Domande sulle forme non rivelatrici dei voti e del karma

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Le forme non rivelatrici possono essere conosciute solo con la cognizione mentale

Come conosciamo una forma non rivelatrice? Possiamo imparare a percepirla nella nostra pratica?

“Non rivelatrice” significa che non rivela a nessuno la sua motivazione. È qualcosa che può essere conosciuto, ma solo con la cognizione mentale. Non è qualcosa che possiamo vedere o sentire. È come la forma di un sogno che possiamo conoscere solo con la nostra mente, non possiamo realmente vedere un sogno con i nostri occhi. 

Quando siamo consapevoli, ad esempio, della forma non rivelatrice di un voto che abbiamo preso per astenerci dall’uccidere, di cosa siamo effettivamente consapevoli? Di aver questo voto e che intendiamo mantenerlo. Non rivela la motivazione con cui l’abbiamo preso? Che ne siamo consapevoli o meno, le forme non rivelatrici continuano nel nostro continuum mentale come forme estremamente sottili.

Possiamo anche assumere una non-restrizione dichiarata di uccidere o sparare a persone, come quando ci arruoliamo nell’esercito, e possiamo essere consapevoli di aver preso tale impegno in questo tipo di comportamento. Ad esempio, ci uniamo alla mafia e promettiamo di uccidere chiunque il boss mafioso ci ordini di uccidere. Possiamo essere consapevoli di questa non-restrizione dichiarata, ma non rivela le nostre motivazioni, come la paura o il desiderio di fare soldi. Non rivela alcunchè.

Le motivazioni per prendere non-restrizioni dichiarate

Naturalmente possiamo prendere un voto con vari tipi di motivazione; possiamo prendere i voti del bodhisattva perché vogliamo raggiungere l’illuminazione e portare beneficio a tutti gli esseri. Possiamo prendere i voti di liberazione individuale – i voti monastici o laici – perché vogliamo ottenere la liberazione dal samsara. Possiamo avere motivazioni costruttive come queste. Tuttavia, possiamo anche prendere voti con molti altri tipi di motivazione meno positivi, ad esempio tutti i nostri amici stanno diventando monaci e noi vogliamo stare con loro. Oppure perchè non riusciamo ad andare d’accordo con il sesso opposto, o siamo attratti dallo stesso sesso, quindi ci uniamo a una comunità dello stesso sesso di monaci o monache. Forse entriamo in un monastero perché ce lo hanno detto i nostri genitori – come spesso accade nella comunità tibetana – o perché vogliamo mangiare gratis e non dover lavorare o arruolarci nell’esercito. Le motivazioni e le ragioni possono essere molteplici. Il solo fatto che prendiamo e manteniamo un voto non rivela quella motivazione.

Ad esempio, il voto di astenersi dalla caccia: potrebbe darsi che la caccia ci piaccia davvero, ma sappiamo che è distruttiva e causerà danni e quindi ci asteniamo dal farla. Oppure potrebbe darsi che non ci venga mai in mente di cacciare, quindi non è un grosso problema astenersi dal farlo. La forza e il tipo di motivazione non si rivelano solo perché abbiamo preso un voto.

          Qual è la parola originale in sanscrito per forma non rivelatrice?

La parola sanscrita per ‘rivelare’ è prajñapti e per ‘non rivelare’ aprajñapti. Prajñapti è un sostantivo causativo, “che fa conoscere” da prajñā, conoscere. È qualcosa che fa conoscere la motivazione. Il prefisso sanscrito “a” rende la parola una negazione, quindi qualcosa di cui non si conosce la motivazione.

La relazione tra forme e categorie rivelatrici e non rivelatrici

Una forma rivelatrice è una categoria e una forma non rivelatrice non è una categoria? 

Una forma non rivelatrice non è una categoria, così come una forma rivelatrice. Le categorie sono fenomeni statici: non cambiano di momento in momento e non svolgono alcuna funzione. Le forme rivelatrici e non rivelatrici non sono statiche, cambiano di momento in momento mentre svolgono delle funzioni. La forma rivelatrice del corpo è la forma del movimento del corpo come metodo attuato per far sì che abbia luogo un’azione fisica. La forma rivelatrice della parola è il suono delle espressioni del discorso come metodo attuato per far sì che abbia luogo un’azione verbale. Sono fenomeni non statici e mutevoli perché in ogni momento, mentre facciamo qualcosa, il nostro corpo è in una posizione diversa e in ogni momento, mentre diciamo qualcosa, i suoni delle sillabe e delle parole che pronunciamo sono diversi. Anche una forma non rivelatrice, ad esempio il voto dell’astenersi dall’uccidere, cambia di momento in momento poiché svolge la funzione di impedirci di togliere una vita.  

Una categoria è statica e non compie alcunchè. È come una scatola in cui entrano molti oggetti. Ad esempio, le categorie dell’uccidere o del rubare non fanno nulla tuttavia, ogni volta che una persona uccide qualcuno, può essere classificato come rientrante nella categoria dell’uccidere. Possiamo concettualizzarlo e conoscerlo come un omicidio. Le categorie sono designate da nomi o parole così ora possiamo chiamare tutti i casi che rientrano nella categoria “omicidi” che rientra nella categoria “uccidere”. Categorie e parole sono associate al pensiero concettuale.

Come il pensiero concettuale con le categorie porta a forme rivelatrici e non rivelatrici

Sulla base della cognizione concettuale con categorie, comunichiamo con le parole. Quando pensiamo “Sto per uccidere”, la categoria dell’uccidere definisce cosa sia l’uccidere. Come si trasforma in una forma rivelatrice e in una forma non rivelatrice? 

Esatto, un’azione karmica della mente è un pensiero concettuale e implica categorie, come “uccidere”. La categoria può essere designata con una parola e quella parola può essere rappresentata dal suono mentale della parola “uccidere”. Allo stesso modo, il pensiero implicherà ulteriori categorie, come “me” e “cosa farò”. 

Una categoria è una classificazione statica che comprende tutti gli elementi che soddisfano la definizione di ciò che appartiene ad essa. Nel pensiero concettuale la categoria è rappresentata da un ologramma mentale di un elemento specifico che rientra nella categoria. Questo ologramma mentale potrebbe essere uno degli atti di uccisione non statici che stiamo pianificando e decidendo di compiere. Se continuiamo e commettiamo quell’azione, allora la forma rivelatrice della forma del movimento del nostro corpo come metodo che attuiamo per eseguire l’omicidio sarà modellata su quell’ologramma mentale nel nostro pensiero concettuale. Insieme alla forma rivelatrice ci sarà una forma non rivelatrice.

Come i voti continuano dopo la morte

Al momento della morte tutti i nostri livelli di coscienza si dissolvono, ma come continuano i voti? Forse diventano così sottili da riuscire effettivamente a sopravvivere al processo della morte anche se i livelli più grossolani si dissolvono?

Un voto, come forma non rivelatrice, è una forma estremamente sottile di fenomeno fisico che non è costituita di elementi materiali. I voti di liberazione individuale – i voti monastici o laici – durano solo una vita perché vengono presi solo per una vita. Tuttavia, i voti del bodhisattva e dei tantrici vengono presi per tutte le vite, impegnandosi a non abbandonarli fino all’illuminazione. 

Vaibhashika e Sautrantika non affermano i voti del bodhisattva o tantrici e quindi, per loro, le forme non rivelatrici vanno perdute al momento della morte e non hanno continuità nelle vite future. Cittamatra afferma che i voti del bodhisattva e tantrici continuano nelle vite future, ma non accetta le forme non rivelatrici. Questi voti sono tendenze (sa-bon) – letteralmente “semi” – sulla coscienza fondamentale, alayavijnana, e continuano con la coscienza fondamentale dopo la morte e nelle vite future.

Proprio come la coscienza mentale degli esseri del reame del senza forma è accompagnata dal livello più sottile degli elementi, così anche le forme non rivelatrici dei voti continuano ad accompagnare la sottile coscienza mentale che la scuola Prasangika afferma nel suo sistema di sutra come presente nell’esistenza della morte e come continuazione nelle vite future. In termini di anuttarayoga tantra, le forme non rivelatrici dei voti continuano come parte dell’energia-vento più sottile.

Cosa succede quando abbiamo preso i voti del bodhisattva e non li abbiamo persi, e moriamo avendoli intatti e rinasciamo come una mosca? Li abbiamo ancora? La risposta è sì, ma sono dormienti. Anche se nati come umani, i voti dovrebbero essere ripresi e rivitalizzati in un certo senso. Qualcosa di simile può accadere nel corso della vita. Durante la nostra vita umana, quando violiamo i precetti dei nostri voti di bodhisattva, indeboliamo i voti, ma non li perdiamo, non li abbiamo abbandonati. Possiamo rinfrescarli e restaurarli pentendoci delle nostre trasgressioni e assumendoli nuovamente. Anche il riaffermare la nostra motivazione prima di una sessione di insegnamento o di meditazione contribuisce a ristorarli. Non stiamo generando nuovamente bodhicitta, ecco perché dico sempre “riaffermiamo la nostra motivazione di bodhicitta” e non “generiamo bodhicitta”.  

Una strategia per risolvere i dubbi

Ha detto che, quando siamo preoccupati, abbiamo dubbi o domande nella nostra mente che non possiamo risolvere e ci soffermiamo ripetutamente sulla questione. È un po’ incompleto. Come risolviamo questo problema in modo che non ci dia fastidio?

Il non riuscire a prendere una decisione è “oscillazione indecisa”, tra i sette modi di conoscere le cose; di solito è descritta in termini di indecisione nel comprendere e accettare qualcosa nel Dharma. Una persona oscilla verso una comprensione corretta, verso una comprensione errata oppure si trova in qualche punto intermedio. Ad esempio, vediamo qualcuno in lontananza e non è chiaro chi sia; non possiamo realmente decidere, quindi usiamo un’altra forma di cognizione, ovvero il sapere che per prendere una decisione abbiamo bisogno di più informazioni. In questo caso, ad esempio, dovremmo avvicinarci alla persona per identificarla correttamente.

Questa strategia con oscillazioni indecise è abbastanza rilevante qui. Se non riusciamo a prendere una decisione su cosa fare o cosa dire, forse abbiamo bisogno di più informazioni. Ad esempio, stiamo parlando con qualcuno e non sappiamo bene cosa dire, quindi possiamo chiedere alla persona di dirci qualcosa in più su cosa intende o perché ha detto qualcosa. Quando otteniamo maggiori informazioni, questo ci aiuta a prendere una decisione. 

È un modo molto importante per conoscere le cose che dobbiamo veramente utilizzare, sapendo che non possiamo essere realmente decisivi su qualcosa senza ottenere ulteriori informazioni. Ad esempio, se non possiamo decidere se la rinascita è vera o no, abbiamo bisogno di maggiori informazioni su come funziona, cosa rinasce, ecc., prima di poter prendere una decisione adeguata. 

Ad esempio, ieri una persona ci ha detto qualcosa di sgradevole al lavoro. Oggi quando la vediamo dovremmo risponderle qualcosa? Penso che questo sia abbastanza comune quando abbiamo a che fare con comportamenti costruttivi e distruttivi e abbiamo difficoltà a decidere se compiere o meno un’azione costruttiva o distruttiva. Anche in quella situazione lavorativa possiamo ottenere ulteriori informazioni. Cosa voleva dire quella persona? 

C’è una tattica che Thích Nhất Hạnh sottolinea sempre. Vai dalla persona e dici “Ho un problema con quello che mi hai detto ieri. Mi ha davvero sconvolto. Puoi aiutarmi chiarendo e spiegandomi perché l’hai detto?”. Questo dà all’altro l’opportunità di essere generoso e di offrirci una spiegazione. Cambia l’intera dinamica della situazione. Si basa sull’ottenimento di maggiori informazioni e sulla consapevolezza che abbiamo bisogno di esse prima di prendere la decisione di dirle qualcosa di brutto. 

Mescolare i sistemi

Riguardo alle forme rivelatrici e non rivelatrici, possiamo dire che le prime sono connesse alla nostra coscienza e le seconde al nostro inconscio, nei termini di come comprendiamo queste parole in Occidente? 

Sì potremmo dirlo, ma non lo formulerei in questi termini e starei attento a come viene espresso. Possiamo essere consapevoli di una forma rivelatrice perché possiamo vederla o ascoltarla. Tuttavia, saremmo inconsapevoli della forma non rivelatrice. È così che penso si adatti allo schema di conscio e inconscio. Conscio o inconscio ha a che fare con il fatto che siamo attenti a qualcosa. Ad esempio, non prestiamo attenzione alla forma non rivelatrice di un voto preso ma possiamo pensarci se lo vogliamo, il che è concettuale, e la forma non rivelatrice sarebbe un oggetto della cognizione concettuale. 

In teoria, se raggiungiamo la percezione extrasensoriale, che è un effetto secondario della concentrazione perfetta, e ci concentriamo su questa forma non rivelatrice, in teoria dovremmo essere in grado di conoscerla in modo non concettuale. Questo perché non avremmo assolutamente alcun divagamento e ottusità mentale e saremmo totalmente concentrati su di essa. Tuttavia, non sono sicuro che sia così. Dalla teoria sembra che ciò sia possibile.

Per rispondere alla tua domanda, dobbiamo andare un po’ oltre nella direzione dei sette modi di conoscere. Ad esempio, esiste la cognizione inferenziale che è sempre concettuale. Possiamo dedurre che i nostri voti sono deboli sulla base di un ragionamento secondo cui, osservando la nostra condotta, il modo in cui li abbiamo aggirati senza averli mantenuti in modo molto puro. Questo è essere consapevoli o inconsapevoli dei voti?

Il contesto concettuale occidentale di conscio e inconscio non rientra in questo. In altre parole, ci sono molti modi diversi in cui la nostra coscienza mentale concettuale potrebbe prendere come oggetto le forme non rivelatrici dei voti o, in modo ancora più debole, semplicemente le forme non rivelatrici del nostro comportamento. 

Ciò solleva l’intera questione del mescolare i sistemi. Non possiamo davvero mescolare armoniosamente Prasangika e Cittamatra e, allo stesso modo, non possiamo mescolare molto facilmente una spiegazione buddhista con una spiegazione psicologica occidentale. Le categorie concettuali in ciascun sistema non si sovrappongono e, in molti casi, non si intersecano nemmeno.

L’afferrarsi a un “io” auto-stabilito

Ha menzionato la definizione di karma come compulsività, ma io intendo la compulsione in termini di quello che penso sia il quarto aspetto della seconda nobile verità, quando parlano di varie intenzioni forti. Ciò implica che se la nostra intenzione non è molto forte, non è un karma perché non è abbastanza compulsiva. Può chiarirlo?

Il karma non esiste da solo: nasce da varie cause e condizioni e porta anche a vari tipi di conseguenze e risultati. Quando esaminiamo il karma, dobbiamo considerare l’intera questione della ripetizione compulsiva di determinati modelli di comportamento, se posso formularlo in questo modo. Abbiamo un modo abituale di comportarci che è rafforzato dalla ripetizione. A questo si riferisce, in realtà, il secondo aspetto delle vere cause della sofferenza: l’origine della vera sofferenza. Un corpo contaminato sorgerà ripetutamente a causa del nostro desiderio e così via, perché il desiderio si ripete. Possiamo capirlo anche in termini di modelli karmici che si ripetono. 

Ciò che si ripete potrebbe essere un comportamento distruttivo, costruttivo o non specificato. Se è distruttivo, è motivato da un’emozione disturbante. Se è costruttivo, non è motivato da alcuna emozione disturbante ma da un’emozione positiva e, se non è specificato, nessuna di queste è coinvolta. Tuttavia, tutte si afferrano ad un “io” auto-stabilito come parte del contesto mentale motivante. 

Ad esempio, se ti colpisco è un’azione distruttiva. Lo faccio con l’intenzione di ferirti perché dietro c’è un’emozione distruttiva, non mi piaci e sono arrabbiato con te. C’è un grande “io” lì. Mi hai ferito e non mi piaci, e ho intenzione di farti del male. C’è una grande enfasi sul “me”. 

Con un’azione costruttiva mi astengo dal colpirti, potrebbe essere perché non voglio agire sotto l’influenza della rabbia. Ciò non significa che ne siamo completamente privi. Potrebbe essere perchè voglio aiutarti e non ferirti. Tuttavia, c’è ancora l’ “io”. Perché voglio farlo? Voglio essere buono, sono una brava persona e non faccio cose del genere. C’è sempre un grande “io”. Voglio piacerti e non voglio che tu mi ferisca a tua volta. 

Con un’azione non specificata pranzo all’una e mangio sempre la zuppa. Dietro questo c’è il modo in cui sono: pranzo sempre a quell’ora e non voglio pranzare alle due. È troppo tardi e ho sempre voglia di mangiare una zuppa a pranzo. C’è un forte “io” dietro questo. “Questo è quello che sono e questo è quello che faccio e il modo in cui conduco la mia vita. Faresti meglio ad accettarlo”. È non specificato, semplicemente mangio sempre la zuppa a pranzo all’una. 

In tutte queste azioni c’è un’intenzione: quella di ferirti, di non ferirti, oppure di pranzare con la zuppa all’una. C’è sempre un’intenzione. La forza del potenziale lasciato dall’impulso karmico e quindi anche la forza del risultato che da esso maturerà sono proporzionali alla forza dell’emozione motivante. Si tratta di un piccolo o di un grande attaccamento? È poca rabbia o molta? 

Ciò che incide anche sulla forza del potenziale e del risultato è la quantità di sofferenza che ciò che facciamo causerà ad un’altra persona. Ad esempio, ti colpirò o ti ucciderò? Dirò delle parole forti su di te o cose davvero brutte su tua madre? Ci sono molti modi diversi di come intendo farlo. Se voglio ferire qualcuno, il modo in cui intendo farlo potrebbe variare in forza del potenziale e del risultato karmico a seconda di quanta sofferenza causerà all’altra persona.

È vero che, a meno che non abbiamo una corretta comprensione della vacuità, tutte le nostre azioni di tutte e tre le categorie saranno compulsive, il che significa che tutto ciò che facciamo è basato sul karma e sulla compulsione?

La cosa diventa un po’complicata, come sempre. Ha a che fare con gli oscuramenti del karma e quando riusciamo a fermarli veramente. Otteniamo la liberazione dal karma e dalle tendenze karmiche con la liberazione, ma ci liberiamo delle abitudini costanti del karma che ci fanno avere una cognizione limitata e non l’onniscienza, solo quando diventiamo illuminati. 

Progrediamo verso quel raggiungimento per gradi. Innanzitutto, possiamo raggiungere un punto in cui non rinasciamo più nei regni inferiori. Allora possiamo raggiungere un certo stadio, credo quando ci liberiamo alla fine del settimo bhumi, dove non accumuliamo più alcun potenziale karmico. È graduale l’arresto di certi aspetti del karma. Tuttavia, tutti gli aspetti del karma non vengono eliminati finché non siamo illuminati e diventiamo un Buddha. La liberazione principale arriva come arhat e il pacchetto completo di libertà dalle abitudini costanti avviene quando siamo un Buddha.

Le reti di forza positiva

Ora c’è un punto importante che verrà trattato più avanti quando discuteremo le conseguenze del nostro comportamento karmico. Uno dei risultati, una conseguenza che prosegue nel nostro continuum mentale, è la cosiddetta “raccolta di meriti” che preferisco chiamare “rete di forza positiva”.

Esistono tre tipi di reti di forza positiva. Una non ha alcuna dedica; è l’impostazione predefinita – il cosiddetto “karma positivo” come viene comunemente chiamato - che contribuirà solo a un samsara migliore. Ad esempio, la forza positiva accumulata dall’essere generosi in modo che altre persone ci diano dei soldi. Poi ci sono la forza positiva dedicata al raggiungimento della liberazione e quella dedicata con bodhicitta al raggiungimento dell’illuminazione. Secondo un commento su questo argomento del maestro indiano Haribhadra, la parola sanscrita che viene solitamente tradotta come “raccolta” o “rete” significa in realtà “qualcosa che costruisce qualcos’altro”. Costruisce forza positiva per ottenere un samsara, una liberazione o un’illuminazione migliori. 

La rete di forza positiva che costruisce l’illuminazione è quella che abbiamo quando otteniamo bodhicitta senza sforzo. “Senza sforzo” (rtsol-med) significa che non dipendiamo dalla meditazione di causa ed effetto in sette parti e così via per generarla. Abbiamo sempre bodhicitta come motivazione primaria così che, inconsciamente, è sempre presente. Con questo, otteniamo il primo dei cinque sentieri mentali, il sentiero di costruzione – il cosiddetto “sentiero dell’accumulazione” – che si forma sempre di più in modo da raggiungere un’unione di shamatha e vipashyana. Il sentiero dell’accumulazione non è qualcosa su cui camminiamo ma un livello della mente che si forma verso quell’ottenimento. Quel livello di bodhicitta contribuirà al nostro raggiungimento dell’illuminazione. Non dobbiamo ancora avere una cognizione non concettuale della vacuità che si ottiene con un sentiero mentale del vedere, il sentiero della visione. 

Prima di raggiungere quel livello di bodhicitta senza sforzo e un sentiero dell’accumulazione come bodhisattva, abbiamo quella che è conosciuta come “rete facsimile” di forza positiva che costruisce l’illuminazione, creata con bodhicitta “con sforzo” e che contribuirà alla nostra illuminazione. In un certo senso, parte di questa forza positiva migliorerà il nostro samsara nel cammino verso l’illuminazione perché abbiamo bisogno di preziose rinascite umane e cose del genere. Certamente vogliamo garantirci questa maturazione samsarica ma contribuirà anche a raggiungere effettivamente l’illuminazione.

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