Fenomeni senza inizio
La nostra base è la realtà. Quando vediamo quali possibilità esistono per la trasformazione, allora metterle in pratica è il sentiero. Quando abbiamo trasformato noi stessi, questo è il risultato. La base allora è ciò che esiste e ciò che non esiste, e la differenza tra questi due deve essere determinata dalla cognizione valida. Ciò che esiste include sia i fenomeni che cambiano da momento a momento e quelli che non cambiano. I fenomeni che cambiano includono forme di fenomeni fisici, quei fenomeni che hanno la natura di un’esperienza soggettiva delle cose, e variabili influenzanti non congruenti (ldan-min ’du-byed), come il tempo e le persone, che non sono nessuna delle due precedenti. Ciò che esiste, allora, non è semplicemente ciò che può essere osservato, ma ciò che si osserva per come appare a noi, e non solo; è anche ciò che non è contraddetto da altre cognizioni valide dello stesso livello di osservazione.
I fenomeni materiali sorgono dalle loro cause di ottenimento (nyer-len-gyi rgyu), fenomeni materiali precedenti da cui sono ottenuti. Un fuoco, ad esempio, proviene da una causa similare (rigs-’dra’i rgyu) – deve esserci stato un fuoco precedente affinché ci sia un fuoco ora – e una causa sostanziale (rdzas-rgyu), come qualcosa che brucia. Più fondamentali sono le particelle che costituiscono un fuoco, e queste possono essere conosciute soltanto dalla mente. Ancora più fondamentali sono le particelle dello spazio, che vengono discusse soltanto negli insegnamenti di Kalachakra. Pertanto, non è che le forme di fenomeni materiali non sorgono da nessuna causa.
Le particelle dello spazio non hanno alcun inizio, e qualunque cosa più grossolana è soltanto una loro trasformazione. Pertanto, poiché ogni cosa cambia da momento a momento, c’è il fenomeno d’imputazione chiamato “qualcosa che è morto” (zhig-pa) di ciò che venne prima nel suo continuum. Pertanto, tutte le forme di fenomeni fisici hanno necessariamente fenomeni fisici precedenti come loro cause di ottenimento.
Lo stesso vale per i modi di essere consapevoli di qualcosa, quei fenomeni che cambiano di momento in momento con una natura di essere una mera esperienza soggettiva di qualcosa. Proprio come forme di fenomeni materiali sorgono da cause simili, lo stesso vale per i modi di essere consapevoli di qualcosa. Non sorgono semplicemente da cause che sono fenomeni materiali, ovvero sensori cognitivi fisici e oggetti cognitivi fisici.
Le variabili influenzanti non congruenti, come il tempo e le persone, non sono né una forma di fenomeni fisici né un modo di essere consapevoli di qualcosa, e pertanto richiedono una base sostanzialmente esistente (rdzas-yod).
[Le variabili influenzanti non congruenti hanno un’esistenza imputata (btags-yod) su tale base; ciò significa che non possono esistere o essere conosciute indipendentemente da tale base. Il Sautrantika li classifica come fenomeni oggettivi (rang-mtshan, fenomeni individualmente caratterizzati), come le forme di fenomeni materiali e i modi di essere consapevoli di qualcosa.]
Pertanto, proprio come i fenomeni sostanzialmente esistenti non hanno alcun inizio, in maniera simile i fenomeni esistenti imputati come loro base non hanno anche nessun inizio. E proprio come le forme di fenomeni materiali non sono create dal pensiero concettuale, ma sono sostanzialmente esistenti, lo stesso vale per i modi di essere consapevoli di qualcosa. Anch’essi non sono semplicemente invenzioni concettuali.
Per comprendere l’assenza di un inizio, dobbiamo analizzare: da dove proviene la nostra coscienza? La nostra coscienza ha un primo momento, un inizio? Proviene da un continuum, e se è così, da un continuum di cosa? Proviene da una certa sostanza materiale come causa di ottenimento, o non ha nessuna causa? Se non ha nessuna causa che possiamo scoprire, allora è stata semplicemente creata da Dio?
La scienza deve indagare questa domanda sulla causa della coscienza. Quando analizziamo il problema, notiamo che la coscienza è immateriale, quindi non può sorgere dalla materia, poiché ciò sarebbe in contraddizione alla sua natura essenziale. L’unica alternativa è che la nostra coscienza sia un continuum senza inizio.
Come appena detto, non possiamo semplicemente ipotizzare un continuum di un fenomeno d’imputazione, (una persona, “io”) come esistente e conoscibile indipendentemente da sé stessa. Deve avere una certa base sostanziale. E come abbiamo visto, forme di fenomeni fisici e modi di essere consapevoli di qualcosa, come base per i fenomeni di imputazione, non hanno alcun inizio. Allora la domanda è: qual è la base per una persona, “io”?
La base per “io” non può essere determinata semplicemente secondo i fattori aggregati della nostra attuale apparenza – ad esempio come appariamo ora. La base dev’essere un continuum che dura nel tempo. Siccome la forma del nostro corpo cambia drammaticamente in ciascuna vita da quella di un bambino a quella di un adulto ad un anziano, non ha senso considerare il corpo come base duratura del sé, “io”. Ha più senso considerare la mente come base senza inizio di una persona. Tale analisi porta ad una comprensione logica della rinascita.
Il sistema di principi Vaibhashika afferma la fine di questo continuum mentale e di un sé con il parinirvana, mentre il Sautrantika, il Chittamatra e il Madhyamaka asseriscono che questo continuum non ha nessuna fine. Non può esserci nessuna fine, perché dovrebbe esserci un opponente alle caratteristiche distintive della mente – chiarezza e consapevolezza – che se applicato, farebbe in modo che la mente e il sé come fenomeno d’imputazione [sulla mente] si avvicinino sempre di più ad una fine. Ma non c’è tale opponente alla mente.
Causa ed effetto
Il fatto che una causa dia origine ad un effetto è semplicemente la natura delle cose (chos-nyid). Pertanto, i continua di forme esterne di fenomeni fisici e della coscienza interna si riuniscono come condizioni che agiscono simultaneamente (lhan-cig byed-pa’i rkyen) per dare origine ad effetti. Ad esempio, le sensazioni di felicità e infelicità che sperimentiamo sono il risultato di cause precedenti. Provengono da momenti precedenti di coscienza, ma anche da cause karmiche. La stessa situazione può innescare l’immediata comparsa a volte di felicità e a volte di infelicità. La sensazione che sorge si deve a cause karmiche precedenti.
Il funzionamento di causa ed effetto opera in termini di fenomeni contrastanti – ad esempio i quattro elementi, luce e oscurità, caldo e freddo. Fenomeni che si contraddicono a vicenda non possono coesistere. Se un membro di una coppia di fenomeni contrastanti sale, l’altro deve andare giù. Per esempio, se il calore aumenta, allora il freddo deve diminuire. In maniera simile, interamente, ci sono modi contrastanti con cui le nostre menti apprendono i loro oggetti – “Questo è bianco e quello è rosso”, oppure “Questo è buono e quello è cattivo”. Lo stesso vale per le emozioni. Con rabbia, allontaniamo qualcuno da noi, e con amore, li avviciniamo a noi. In un singolo momento mentale, solo uno di loro può essere presente, semplicemente perché si escludono a vicenda, come il caldo e il freddo. Se uno cresce, l’altro diminuisce, sebbene in un unico momento, non possiamo avere entrambi.
Siccome anche la felicità e la sofferenza si escludono a vicenda, dobbiamo contrastare le cause dell’infelicità e della sofferenza con una causa della felicità che escluda tale causa [della sofferenza]. Tuttavia, dobbiamo identificare correttamente le cause della felicità. Non possiamo ottenere la felicità semplicemente grazie al potere della preghiera, o lavorando con avanzate pratiche tantriche che trattano le gocce sottili e l’energia del prana – i venti del corpo sottile. Il tantra induista possiede anche queste pratiche tantriche del phowa (trasferimento della coscienza nelle terre pure), trungjug (trasferimento della coscienza in corpi morti) e tummo (calore interno) e lavora con i chakra, i mantra e così via. Non sono esclusive del Buddhismo.
Ciò che il Buddha insegnò è che la causa radice delle nostre emozioni disturbanti, e degli impulsi karmici motivati da esse risultanti nella nostra infelicità e sofferenza, è la nostra inconsapevolezza di non sapere o di sapere incorrettamente come funzionano le cose. Pertanto, abbiamo bisogno di contrastare questa inconsapevolezza con il suo opposto. Dobbiamo contrastarla con la consapevolezza discriminante con cui conosciamo correttamente come esiste ogni cosa. La fede che questa consapevolezza contrasterà la nostra ignoranza supporterà tale consapevolezza discriminante e questo va bene. Ma la fede soltanto non sarà sufficiente. Se abbiamo studiato e consideriamo quello che abbiamo imparato come il fondamento generale, allora quando sperimentiamo in effetti come esistono le cose, lo riconosceremo e acquisiremo una ferma convinzione in questo. Altrimenti, soltanto con la fede cieca, oppure soltanto con un’esperienza di qualcosa ma non sapendo cosa sia, non avremo un quadro di riferimento per integrarla e stabilizzarla nelle nostre menti.
La vacuità di chiara luce
La terza nobile verità si riferisce al vero arresto, la vera cessazione, della sofferenza e delle sue cause, e questo è un fenomeno d’imputazione sulla base della chiara luce sia della vacuità come un oggetto e una mente che apprende la vacuità come suo oggetto. Inoltre, la mente che apprende la vacuità come suo oggetto ha anch’essa la natura della vacuità. Il terzo capitolo del Sutra del Mucchio di Pietre Preziose (dKon-mchog brtsegs-pa, scr. Ratnakuta Sutra) afferma questo quando dice: “La mente è senza mente”, il che significa che la mente ha la natura della vacuità, in riferimento sia alla sua natura convenzionale che a quella più profonda. La chiara luce, sia in termini di vacuità come un oggetto e come la natura convenzionale della mente, non sono cose che sorgono come qualcosa di nuovo quando la mente è in assorbimento totale (equilibrio meditativo) sulla vacuità e l’oggetto da confutare e le macchie temporanee della mente sono svanite.
È importante ricordare che, quando la mente è indirizzata ad un oggetto da confutare, la mente stessa è vuota. L’oggetto da confutare deve essere in effetti nei termini della natura vacua della mente stessa. In questo modo, la natura sia della mente che conosce l’oggetto sia l’oggetto stesso è vacuità.
La natura convenzionale della mente come chiara luce non è qualcosa che sorge ex novo con l’assorbimento totale. Poiché questa natura di chiara luce della mente non ha inizio né fine, Maitreya affermò nel suo testo Filigrana di Realizzazioni:
(VIII.33-34) Il Corpo Illuminante che produce, ugualmente, tutti i benefici assortiti agli esseri erranti, quanti ne esistono, è il Corpo di Emanazione, privo di qualsiasi rottura nella sua continuità. Allo stesso modo, accettiamo, non avendo alcuna rottura nella sua continuità, la sua attività illuminante per tutto il tempo in cui il samsara resiste.
Se capiamo che la chiara luce – la vacuità sia come oggetto che come natura convenzionale, chiarezza e consapevolezza, della mente che ha la capacità di conoscerla - è alla fine senza macchia, allora avremo fiducia nella veridicità della terza nobile verità. Notate che lo stato di permanenza naturale che è la nostra natura di Buddha è la nostra chiara luce attualmente contaminata da macchie temporanee.
Affidarsi a insegnamenti validi
Dobbiamo studiare tutto questo nelle scritture buddhiste, ma da quali scritture? La scuola Vaibhashika segue alcune fonti della tradizione Pali dei sutra e altre dalla tradizione sanscrita. Secondo Chittamatra, i sutra che possono essere accettati letteralmente dovrebbero essere visti come di significato definitivo (nges-don), mentre quelli che non possono essere considerati letteralmente hanno un significato interpretabile (drang-don). Il Madhyamaka fa questa distinzione in termini di argomenti discussi in specifici passaggi nei sutra: quelli che discutono della verità più profonda sono definitivi e quelli che discutono della verità convenzionale hanno bisogno di essere interpretati. Questa distinzione non si trova nella tradizione Pali con riferimento ai testi Hinayana.
Se dovessimo fare affidamento su altri testi per determinare se un testo può essere preso alla lettera o meno, non ci sarebbe fine e non c'è modo di decidere. Pertanto, dobbiamo usare la logica, non solo le citazioni. Se un passo citato da un testo non è contraddetto dalla logica o dalla ragione, allora è definitivo, mentre se una citazione è contraddetta dalla logica o dalla ragione, allora non lo è. Questo è il criterio condiviso utilizzato dagli accademici di Nalanda.
Nagarjuna, nel testo Una Ghirlanda Preziosa, e Maitreya, in Una filigrana per i Sutra Mahayana (Theg-pa Chen-po mdo-Sde rgyan, scr. Mahayanasutra-alamkara), insegnò che le scritture Mahayana sono autentiche. Se i testi Mahayana non fossero autentici, sarebbe difficile spiegare, a fondo, le quattro nobili verità basate unicamente su citazioni. Di conseguenza, il Buddha insegnò il Tripitaka, i Tre Cesti del vinaya, del sutra e dell'abhidharma, ad un pubblico generale, ma insegnò i sutra Mahayana soltanto a quelli dell'intelletto acuto.
Gli insegnamenti lam-dre del sentiero e dei suoi risultati della tradizione Sakya parlano di valida esperienza, maestri validi, insegnamenti validi, commentari e testi validi. A livello personale, la prima di queste, l’esperienza valida, è la cosa più utile nella vita quotidiana. Se la nostra esperienza è autentica e valida, ciò significa che si basava su validi e autentici insegnamenti dati da un valido e autentico insegnante che si basava su validi e autentici commenti. Questo porta alla conclusione che i testi degli insegnamenti del Buddha su cui si basavano questi commentari erano validi ed autentici.
Un'esperienza valida è quella che genera un cambiamento positivo e autentico nella nostra mente, e tale cambiamento proviene solo da una valida esperienza di bodhichitta e vacuità. Esperienze valide e cambiamenti positivi nelle nostre menti non possono verificarsi con la sola pratica della divinità, sottolineando questo volto di questo colore e quello di un altro. La pratica della divinità è valida e autentica solo se si basa sulla bodhichitta e sulla vacuità.
Nagarjuna, nel suo testo Versi radice del Madhyamaka, comincia rendendo omaggio al Buddha:
(I.1) Mi prostro al Buddha Pienamente Illuminato, primo tra tutti gli eloquenti, che ha indicato l'origine dipendente senza che (nulla) cessi, sorga, finisca, duri in eterno, venga, se ne vada, sia un elemento diverso o lo stesso elemento, (per il bene di apportare) la calma ai costrutti mentali e pace.
Nagarjuna visse solo 400 anni dopo il Buddha e quindi conosceva il Buddha meglio di noi. Noi pensiamo di conoscere le qualità del Buddha. Nagarjuna disse che il Buddha insegnò privatamente il Mahayana a Maitreya e Manjushri. Anche se non possiamo confermarlo noi stessi, tuttavia se meditiamo sulla bodhichitta e ciò porta ad un cambiamento positivo nella nostra mente, questo dimostra chiaramente che i testi Mahayana (la fonte di tale cambiamento) sono validi insegnamenti del Buddha.
Il sentiero Hinayana è il sentiero preliminare, il sutra Mahayana è il sentiero principale, e il tantra è qualcosa in cui allenarsi solo come un aspetto [del sentiero]. I quattro sistemi di principi sono come scale. I sistemi superiori evidenziano le contraddizioni di quelli inferiori, ma conoscendo quelli inferiori, possiamo apprezzare la profondità di quelli superiori. I sistemi superiori sono vasti e profondi poiché non contraddicono la logica. Se siamo consapevoli delle aree in cui possiamo fare errori, questo ci aiuta a rimanere sulla strada giusta e ad avere fiducia in essa. Così, lo studio dei sistemi di principi dà stabilità alla nostra visione. Poi, sulla base dei sei atteggiamenti lungimiranti e del bodhichitta, saremo in grado di realizzare i nostri obiettivi e quelli degli altri.
La necessità che gli atteggiamenti lungimiranti siano sei di numero
Maitreya, nel suo testo Una Filigrana dei Sutra Mahayana, spiegò:
(XIX.42) Situati nei testi Mahayana, vi sono l’offerta del Dharma, la pura autodisciplina etica, nonché la pazienza di non smettere (di aiutare), lavorare con perseveranza assieme alla (costanza mentale per stabilizzare) la compassione, e la consapevolezza discriminante, la mente principale tra gli atteggiamenti lungimiranti per coloro che hanno intelligenza.
Pertanto, gli insegnamenti nei testi Mahayana soddisfano i nostri obiettivi e quegli degli altri, perché includono tutti gli insegnamenti in essi, specialmente quelli sui sei atteggiamenti lungimiranti.
Per raggiungere l'illuminazione, abbiamo bisogno di rinascite migliori; e le sei perfezioni – in particolare, l’autodisciplina etica lungimirante – ci permettono di raggiungere rinascite migliori. Non saremo in grado di aiutare gli altri materialmente se non siamo ricchi, e quindi abbiamo bisogno di coltivare la generosità. Abbiamo bisogno di amici virtuosi, e quindi dobbiamo respingere la rabbia e praticare la pazienza. Per realizzare qualsiasi cosa, abbiamo bisogno di perseveranza. Per avere amici, dobbiamo controllare le nostre emozioni disturbanti, e quindi dobbiamo praticare la costanza mentale (concentrazione). E infine, per essere realmente efficaci nell'aiutare gli altri, abbiamo bisogno della consapevolezza discriminante (saggezza) di sapere cosa è benefico e cosa è dannoso. Pertanto, dobbiamo coltivare tutti e sei gli atteggiamenti lungimiranti.
L’autodisciplina etica significa astenersi dal causare danni. Generosità significa dare aiuto materiale e protezione dalla paura. Pazienza significa non arrabbiarsi. Questi tre ci aiutano a realizzare gli obiettivi degli altri. Un altro aspetto della pazienza, la pazienza di studiare e la perseveranza aiutano a realizzare gli obiettivi sia degli altri che di noi stessi. La costanza mentale e la consapevolezza discriminante ci aiutano a realizzare i nostri obiettivi. In questo modo, abbiamo bisogno di tutti e sei gli atteggiamenti di vasta portata per realizzare i nostri obiettivi e quelli degli altri.
Quando siamo generosi e diamo aiuti materiali agli altri, li attraiamo naturalmente come nostri amici. Abbiamo anche bisogno di dare agli altri la nostra pratica di autodisciplina etica, e lo facciamo conducendo una vita che non causa mai alcun danno agli altri. Con pazienza, anche se gli altri ci fanno del male, non gli facciamo del male in cambio. Quando cerchiamo di aiutare gli altri, abbiamo bisogno di non perdere la speranza o scoraggiarci, e quindi abbiamo bisogno di perseveranza. Per aiutare gli altri, abbiamo bisogno di concentrazione e costanza mentale in modo da raggiungere alla fine la percezione extra-sensoriale. Con essa, possiamo conoscere i pensieri degli altri e aiutarli a domare le loro menti. Abbiamo anche bisogno di costanza mentale per poterci concentrare quando analizziamo i fenomeni. La costanza mentale, quindi, aumenta il nostro sviluppo di consapevolezza discriminante. Con la consapevolezza discriminante, possiamo distinguere tra ciò che è corretto e ciò che non lo è, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, in modo che possiamo aiutare gli altri a dissipare i loro dubbi e raggiungere l'illuminazione. Pertanto, in termini di aiutare gli altri a raggiungere l'illuminazione, abbiamo bisogno di tutti e sei gli atteggiamenti lungimiranti.
I sei atteggiamenti di vasta portata sono precisi nel loro numero. Quando non siamo attaccati alla ricchezza, ma siamo soddisfatti di ciò che abbiamo e lo condividiamo con gli altri, possiamo impegnarci in una corretta pratica. Questa generosità sostiene e aiuta la nostra autodisciplina etica per la pratica. Se siamo pazienti, non saremo danneggiati dalle difficoltà e non saremo scoraggiati dalla sofferenza. Pertanto, la pazienza sostiene e aiuta la perseveranza. Con concentrazione e stabilità mentale, siamo in grado di superare ostacoli mentali e fisici. Non ci stanchiamo quando ci impegniamo in pratiche costruttive. Possiamo rendere il corpo e la mente adatti ad ottenere la mente calma e posata dello shamatha (zhi-gnas). Grazie a questo, possiamo sviluppare lo stato mentale eccezionalmente percettivo della vipashyana (lhag-mthong) per la consapevolezza discriminante. Senza uno stato di shamatha come base, non può esserci uno stato effettivo di vipashyana, e quindi la stabilità mentale aiuta e sostiene questo stato di vipashyana. Pertanto, è certo che gli atteggiamenti lungimiranti sono sei di numero per intraprendere la pratica completa del Mahayana.
È anche certo che sono sei di numero dal loro punto di vista di essere un mezzo abile per le nostre pratiche. Dare agli altri la nostra ricchezza e il nostro aiuto fisico è una causa di prosperità. Con l’autodisciplina etica, evitiamo azioni imprudenti del corpo, e questo ci aiuta a superare le distrazioni mentali. In questo modo, ci aiuta alla concentrazione. Se non ci arrabbiamo, abbiamo la pazienza di praticare meglio. Con la perseveranza, non ci scoraggiamo. Con la concentrazione di uno stato di stabilità mentale, otteniamo un piacere fisico e mentale che ci consente di entrare in assorbimenti meditativi più profondi che sopprimono temporaneamente le emozioni disturbanti grossolane sul piano degli oggetti sensoriali del desiderio (il regno del desiderio). E con la consapevolezza discriminante, siamo in grado di sbarazzarci per sempre delle emozioni disturbanti e delle loro tendenze. Pertanto, è certo che gli atteggiamenti lungimiranti sono sei per adottare metodi abili per la nostra pratica.
È anche certo che ci sono sei atteggiamenti lungimiranti per aiutarci a sviluppare i tre addestramenti superiori. Se siamo generosi, non siamo attaccati alla nostra ricchezza e quindi il nostro addestramento superiore nell’autodisciplina etica diventa puro. Con la pazienza, non siamo danneggiati dalle difficoltà e questo anche ci aiuta a mantenere il nostro addestramento superiore nell’autodisciplina etica. La stabilità mentale è importante per l’addestramento superiore nella concentrazione, e la consapevolezza discriminante per l’addestramento superiore nella consapevolezza discriminante. La perseveranza ci aiuta ad ottenere tutte e tre.
Secondo Haribhadra nel suo testo Sphutartha (’Grel-ba don-gsal, Un Commentario (alla “Filigrana di Realizzazioni” di Maitreya, che ne chiarisce il significato), l’attaccamento alla nostra famiglia e alla ricchezza, senza essere generosi, è un ostacolo che ci fa rimanere nel samsara. Senza autodisciplina etica, commettiamo azioni distruttive, spesso a causa di tale attaccamento. Senza pazienza, ci arrabbiamo quando gli altri ci fanno del male e così compromettiamo la nostra pratica. Senza perseveranza, siamo pigri, procrastiniamo e ci scoraggiamo. Senza stabilità mentale e concentrazione, ci distraiamo e subiamo ostacoli nel nostro comportamento costruttivo. Quando la nostra consapevolezza discriminante è incorretta o corrotta, il nostro studio è inefficace, e non pratichiamo quello che dovremmo. Per superare gli ostacoli alla nostra pratica sul sentiero, abbiamo bisogno di tutti i sei atteggiamenti lungimiranti.
Inoltre, secondo La Filigrana dei Sutra Mahayana di Maitreya:
(XVI.14) La presentazione (dei sei atteggiamenti lungimiranti) è attraverso l’ordine dei successivi i quali si basano e sorgono dai precedenti, e dal loro stato da inferiori a elevati e anche dai grossolani ai sottili.
In altre parole, gli atteggiamenti lungimiranti successivi sono superiori a quelli prima di essi, e quelli precedenti aiutano i seguenti. Quindi l’ordine delle sei perfezioni è importante. Quelli precedenti sono inferiori nel senso che i successivi sono più difficili da sviluppare. Inoltre, ciascuna delle sei perfezioni è progressivamente più sottile. Quando ci impegniamo in pratiche sottili, abbiamo bisogno di una mente sempre più sottile. Pertanto, l’ordine delle sei è importante e preciso.
Infine, nella discussione di Maitreya dei sei atteggiamenti lungimiranti nella sua presentazione del bodhichitta e della pratica del bodhisattva nel suo testo Filigrana di Realizzazioni, lui afferma:
(V.22ab) In ciascuno degli (atteggiamenti lungimiranti), la generosità e così via, (gli altri atteggiamenti lungimiranti) sono inclusi.
Pertanto, ciascuno degli atteggiamenti lungimiranti è completo in ciascuno degli altri.