I componenti dell’aggregato delle altre variabili influenzanti
Il quarto aggregato, l’aggregato delle altre variabili influenzanti, è la collezione più ampia di oggetti. “Variabile” significa che cambia, e “influenzante” significa che influenza la nostra esperienza. Questo raggruppamento contiene tutti i fenomeni mutevoli che non sono inclusi negli altri aggregati. È l’aggregato di tutto il resto, dove si trovano tutte le emozioni positive e negative e tutti i vari fattori mentali come l’attenzione, la concentrazione e l’interesse. I fattori mentali contribuiscono o modificano quello che vediamo, sentiamo e proviamo. Inoltre, vengono qui inclusi fattori che cambiano da momento a momento ma che non sono forme di fenomeni fisici o modi di essere consapevoli di qualcosa – ad esempio il tempo, il luogo, il cambiamento, l’età e, cosa più importante, il sé convenzionale, “io”.
Cominciamo ad esaminare alcune variabili principali che sono dei grandi guastafeste. Ci sono vari testi buddhisti che propongono liste leggermente differenti di questi fattori mentali, che vanno da 48 a 52. Sono anche definiti in modo leggermente diverso, ma sono sostanzialmente gli stessi. Inoltre, tenete presente che ci sono molti più fattori mentali di questi numeri specifici. Quelli elencati in queste liste sono semplicemente i fattori fondamentali.
I cinque fattori mentali che funzionano sempre
Ci sono cinque fattori mentali che accompagnano ogni momento. Abbiamo già parlato di due di questi: provare un livello di felicità o infelicità e distinguere. Come abbiamo visto, questi sono presentati come due aggregati distinti perché sono davvero fondamentali.
Pulsioni
Il terzo fattore mentale sempre funzionante è ciò che traduco come “pulsione” o “impulso mentale” che, come una locomotiva, spinge tutti gli altri fattori mentali a impegnarsi con un oggetto, e che spinge il nostro corpo, parola o mente a impegnarsi in un’azione indirizzata verso o con quell’oggetto. Ad esempio, muoviamo la testa di lato per vedere qualcosa.
Secondo uno dei sistemi buddhisti, queste pulsioni sono equivalenti al karma, e dunque sono “pulsioni karmiche”. La parola “karma” viene spesso usata come un’affermazione molto ampia per qualunque cosa che coinvolga causa ed effetto in termini del nostro comportamento. Tuttavia, più precisamente, il karma si riferisce alle pulsioni irresistibili, apparentemente compulsive, che ci portano a fare, dire o pensare qualcosa in aggiunta all’avere cognizione di qualcosa; tutto ciò poi ha delle conseguenze.
Siamo propensi a fare cose piuttosto innocenti, neutre: il desiderio di grattarci la testa, di vedere qualcuno, di telefonare a qualcuno, di prendere un bicchiere d’acqua, ecc. La spinta muove la nostra attività mentale nella direzione di un oggetto, nella direzione di fare qualcosa. Ad esempio, potrebbe esserci la spinta a muovere il piede, oppure di muoversi danzando.
Sperimentiamo anche pulsioni che ci portano a fare qualcosa di costruttivo o distruttivo. Ad esempio, potrebbe esserci la pulsione a dire qualcosa di cattivo o dire qualcosa di gentile. Potrebbe essere la spinta ad aiutare o ferire qualcuno. Potrebbe essere anche una pulsione molto sottile e difficile da riconoscere che ci porta a pensare a qualcosa – qualcosa di totalmente neutro, costruttivo, o molto distruttivo. E siccome le pulsioni sorgono per abitudine e secondo le circostanze, aggiungono compulsività al nostro comportamento.
Quando analizziamo più in profondità, notiamo che non è che prima sorge un impulso mentale o una pulsione e poi ciò porta il resto dei fattori mentali verso un oggetto, [generando] un’attività indirizzata verso l’oggetto. L’impulso mentale fa parte del momento di quando abbiamo cognizione di un oggetto. Per via di questo, un impulso mentale non può essere bloccato o invertito una volta che è sorto; non nasce in un momento precedente alla cognizione del suo oggetto.
Per alcuni comportamenti compulsivi, come ad esempio prendere e mangiare il quinto biscotto durante la pausa caffè, l’azione ha molti passi e ciascun momento sorge con la sua pulsione. Ad ogni punto durante questi passi, potremmo interrompere l’azione per non completarla. Mentre la nostra mano si avvicina al quinto biscotto e comincia a metterlo in bocca, a quel punto potremmo interrompere la sequenza compulsiva e rimettere a posto il biscotto.
Ma ancora prima di prendere quel biscotto, sentiamo il desiderio di mangiarlo. Questa sensazione è il fattore mentale dell’intenzione, di cui parleremo fra poco. È tra la sensazione di voler prendere il biscotto – in altre parole, l’intenzione di prenderlo – e lo sperimentare la sequenza di impulsi (o pulsioni) con cui effettivamente muoviamo la mano per mettere il biscotto in bocca – velocemente, prima che qualcun altro lo prenda – che abbiamo la migliore opportunità di non mettere in pratica quella sensazione. Da questo esempio, possiamo cominciare a vedere la precisione che sta alla base dei cambiamenti del nostro comportamento.
I nostri potenziali karmici maturano non solo nelle nostre sensazioni di felicità o infelicità, ma anche in quello che sentiamo di fare o intendiamo fare. Ad esempio, potrebbero maturare nel desiderare di mangiare un altro biscotto e non un frutto, e ovviamente i nostri potenziali karmici non maturano nei biscotti stessi. Poi, con una pulsione, mettiamo in pratica quello che ci sentiamo di fare e, nel farlo, accumuliamo ulteriori potenziali karmici. Nel tentativo di rompere quest’abitudine karmica, potremmo pensare, “Mi darò il permesso di mangiare solo cinque biscotti in ogni pausa caffè”. Ma questo è molto strano, perché c’è il dualismo di un “io” separato che dà il permesso a questo “io” cattivo che vorrebbe mangiare dieci biscotti ogni volta.
Cercate di riconoscere che ci sono degli impulsi o pulsioni che emergono in ciascun momento. Non è così semplice riconoscerle. Sono molto sottili. Il modo in cui le riconosciamo è per ciò che fanno. Ad esempio, ci grattiamo e muoviamo la testa; pertanto, logicamente, ci dev’essere una spinta, un impulso karmico, che ci porta a quell’azione. Inoltre, c’è la pulsione a continuare a vedere qualcosa, a non fare nulla, a continuare a dormire, o la spinta che porta a un sogno, o la pulsione che ci porta a svegliarci. Ciascuna spinta o impulso mentale è ciò che ci porta alla cognizione e all’azione del momento. C’è la spinta a chiudere o aprire gli occhi.
Gli impulsi mentali sono difficili da riconoscere. Negli studi del Dharma, innanzitutto acquisiamo una comprensione grossolana e poi via via diventiamo sempre più precisi. In questo caso, quando parliamo di un impulso, è un modo di essere consapevoli di un oggetto. Questo è importante da ricordare. Stiamo parlando di modi di essere consapevoli degli oggetti. Quando ci focalizziamo, ad esempio, sulla vista della mano, la pulsione o impulso mentale è ciò che sta portando la nostra mente, la nostra attività mentale, alla mano e al guardarla. Dunque, la pulsione è una consapevolezza della nostra mano.
[Pausa]
Consapevolezza contattante
Fino a questo punto abbiamo esplorato la sensazione di un livello di felicità, la distinzione di qualcosa, e una pulsione o impulso mentale. Il prossimo dei cinque fattori mentali sempre funzionanti è la consapevolezza contattante. È un modo di essere consapevoli di un oggetto che differenzia un oggetto e il contatto con esso come piacevole, sgradevole, o neutro. Funge da base per sperimentare l’oggetto con una sensazione di felicità, infelicità, o con una sensazione neutra.
Ad esempio, vedendo le forme colorate del corpo di qualcuno, le distinguiamo come la forma del corpo di una persona, separata dalle forme colorate del muro. La consapevolezza contattante di questo oggetto differenzia la vista di questo corpo e questa persona come piacevole. Su questa base, ci sentiamo felici: non vorremmo essere separati dalla vista di questa persona. L’impulso karmico è ciò che indirizza la nostra mente verso questa persona, portandoci a vederla. Ulteriori impulsi karmici spingeranno la nostra mente a continuare a guardare questa persona o a distogliere lo sguardo.
Cerchiamo di riconoscere e identificare questa consapevolezza contattante mentre osserviamo i vari oggetti della stanza. Notate come tutti questi fattori mentali si connettono gli uni agli altri. Se sentiamo che un oggetto sia sgradevole, proveremmo infelicità quando lo guardiamo, ovvero vorremmo sbarazzarcene. Di conseguenza, guarderemmo qualcos’altro. Proprio come la sensazione di un livello di felicità o infelicità, la consapevolezza contattante che ci rende consapevoli di un oggetto come piacevole, sgradevole o neutro non dev’essere affatto drammatica.
Cerchiamo di essere più precisi. Quando osserviamo qualcosa che differenziamo come sgradevole e siamo leggermente infelici al riguardo, poi sorge un impulso che disconnette la nostra mente dal guardare quell’oggetto. Quando guardiamo qualcosa, la differenziamo come piacevole e ci sentiamo felici quando la vediamo, non vogliamo separarcene; pertanto, un impulso mantiene la nostra mente indirizzata verso quell’oggetto. In aggiunta, ovviamente stiamo distinguendo l’oggetto dal muro.
[Pausa]
Attenzione
Il quinto fattore mentale sempre funzionante è quello di prestare attenzione, o letteralmente di “tenere a mente”. Questo è il fattore mentale che effettivamente ingaggia l’attività mentale con un oggetto. La pulsione o impulso mentale è ciò che indirizza l’attenzione e tutti gli altri fattori mentali verso l’oggetto. Non è che prima sorge l’impulso mentale o pulsione, indirizzandoci verso l’oggetto, e poi entra in gioco l’attenzione che si “incolla” all’oggetto. L’impulso mentale e l’attenzione sono simultanei.
Questa attenzione potrebbe essere forte o debole, perché c’è un intero spettro di quanta attenzione prestiamo a un oggetto. Ad esempio, guardiamo il muro e ci diamo poca attenzione. C’è un impulso che ci porta a guardare il muro, ma non c’è molta attenzione e quindi proseguiamo. Comincia a diventare piuttosto complicato, ovviamente, perché non prestiamo la stessa attenzione a ogni cosa nel nostro campo visivo. Questo implica qualcos’altro; ad esempio, il nostro interesse.
Solo per darvi un esempio divertente: sono stato per quattro mesi nella casa di un amico in Galles. Dopo un po’ di tempo, andammo a comprare una nuova tenda per la doccia e stavamo cercando di decidere quale fosse la più bella. Il mio amico mi chiese: “Che colore della tenda andrebbe bene con il muro del bagno?”. Confessai di non avere nessuna idea di quale fosse il colore del muro del bagno. Poi il mio amico mi pose un’altra domanda: “Qual è il colore dei muri della tua camera da letto?”. Nuovamente, non ne avevo idea perché non avevo prestato mai nessuna attenzione a questo dettaglio. Non ero minimamente interessato al colore dei muri, e quindi non avevo nessun ricordo. Ci siamo fatti delle grandi risate.
Alcuni di noi potrebbero essere molto interessati all’abbigliamento e alla moda e presterebbero attenzione a ciò che le persone stanno indossando oggi e lo ricorderebbero. Altre persone che non sono affatto interessate ai vestiti non ci faranno caso e non lo ricorderanno. L’attenzione dipende da quanto fortemente la nostra mente si impegna con l’oggetto. È debole o forte, rigida o rilassata? Questo non riguarda soltanto la percezione sensoriale, ma anche il pensiero. Quanta attenzione prestiamo all’ammontare di pensieri casuali che ci vengono in mente?
Un’altra dimensione è come prestiamo attenzione a qualcosa. Come la consideriamo? Prestiamo attenzione a qualcosa in modo corretto o errato? Ad esempio, prestiamo attenzione a qualcosa di impermanente come permanente o a qualcosa di impuro come puro?
Di nuovo, prendiamoci un momento e cerchiamo di notare questo fattore mentale dell’attenzione. Quanta attenzione stiamo prestando a quello che vediamo o a quello che sentiamo? Ricordatevi che stiamo vedendo, sentendo, annusando, assaggiando, sentendo sensazioni fisiche, e probabilmente pensando, tutto allo stesso tempo. La quantità di attenzione che accompagna ciascuno di questi è ovviamente differente, vero?
[Pausa]
Non essere consapevoli di certe cose
In occidente, quando parliamo di essere consapevoli o meno di ciò che accade nella nostra mente, in effetti, è questo fattore dell’attenzione a cui ci stiamo riferendo. Ad esempio, potrebbe esserci della rabbia associata al parlare con qualcuno – rabbia di cui siamo totalmente inconsapevoli. Questa ostilità o rabbia inconscia significa che non c’è nessuna attenzione verso quella rabbia. Anche se c’è attenzione verso questa rabbia, la consideriamo pura o impura, pulita o sporca? È qualcosa che consideriamo come perfettamente appropriata, e quindi che va bene? O stiamo prestando attenzione a questa ostilità come qualcosa di impuro di cui vorremmo sbarazzarcene?
È molto interessante quando cominciamo ad analizzare sempre di più. Diciamo che c’è ostilità che accompagna questo momento della nostra esperienza, sia che parliamo con qualcuno, che guardiamo il muro, o semplicemente stiamo seduti nella nostra stanza. Questa ostilità non è necessariamente perché siamo ostili o arrabbiati con la persona, con la stanza, o con il muro. Potrebbe essere qualcosa di non correlato, come un incidente avvenuto a lavoro o qualcos’altro. Tuttavia, c’è questa ostilità per ora che è totalmente irrilevante. Se riuscissimo ad analizzare e a scomporre la situazione, allora potremmo vedere che la nostra ostilità è inappropriata e non correlata. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli e prestare attenzione all’ostilità.
Con questo nuovo livello di attenzione, cambiamo il modo in cui siamo consapevoli degli altri mentre parliamo con loro. Come prestiamo solitamente attenzione agli altri? Spesso, prestiamo attenzione a un’altra persona come a una sorta di oggetto generalizzato. Al contrario, possiamo prestare attenzione a un’altra persona e realizzare come questa sia un essere umano con dei sentimenti, proprio come noi. Poi possiamo aggiungere un altro fattore mentale che si chiama atteggiamento di cura. Ci prendiamo cura di come il nostro comportamento e il modo in cui parliamo influenza un’altra persona. In altre parole, prendiamo più seriamente la causa e l’effetto [delle nostre azioni].
Poi ci rendiamo conto che parlare a qualcuno con ostilità, per ragioni che non hanno nulla a che fare con lui o lei, è inappropriato e li farà sentire male. Pertanto, esercitiamo la disciplina etica dell’autocontrollo e smettiamo di agire in questo modo. Sulla base di prestare attenzione e notare quello che accade, cambiamo il modo in cui ci relazioniamo con gli altri. Semplicemente lo facciamo.
Ecco perché studiamo e impariamo ad applicare i cinque aggregati. È per migliorare il modo in cui viviamo le nostre vite. In questo aggregato delle altre variabili influenzanti, questi e molti altri fattori mentali stanno formando questo momento dell’esperienza di come ci relazioniamo con il mondo attorno a noi e con tutti.
Questa è un’idea generale dei fattori mentali che funzionano sempre. Il tempo che ci rimane è abbastanza breve, quindi introduciamo rapidamente alcuni altri oggetti che vengono inclusi in questo quarto aggregato.
I cinque fattori mentali di accertamento
In aggiunta a questi fattori mentali sempre in funzione, abbiamo anche cinque fattori mentali di accertamento. Alcuni testi dicono che anche questi sono presenti in ogni momento; tuttavia, dipende da come li definiamo. I cinque fattori mentali di accertamento consentono alla mente di conoscere un oggetto con certezza.
Intenzione
Il primo è l’intenzione, ovvero il desiderio di avere un oggetto desiderato, di fare qualcosa con l’oggetto o all’oggetto, o di raggiungere un obiettivo desiderato. È ciò a cui facevamo riferimento prima, ovvero “la sensazione di voler fare qualcosa”. Ad esempio, quando vediamo qualcuno, qual è la nostra intenzione? Vogliamo continuare a guardare la persona, la vogliamo baciare, o desideriamo dargli un pugno in faccia? Qual è l’intenzione? C’è sempre qualche intenzione qui, anche se è l’intenzione di non fare nulla.
In un certo senso, questo fattore implica anche l’interesse. Non specifichiamo l’interesse come un fattore mentale separato, sebbene ovviamente lo sia. L’intenzione di continuare a vedere qualcuno o di fare qualcosa con la persona si basa chiaramente sul nostro livello di interesse. Questo è un fattore molto importante, perché è qualcosa che possiamo modificare. Ad esempio, quando qualcuno viene e ci fa una domanda, potremmo inizialmente pensare che siamo così indaffarati da non avere proprio tempo. Tuttavia, invece di dire di no, possiamo aumentare il nostro interesse; dopotutto, c’è un essere umano e hanno una domanda. Così generiamo un interesse maggiore e come risultato prestiamo più attenzione.
Considerazione
C’è anche il fattore della considerazione, che si riferisce al considerare come un oggetto abbia certe buone qualità, che vanno da non averne nessuna ad essere la cosa più meravigliosa del mondo; oppure potrebbero essere buone qualità che vanno dalla meno importante alla più importante. Di nuovo, il fattore dell’interesse è presente.
Ovviamente, questo tipo di considerazione potrebbe essere accurato o inaccurato, ed è qualcosa che ovviamente abbiamo in ciascun momento, vero? Fondamentalmente dipende da quanto valore diamo a quello che sentiamo, che vediamo, eccetera. Ad esempio, sentiamo il suono del traffico e pensiamo che non abbia nessuna buona qualità: lo consideriamo in questo modo. È solo fastidioso e potremmo anche essere arrabbiati al riguardo.
Presenza mentale
Il fattore successivo è la presenza mentale. Spesso sentiamo parlare della meditazione “mindfulness” [presenza mentale], ma abbiamo bisogno di essere molto precisi riguardo la definizione della presenza mentale nel nostro contesto attuale. La parola “presenza mentale” è la stessa parola che si riferisce al ricordare, al rammentare. È come una colla mentale. È quello che impedisce di perdere la presa mentale su un oggetto. Quando rammentiamo o ricordiamo qualcosa, è ciò che ci impedisce di perdere la nostra presa sull’oggetto. Lo ricordiamo, lo teniamo e non lo lasciamo andare.
La presenza mentale, allora, non è semplicemente prestare attenzione a quello che sorge in ciascun momento. Quando sentiamo parlare qualcuno, c’è presenza mentale o no? C’è la colla mentale che sta mantenendo l’attenzione sulle parole di qualcuno in modo tale da poterle ricordare? Oppure non c’è nessuna presenza mentale e la presa mentale è talmente lenta da non poterci ricordare cosa era stato detto?
La presenza mentale è la colla che mantiene la nostra attenzione su quello che viene detto. L’attenzione potrebbe essere forte o debole, ma questo è determinato dalla colla – la forza o la debolezza della presenza mentale presente nella conversazione.
Questi fattori mentali di accertamento, come la presenza mentale, sono cruciali quando pratichiamo la meditazione e cerchiamo di ottenere la concentrazione. Studiando e identificandoli, saremo in grado di differenziare questi vari fattori in modo tale da sapere cosa correggere quando c’è un difetto.
Fissazione mentale
Il successivo è la fissazione o concentrazione mentale. Questo è il fattore mentale in cui effettivamente stiamo con l’oggetto. Quanto riusciamo a rimanere fissi sull’oggetto della nostra concentrazione? Non ce la facciamo affatto oppure riusciamo a rimanerci molto bene?
La fissazione o concentrazione mentale è diversa dalla colla o presenza mentale, sebbene siano molto simili. La colla ci impedisce di perdere l’attenzione su un oggetto; mentre la fissazione mentale è il fattore mentale che mantiene l’attenzione sull’oggetto. Non è così semplice distinguerli.
Ad esempio, osserviamo le forme colorate del corpo di qualcuno. In quel momento, l’impulso è ciò che sta muovendo la nostra attenzione e tutti gli altri fattori mentali che l’accompagnano verso questa forma. L’attenzione è ciò che si “lega” con l’oggetto. La fissazione o concentrazione fa sì che l’attenzione rimanga sull’oggetto. La colla – la presenza mentale – impedisce che l’attenzione lasci l’oggetto. Ovviamente, questo processo interagisce ed è connesso all’interesse che abbiamo in questo oggetto, nonché l’intenzione di guardarlo e forse di dire qualcosa alla persona. In aggiunta, distinguiamo la forma di questa persona dal muro e dalle forme di altre persone. Con la consapevolezza contattante, troviamo che questo oggetto sia piacevole e la sensazione sia di felicità – ovvero non vogliamo separarci da questo oggetto. Abbiamo una buona considerazione di questa persona, pensiamo che abbia buone qualità; è una brava persona. Tutto questo si connette insieme.
Consapevolezza discriminante
Il quinto fattore in questo gruppo è chiamato consapevolezza discriminante, che è anche tradotto con “saggezza”. Tuttavia, questo termine, “saggezza” è vago e fuorviante, perché la nostra discriminazione può essere corretta o errata.
La consapevolezza discriminante è l’accertamento che ci aiuta ad apprendere un oggetto con certezza, differenziando i punti forti di un oggetto da quelli deboli. Inoltre, differenzia le buone qualità da quelle false, e determina se qualcosa è corretta o errata, costruttiva o distruttiva. La consapevolezza discriminante aggiunge certezza alla nostra distinzione e alla presa di un oggetto. Ad esempio, guardiamo una persona e discriminiamo che questo è un amico e non un nemico. Possiamo discriminare un nome da un altro con una certa convinzione e certezza.
Componenti aggiuntivi di altre variabili influenzanti
In questo quarto aggregato, abbiamo molti altri gruppi di fattori mentali, connessi a ciò che in occidente chiamiamo “emozioni”. Tuttavia, questo gruppo include anche oggetti che probabilmente non chiameremmo un’emozione. È in effetti difficile trovare un termine generale per tutti. A prescindere da questo, c’è il gruppo di oggetti costruttivi; ne introdurrò solo alcuni tra i più degni di nota.
Credere nei fatti
Il primo di questi fattori mentali costruttivi è credere che un fatto sia vero, spesso tradotto come “fede”. Questa è una traduzione fuorviante, perché la fede potrebbe essere in qualcosa che è vero o non vero. Con questo fattore mentale, stiamo parlando di credere come vero solo fatti che sono effettivamente veri, e non nel credere che le falsità siano vere. Ad esempio, io credo che questa persona sia Gabi, il che è corretto. Se credo che sia Maria, questa sarebbe una discriminazione falsa e non questo primo fattore mentale costruttivo.
La dignità morale personale e la cura per come le nostre azioni si riflettono sugli altri
Due ulteriori fattori mentali costruttivi sono la dignità morale personale e la cura per come le nostre azioni si riflettono sugli altri. Con un senso di dignità morale personale, non agiamo in modo terribile. Abbiamo un senso di autostima. Se non ce l’abbiamo, allora ci comporteremo come un teppista facendo ogni sorta di cose orribili.
C’è anche cura per come le nostre azioni si riflettono sugli altri. Non agiamo in modo orribile per via di quello che le persone penseranno della nostra famiglia, nazionalità, o religione. Ad esempio, noi pensiamo, come si rifletterebbe sui buddhisti se agissimo in un certo modo? Magari le persone penseranno male dei buddhisti se ci ubriachiamo completamente e ci mettiamo a fare cose terribili.
Questi due fattori mentali, la dignità morale personale e la cura per cui le nostre azioni si riflettono sugli altri, sono la base dell’etica nel Buddhismo. In occidente, spesso pensiamo che stare attenti a come le nostre azioni possano influenzare gli altri sia la base per l’etica. Tuttavia, da una prospettiva buddhista, questo criterio non è sempre affidabile perché, in effetti, non abbiamo alcuna idea di come le nostre azioni possano influenzare gli altri.
Ad esempio, in India, le persone hanno delle grandi casse per sparare musica all’intero villaggio. L’intenzione è di fare felici tutti, e pensano che mettere musica ad alto volume sia qualcosa ammirevole, che farà piacere a tutti. Mentre agli occidentali questa cosa potrebbe non piacere affatto. È un buon esempio che ci mostra come non c’è nessuna certezza di come qualunque cosa possa influenzare gli altri; pertanto, essere premurosi non è una base affidabile per l’etica. Di nuovo, questo perché non c’è nessuna certezza riguardo le conseguenze o gli effetti del nostro comportamento sugli altri. Tuttavia, avere cura di come il nostro comportamento possa influenzarci è tutta un’altra cosa.
Abbiamo anche oggetti costruttivi come il distacco, non aggrapparsi a qualcuno o a qualcosa. Abbiamo un sentimento imperturbabile tale per cui nulla ci farà arrabbiare. Abbiamo anche un’assenza di ingenuità e perseveranza. Con la perseveranza, continuiamo a sforzarci in qualcosa di positivo, che ci piace pure.
Ci sono molte emozioni costruttive che non sono incluse nella lista standard, ma ovviamente il Buddhismo ne parla pure. Solo perché non è sulla lista, non significa che non esiste. Cose molto fondamentali come l’amore, la compassione e la pazienza, ad esempio, non sono su questa lista di emozioni costruttive.
Le emozioni e atteggiamenti disturbanti fondamentali
Quanto al lato distruttivo, c’è un gruppo di sei fattori mentali chiamati “emozioni e atteggiamenti disturbanti fondamentali”. Sono fondamentali nel senso che quelli ausiliari crescono da questi. Ad esempio, la rabbia è il fondamento per le emozioni disturbanti ausiliarie dell’odio e del risentimento.
Il primo di questo, il desiderio bramoso, si basa sull’esagerare le buone qualità di qualcosa. Ci sono molte possibilità: ad esempio, se non abbiamo qualcosa, con il desiderio bramoso, lo vogliamo fortemente. Se abbiamo qualcosa, non vogliamo lasciarla andare. Questo è l’attaccamento. E anche se abbiamo una certa quantità di qualcosa, per avidità ne vogliamo di più.
Il desiderio bramoso è un’emozione disturbante, ovvero quando la sperimentiamo, perdiamo la pace mentale e l’autocontrollo. Diciamo e facciamo cose che solitamente non faremmo. Con il desiderio bramoso, esageriamo le buone qualità e pensiamo che questa cosa che dobbiamo avere ci renderà felice. Non abbiamo pace mentale, non ci accontentiamo [di quello che abbiamo].
Con la prossima di queste emozioni disturbanti fondamentali, la rabbia, esageriamo le qualità negative di qualcosa e, per via di questo, dobbiamo sbarazzarcene. Con entrambe queste emozioni, potremmo persino inventarci buone qualità o aggiungerne di negative che non esistono.
Abbiamo anche inconsapevolezza. Questo è il vero guastafeste, questa confusione che è sempre presente. Abbiamo questa inconsapevolezza e il non conoscere la causa e l’effetto del comportamento o la natura della realtà. Più precisamente, viene definita come una mentalità torbida, ovvero una pesantezza nel corpo e nella mente. È scura, come se fosse pesante, piena di nuvole. In occidente, questa la chiamiamo una sensazione, una sensazione di annebbiamento in cui non sappiamo quello che sta accadendo. Siamo inconsapevoli degli effetti del nostro comportamento su noi stessi e sugli altri, e di come qualunque cosa esista nella realtà. Non stiamo parlando di non sapere il nome o il numero di telefono di qualcuno, che potrebbe essere un’occorrenza abbastanza costante. Con l’annebbiamento, siamo davvero molto confusi. La mente non è leggera né chiara. C’è una sorta di annebbiamento pesante perché non sappiamo davvero quale sarà l’effetto di qualunque cosa che diciamo o facciamo. Non sappiamo davvero come esistiamo, come qualunque cosa esista, o come tutte le persone attorno a noi esistano. Fondamentalmente, non sappiamo cosa sta succedendo nella vita.
Un’analogia per l’annebbiamento è quella di camminare in giro con un sacchetto di carta sulla testa. Non possiamo davvero vedere nulla in modo chiaro. Tutte le altre persone con cui interagiamo hanno anche buste di carta sulle loro teste. Sembra proprio che non ci sia nessuna speranza, vero? Potrebbe essere un bel cartone. Tuttavia, la ragione per cui proviamo così fortemente ad avere chiarezza per capire cosa sta accadendo è perché la natura della mente non ha una busta di carta su di essa.
L’ingenuità è una sottocategoria di questa inconsapevolezza. L’ingenuità è l’inconsapevolezza che accompagna il comportamento distruttivo. Siamo davvero ingenui, perché non sappiamo se dire questo o quello ferirà o meno qualcuno.
Poi abbiamo l’arroganza. Siamo fieri di noi stessi, “io sono eccezionale”, oppure siamo arroganti per via di qualche qualità che abbiamo, come i soldi, la ricchezza, la bellezza, l’aspetto giovanile, eccetera.
Un’altra emozione disturbante è l’incertezza vacillante. Dovremmo indossare una camicia blu o una gialla? Cosa mangiamo? Questo sembra una cosa molto innocente, ma siccome siamo indecisi e vacilliamo [tra un’opzione e un’altra], può anche essere una cosa molto disturbante. Possiamo essere indecisi su cosa fare dopo, su come gestire un grosso problema, dovremmo dire questo o dovremmo dire quello? Ci paralizza, vero?
Tutte queste sono emozioni disturbanti che ci fanno perdere la pace mentale e l’autocontrollo. Ricordatevi, questi oggetti costruttivi e distruttivi accompagnano la nostra esperienza di vedere qualcuno, prestare attenzione, e tutti gli altri fattori mentali citati in precedenza.
Abbiamo anche atteggiamenti illusi, ovvero atteggiamenti che sono errati. Ce ne sono cinque di questi. Ad esempio, sebbene tutti gli aggregati e gli oggetti che li formano cambino tutto il tempo, ci aggrappiamo ad uno di questi oggetti identificandolo come “io” o “mio”. Pensiamo ad esempio che “Quello sono io”. Se è la nostra giovinezza, ad esempio, quando invecchiamo, anche a sessant’anni di età, pensiamo sempre a noi stessi come ad una persona che gli altri troveranno giovane, sexy, e attraente. È assurdo, vero? Ma abbiamo questo atteggiamento illuso su come consideriamo noi stessi: “La mia giovinezza durerà per sempre”.
Ulteriori oggetti inclusi nell’aggregato delle altre variabili influenzanti
C’è anche una lunga lista di emozioni disturbanti ausiliarie che provengono da queste fondamentali: odio, risentimento, gelosia, avarizia e così via. C’è la presunzione, pretendere di avere qualità che non abbiamo, e l’occultamento dei punti deboli quando nascondiamo i nostri difetti. C’è la pigrizia e la divagazione mentale; in effetti, c’è una lista molto lunga e alquanto scoraggiante. Ma più siamo a conoscenza di queste emozioni, più le possiamo identificare in questo momento della nostra esperienza: possiamo identificarne le varie componenti mentre cerchiamo di scomporre le cose. Ad esempio, forse non ci va di parlare o di vedere qualcuno. Quel desiderio di non vedere una persona fondamentalmente significa che non c’è alcun interesse. Tuttavia, cosa sta accompagnando questo momento? È pigrizia o ostilità? Cerchiamo di riconoscere i fattori mentali che stanno accompagnando questo momento.
Ovviamente, in aggiunta, al di sotto di tutto questo c’è la confusione su come esistiamo e sugli effetti del nostro comportamento su quella persona se non la vediamo e non ci parliamo. Forse l’altra persona sarà molto felice se non le parliamo, o forse no. Come abbiamo detto, non sappiamo realmente l’effetto del nostro comportamento sugli altri; pertanto, la nostra inconsapevolezza è specificatamente riguardo l’effetto del nostro comportamento su noi stessi. In effetti, questa è l’unica cosa certa. È assodato che evitando di parlare con questa persona rinforzeremo l’abitudine di non affrontare le cose difficili. La confusione che abbiamo riguarda il modo in cui le nostre azioni influenzeranno le nostre esperienze future.
Ad esempio, c’è una zanzara nella stanza e vogliamo ucciderla. Quale sarà l’influenza di quest’azione sul nostro comportamento futuro? Stiamo rinforzando l’abitudine di uccidere qualunque cosa che non ci piace o che troviamo fastidiosa. Abbiamo una reazione violenta, non una soluzione pacifica. Il modo in cui ci comportiamo rinforza ogni genere di abitudini che abbiamo. Ecco perché vogliamo generare abitudini migliori.
L’ultimo set di fattori mentali inclusi nell’aggregato delle altre variabili influenzanti è il gruppo di fattori mutevoli. Questi sono fattori mentali che possono essere costruttivi o distruttivi, a seconda della situazione. Ad esempio, il rammarico – se ci pentiamo di aver fatto qualcosa di negativo, questo è un atteggiamento costruttivo. Se ci pentiamo di fare qualcosa di positivo come fare una donazione a questa o quella causa costruttiva, allora sarebbe qualcosa di distruttivo.
Infine, in questo aggregato ci sono fattori non statici che non sono né forme di fenomeni fisici né modi di essere consapevoli di qualcosa. Questi includono l’età e le raccolte di sillabe che formano le parole. Ma la cosa più significativa è che includono l’io convenzionale, il sé che in realtà convenzionalmente esiste. Questi oggetti sono i cosiddetti “fenomeni d’imputazione” – fenomeni che esistono soltanto e possono solo essere conosciuti grazie ad altri oggetti degli aggregati. L’età esiste in termini del nostro corpo e può solo essere conosciuta in relazione al nostro corpo. In maniera simile, il nostro sé, “io” può solo esistere ed essere conosciuto in relazione ai cinque aggregati che formano ciascun momento della nostra esperienza.
È in questo quarto aggregato di altre variabili influenzanti, l’aggregato di tutto il resto, che vogliamo rimuovere il vero guastafeste, questa inconsapevolezza. Vogliamo rafforzare la consapevolezza discriminante, per essere in grado di discernere tra quello che è corretto e ciò che è errato, specialmente riguardo il sé. Vogliamo discernere accuratamente la vacuità e il pensiero per cui le cose non esistono nel modo in cui appaiono nelle nostre menti confuse.
L’aggregato della coscienza
Nell’ordine di questi aggregati, il quinto aggregato, quello della coscienza primaria, è il più sottile e il più difficile da riconoscere. Non è una traduzione esatta, la parola “coscienza”, ma è la parola che viene comunemente usata. In occidente, parliamo di solo un tipo di coscienza che pervade tutto, ma nel Buddhismo, a seconda del sistema, differenziamo sei tipi di coscienze primarie: occhio, orecchio, naso, lingua, corpo e coscienza mentale.
Queste sono conosciute come le coscienze primarie. Ciò significa che quando sono consapevoli di un oggetto, sono solo consapevoli della natura essenziale di quell’oggetto e nulla di più. La natura essenziale di un oggetto si riferisce fondamentalmente al tipo di cosa che è, nel modo più generale. È una vista, un suono, un odore, un sapore, una sensazione fisica, o un oggetto della mente? Quella coscienza primaria è consapevole solo di questo. Come con una radio o una televisione, le nostre menti possono operare sul canale visivo, quello sonoro, quello dell’olfatto, eccetera. Le nostre menti possono anche operare su vari canali tutti insieme, e ciò che appare in ciascun canale è differente.
Non stiamo parlando di identificare una vista o un suono mentalmente. Ad esempio, quando vediamo qualcosa, stiamo vedendo delle forme colorate. La coscienza visiva è semplicemente consapevole che una vista è proprio una vista. È consapevole che si tratta di informazione visiva. La coscienza primaria fa solo questo. Tutti i fattori mentali che sono consapevoli delle buone qualità e delle cattive qualità, i quali aggiungono interesse, attenzione, discriminazione su cosa sono o non sono le cose, il sentirsi felici o infelici, ecc. – tutti questi accompagnano la coscienza primaria di una vista.
Se vogliamo esaminarlo da un punto di vista occidentale, abbiamo l’informazione che entra, ma come la stiamo smistando, come la stiamo trattando? Stiamo considerando informazioni visive, sonore, o olfattive? È la coscienza primaria che è consapevole delle tipologie differenti di informazione. È molto sottile, il più sottile degli aggregati.
Mi viene in mente l’immagine di un computer. Quando digitalizziamo i suoni e le immagini, abbiamo bisogno di essere in grado di differenziare alcuni degli zero e uno digitalizzati nel codice come informazione visiva e altri come informazione sonora. Il modo in cui un computer è in grado di farlo è un’altra storia; tuttavia, da un punto di vista occidentale, tutta l’informazione che entra nella nostra mente è formata da impulsi elettrici. Come siamo in grado di differenziare gli impulsi elettrici che sono chiamati una vista da quelli che sono chiamati un suono? Secondo l’analisi buddhista, lo facciamo con la tipologia più fondamentale di consapevolezza di questa informazione, la coscienza primaria. È un modo di essere consapevole di qualcosa come informazione visiva, informazione sonora, eccetera.
Tutti gli altri fattori mentali accompagnano questo livello di consapevolezza. Ad esempio, siamo consapevoli di qualcosa come informazione visiva – una vista – e i fattori mentali che l’accompagnano possono essere l’interesse, l’attenzione, il sentirsi felici, e tutte queste altre cose.
Conclusione
Questa è stata un’introduzione basilare ai cinque fattori aggregati, uno schema di classificazione di tutte le componenti che cambiano da momento a momento, i quali formano la nostra esperienza quotidiana. Se vogliamo eliminare i problemi e la sofferenza nella nostra esperienza, abbiamo bisogno di scomporre ciascun momento, particolarmente i momenti di difficoltà, e comprendere cosa sta effettivamente accadendo per poter, in un certo senso, riparare le cose.
Più studiamo e impariamo riguardo tutte le componenti, più precisamente possiamo scomporre quello che stiamo sperimentando. È un metodo molto utile. Ciò di cui vogliamo particolarmente sbarazzarci è questa confusione su “io”, e come questo “io” effettivamente esista.
C’è un “io”, che viene chiamato l’io convenzionale. Questo si trova nel quarto aggregato, l’aggregato di altre variabili influenzanti. Questo “io” è qualcosa che non è né una forma di un fenomeno fisico né un modo di essere consapevole di qualcosa; cambia tutto il tempo e non può esistere né essere conosciuto indipendentemente dagli aggregati che sono la sua base. Ma siamo confusi su come esiste. Per via di questa confusione, la nostra mente fa in modo che questo “io” appaia in modo solido, come una cosa separata dal nostro corpo e dalla mente, che sta seduta dentro e che li controlla. Tuttavia, questo è errato e non corrisponde alla realtà.
Fondamentalmente, con inconsapevolezza, non sappiamo, o sappiamo come l’io esiste in un modo errato o al rovescio. Questa inconsapevolezza genera la nostra sofferenza e infelicità, che sono inclusi nell’aggregato del sentire un livello di felicità.
Ciononostante, nel quarto aggregato abbiamo anche la consapevolezza discriminante. È con la consapevolezza discriminante focalizzata sulla vacuità che possiamo eliminare l’inconsapevolezza e così sbarazzarci della sofferenza per sempre.