diventata molto intima di Madame Anne Ansermet, che l’aveva invitata a visitarla. Sia Dreyfus che Ansermet provenivano dal cantone francese della Svizzera. Dreyfus stava studiando a Dharamsala all’Istituto di Dialettica Buddhista, e divenne il primo geshe occidentale e un professore al Williams College. Ansermet, la figlia del direttore d’orchestra di fama mondiale Ernest Ansermet, era diventata una monaca buddhista quando si mise in pensione dal suo lavoro di infermiera. Aveva imparato l’inglese a sessant’anni ed era molto vicina a Sua Santità. Non esitava mai di dargli consigli sulla sua salute. Catherine divenne una psichiatra. Oltre al suo lavoro clinico con pazienti psichiatrici, particolarmente con giovani molto disturbati, divenne non solo un professore associato clinico di terapia familiare e di coppia alla Drexel University a Filadelfia, ma anche una relatrice internazionale della terapia contestuale.
Un giorno di dicembre, Catherine bussò alla mia porta e mi diede un libro che dei nostri amici di Ginevra le avevano affidato per me. Dopo poco tempo, Madame Ansermet mi contattò. Non si sentiva abbastanza bene per accompagnare Catherine a un pellegrinaggio a Bodh Gaya, ma era molto spaventata alla prospettiva che Catherine viaggiasse da sola. Quando scoprì che sarei andato a Bodh Gaya, mi chiese se potesse viaggiare con me, e io accettai.
Come prima tappa prendemmo un autobus per Delhi, ma invece di seguire i miei piani su dove alloggiare, Catherine andò in una pensione molto conveniente che qualcuno le aveva raccomandato, ma presto scoprì che era un posto pericoloso dove stare. Fortunatamente fu in grado di raggiungermi, e la salvai da questo errore. Presi molto sul serio la missione di proteggerla durante il viaggio e anche quando eravamo a Bodh Gaya. Sentivo una forte connessione, che si rafforzò ulteriormente quando scoprii che eravamo intellettualmente molto compatibili. Istintivamente sentivo l’impegno di prendermi cura del suo benessere anche oltre al viaggio, e questo sentimento continua fino ad ora, un po’ come l’impegno di mio padre nel prendersi cura del benessere della madre e della moglie.
Mentre mi trovavo a Bodh Gaya, tradussi per Beru Khyentse Rinpoche, che diede una lunga spiegazione del testo mahamudra raccomandato da Sua Santità, nonché dell’ultimo capitolo del testo dzogchen. Continuai a tradurre per lui anche l’inverno seguente a Bodh Gaya, quando insegnò non solo i testi mahamudra e dzogchen, ma spiegò anche la presentazione Karma Kagyu dei modi di conoscere. Questo mi aprì gli occhi a un errore comune tra molti studenti di Buddhismo, me compreso. L’errore consiste nel credere che la spiegazione di qualche argomento secondo il punto di vista di una specifica scuola di Buddhismo sia la spiegazione accettata da tutto il Buddhismo in generale. In effetti ci sono presentazioni differenti della maggior parte degli argomenti discussi nel Buddhismo. Dopotutto, il Buddha insegnò a ciascun discepolo in modi leggermente differenti, in un modo che fosse adatto ai suoi bisogni e alle sue origini.
Dopo una primavera intensa di studio e formazione a Dharamsala, io e Alan, Dreyfus, e Madame Ansermet andammo in agosto al collegio tantrico Gyume ad Hunsur nel sud dell’India per ricevere le iniziazioni di Guhyasamaja, Vajrabhairava e Chakrasamvara che Sua Santità avrebbe offerto. Mentre ci trovavamo lì, Thupten Jinpa venne a visitarci. Madame Ansermet era il suo sponsor. A quel tempo era un monaco adolescente al monastero di Zongkar Choede vicino al Gyume, e da poco aveva imparato da solo l’inglese. Non potevamo sospettare che si sarebbe laureato come Geshe Lharampa al monastero di Ganden Shartse, avrebbe anche ottenuto un dottorato all’università di Cambridge e sarebbe diventato il principale traduttore di Dharma per Sua Santità.
Quell’inverno, Catherine tornò a Dharamsala dopo aver concluso un anno di apprendistato in medicina generale. Mentre si trovava lì, le fu chiesto di lavorare come sostituto per il villaggio di bambini tibetani per coprire l’assenza del dottore che non era presente per via di altri incarichi. Grazie al suo lavoro, forgiò una relazione speciale con la comunità tibetana che è continuata durante tutta la sua vita. È durante questa seconda visita che ci siamo avvicinati. Sapevo che aveva un interesse nei miei confronti, e non avendo avuto una ragazza sin dai tempi di Bernice quando ero alla Rutgers, sentii che potevo provare di nuovo ad avere una relazione nonostante il mio atteggiamento da pipistrello e il disinteresse in una vita da sposato. Così l’invitai a visitare Dalhousie con me. Dopo che tornò in Svizzera per perseguire il suo piano per diventare una psichiatra, mantenemmo una relazione part-time a distanza per quasi dieci anni, incontrandoci di tanto in tanto in India, in Europa, o in America.
Infine, scoraggiata dai messaggi ambigui del mio comportamento da pipistrello, se ne andò in America per sposare il suo mentore, Ivan Boszormenyi-Nagy, uno psichiatra americano ungherese, uno dei pionieri della terapia familiare e il fondatore della terapia contestuale. Di conseguenza divenne Catherine Ducommun-Nagy. Il suo matrimonio non interruppe il contatto o il mio impegno a prendermi cura del suo benessere. Sviluppai una buona relazione con suo marito, ed ebbi molti scambi interessanti con entrambi. Nel corso degli anni, grazie al contatto con loro, ho imparato molto sulla terapia contestuale e il suo concetto fondamentale di etica relazionale. Dopo che Boszormenyi-Nagy morì nel 2007, Catherine ed io ricominciammo a passare del tempo insieme, diventando ancora una volta una coppia di fatto part-time.
Quando feci settant’anni, cominciammo ad andare insieme in vacanza. In precedenza non viaggiavo mai semplicemente per una vacanza. Ma anche quando siamo in vacanza, facciamo ancora un po’ di lavoro. Inoltre la aiuto nei suoi progetti di scrittura, e lei mi aiuta con alcune mie idee. Una conseguenza delle nostre discussioni fu un articolo su cui abbiamo collaborato per il sito web Study Buddhism, “L’origine interdipendente del sé in relazione agli altri”, dove abbiamo utilizzato i principi della terapia contestuale per analizzare la relazione guru-discepolo. Abbiamo l’intenzione di fare altri lavori insieme negli anni a venire.