Il contesto per comprendere la vacuità

La vacuità è un argomento molto difficile ma essenziale. Per affrontarlo, dobbiamo vedere dove si inserisce nella presentazione generale degli insegnamenti buddhisti. Come tutti sappiamo, Buddha ha insegnato la sua comprensione e la sua realizzazione in termini di ciò che è noto come le quattro nobili verità, quattro fatti visti come veri da qualsiasi arya. Un arya è chi ha avuto una cognizione non concettuale della vacuità. Degli esseri ordinari come noi non vedono queste cose come vere, questi fatti non sono così chiari o ovvi per noi. Ma coloro che hanno effettivamente visto la realtà in modo diretto, questi arya, hanno realizzato che sono veri. Quali sono questi quattro fatti?

Le quattro nobili verità: la vera sofferenza

Il primo è il fatto della sofferenza, i problemi o le situazioni insoddisfacenti. Abbiamo tre tipi di sofferenza. La prima è semplicemente la sofferenza ordinaria, grossolana, la sofferenza del dolore; consiste in situazioni difficili ordinarie che tutti sperimentiamo in termini di dolore fisico e mentale, invecchiamento, malattia, morte, tutte queste cose. Il desiderio di superare questi tipi di sofferenza, di evitarli non è speciale: anche gli animali hanno il desiderio di non provare dolore fisico; alcuni mettono da parte il cibo per l’inverno così non avranno fame. Possiamo fare molto di più per evitare questo tipo di sofferenza.

Il secondo tipo di sofferenza è chiamato sofferenza del cambiamento e si riferisce al tipo ordinario di felicità che sperimentiamo che, sebbene possa essere bello e piacevole, non dura e quindi siamo sempre frustrati quando finisce. Non ci soddisfa mai, dobbiamo averne sempre di più. Non è sufficiente mangiare una volta, dobbiamo farlo sempre, non è vero? Non c’è sicurezza in questo, non abbiamo certezza di cosa sperimenteremo dopo, se avremo più felicità o se avremo dolore. Non è particolarmente buddhista desiderare di superare ciò, di evitarlo, di arrivare a una situazione che ne sia libera. Ci sono molte religioni non buddhiste che insegnano percorsi per arrivare a una sorta di paradiso, di felicità eterna nell’aldilà che è molto meglio della cosiddetta felicità mondana.

Seguire il sentiero buddhista solo per superare i primi due tipi di sofferenza significa non cogliere davvero l’essenza completa del sentiero buddhista, poiché potremmo superarli anche in altri modi. Potremmo chiederci se si possono davvero superare completamente i primi due tipi di sofferenza con altri sentieri, ma questo è un grande dibattito. In ogni caso, Buddha non enfatizzò il superamento di questi primi due tipi di sofferenza, perché anche tutti gli altri ne parlavano. Buddha sottolineò un terzo tipo di sofferenza, che è un problema molto più serio e profondo.

Questo è ciò che è noto come la sofferenza onnipervasiva. È il problema sottostante ai primi due, ovvero che ogni momento della nostra esistenza è condizionato, influenzato o nasce dalla nostra inconsapevolezza di base della realtà, la nostra confusione. Ogni momento della nostra esistenza è mescolato con questa confusione e, per questo motivo, ogni momento perpetua o produce più momenti mescolati alla confusione. Questo è il vero problema perché, se tutto proviene dalla confusione, è mescolato alla confusione e produce più confusione, allora a causa di ciò sperimentiamo gli alti e bassi del samsara. A volte proviamo dolore, a volte il piacere mondano che non dura. Va su e giù, su e giù. Il rimanere in questa situazione che andrà avanti per sempre è chiamato samsara. “Samsara” significa esistenza incontrollabilmente ricorrente senza inizio. Andrà avanti per sempre, a meno che non la fermiamo. Quindi questa è la vera sofferenza, il vero problema onnipervasivo che abbiamo tutti. Questa è la cosa reale di cui il Buddha parlava con il primo fatto, questa prima nobile verità.

Le quattro nobili verità: la vera origine della sofferenza

Il secondo fatto è che questo problema di confusione, difficoltà ricorrenti e così via, deriva da una causa naturale. Non è senza causa né deriva da una causa che è completamente irrilevante o da qualche potere superiore che ci sta punendo. Deriva da una causa che è in armonia con ciò che è il problema - la nostra inconsapevolezza della realtà che spesso viene tradotta come “ignoranza”, che ha una connotazione di “stupidità”. In ciò non c’è alcuna connotazione di “stupidità”. Il russo nevidya è molto più vicino, perché hai una parola di negazione ne e poi vidya, che significa “sapere”, come in tedesco Unwissenheit. È una parola sanscrita. La parola sanscrita in questo caso è avidya, che inizia con il prefisso negativo a più vidya, e significa anch’esso “conoscere”. Questo è quindi molto più vicino al significato originale.

Ci sono due significati di questa parola “inconsapevolezza”, l’equivalente italiano più vicino. Il primo è il significato che troviamo nei testi sanscriti di abhidharma che trattano argomenti speciali di conoscenza. In quei testi, l’“inconsapevolezza” è definita semplicemente come non sapere, “semplicemente non sappiamo”, sia causa ed effetto in termini del nostro comportamento, o come le cose esistono, principalmente come esistiamo noi stessi. Quando non conosciamo gli effetti del nostro comportamento e non comprendiamo causa ed effetto, allora agiamo in modo distruttivo e ciò causa i nostri grossolani problemi di sofferenza. Quindi, sebbene quel tipo di inconsapevolezza produca vera sofferenza e problemi, non è il livello più profondo. Poiché non siamo consapevoli di come noi esistiamo o, se lo guardiamo in un contesto Mahayana più ampio di come tutto esiste, ciò produce il nostro problema onnipervasivo più serio e sottostante. Questa è la prima comprensione di questa inconsapevolezza: semplicemente non lo sappiamo. Non è che siamo stupidi, è solo che non è ovvio. Le nostre menti fanno sembrare che le cose esistano in tutti i tipi di modi che non corrispondono alla realtà, come “io sono il centro dell’universo”. Abbiamo questa vocina che continua nella nostra testa anche quando chiudiamo gli occhi. Ci sembra che “ovviamente, io sono il centro di tutto là fuori, posso semplicemente spegnerlo chiudendo gli occhi”. È sconcertante: semplicemente non sappiamo che non è così che le cose esistono davvero.

Un altro maestro indiano, Dharmakirti, ha definito l’“inconsapevolezza” in modo diverso: “conoscere le cose in un modo inverso o opposto”, in altre parole, conoscere le cose in un modo che è opposto a quello in cui esistono realmente. Questo significa che non è semplicemente che non sappiamo come esistono le cose, ma crediamo che esistano nel modo sbagliato, il modo che è esattamente opposto a come esistono realmente.

Possiamo vedere che questa è in realtà una causa di problemi molto più seria di “semplicemente non sappiamo”: siamo molto convinti di ciò che è sbagliato. Quindi possiamo aggiungere alla nostra ingenuità sul non sapere, cose come essere molto testardi e antagonisti verso chiunque provi a dire che ciò in cui crediamo è sbagliato “Cosa intendi quando dici che non sono la persona più importante? Ovviamente lo sono. Devo ottenere il posto migliore, il meglio di tutto. Devo fare a modo mio”. Possiamo avere un atteggiamento piuttosto antagonistico in questo senso.

Le quattro nobili verità: la vera cessazione della sofferenza

Il terzo fatto, la terza nobile verità, è che è possibile raggiungere un vero arresto (vera cessazione) di questi primi due fatti, i problemi e la loro causa. In altre parole, la natura della mente è pura dalla causa dei nostri problemi e quindi dai problemi e dalla sofferenza stessa. Questa situazione ricorrente incontrollabile, la confusione che continua - la confusione stessa non fa parte della natura della mente, è possibile liberarsene per sempre, in modo che non si ripresenti mai. Non è facile comprenderlo ed essere effettivamente convinti che sia vero, perché richiede la comprensione della natura della mente. Richiede una grande comprensione, in realtà, convincersi che questo terzo fatto, il vero arresto, sia effettivamente possibile. Ma Buddha non disse “Stai zitto e credici”, bensì che questa è una cosa che può essere sperimentata, compresa attraverso la logica e quindi dobbiamo lavorarci. Se non siamo realmente convinti che sia possibile raggiungere questo vero arresto sarà incerto il nostro lavoro sul sentiero per raggiungerlo perché non siamo realmente convinti di poterlo raggiungere, che sia possibile.

Le quattro nobili verità: il vero sentiero della mente

Ciò ci porta al quarto fatto, il vero sentiero. Dobbiamo capire cosa intendiamo per sentiero: non è qualcosa su cui cammini ma si riferisce a una mente, a uno stato mentale, a un tipo di comprensione. Quello stato mentale agirà come un sentiero, come una strada che ci condurrà a un obiettivo. Quindi lo chiamo “sentiero mentale” o “mente-sentiero”. Quindi c’è una comprensione che in realtà porterà a quel vero arresto e anche allo stato mentale risultante che ha raggiunto quel vero arresto.

Qual è il modo di comprendere? Qual è il tipo di stato mentale che porterà a questo vero arresto? Deve essere esattamente l’opposto dello stato mentale che sta producendo tutti i problemi. Non come “bianco e nero”, che consentono il grigio nel mezzo. Deve essere uno stato mentale che escluda lo stato mentale che sta causando i nostri problemi; in altre parole, se hai uno non puoi avere l’altro.

In generale, se la nostra inconsapevolezza consiste semplicemente nel non conoscere come esistono le cose, allora qual è l’opposto di ciò? Conoscere come esistono e saperlo correttamente con totale convinzione, basandosi sulla logica, l’esperienza e così via, senza che sia solo fede cieca. Dobbiamo poter sostenere quella comprensione sempre, in modo che la mancanza di comprensione non si ripresenti più. Ecco dove entra in gioco la comprensione della vacuità: conoscerla ed esserne convinti è l’opposto dell’inconsapevolezza di come esistono le cose.

La comprensione della vacuità è più forte della comprensione della confusione perché, sebbene la seconda sia supportata dall’abitudine e l’altra non lo è, non l’abbiamo già compresa; tuttavia, la comprensione della vacuità è supportata dalla logica, dalla ragione e dalla cognizione valida. Più analizziamo e indaghiamo la nostra confusione più vediamo che è errata e crolla. Mentre più analizziamo e indaghiamo la comprensione della vacuità più vediamo che è effettivamente vera. Ancora più convincente è il fatto che più crediamo nella nostra inconsapevolezza, più problemi e sofferenze creiamo per noi stessi. Più credo che “io sono il centro dell’universo” e che “devo sempre ottenere ciò che voglio”, più problemi abbiamo. Mentre più siamo convinti della comprensione della vacuità, in parole povere che “nessuno è il centro dell’universo, siamo tutti qui insieme e dobbiamo vivere gli uni con gli altri”, allora meno problemi abbiamo. Dopotutto, è di questo che parla il Buddha, quale tipo di comprensione ci permetterà di liberarci di tutti i nostri problemi in modo che non si ripresentino più.

Ma sostituire semplicemente “non sapere” con “sapere” non è così profondo. Il livello più sofisticato degli insegnamenti del Buddha preferisce la definizione di inconsapevolezza di Dharmakirti, “sapere le cose in modo invertito”, perché è un modo molto più attivo di affrontare il problema, eliminandolo. Questo ci porta all’argomento dei fenomeni che possiamo chiamare negazioni, ciò che conosciamo in modo negativo ovvero negando qualcos’altro. Ad esempio, ci sono certe cose che conosciamo in modo affermativo e altre che conosciamo in modo negativo. Conosciamo “mela” in modo affermativo, ma c’è altro che “non è una mela”. Come faccio a sapere che questa non è una mela? Sapere “non è una mela” è qualcosa che conosciamo in modo negativo. Abbiamo negato “mela”, “non è una mela”.

La vacuità come fenomeno di negazione

Una domanda molto interessante dal punto di vista della scienza cognitiva: come fa un bambino ad apprendere il concetto di “non cibo”? All’inizio il bambino pensa che tutto sia cibo ma, alla fine, impara il concetto di “non cibo”. Per conoscere un fenomeno negativo o una negazione, prima bisogna sapere cosa viene negato per poi escluderlo. Prima devi conoscere una “mela” per conoscere “non una mela”.

La stessa cosa è vera in termini della nostra inconsapevolezza della realtà. Con questo approccio basato sulla definizione di inconsapevolezza di Dharmakirti, quindi, dobbiamo riconoscere prima “qual è questo modo folle e confuso in cui penso che le cose esistano, che la mia confusione mi fa credere sia vero?”. Quindi devo negarlo, escluderlo e dire “Non è giusto! Non corrisponde a come le cose esistono realmente”. Quel fenomeno di negazione, quella negazione di questo modo scorretto in cui le cose esistono, quella è vacuità “Non esiste questa spazzatura che la mia mente sta producendo, non esiste un vero referente di essa”. Quando la nostra mente pensa in questo modo, “Non esiste questa spazzatura”, la eliminiamo in modo molto deciso e siamo in grado di concentrarci su questo per sempre, e allora non c’è modo di pensare in un modo distorto e confuso. Avremo raggiunto un vero arresto.

Quando parliamo di vacuità nel Buddhismo, parliamo di cosa comprende un vero sentiero mentale che porterà a un vero arresto? Non è che prima capisci questo e poi, un attimo dopo, raggiungi un vero arresto. Quella comprensione è il raggiungimento di un vero arresto. Non è che accendi la luce e poi l’attimo dopo l’oscurità se ne va. Accendere la luce equivale al dissiparsi dell’oscurità.

Quindi abbiamo quella mente che capisce “non esiste una cosa del genere” ed eliminiamo questa confusione: questo è il vero arresto. Quando parliamo di vacuità, dobbiamo capire che “non esiste una cosa del genere”, “non esiste una cosa come questa spazzatura che sto pensando, che la mia mente sta proiettando. Non esiste una cosa del genere; non si riferisce a nulla di reale!”. La proiezione della confusione ovviamente si sta verificando, ma non si riferisce a qualcosa di reale. Questo è ciò che stiamo eliminando, un suo vero referente. È come se questo bambino pensasse che ci sia un mostro sotto il letto. Quella paura, quella convinzione che ci sia naturalmente fa sì che abbia molta paura, ma quella proiezione non si riferisce a nulla di reale. Non c’è nessun mostro sotto il letto.

Questo è il contesto di base per lo studio della vacuità, vale a dire la struttura delle quattro nobili verità.

Una piena comprensione della vacuità per liberarci dalle due oscurazioni

Abbiamo bisogno della piena comprensione della vacuità per superare le due serie di oscurazioni. L’abitudine costante - che si verifica ogni minuto - di credere a questa assurdità che la nostra mente produce fa sì che la nostra mente proietti apparenze e confusione; fa pensare alla mente che ci siano mostri sotto il letto. Quindi, prima dobbiamo superare la nostra convinzione che questa proiezione si riferisca a qualcosa di reale perché, quando ci crediamo, allora è prodotta ogni sorta di emozioni disturbanti, come il bambino che ha paura perché crede che ci sia un mostro sotto il letto. Quando smettiamo di credere a questa spazzatura otteniamo ciò che è chiamato liberazione o nirvana.

Le abitudini sono ancora lì, la mente sta ancora proiettando tutta questa spazzatura e così non siamo in grado di vedere davvero tutto, di capire perché qualcuno ha questo tipo di problema, cosa sarebbe efficace insegnare a questa persona. La nostra mente è limitata. Dobbiamo abituarci così tanto a questa comprensione della vacuità che alla fine ci liberiamo dell’abitudine di questa inconsapevolezza che sta causando quella proiezione. Alla fine, la nostra mente smette di proiettare questa spazzatura. Questo è il raggiungimento dell’illuminazione - superiamo queste oscurazioni che stanno impedendo l’onniscienza. Per fare ciò, per superare questa seconda serie di oscurazioni, la comprensione della vacuità è la stessa necessaria per superare solo le oscurazioni che impediscono la liberazione. La differenza risiede nella forza mentale sottostante a quella comprensione.

Per superare entrambe le oscurazioni e in particolare le seconde abbiamo bisogno della forza di bodhicitta, che sorge da amore e compassione ma non è certamente la stessa cosa di amore e compassione. L’amore è il desiderio della felicità e delle cause della felicità per gli altri. La compassione è il desiderio che gli altri siano liberi dalla loro sofferenza e dalle sue cause, ha un po’ di senso di responsabilità “Li aiuterò a superare questo”. Quindi abbiamo la determinazione straordinaria, decidiamo che “Non li aiuterò solo a superare un po’ di sofferenza, ma mi impegnerò davvero ad aiutarli a superare tutta la loro sofferenza e a raggiungere l’illuminazione” – è un impegno molto più vasto. Sulla base di ciò, abbiamo bodhicitta.

La necessità di bodhicitta per rafforzare la comprensione della vacuità

Bodhicitta è una mente che è focalizzata sull’illuminazione. Non solo sull’illuminazione in generale, quella di Buddha Shakyamuni, ma sulla nostra illuminazione personale, individuale, che non è ancora accaduta, ma che è possibile che si verifichi sulla base dei nostri fattori della natura di Buddha del nostro continuum mentale. Naturalmente è accompagnata dalla convinzione e dalla comprensione che è possibile che io la ottenga. Quindi è qualcosa di molto più in là nel nostro continuum mentale ed è possibile che accada, è possibile che noi la otteniamo. È molto importante capire che stiamo parlando della nostra illuminazione personale, individuale, non di una vaga illuminazione lassù nel cielo.

Quindi siamo spinti da “Devo essere in grado di aiutare tutti. È qualcosa che potrò effettivamente realizzare più avanti nel tempo, che mi consentirà di aiutare davvero tutti quanto vorrei”, e poi dalla forte intenzione che “Devo riuscirci. Lavorerò il più duramente possibile e, quando ci riuscirò, aiuterò gli altri il più possibile. E per tutto il sentiero aiuterò gli altri il più possibile in base al livello in cui mi trovo”. Quando abbiamo questa profonda intenzione come forza trainante delle nostre menti, anche se siamo addormentati è così profondamente radicata “questa è la mia intenzione, ciò che sto facendo con la mia vita”, allora quella comprensione della vacuità avrà la forza supportante per recidere, eliminare e fermare tutte queste proiezioni di spazzatura che fondamentalmente ci impediscono di essere in grado di aiutare gli altri nel miglior modo possibile.

Quando ci avviciniamo allo studio del tema della vacuità, dobbiamo vederlo in due contesti. Innanzitutto, lo vediamo nel contesto più generale delle quattro nobili verità che è comune e condiviso tra le scuole hinayana e le scuole mahayana. Poi dobbiamo vedere il contesto della bodhicitta o della mente che useremo per comprendere la vacuità, quello specifico degli insegnamenti mahayana.

La comprensione della vacuità in tantra, dzogcen e mahamudra

Se vogliamo approfondire il tantra, in particolare la classe più elevata anuttarayoga, allora abbiamo il contesto condiviso con l’Hinayana, le quattro nobili verità. Poi ci sono il contesto del Mahayana generale con bodhicitta e quello del livello più sottile della mente di chiara luce.

Questo livello di mente più sottile che tutti noi abbiamo in ogni singolo momento è alla base di ogni momento della nostra esperienza, inclusa la morte. È così sottile che non ha nessuna di queste emozioni disturbanti; è così sottile che non produce nemmeno le proiezioni della confusione ma fornisce semplicemente la continuità momento dopo momento della natura di base della mente.

Non necessariamente capisce come esistono le cose, se torniamo alla nostra definizione originale di abhidharma dell’inconsapevolezza. Non è chiamata ufficialmente “inconsapevolezza”, ma non sa comunque come esistono le cose. “Non riconosce il proprio volto” è la terminologia usata per questo negli insegnamenti dzogcen che è molto descrittiva, in realtà, della situazione. Ma in questa classe più elevata di tantra o negli insegnamenti dzogcen vogliamo ottenere quella stessa comprensione della vacuità con questo livello di mente, perché è quello più efficiente. È lo stesso in mahamudra, una divisione dell’anuttarayoga tantra e un approccio ad esso.

Voglio sottolineare che questa comprensione della vacuità è un tema centrale che troviamo in tutti gli aspetti degli insegnamenti del Buddha perché ci consente il vero arresto dei nostri problemi, della nostra incapacità di aiutare gli altri, che è ciò di cui abbiamo bisogno, che è ciò che è il sentiero buddhista. Non è solo per permetterci di non avere più alcun dolore alla schiena o di avere mai fame, perché dopo che hai mangiato avrai di nuovo fame. Ma una comprensione della vacuità eliminerà il problema onnipervasivo, il nostro samsara che continua incessantemente e, come cosa secondaria, ovviamente la nostra schiena non ci farà più male e non avremo sempre problemi di fame. Una comprensione della vacuità ci consentirà di superare l’avere una “mente limitata”.

“Mente limitata” è un termine che si trova nell’espressione “essere senziente”, qualcuno con una mente limitata che non significa essere mentalmente deficienti o con un basso QI, ma non essere illuminati. Il modo in cui mi piace descriverlo è come essere in un sottomarino sott’acqua e guardare attraverso un periscopio: ciò che siamo in grado di percepire è molto limitato, solo ciò che è entro i confini di quel periscopio. Quindi, non riusciamo a vedere tutte le cause di ciò che sta accadendo risalendo fino al loro non avere un inizio e non siamo in grado di vedere tutte le conseguenze di cosa potremmo fare o insegnare a qualcuno in futuro. Siamo limitati, siamo terribilmente limitati. L’hardware è limitato. Questo corpo può vedere solo da questi due buchi nella parte anteriore della testa ma non dietro di sé e l’hardware, il cervello, si consuma dopo un certo numero di anni e poi devi sostituirlo con un altro corpo e poi anche quello si romperà, non c’è garanzia. Quindi abbiamo un problema di hardware che causa il nostro problema onnipervasivo - questo tipo di corpo e di limitazione - e abbiamo anche un problema di software, perché i programmi che eseguiamo in ognuna delle nostre vite sono tutti i tipi di concetti strani che sono anche spazzatura.

Se riusciamo ad acquisire questa comprensione della realtà e a superare le abitudini di crederci, ci liberiamo da questa seconda serie di oscurazioni che ci porta a vedere le cose attraverso un periscopio, a essere limitati. Allora diventiamo onniscienti. Questa è la mente di un Buddha che, non costretta dalle limitazioni di hardware e software, è in grado di essere onnisciente, di percepire e conoscere tutto, perché non c’è nulla che le impedisca di farlo.

Questa comprensione della vacuità è centrale in tutti questi diversi contesti. Prima di entrare in una discussione più dettagliata su cosa sia realmente la vacuità e cosa sia questa spazzatura che dobbiamo confutare, è importante capire questo contesto generale e l’importanza di comprendere la vacuità. Non la si consideri come troppo difficile da studiare ma come indispensabile se vogliamo liberarci della nostra sofferenza e aiutare gli altri. Senza quella corretta comprensione, si ripeterà sempre incontrollabilmente il problema onnipervasivo nel samsara e continuerà per sempre. Indipendentemente da cosa facciamo continueremo ad avere problemi perché il nostro modo di agire solo perpetua sempre più problemi, in quanto basato su questa inconsapevolezza. Per quanto vogliamo aiutare gli altri, molto spesso non avremo molto successo perché non sappiamo davvero qual è la cosa migliore da fare per aiutare qualcuno. Questa è l’introduzione di base.

Prendiamoci qualche minuto per lasciarlo sedimentare. Provate a pensare a ciò che abbiamo appena detto, in termini di veri problemi, vere cause, vero arresto di ciò e vera mente sentiero, la comprensione della vacuità che porterà a quell’arresto recidendo completamente questa spazzatura della nostra confusione e del credere alle nostre apparenze confuse, e la necessità di avere la forza della bodhicitta “Devo sbarazzarmi di tutta questa spazzatura e far sì che la mia mente smetta di produrla così da poter aiutare gli altri. Altrimenti sarò solo pieno di paura e insicurezza e ciò mi ostacolerà soltanto”. Pensateci per un momento.

[meditazione]

Gli oggetti confutati dalla vacuità

La spazzatura di cui dobbiamo liberarci riguarda solo le creazioni mentali, come pensieri o concetti, oppure anche gli oggetti intorno a noi?

Ciò di cui dobbiamo liberarci proviene fondamentalmente dalla mente. Il problema non è il tavolo ma il mio atteggiamento verso il tavolo, tipo “Questo è il mio tavolo. Non usarlo, e se lo usi, mi arrabbierò molto, soprattutto se lo rompi”. Inizia a complicarsi molto rapidamente quando esaminiamo qual è la relazione tra gli oggetti e la mente, perché tutto ciò di cui possiamo realmente parlare o pensare sono oggetti della mente. Se ne stiamo parlando, è un oggetto della mente quindi non possiamo realmente parlare o concepire un oggetto totalmente indipendente dalla mente o totalmente indipendente da una relazione con essa.

Ciò non significa che tutto esista solo nella mia testa. Si collega a una discussione molto profonda ed estesa sulla relazione tra mente, apparenze e oggetti e così via. Fondamentalmente, pensiamo che il problema sia dalla parte dell’oggetto ma non è così, è dalla parte della mente. Se là fuori esistesse la confusione ci sarebbe ben poco che potremmo fare per cambiarla. È la confusione nella nostra mente che possiamo influenzare. È un argomento molto profondo e non posso rispondere a questa domanda in poche frasi, ma è esattamente l’argomento a cui conduce l’indagine sulla vacuità.

La relazione tra cognizione concettuale e non concettuale della vacuità

Qual è la relazione tra la cognizione concettuale e non concettuale della vacuità, e quella non concettuale si verifica in una sorta di stato di trance?

Con la cognizione concettuale della vacuità prima di tutto dobbiamo parlare di una cognizione concettuale corretta e non di una scorretta; la differenza tra queste due è che con una cognizione concettuale ci concentriamo sulla vacuità attraverso la categoria “vacuità”.

Le cognizioni concettuali usano “categorie”; guardo questo oggetto di fronte a me, ci penso e lo comprendo come “un bicchiere”. Quindi, ci penso e mi concentro su di esso attraverso la categoria “bicchiere”. Ci sono molti, molti oggetti che potrebbero rientrare in quella categoria. Ci sono due tipi di categorie. Una è una categoria di suono o di immagine, come il suono di una parola o semplicemente un’immagine mentale di cosa sia “un bicchiere”. Poi c’è la categoria di significato di queste cose. Di solito sono mescolate, ma non è necessario. Non devo dire “bicchiere” nella mia testa per vedere questo oggetto come “bicchiere”. Posso guardarlo e sapere che è un bicchiere, senza doverlo dire nella mia testa. Sto pensando al significato di quella categoria “bicchiere”, è una categoria di significato.

Non dovremmo pensare che una mente concettuale sia una mente verbale. Non si limita a questo, può esserlo ma è molto più ampio di così. Diventare non-concettuali non significa semplicemente mettere a tacere la voce nella nostra testa; è un livello molto superficiale. È molto difficile metterla a tacere, ma è comunque un livello superficiale di essere non-concettuali. Quando abbiamo una cognizione non-concettuale percepiamo qualcosa non attraverso una categoria, il che è molto difficile da riconoscere perché nella nostra percezione sensoriale ordinaria avviene solo un microsecondo prima che uno guardi questo oggetto e lo capisca come “bicchiere”. So cos’è, è un bicchiere. So cosa farne.

Potrebbe anche rientrare nella categoria di “qualcosa che non so cosa sia”. Non concettuale è senza categoria, senza categorie, ma ciò non significa che non sappiamo cosa sia. Ecco perché dico che è difficile riconoscere cosa sia la cognizione non concettuale di qualcosa.

È la stessa cosa in termini di cognizione concettuale e non concettuale della vacuità. Una è attraverso una categoria, principalmente la categoria di significato della vacuità; l’altra no. Dopo tutto, ogni momento della nostra esperienza di focalizzazione sulla vacuità e ogni volta che ci concentriamo su di essa, rientra nella categoria “mi concentro sulla vacuità”. Diventa molto complesso. Ogni momento è ancora la comprensione della vacuità o è qualcosa di completamente diverso? Quindi la cognizione concettuale è necessaria come un passo per ottenere quella non concettuale. La differenza tra le due, come descritto nei testi, è la differenza nella vividezza della percezione, ma a cosa si riferisca realmente in termini di esperienza, non lo so.

“Avere una certa comprensione della vacuità che si ottiene in una sorta di trance” - ora questo ovviamente dipende molto da cosa intendiamo per trance. Se si tratta solo di una specie di svagarsi sotto l’effetto di una droga o altro, è probabile che questa sia una comprensione errata della vacuità, non corretta. Per avere una comprensione della vacuità, come ho detto nella discussione sui fenomeni di negazione, sono necessari alcuni passaggi, e ne parleremo più avanti.

La vacuità parla di “un’assenza di modi impossibili di esistere”. Per prima cosa, dobbiamo percepirne la base: cosa non esiste in modi impossibili, che si tratti di “me” che “non esisto in un modo impossibile” o del tavolo. Nella fase successiva devo riconoscere il modo impossibile in cui penso esista, il modo impossibile in cui credo che esista, che viene proiettato su di esso. Il terzo passaggio è reciderlo in modo deciso. Questo è il fenomeno della negazione “Questa è spazzatura e non si riferisce a nulla di reale”, eliminandolo attivamente. Poi mi concentro su “non esiste una cosa del genere”. Questa è la comprensione della vacuità. È uno stato mentale molto attivo che si costruisce in fasi, non deriva da una sorta di trance spaziale in cui ci troviamo per qualche ragione karmica o qualcosa del genere. È sempre un grande pericolo che le persone credano di aver acquisito una comprensione della vacuità quando in realtà ciò di cui hanno acquisito una comprensione è il “nulla”. La vacuità non è il nulla.

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