Abbiamo visto che la vacuità è un fenomeno negativamente noto, è una negazione ovvero lo conosciamo negando qualcosa. In altre parole, potremmo dire che è un’assenza di qualcosa. Ci sono molti tipi diversi di assenze, come l’assenza temporanea del cane dalla stanza, nel qual caso il cane potrebbe tornare e semplicemente non è presente qui ora. Ma la vacuità non si riferisce a quel tipo di assenza. Potremmo parlare dell’assenza di un mostro nella stanza, nel qual caso il mostro è qualcosa che non è mai esistito, non è mai stato nella stanza, non è uscito e non sta aspettando di rientrare. Non c’è mai stato un mostro nella stanza e non ci sarà mai. Quindi c’è quel tipo di assenza. La vacuità non parla nemmeno di questo ma, piuttosto, ciò che è assente è un modo impossibile di esistere. Quando parliamo dell’assenza di un modo impossibile di esistere, allora c’è una base per questo. In altre parole, questo è l’oggetto che è privo di esistere in un modo impossibile. Ci sono molti modi diversi di esistere che sono impossibili.
Gli oggetti di confutazione sempre più sottili dalla vacuità nelle diverse scuole filosofiche
Le scuole filosofiche indiane buddhiste possono essere studiate in modo graduale, confutando modi di esistere sempre più sottili e impossibili. Sebbene non sia chiaro se in India si studiavano in questo modo, i tibetani le affrontano in modo graduale iniziando con le descrizioni più grossolane di come esistono le cose e procedendo verso versioni sempre più sottili e sofisticate. Questo è un modo molto utile, perché fondamentalmente si restringe il campo a una comprensione sempre più precisa. Scopriamo il modo in cui immaginiamo che le cose esistano, ci rendiamo conto attraverso la logica che è impossibile e poi vediamo cosa rimane quando escludiamo questa proiezione di tale modo impossibile di esistere.
È importante vedere che, sebbene sia assente un certo modo impossibile di esistere e non c’è mai stato, tuttavia, con ciò che resta le cose funzionano ancora. Vediamo che c’è un altro livello più sottile di esistenza impossibile che proiettiamo su questo. Dobbiamo confutarlo e vedere cosa resta dopo. In questo modo, diventiamo sempre più profondi e sottili nella nostra comprensione della vacuità. È un errore molto grande all’inizio saltare alla spiegazione più sofisticata della vacuità senza lavorare attraverso questi passaggi e prendiamo l’affermazione più sottile e profonda che, senza il giusto contesto, sembra banale. “Dov’è il sé? Riesci a trovarlo?”, “Non è nella mia testa, non è nel mio piede, non è nel mio naso. Dov’è il sé? Non riesco a trovarlo”. Senza contesto sembra banale e non è certamente la comprensione della vacuità.
Questo studio e questa progressione graduale nella comprensione della vacuità ci consentono di arrivare a quella più profonda. Il grande maestro indiano, Shantideva, nel suo testo Impegnarsi nella condotta del bodhisattva sottolinea che la spiegazione della vacuità della scuola Madhyamaka Prasanghika è la più profonda e necessaria. Senza quella comprensione non c’è modo di ottenere la liberazione, per non parlare dell’illuminazione.
Abbiamo quattro scuole filosofiche buddhiste indiane e quella Madhyamaka ha due divisioni. Non entreremo nei dettagli delle posizioni di tutte queste diverse scuole, che è uno studio piuttosto complesso e profondo. Penso sia importante per noi realizzare che, se guardiamo alle quattro tradizioni tibetane del Buddhismo, scopriamo che ognuna ha diverse spiegazioni di queste quattro posizioni indiane. Non è che ci sia una sola comprensione di ciò che gli indiani asserirono e questo rende tutto ancora più complesso. In generale, possiamo dire che le scuole più antiche del Buddhismo tibetano – Kagyu, Sakya e Nyingma - hanno una spiegazione generale, anche se con lievi variazioni al suo interno. Tsongkhapa, un pensatore radicale e rivoluzionario, spiegò le posizioni indiane in un modo abbastanza diverso.
Integrare le spiegazioni della vacuità nelle diverse scuole filosofiche
Quando leggiamo libri nella nostra lingua di autori diversi o di lama moderni che spiegano queste posizioni è molto importante identificare da quale tradizione tibetana provengono, per non confondersi, perché una spiegazione pransaghika kagyu o sakya è molto diversa da una ghelugpa. A Sua Santità il Dalai Lama piace molto indicare una panoramica delle posizioni di tutte le diverse scuole che permette di vedere come in realtà si integrano, che non sono realmente contraddittorie ma solo guardano le cose da diversi punti di vista con definizioni leggermente diverse, e così via. Proprio come gli scienziati cercano una grande teoria unificata per spiegare tutto, Sua Santità cercando di sviluppare la grande teoria unificata per integrare insieme tutte le diverse spiegazioni buddhiste.
Quando ci troviamo di fronte a così tante spiegazioni e sistemi diversi è importante non scoraggiarsi ma cercare di capire, passo dopo passo, un sistema alla volta. A seconda della nostra capacità possiamo imparare molti o pochi sistemi, evitando però l’arroganza “Questa è una spiegazione inferiore, questa è infantile e stupida; solo la visione prasanghika è veramente corretta”. Dopo tutto, Buddha ha insegnato tutti questi sistemi e i vari commentari esplicativi indiani sono stati composti da grandi maestri che, per citare il mio insegnante Serkong Rinpoce, non erano idioti. Ognuno di questi sistemi è utile per alleviare la nostra sofferenza, i nostri problemi, la nostra confusione. Ecco perché Buddha li ha insegnati.
I sistemi “meno sofisticati” potrebbero non essere in grado di liberarci da tutti i livelli più profondi della confusione ma sono in grado di aiutarci a eliminarne alcuni, il che allevierà la nostra sofferenza e sarà quindi utile. Non siate arroganti “Oh, chi ha bisogno di pensare in questo modo? Perché dovrei preoccuparmi?”. Shantideva ha sottolineato il metodo per andare sempre più in profondità con questi sistemi. Se possiamo comprendere un certo esempio di un sistema che fornisce una spiegazione molto semplice, allora possiamo comprendere lo stesso esempio in un sistema più sofisticato. Shantideva ha usato l’esempio “tutto è come un’illusione”, accettato da tutti i diversi sistemi buddhisti. Ora, Buddha non dice che tutto è un’illusione, uguale a un’illusione. Dice “tutto è come un’illusione”. Le cose sono come un’illusione nel senso che sembrano esistere in un certo modo, ma in realtà non esistono in quel modo. Shantideva dice molto chiaramente che uccidere qualcuno in sogno e uccidere qualcuno quando siamo svegli sono due cose molto diverse.
La presentazione vaibhashika di ciò che è come un’illusione
Lasciatemi fare un esempio. Il sistema buddhista più semplice, Vaibhashika, sottolinea che gli oggetti come questo tavolo o questa sedia sembrano solidi, ma in realtà sono composti di minuscole particelle. La nostra mente li fa apparire come se fossero solidi. “Questa sedia sembra solida, il mio corpo sembra solido, ma in realtà entrambi sono costituiti di atomi, elettroni e quark e da un’enorme quantità di spazio vuoto; la loro solidità è come un’illusione. È impossibile che siano solidi”.
Queste cose sono prive di esistenza come qualcosa di solido, sebbene la scuola Vaibhashika non usi questa terminologia. La scienza occidentale concorderebbe sul fatto che questa sedia e il mio corpo non sono certamente oggetti solidi. Ora, non è così difficile. La parte difficile è il tuttavia che viene dopo – “...e tuttavia non cado attraverso questa sedia. Sebbene il mio corpo e la sedia non siano solidi, così come le sue minuscole particelle, campi energetici e così via, tuttavia - non cado attraverso questa sedia che mi sostiene”. Questo è difficile da capire davvero.
Come posso essere sostenuto da questa cosa che non è solida? È come un’illusione nel senso che sembra solida, ma funziona comunque. Ci vuole un po’ di tempo perché questo si sedimenti, per capirlo davvero e per accettarlo a tutti i livelli.
Pensiamo alla lingua, come capiamo qualcosa? Quando qualcuno parla, in un momento senti solo una consonante o una vocale, un suono minuscolo, e quando viene pronunciata la sillaba successiva e la senti, non senti più quella prima sillaba; è finita. Quindi non senti mai una parola in un momento ma solo suoni molto brevi, certamente non senti una frase. Quindi non c’è niente di solido nel suono di una frase. Tuttavia - ecco la parte difficile - capiamo la frase e ciò che comunica. È incredibile, se ci pensate. Come può funzionare?
Siamo seduti e non cadiamo sul pavimento, sentiamo solo dei brevi suoni alla volta e tuttavia capiamo, si spera. È incredibile. Non è così semplice comprendere questa posizione vaibhashika. Ma, se compresa, può essere molto utile. Qualcuno dice “Sei un idiota! Uno stupido!” e cos’è? Solo un piccolo suono, una sillaba dopo l’altra. Solo un suono. Qual è il problema? Ci aiuta a non arrabbiarci così tanto. Tuttavia, hanno detto qualcosa e dobbiamo fermarci e ripensare alla situazione, ma ci aiuta a non arrabbiarci. Quindi è utile.
Ora, ciò che dice Shantideva “è come un’illusione tuttavia funziona”, se riusciamo a capire questo tuttavia con il semplice esempio delle particelle, allora comprenderemo che le cose sono come un’illusione a un livello molto più sottile - non semplicemente prive di essere solide, ma sono prive di modi di esistere molto più sottili e impossibili, e tuttavia... Dobbiamo sempre mantenere la nostra comprensione con questi due aspetti, che “è privo di esistere in un modo impossibile” - questo ci aiuta a evitare l’estremo del pensare che le cose siano solide, permanenti e così via - e dobbiamo sempre riaffermare che “tuttavia funzionano”, il che ci aiuta a evitare l’estremo del nichilismo, dire che “nulla esiste, non c’è proprio nulla”. Prendiamoci ancora qualche momento per assimilarlo.
I vaibhashika si fermano qui dicendo che questo non esiste come qualcosa di solido e indivisibile, ma è fatto di particelle e tuttavia funziona?
I vaibhashika, prima di tutto, affermano solo la vacuità delle persone. Qui sto spiegando la descrizione dei fenomeni per i vaibhashika, che per loro non è in termini di “vacuità”. Parlano di due tipi di fenomeni veri: i fenomeni convenzionalmente veri, questi oggetti solidi che sono solo superficialmente veri. I fenomeni della verità più profonda sono le particelle che costituiscono le cose. Quindi questi fenomeni superficialmente veri, convenzionalmente veri, questi oggetti solidi funzionano perché sono influenzati da cause e condizioni e cose del genere, e producono effetti. Sebbene sia necessario, nel sistema Vaibhashika, comprendere i due tipi di veri fenomeni, non è essenziale per ottenere la liberazione dalle emozioni disturbanti, secondo la loro spiegazione. Ma è necessario conoscerli.
Ma il modo in cui sto spiegando qui è guardare le affermazioni vaibhashika, e quelle delle scuole successive in modo tale da vedere come la comprensione della vacuità può sviluppare livelli sempre più sofisticati, sebbene non sia il modo tradizionale in cui il materiale sarebbe presentato in India, o persino in Tibet. Questo metodo che sto utilizzando è implicito nella spiegazione di Shantideva relativa al metodo con cui si ottiene una comprensione della vacuità.
L’uso della consapevolezza profonda equalizzante nei modi occidentali di spiegare la vacuità
Una delle caratteristiche del Buddhismo in Occidente è un modo di spiegare che sfrutta il nostro modo occidentale di allenare la mente. Considerando una prospettiva storica di come il Buddhismo si è evoluto e sviluppato nel corso dei secoli, passando da una civiltà all’altra, cosa può fare la civiltà occidentale per contribuire al modo in cui si studiano e si padroneggiano questi insegnamenti? Questa è la domanda che sto indagando.
Ci sono cinque tipi di consapevolezza profonda, a volte tradotti come cinque tipi di “saggezza del Buddha”, ma chiamarli saggezze del Buddha è un po’ fuorviante, perché persino il lombrico ne ha cinque. È semplicemente il meccanismo, la struttura, con cui lavora la mente. Uno di questi è la consapevolezza profonda individualizzante: guardare i dettagli individuali - questo punto individuale, quel punto individuale, quel punto individuale - come una cosa individuale. Guardo nella stanza e vedo ogni persona come un individuo, non solo come un gruppo di persone. I tibetani sono specializzati in questo tipo di consapevolezza profonda. Il loro intero sistema educativo enfatizza questo attraverso il dibattito su aspetti e punti molto individuali.
Un altro tipo di consapevolezza profonda è quella equalizzante che ci consente di vedere schemi, di mettere insieme le cose, di guardarle in modo equo con consapevolezza equalizzante. Con questa consapevolezza posso guardare alcune persone in questa stanza e metterle in modo equo nella categoria “donne” e altre in modo equo nella categoria “uomini”. Tutti ce l’abbiamo, non è profondo; anche un lombrico ce l’ha: mette le cose in modo equo nella categoria “cibo”. Siamo addestrati a sviluppare questo tipo di consapevolezza nella nostra educazione occidentale, a guardare gli schemi di come qualcosa si è sviluppato storicamente, le teorie su come le cose si incastrano e così via. È la specialità d el pensiero occidentale.
Nel presentare la visione vaibhashika nel modo che sto seguendo, applico questo modo di pensare occidentale - quella consapevolezza profonda equalizzante - per cercare di vedere il modello di come si sviluppa una comprensione di “cose che sono come un’illusione, tuttavia funzionano”, passando da un sistema indiano all’altro. La mente occidentale è perfettamente adatta a individuare il modello e vedere come evolve, la mente tibetana è molto limitata in questo a causa del sistema educativo. Questo è ciò che penso in termini di sviluppo storico nel Buddhismo occidentale. A cosa possiamo contribuire? Questo è ciò che possiamo offrire: l’uso della consapevolezza profonda equalizzante come strumento pedagogico per comprendere e mettere insieme gli insegnamenti buddhisti. È suggerito dal testo di Shantideva ed è certamente qualcosa che Sua Santità il Dalai Lama - un tibetano davvero unico -è in grado di vedere e cerca di fare con questa teoria unificata per raggruppare tutto.
Come applicare la consapevolezza profonda equalizzante è un altro tipo di consapevolezza profonda, la consapevolezza profonda che realizza; contributo per lo sviluppo di metodi buddhisti occidentali. Noi, insegnanti occidentali, sviluppiamo questi strumenti pedagogici per mettere insieme modelli, per sviluppare programmi di formazione che funzionano con essi per facilitare la comprensione per la mente occidentale. Penso che così ci saranno molte più possibilità di successo nella pratica effettiva, per dare loro un senso, piuttosto che essere solo discordanti, piccoli frammenti di cose difficili da integrare, e si avrà più successo nell’applicarla nella vita.
Penso che questi siano punti importanti per capire come possiamo gestire gli insegnamenti buddhisti tibetani e come dar loro un senso, perché è molto facile dire “Beh, cercare di mettere insieme questi insegnamenti è solo creare concetti e non dobbiamo essere così concettuali”. Questa consapevolezza profonda equalizzante non è necessariamente concettuale. Potrebbe esserlo, ma non c’è niente di sbagliato nel pensiero concettuale. Il pensiero concettuale è mettere insieme le cose in categorie, e penso che sia necessario cercare di identificare gli schemi per vedere come gli insegnamenti si integrano. Come ho detto, il modo tradizionale di insegnare è che ci vengono dati pezzi del puzzle, e sta a noi metterli insieme. E la maggior parte di noi non sa davvero come fare, ma abbiamo l’addestramento a un tipo di consapevolezza profonda - questa consapevolezza equalizzante - che può aiutarci a metterli insieme.
Identificare il “me” convenzionale
Quando parliamo di assenza di modi impossibili di esistere possiamo riferirci alle persone, “io e te” non esistiamo in modi impossibili, e a tutti gli oggetti inclusi me e te. Quando ci arrabbiamo o siamo gelosi di qualcuno è principalmente a causa della nostra proiezione di modi impossibili di esistere sul me. “Mi hai insultato!”, “Ti voglio!”. “Voglio che tu mi apprezzi!”, “Voglio questo oggetto per me”, “Hai appena rotto il mio computer”. Il problema non è il computer ma sono io, “È mio”.
Le scuole indiane iniziali affermano che sono diversi il modo impossibile di esistere delle persone e il modo impossibile di esistere degli oggetti. Ma la spiegazione più profonda, quella prasanghika afferma che il modo impossibile di esistere delle persone e degli oggetti è lo stesso. La scuola Prasanghika concorda, ovviamente, che ciò che le cosiddette scuole inferiori dicono sia impossibile di una persona è impossibile. Ma c’è un modo impossibile di esistere più sottile, che si applica a tutto, inclusi “me e te”. Quindi osserviamo cosa è un modo impossibile di esistere delle persone. È molto importante capirlo.
Per questo, dobbiamo capire cos’è il me convenzionale. Ricordate, abbiamo parlato delle fasi per ottenere una comprensione della vacuità. Per prima cosa dobbiamo conoscere la base, il “me” convenzionale che esiste - poi il falso “me” che stiamo proiettando su di esso, e poi la negazione di quell’impossibile “me”. Per prima cosa dobbiamo conoscere il “me” convenzionale che esiste. Questo è molto, molto importante perché se non identifichiamo il “me” convenzionale che esiste e ci limitiamo a confutare il falso “me”, allora rimaniamo con niente e questo è psicologicamente molto pericoloso.
Se siamo giovani, per esempio, e non ci siamo ancora affermati nel mondo con un’identità convenzionale e così via, non ci resta niente e poi cadiamo nell’estremo del pensare “Beh, perché studiare, cercare un lavoro, fare qualcosa? Tutto è vuoto”. Questo è un grosso errore. Anche se siamo anziani, se abbiamo una bassa autostima e non abbiamo affermato il “me” convenzionale che esiste e ci limitiamo a confutare il modo impossibile, questo non fa che peggiorare la nostra bassa autostima “Non sono niente, non valgo nulla”. Il passo successivo è “Non sono niente”.
Il “me” convenzionale è un’imputazione sui cinque aggregati
Quindi, per comprendere il “me” convenzionale, dobbiamo comprendere ciò che è noto come i cinque aggregati. I cinque fattori aggregati, come li chiamo io, che costituiscono ogni momento della nostra esperienza. In altre parole, ciò significa che ogni momento della nostra esperienza è costituito da molte cose che cambiano continuamente. Questo sistema di aggregati è solo un sistema per classificare i fenomeni mutevoli che cambiano di momento in momento, i cosiddetti “fenomeni non statici”. Tali gruppi non esistono da qualche parte in grandi scatole nel cielo, è solo uno schema di classificazione concettuale utile per comprendere cosa accade nella nostra esperienza. Ogni momento è costituito da uno o più elementi di ciascuna di queste cinque cosiddette scatole o categorie.
In ogni momento abbiamo una qualche forma di fenomeno fisico. Una forma colorata visiva, un suono, un odore, un sapore, una sensazione fisica, e anche i sensori cognitivi, come li chiamo io, che sono come le cellule fotosensibili degli occhi, le cellule sensibili al suono delle orecchie, i sensori dell’olfatto del naso, e così via. Fondamentalmente, sono le varie cose fisiche all’interno del corpo attraverso le quali siamo in grado di percepire dati sensoriali. Ogni momento della nostra esperienza di vita ha uno o più elementi di questa categoria, anche quando dormiamo.
In ogni momento c’è una sorta di coscienza. Nel Buddhismo non parliamo di coscienza in generale, come in Occidente, ma di coscienza visiva, uditiva, olfattiva, gustativa, tattile, corporea e mentale. Sono come i canali della televisione: c’è quello della vista, quello dell’udito, dell’olfatto, ecc.
Ogni momento della nostra esperienza ha un certo livello di sensazione, un fattore mentale molto specifico. Si parla solo di provare un certo livello di “felicità” o “infelicità”, non ha nulla a che fare con le emozioni.
Quindi, ogni momento ha qualcosa di distintivo in sé: io la chiamo “distinzione” ma è spesso tradotto come “riconoscimento” che, secondo me, è davvero fuorviante e scorretto. “Riconoscimento” è molto troppo sofisticato, qui parliamo dell’essere in grado di distinguere una forma colorata da un’altra all’interno del campo sensoriale visivo, ad esempio. “Come distinguo la forma colorata del tuo viso dalla forma colorata del muro?”. Questa distinzione è ciò di cui stiamo parlando qui; non significa che sappiamo cos’è o che gli stiamo dando un nome o un’etichetta. È solo il modo in cui distinguiamo le cose in un campo cognitivo. Senza questo, è impossibile per noi essere in grado di essere consapevoli alcunché.
Quindi il quinto fattore aggregato è “tutto il resto”, tutto il resto che cambia e che fa parte del nostro momento di esperienza: tutte le emozioni, sia quelle positive che quelle negative, più tutti i fattori mentali che ci aiutano a conoscere le cose, come la concentrazione, l’attenzione, la sonnolenza, questo genere di cose. Tutto il resto è in quest’ultima “scatola” che io chiamo l’aggregato di altre variabili influenzanti. Tutto il resto che è una variabile, che cambia e influenza la nostra esperienza, che il significato letterale della parola sanscrita samskara. È qualcosa che influenza qualcos’altro.
In ogni momento siamo su uno o più canali. C’è una grande discussione se possiamo vedere e sentire simultaneamente o no, ci sono opinioni diverse su questo. Ma comunque, siamo su una sorta di canale di coscienza, siamo consapevoli di alcuni oggetti, alcune forme fisiche, c’è una distinzione di varie caratteristiche nel campo sensoriale, un certo livello di felicità con questo, e poi tutto il resto, tutte le emozioni, la concentrazione e tutto ciò. Tutto questo cambia costantemente e a velocità diverse.
Ora, cos’è il “me”? Il “me” è un’imputazione su tutto questo, un modo di integrare la continuità di momento in momento di tutti questi fattori mutevoli. Non è qualcosa di fisico né un modo di essere consapevoli di qualcosa, anche se diciamo “Io lo so” o “Io ti vedo”, ma non è la stessa cosa di una coscienza. È un’imputazione su questi fattori in continuo cambiamento. Non è un costrutto mentale né una semplice proiezione sugli aggregati. È validamente conoscibile sia non concettualmente che concettualmente.
Facciamo un esempio che potrebbe rendere la comprensione più facile. Cos’è un’arancia? La vedo sul tavolo ma cosa vedo? Una palla arancione, un cerchio, una sfera arancione, in realtà. Se sono in grado di vedere in tre dimensioni, vedo una sfera arancione. Un’arancia è una sfera arancione? Potrei disegnare una sfera arancione ma non sarebbe un’arancia. Sento un odore. L’arancia è un odore? No, non lo è. Potrei tenere qualcosa in mano, chiudere gli occhi e sentire qualcosa, una forma fisica. È l’arancia o è una forma fisica, è una sensazione fisica? Potrei mettere qualcosa in bocca e sentirne il sapore. Quel sapore è l’arancia? L’arancia è tutto ciò? Potrei prenderla, lanciarla contro il muro e sentire un suono. È l’arancia? Posso chiudere gli occhi e pensare a una palla arancione. È l’arancia? Cos’è l’arancia?
Un’arancia convenzionale è un’imputazione basata su tutte queste cose: la forma colorata, un odore, un sapore, sensazioni fisiche, ecc. Sulla base di queste varie informazioni sensoriali, sulla base di tutto ciò, c’è “un’arancia”. Ma nessuna di queste cose, da sola, ad esempio una sfera color arancione, è un’arancia.
Esiste una cosa come un’arancia? Sì, certo che esiste. Vedo questa forma colorata. Non vedo solo questa forma colorata, vedo un’arancia. Vedo una forma colorata di questo corpo e vedo una persona. Non vedo solo una forma colorata e non vedo solo un corpo. Vedo una persona che non è solo una forma colorata, vero? È un’imputazione, per usare il termine tecnico, sulla base di queste forme colorate.
È la stessa cosa con “me”. Ci sono sempre certe forme che sono viste, la coscienza, il sentirsi felici, infelici, e tutte queste altre cose - nessuna di queste è “me” - anche se potresti pensare che “io sono il mio corpo” o “io sono la mia mente”, ma è piuttosto strano, in realtà. Quindi, “me” è un’imputazione sulla base di tutte queste cose che cambiano continuamente. Come un’illusione, sembra che ci sia un “me” solido lì. Mi sembra di vedere Sasha. Cosa sto vedendo? Delle forme colorate. Tuttavia, questo è Sasha, è una persona, può parlare e fare tante cose. Ecco il nostro fattore “tuttavia”. È come un’illusione. Sembra che ci sia una cosa solida lì da sola. Questa sfera color arancione sembra essere un’arancia, tuttavia posso mangiarla, mi sazia e ha un buon sapore.
Prendiamoci qualche momento per pensarci. Non è affatto facile, ma forse l’esempio dell’arancia, può aiutarci a entrare in questo modo di pensare a “qualcosa”, come l’arancia è un’imputazione sulla base di tutti questi diversi pezzi di informazioni sensoriali così il “me” è un’imputazione su tutti questi diversi aggregati che compongono la nostra esperienza ogni momento. Quel “me” fa questo; è il me” in ogni momento “sto parlando”, “sto ascoltando”, “sono seduto”, “sto camminando”. È vero. Non è solo “la bocca sta parlando” o “il suono sta accadendo”.
[meditazione]