Il karma: di chi è la colpa?

I temi da analizzare: il karma, l’io e la colpa

Ci sono tre argomenti che necessitano di chiarimenti per rispondere alla domanda: “Karma: di chi è la colpa”: il karma, l’io e la colpa. Vanno analizzati poiché le idee sbagliate su di essi ci causano gravi sofferenze, ad esempio la sofferenza del senso di colpa. Per ottenere una vera cessazione di tale sofferenza è necessaria una corretta comprensione che deriva da un’analisi approfondita. Come sottolinea sempre Sua Santità il Dalai Lama, la meditazione analitica è il tipo di meditazione più efficace per eliminare la sofferenza.  

Il karma

Karma si riferisce alla compulsione associata ad un’azione – modi compulsivi di pensare, parlare e comportarsi. Sebbene la parola tibetana per karma, “las”, sia la parola colloquiale per “azione”, karma non si riferisce alle nostre azioni stesse. Il karma è qualcosa di cui dobbiamo liberarci per ottenere la liberazione e l’illuminazione; se significasse semplicemente azioni, allora tutto ciò che dovremmo fare è smettere di pensare, dire o fare qualsiasi cosa, e poi saremmo liberi da ogni sofferenza. Ma ciò non ha alcun senso. 

Sebbene esista una presentazione Theravada specifica di causa ed effetto karmici, i tibetani generalmente non la studiano. Seguono invece due presentazioni sanscrite:

La più antica è la presentazione Madhyamaka che si trova nelle Strofe radice sulla via di mezzo, chiamata consapevolezza discriminante (dBu-ma rtsa-ba shes-rab, sanscr. Prajñā-nāma-mūlamadhyamaka-kārikā) di Nagarjuna che è stata elaborata dai maestri indiani sia Svatantrika-Sautrantika sia Prasangika. Si basa su sutra sarvastivada come Il nobile e grande sutra del mahaparinirvana (’Phags-pa yongs-su mya-ngan-las ’das-pa chen-po’i mdo, sanscr. Āryamahāparinirvāṇa Sūtra) e (Il Sutra del) Posizionamento ravvicinato della consapevolezza sul nobile e santo Dharma (’Phags-pa dam-pa’i chos dran-pa nye-bar gzhag-pa, sanscr. Āryasaddharmasmṛtyupasthāna), così come su diversi testi del Canestro dell’abhidharma sarvastivada. Anche Vasubandhu nella Tesoreria di argomenti speciali di conoscenza (Chos mngon-par mdzod, sanscr. Abhidharmakośa) e i suoi commentatori hanno elaborato queste fonti di sutra e abhidharma nel contesto del sistema filosofico Vaibhashika. 

L’altra presentazione sanscrita fu formulata da Kumaralata, il fondatore del sistema filosofico Sautrantika, che rifiutò le fonti dell’abhidharma sarvastivada a favore di altre fonti di sutra sarvastivada che non furono tradotte in tibetano e, quindi, non conservate nel Kangyur. Queste fonti dei sutra sposavano una diversa spiegazione del karma esclusivamente in termini di mente. Vasubandhu elaborò le obiezioni sautrantika alla versione vaibhashika nell’ Autocommentario a “Tesoreria di argomenti speciali di conoscenza” (Chos mngon-pa’i mdzod-kyi bshad-pa, sanscr. Abhidharmakośa-bhāṣyā). Asanga poi ampliò questa versione sautrantika del karma inserendola nel contesto del sistema Cittamatra, in Antologia di argomenti speciali di conoscenza (Chos mngon-pa kun-las btus-pa, sanscr. Abhidharmasamuccaya). Questa versione Cittamatra fu accettata dai maestri Svatantrika-Yogachara, contestualizzata però alle asserzioni del loro pensiero. 

In entrambi i sistemi Madhyamaka-Vaibhashika e Sautrantika-Cittamatra, il karma può essere distruttivo, costruttivo o non specificato. “Non specificato” significa che Buddha non ha specificato se fosse distruttivo o costruttivo; potrebbe essere in entrambi i modi a seconda dello stato mentale motivante. In tutti e tre i casi, ciascuno è causato e accompagnato dall’afferrarsi a un “io” che non esiste.

  • Distruttivo – causato e accompagnato da un’emozione o un atteggiamento disturbante e dall’afferrarsi a un “io” che non esiste – ad esempio, dire parole offensive a qualcuno per rabbia e per non apprezzare ciò che “mi” ha detto.
  • Costruttivo – causato e accompagnato da un’emozione costruttiva e dall’afferrarsi a un “io” che non esiste – ad esempio, l’astenersi dall’offendere qualcuno perché “io” non voglio sperimentare i risultati della sofferenza, o l’aiutare qualcuno con non-attaccamento nei suoi confronti perché “io” voglio essere quello buono, quello che aiuta sempre.
  • Non specificato – causato e accompagnato semplicemente dall’afferrarsi a un “io” che non esiste, senza un’ulteriore emozione disturbante o costruttiva – per esempio, mangiare una zuppa calda a mezzogiorno perché si crede che l’ “io” debba sempre mangiare una zuppa calda per pranzo, che deve essere a mezzogiorno.

Il sé, l’ “io”

È chiaro, quindi, che tutti e tre i comportamenti karmici implicano l’afferrarsi a un “io” che non esiste. Quindi sono cruciali le questioni di come esiste il sé, “me” – colui che compie azioni karmiche e ne sperimenta i risultati – e di come viene mantenuta la connessione tra causa ed effetto comportamentale e tra il “me” agente di un’azione karmica e il “me” che ne sperimenta il risultato.

Il comprendere causa ed effetto comportamentali e il “me” dipende dalle asserzioni di un sistema filosofico, quindi l’analisi del karma e quella del “me” devono avvenire nel contesto dello stesso sistema di pensiero affinché possano combaciare senza contraddizioni. Sebbene la spiegazione del karma Sautrantika-Cittmatra sia più semplice di quella Madhyamaka-Vaibhashika e venga spesso insegnata per prima, la sua visione della vacuità del sé presenta molti difetti. Cittamatra afferma:

  • Coscienza fondamentale (kun-gzhi rnam-shes, sanscr. ālayavijñāna) e consapevolezza riflessiva (rang-rig).
  • Tutte le conseguenze karmiche – forza karmica, tendenze karmiche e abitudini karmiche costanti – così come il sé, come fenomeni di imputazione sulla base della coscienza fondamentale.
  • Coscienza fondamentale, conseguenze karmiche, sé e consapevolezza riflessiva aventi un’esistenza auto-stabilita, veramente stabilita, indipendentemente dalle parole e dai concetti che si riferiscono ad esse.
  • Coscienza fondamentale veramente esistente e auto-stabilita in quanto contenente le caratteristiche definitorie individuabili sia di se stessa che del sé veramente esistente e auto-stabilito.
  • La liberazione dal karma e dalla sofferenza richiede la vera cessazione del semplice afferrarsi a un sé che è statico, senza parti, esistente indipendentemente dagli aggregati e conoscibile in modo autosufficiente. Tale confutazione lascia inconfutato un sé veramente esistente e auto-stabilito.
  • Oggetti fisici, sensori cognitivi, coscienza, fattori mentali, consapevolezza riflessiva e il sé in un momento di attività mentale come privi di provenienza da diverse fonti natali (rdzas). Sorgono tutti come un “pacchetto” dalla stessa tendenza karmica e tutti hanno un’esistenza veramente esistente e auto-stabilita.

La scuola Sautrantika segue la presentazione di Asanga, ma senza accettare gli aspetti delle sue asserzioni cittamatra che non concordano con le sue opinioni.

Madhyamaka, in generale, confuta tutte queste affermazioni cittamatra. Dal momento che vogliamo analizzare specificamente il contesto della comprensione Madhyamaka-Prasangika della vacuità del sé al fine di ottenere la liberazione o l’illuminazione, dobbiamo adattare tale comprensione alle asserzioni madhyamaka sul karma.

La colpa

Per identificare l’oggetto da confutare riguardo al sé, dobbiamo analizzare come consideriamo noi stessi, “io”, l’agente del karma. Poiché karma si riferisce alla compulsività del nostro comportamento dobbiamo identificare quel fattore compulsivo e considerare se possiamo eliminarlo o meno. In questo modo avremo una visione dualistica di noi stessi come un “io” cattivo e come un “io” poliziotto; consideriamo se tale visione dualistica ci porta o meno ad avere problemi e sofferenze.

Se sentiamo che non possiamo smettere di agire compulsivamente in certi modi, allora la colpa è nostra o di fattori esterni come l’economia? Per questo, dobbiamo analizzare il ruolo del sé e il ruolo delle cause, condizioni e circostanze coinvolte nel nostro agire in modo compulsivo e nello sperimentarne i risultati.

Inoltre, colpa implica senso di colpa, il che significa (1) io sono una persona cattiva, o (2) tu sei una persona cattiva, o (3) la società è cattiva perché mi fa agire in un certo modo o perché mi fa sperimentare qualche risultato karmico. Ciò significa pensare (1) che sono stato punito per quello che ho fatto perché me lo merito, o (2) devi essere punito tu per quello che hai fatto che mi ha fatto fare quello che ho fatto, o (3) l’ordine sociale ha bisogno di essere distrutto per avermi fatto fare quello che ho fatto, come rubare o drogarmi.

Poi dobbiamo esaminare la differenza tra colpa e responsabilità in termini di karma e in termini di comprensione del “me”. Questi sono gli argomenti che dobbiamo analizzare per rispondere alla domanda: “Karma, di chi è la colpa?”.

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