Evitare l'eccessiva dipendenza dagli altri per l'energia spirituale
Anche dopo essersi impegnati in un percorso spirituale e aver stabilito una relazione discepolo-mentore, può spesso rappresentare una sfida mantenere l'energia e la motivazione nella propria pratica spirituale. Pertanto, i ricercatori hanno bisogno di diversi modi per potersi risollevare negli inevitabili momenti in cui si sentono privi di ispirazione e motivazione. I testi classici raccomandano di rimanere in stretto contatto con altri praticanti e con maestri spirituali quando si ha bisogno di sostegno; per aumentare l'energia spirituale può anche essere utile pensare ai propri cari o ai bisognosi e forse ricordare un viaggio spirituale in Asia.
Sebbene tali metodi possano temporaneamente sollevare il nostro spirito in una certa misura, la nostra energia può rimanere per lo più bassa, specialmente quando siamo prevalentemente da soli. Il problema potrebbe essere un'eccessiva dipendenza da fattori esterni, in particolare un'eccessiva dipendenza malsana dagli altri. Sebbene trovarsi in un ambiente favorevole e mantenere una buona compagnia possa aiutare a fornire circostanze favorevoli al mantenimento di una pratica spirituale, non sono sufficienti. In definitiva, l'emozione motivante e l'energia edificante per la trasformazione di sè devono provenire dall'interno.
Il Sutra delle connessioni indica chiaramente questo fatto: "I Buddha non possono lavare via i potenziali negativi degli altri, né rimuovere la loro sofferenza come si estrae una spina da un piede. Non possono trasferire le loro realizzazioni ad alcuno; possono solo indicare la via insegnando realtà". La psicoterapia afferma lo stesso: qualunque cosa possa fare un terapeuta, l'intuizione e la comprensione devono provenire dal paziente.
Possiamo anche dedurre questa verità da una spiegazione di Sakya Pandita nel Sentiero profondo del guru yoga riguardo l'analogia precedentemente citata del sole, della lente d'ingrandimento e della combustione. Senza una lente d'ingrandimento per focalizzare i raggi del sole, il calore del sole da solo non può accendere la fiamma; tuttavia l'energia del fuoco in definitiva proviene dal potenziale del fuoco di bruciare. Allo stesso modo, senza una sana relazione con un mentore spirituale per focalizzare le onde dell'ispirazione dei Buddha, l'energia delle onde da sola non può portare un discepolo all'illuminazione. Tuttavia, l'energia dell'illuminazione proviene dalle reti di buone qualità, potenziali positivi e profonda consapevolezza di un discepolo. Al livello più profondo, l'energia proviene dal guru interiore del discepolo - la sua mente di chiara luce.
Inoltre, continuò Sakya Pandita, se la legna da ardere è umida o accatastata in disordine, non prenderà fuoco. Allo stesso modo, se la mente di un discepolo è indisciplinata o inzuppata di pensieri, preconcetti o dubbi irrilevanti, non sarà infiammata dall'ispirazione: gli effetti derivano in dipendenza da una combinazione di cause e fattori.
I fattori culturali nell'eccessiva dipendenza occidentale e tibetana
Molte persone in Occidente trovano la vita estremamente complessa e confusa e, poiché ansia, tensione e preoccupazione occupano le loro menti, non riescono a trovare fonti interiori di forza: la legna da accendere è bagnata e in disordine. I loro stati emotivi sono instabili e nulla li ispira; inoltre, con la tipica bassa autostima occidentale, non sono sicuri di loro stessi; temendo di commettere errori, alcuni potrebbero voler dare la responsabilità delle decisioni ad altri; desiderano disperatamente che qualcuno sappia cosa stia succedendo e si prenda cura di tutto, come un padre ideale o un dio.
Alcuni possono arruolarsi nell'esercito in modo da dover semplicemente eseguire degli ordini e non pensare per sè; coloro che sono più inclini alla spiritualità possono rivolgersi a un centro di Dharma. Sebbene il desiderio spirituale possa essere genuino, il bagaglio emotivo e culturale che portano con sé può indurli a cercare relazioni con insegnanti spirituali come con un padre o una figura autoritaria e potrebbero voler stabilire tali relazioni per poter rinunciare alla responsabilità di prendere decisioni nella propria vita. Molti sperano che questo renderà tutto più facile e che risolverà i loro problemi.
Gli occidentali che entrano in questo tipo di relazione di eccessiva dipendenza, tuttavia, lo fanno solo su base volontaria, a nessuno piace essere costretto a obbedire a qualcun altro: se le persone scelgono di sottomettersi a un'altra persona e scelgono l'individuo a cui si sottomettono, di solito si sentono a proprio agio nella situazione.
Il "pensiero biblico" può inconsciamente contribuire a questo modello di comportamento tipicamente occidentale. Ad esempio, il concetto di peccato originale può favorire un senso di colpa intrinseco, una scarsa opinione di sé e, di conseguenza, qualcuno potrebbe pensare che prendere una decisione sbagliata nella vita dimostrerebbe la sua indegnità e potrebbe portarlo a essere ulteriormente rifiutato come persona cattiva, come se fosse ulteriormente cacciato dal paradiso. È più sicuro lasciare che qualcun altro prenda le decisioni.
Inoltre, le usanze occidentali moderne sull'educazione dei figli possono rafforzare un sentimento di rifiuto o abbandono supportato dottrinalmente, a causa di qualcosa che è intrinsecamente sbagliato in se stessi o si possono alimentare tali sentimenti da soli. Molte madri occidentali non allattano più i loro bambini, nè li portano sulla schiena tutto il giorno o dormono con loro la notte come fanno le madri nelle società tradizionali. Invece, allattano i loro bambini con i biberon, li tengono in box, passeggini o asili nido mentre sono svegli e li lasciano soli nelle culle di notte. Il bambino si sente cacciato dal paradiso e, di conseguenza, un contatto corporeo insufficiente in tenera età può portare non solo alla sindrome occidentale moderna culturalmente specifica dell'alienazione dal proprio corpo e dai propri sentimenti, ma anche a un desiderio inconscio di accettazione, affetto e persino redenzione. I ricercatori spirituali occidentali intrappolati in queste sindromi a volte si rivolgono a maestri spirituali nella speranza inconscia di soddisfare questi bisogni. L'urgenza delle loro pulsioni inconsce può portare a un'eccessiva dipendenza.
Occasionalmente, i ricercatori occidentali eccessivamente dipendenti incontrano tibetani che sono anche eccessivamente dipendenti dai maestri spirituali e possono giustificare il proprio comportamento su questa base. Le influenze culturali e la psicologia sottostanti alla tradizionale forma tibetana di eccessiva dipendenza da un insegnante spirituale, tuttavia, differiscono in modo significativo da quelle sottostanti al tipico modello occidentale. Molti tibetani, come altri asiatici, evitano di accettare la responsabilità di prendere decisioni perché temono di perdere la faccia nelle loro comunità o di disonorare le loro famiglie se falliscono. Pertanto, considerazioni sociali e familiari, piuttosto che individuali, li spingono ad affidare ai lama la responsabilità delle loro decisioni.
Inoltre, i tibetani in genere non sceglierebbero un lama qualsiasi con cui avere questo tipo di relazione di eccessiva dipendenza, ma si rivolgerebbero ai lama o ai rinpoce a capo dei monasteri della loro zona. Ciò accade anche tra i tibetani in esilio, dove non vi sono limiti geografici alla scelta del lama. Ancora una volta, i fattori sociali e comunitari influenzano la decisione di un tibetano e non le preferenze individuali come nel caso degli occidentali. Inoltre, i tibetani non si sentono obbligati a scegliere i lama della loro regione: ritengono che la scelta sia naturalmente adatta in accordo alle norme sociali. La pressione di gruppo o individuale è difficilmente necessaria.
Se una relazione di eccessiva dipendenza da un insegnante spirituale nasce all'interno di un contesto socio-psicologico occidentale o tibetano, tale relazione è fondamentalmente malsana. Non favorisce la maturità che un percorso spirituale verso la liberazione e l'illuminazione cerca di sviluppare. Certamente, una relazione sana con un mentore spirituale implica la consultazione di un insegnante per consigli su questioni spirituali e significa anche trarre ispirazione dalla persona. Un mentore spirituale, tuttavia, non è Dio, nè un padre o una madre onnipotente e nemmeno un signore feudale. Lui o lei non può risolvere tutti i problemi per noi. La sottomissione obbediente o la deferenza sottomessa alla volontà di un mentore, anche se volontarie, non possono né riscattarci né compensare di essere stati apparentemente abbandonati dai nostri genitori da bambini perché eravamo cattivi o c’era qualcosa di sbagliato in noi. Né può esimerci dalla responsabilità per il fallimento o dal perdere la faccia. I ricercatori spirituali, sia occidentali che tibetani, che soffrono di una sindrome da eccessiva dipendenza devono concentrarsi sulla loro natura di Buddha e lavorare per liberare da questo aspetto malsano le loro relazioni con gli insegnanti spirituali.
Una dipendenza eccessiva basata su un orientamento etico occidentale
In Stabilire il metodo e la consapevolezza discriminante lo yogi indiano altamente realizzato Anangavajra spiegò come trarre ispirazione in modo sano da un mentore spirituale. Uno dei fattori più importanti è la forza del carattere che deriva dal mantenere i propri voti e degli stretti legami con la pratica etica. L'auto regolamentazione che deriva dal mantenimento dell'autodisciplina etica fornisce la maturità e la stabilità necessarie per trarre ispirazione da un mentore senza diventare eccessivamente dipendenti. Questo perché la base dell'etica buddhista è la consapevolezza discriminante: discriminando tra i benefici e gli svantaggi delle varie azioni, i praticanti si astengono da una condotta distruttiva che causerà solo danni. Essere etici, quindi, dipende interamente da se stessi.
Le culture occidentali, al contrario, derivano la loro etica da una miscela di pensiero biblico e greco antico e, di conseguenza, la fondano sull'obbedienza all'autorità: si diventa persone etiche obbedendo alle leggi comandate da un Dio o promulgate da un legislatore. Un senso dell'etica occidentale, quindi, spesso promuove la dipendenza psicologica dall'ottenere l'approvazione e la ricompensa dall'autorità ed evitare la sua censura e punizione. Così, molti ricercatori spirituali occidentali sperimentano che la loro disciplina per meditare, per esempio, deriva dal desiderio inconscio di essere buoni discepoli e di ottenere l'approvazione dei propri mentori. Quando l'energia per la pratica spirituale deriva dal senso di colpa e dalla paura di rifiuto da parte del maestro, piuttosto che ispirare una risoluta sicurezza di sé, il rapporto discepolo-mentore diventa malsano.
Una dipendenza eccessiva dalla meditazione guidata
Una parte della disciplina nelle istituzioni monastiche tibetane consiste nel partecipare a un rigido programma di assemblee giornaliere, mensili e annuali; a orari prestabiliti durante il giorno e la notte, i monaci e le monache si riuniscono, a volte tutti insieme, a volte in piccoli gruppi, per recitare preghiere, cantare ed eseguire rituali tantrici. Ogni monastero, convento e ciascuna delle sue suddivisioni, è responsabile dell'esecuzione periodica e regolare di una serie specifica di preghiere e rituali del lignaggio. I testi rituali tantrici descrivono serie di visualizzazioni, così come stati mentali desiderati, come bodhicitta e la comprensione della vacuità. Mentre cantano insieme, i partecipanti cercano di eseguire le visualizzazioni ed entrare negli stati che stanno recitando. L'abate, la badessa e i vari lama possono partecipare, ma solo come partecipanti seduti in prima fila su sedili leggermente rialzati; un maestro di canto guida la recitazione corale. Nessuno si siede di fronte al gruppo e conduce il rituale, né descrivendo le procedure all'inizio della sessione, né guidandolo passo dopo passo.
Sebbene la partecipazione alla recitazione di gruppo dei rituali monastici implichi la meditazione, la maggior parte dei monaci e delle monache tibetane ha pratiche personali quotidiane aggiuntive, che svolgono in privato e che di solito includono il canto, l'esecuzione di ulteriori rituali tantrici e, per alcuni, il sedere in meditazione silenziosa. Allo stesso modo, anche i praticanti laici tibetani meditano da soli. Il Buddhismo tibetano tradizionale non ha l'abitudine della meditazione di gruppo silenziosa, con o senza guida. Di conseguenza, quando i maestri tradizionali tibetani vengono per la prima volta in Occidente e vengono invitati a condurre meditazioni di gruppo, molti non hanno idea di cosa vogliano gli studenti occidentali.
I tibetani imparano a meditare chiedendo a un insegnante la spiegazione delle istruzioni e poi praticando da soli nelle loro stanze. L'insegnante non medita quasi mai con gli studenti, anche nelle fasi iniziali della formazione. Al contrario, la maggior parte degli occidentali ha bisogno di qualcuno che mediti con loro all'inizio, per aiutarli a superare la confusione e le barriere che possono derivare dall'impegnarsi in una pratica di una cultura straniera. Pertanto, la maggior parte degli occidentali inizia inevitabilmente a meditare in un gruppo guidato da un insegnante.
Molti occidentali, tuttavia, non hanno la disciplina per meditare da soli dopo aver appreso le basi. Pertanto, scoprono che continuare con la meditazione di gruppo, specialmente quando guidati da un insegnante, li aiuta a sviluppare abitudini benefiche. Sia che la meditazione sia silenziosa o che coinvolga il canto di gruppo di un rituale, trovano utile che un insegnante si sieda ogni volta di fronte e descriva la procedura all'inizio, meditando poi con loro durante la sessione. Inoltre, coloro che sono sconcertati da alcune delle pratiche silenziose più complesse trovano particolarmente utile la meditazione guidata. Usando le proprie parole, un insegnante descrive in fasi le visualizzazioni, le comprensioni e le sensazioni che gli studenti cercano di generare; mentre ascoltano i meditatori cercano di immaginarle e sentirle sospendendo ogni pensiero estraneo e indipendente. Tuttavia, l’abitudine a qualsiasi forma di meditazione di gruppo può talvolta portare a un'eccessiva dipendenza da questi stili di pratica e dagli insegnanti che li guidano.
Nella maggior parte dei casi, gli insegnanti conducono la meditazione per scopi benevoli. Tuttavia, poiché la meditazione guidata funziona per il potere della suggestione, in particolare quando la meditazione silenziosa è guidata passo dopo passo, un insegnante con una tendenza ad abusare del potere può contribuire all'eccessiva dipendenza. L'abuso può assumere una forma grossolana e subdola se motivato dal desiderio egoistico di controllo, come quando un insegnante cerca di manipolare i discepoli ad adorare il guru, includendo immagini di se stesso nella visualizzazione. In casi estremi, il capo di una setta può persino usare la meditazione guidata per fare il lavaggio del cervello ai seguaci al fine di far commettere un suicidio di massa per l'imminente fine del mondo. In casi più subdoli e benigni di sfruttamento del potere, un insegnante può sinceramente desiderare di aiutare i discepoli tuttavia, una spinta inconscia a guadagnare energia e appagamento aiutando gli altri in modo dichiaramente attivo può essere alla base dell'uso eccessivo della meditazione guidata da parte della persona.
Non c'è dubbio che l'energia di un insegnante carismatico e una dinamica di gruppo possano contribuire a farci acquisire esperienze meditative iniziali come praticanti alle prime armi. La maggior parte dei nuovi arrivati, infatti, trova difficoltà nell'apprendimento della meditazione senza l’ausilio di tale direzione. Lo sviluppo spirituale attraverso la meditazione, tuttavia, deve essere autosufficiente. Una volta ottenuto un certo livello di disciplina ed esperienza attraverso la meditazione di gruppo guidata da un insegnante, dobbiamo rafforzare quella disciplina ed esperienza attraverso la pratica solitaria. Altrimenti rischiamo di diventare dipendenti dalla meditazione guidata, come se fosse una droga ricreativa. Tenendo conto di questi punti dall'inizio, possiamo evitare le trappole del divenire eccessivamente dipendenti da un insegnante o anche da registrazioni nella pratica meditativa.
Inoltre, dobbiamo esaminare sia le nostre motivazioni che quelle degli insegnanti per partecipare alla meditazione guidata. Anche se l'insegnante sta cercando di ottenere potere guidando gli altri, possiamo trarre il beneficio della meditazione guidata avendo sufficiente chiarezza di intenti. Se un insegnante sta cercando di fare il lavaggio del cervello ai ricercatori spirituali con modi di pensare negativi, dobbiamo riconoscere la sindrome e ritirarci. Se, tuttavia, l'insegnante ha un approccio iperprotettivo o manipolativo per aiutare i ricercatori ad acquisire modi di pensare positivi, possiamo includere questo difetto nella sezione della meditazione sul guru a livello di sutra che riguarda la focalizzazione sui difetti del mentore.
Una dipendenza eccessiva dall'avere risposte a tutte le domande
Il Buddha usò molti metodi per guidare i discepoli lungo il sentiero spirituale. A volte, quando i discepoli facevano domande, Buddha impiegò l'approccio socratico di interrogare in risposta con lo scopo di aiutarli ad acquisire intuizioni e di rispondere alla domanda attraverso il proprio potere di ragionamento. In alternativa, Buddha diede solo risposte parziali accennando al resto; anche questo stile mirava a incoraggiare i discepoli a trovare le risposte attraverso la ragione o l'esperienza personale. Occasionalmente, usò mezzi enigmatici e rispose con paradossi o affermazioni apparentemente irrilevanti, che potevano scuotere i discepoli a livelli più profondi di comprensione. In risposta ad altre domande, Buddha rimase in silenzio. Qualsiasi risposta avrebbe confuso i discepoli i cui preconcetti erano ancora troppo fitti per poter comprendere appieno. Ad alcune domande, tuttavia, Buddha rispose in modo chiaro, preciso e autorevole per dissipare la confusione. Così, Buddha fu un maestro dei "mezzi abili".
Mentori spirituali qualificati utilizzano la stessa gamma di metodi usati dal Buddha per guidare i discepoli e per rispondere alle domande. A volte, tuttavia, gli insegnanti possono dare risposte autoritarie piuttosto che autorevoli e ciò può scoraggiare la libera ricerca e il pensiero. Invece di aiutare i discepoli a sviluppare i poteri di discriminazione e ragione, tali insegnanti possono incoraggiare l'eccessiva dipendenza dando risposte categoriche a tutte le domande. La situazione dipende dalle motivazioni consce e inconsce degli insegnanti e dal loro livello di competenza nell'uso di mezzi abili.
Alcuni ricercatori spirituali possono essere inclini a dipendere da insegnanti dogmatici. Trovano la vita così confusa da volere che tutto sia chiaro e certo; non vogliono pensare da soli. Un simile atteggiamento, tuttavia, non favorisce la crescita spirituale. Pertanto, se gli insegnanti spirituali danno solo risposte parziali o enigmatiche alle domande, dobbiamo capire che questo è un metodo di insegnamento. Apprezzare il metodo aiuta a evitare la frustrazione e l'impazienza con risposte insoddisfacenti. Se, d'altra parte, gli insegnanti cercano di soffocare le nostre menti, dobbiamo ricordare il consiglio del Buddha nel Sutra dell’estensione della fitta varietà [delle terre pure]: "Non accettare il mio Dharma solo per rispetto per me, ma analizzalo e controllalo come un orafo analizza l'oro, sfregandolo, tagliandolo e fondendolo".
La questione della sottomissione
Alcuni occidentali entrano in rapporti con dei maestri spirituali sul modello delle suore cattoliche che sposano Gesù e giurano obbedienza totale e incondizionata all'autorità superiore. Sentono che se si arrendono, aprono i loro cuori e lasciano che i loro mentori agiscano attraverso di loro, potranno servire il mondo. A livello psicologico, questa sindrome deriva a volte da una bassa autostima e da sentimenti che l'autostima derivi dall’"appartenenza" a un essere spiritualmente superiore. Sebbene la sindrome sia più tipica delle donne in cerca di spiritualità rispetto agli insegnanti maschi, spesso si manifesta anche negli uomini.
La sottomissione volontaria a una persona idealizzata e il desiderio di appartenere a qualcuno più grande di loro può rendere i ricercatori spirituali facilmente soggetti a varie forme di abuso. Quando si subisce un abuso, sessuale o in modi meno gravi, l'esperienza può rafforzare la bassa autostima: si può pensare di meritare il maltrattamento. In alternativa, l'abuso può far sì che successivamente si chiuda il proprio cuore a qualcun altro. In superficie, la sottomissione può sembrare una perdita dell'ego e quindi una virtù buddhista tuttavia, se la sottomissione è per acquisire inconsciamente un senso di autostima e per l'autoaffermazione attraverso l'appartenenza a qualcuno più grande, piuttosto che rafforzare mina un sano senso di sé. Una sensazione di autostima deriva principalmente dal riconoscere le proprie potenzialità e dall'usarle a beneficio degli altri il più possibile.
Inoltre, i discepoli occidentali che pensano che il Buddhismo condivida l'approccio biblico all'etica possono erroneamente immaginare che i lama tibetani li giudichino moralmente. Ciò può portare a mescolare in modo inappropriato il concetto di colpa nelle dinamiche della relazione: se gli studenti non riescono a fare tutto ciò che chiedono i mentori, si sentono in colpa e indegni. Pertanto, temendo il rifiuto perché sono "cattivi discepoli", sentono di doversi sottomettere senza domande e obbedire sempre.
Da un punto di vista buddhista, causa ed effetto comportamentale funzionano senza che un'autorità superiore emetta un giudizio. Una persona evita un comportamento distruttivo non per paura della punizione, ma perché desidera evitare la sofferenza che un comportamento malsano comporta. Come spiegato sopra, l'obbedienza alle leggi create da Dio o promulgate da una legislatura eletta è una virtù culturalmente specifica, non universale.
Una relazione sana con un mentore spirituale, quindi, non implica sottomissione o appartenenza al mentore, né implica l'obbedienza basata sulla colpa. Bisogna distinguere chiaramente tra l’essere discepolo di un maestro e l’appartenere a un maestro.
I pregiudizi basati sul sesso
La posizione delle donne nella maggior parte delle società asiatiche tradizionali è inferiore a quella degli uomini. Il pregiudizio era così dilagante nell'antica società indiana durante il tempo del Buddha, ad esempio, che per evitare il disprezzo da parte di una società patriarcale, il Buddha e i suoi seguaci codificarono persino i pregiudizi basati sul sesso nelle regole monastiche della disciplina. Pertanto, numerosi mentori tibetani tradizionali in particolare i monaci condividono l'eredità di questo pregiudizio, consciamente o inconsciamente, nonostante l'insegnamento del Buddha secondo cui la mente non ha un sesso intrinseco. La loro denigrazione palese o sottile delle donne spesso umilia e scoraggia le studentesse occidentali. La situazione conduce spesso a grossi blocchi nel progresso spirituale di queste donne.
Lamentarsi del pregiudizio e fare una campagna perché i tibetani tradizionali cambino i loro valori spesso porta solo più frustrazione, amarezza e rabbia. Come quando ci si sofferma su qualsiasi errore convenzionale di un mentore, fissarsi su un suo pregiudizio relativo al sesso è controproducente. Sebbene sia estremamente importante rendere gli insegnanti tibetani tradizionali consapevoli della sofferenza che i loro atteggiamenti causano alle donne discepole, aspettarsi un cambiamento rivoluzionario improvviso potrebbe non essere realistico. D'altra parte, negare il pregiudizio o reprimere i sentimenti di umiliazione e dolore mina la salute spirituale ed emotiva del discepolo.
La meditazione sul guru del sutra suggerisce un approccio che può aiutare fintanto che l'uguaglianza sessuale non arriva nella sfera spirituale. Se i nostri mentori soffrono di pregiudizi legati al sesso, dobbiamo prima ammettere a noi stessi che hanno questo difetto. Anche se loro non possono o non riconosceranno i loro pregiudizi come difetti, il nostro aperto riconoscimento di ciò aiuta ad alleviare il dolore. Successivamente, dobbiamo concentrarci sul fatto che questo difetto nei mentori non esiste come un difetto intrinseco, ma è sorto in dipendenza da vari fattori culturali e personali. Questa comprensione può permetterci quindi di concentrarci sulle loro buone qualità e gentilezza e, di conseguenza, di trarre i benefici che si possono ottenere dalla relazione.
L'influenza del pensiero greco antico sull'essere un individuo
Un'altra influenza inconscia sul pensiero occidentale è l'immagine, che proviene dall'antica Grecia, dell'eroe che sfida la supremazia degli dèi. In accordo a questa immagine molti occidentali sia maschi che femmine si sentono interiormente spinti a ribellarsi all'autorità e alla tradizione. Ciò può manifestarsi in diversi modi.
Gli occidentali possono cercare di stabilire la loro uguaglianza dimostrando la loro creatività e forza come individui indipendenti. Pertanto, alcuni possono ribellarsi alle tradizioni dei loro genitori o della società e frequentare i centri di Dharma come un modo inconscio per affermare la propria individualità. Non è necessario essere soli per affermare la propria individualità: le persone sentono di affermarla seguendo mode alternative o unendosi a movimenti alternativi. Motivazioni ribelli inconsce, tuttavia, possono mettere a repentaglio le possibilità di una sana relazione con l’insegnante spirituale.
Ad esempio, alcuni discepoli possono evitare o rifiutare la guida continua dei loro mentori una volta che sentono di essere "cresciuti" spiritualmente. I mentori spirituali insegnano ai discepoli a stare in piedi con le proprie gambe e a prendere decisioni illuminate basate sulla compassione e sulla saggezza. Tuttavia, prendere decisioni spiritualmente mature non richiede inevitabilmente il rifiuto del proprio mentore e dei suoi consigli come una minaccia alla propria indipendenza o individualità. Quindi, se l'arroganza spinge i discepoli a ribellarsi contro le restrizioni, inevitabilmente entrano in conflitto con i loro mentori.
La spinta culturalmente supportata a sfidare e superare gli standard di competenza accettati può anche manifestarsi come una spinta inconscia a raggiungere l'illuminazione e diventare il mentore perfetto per eccellere e superare tutti, come se ci si allenasse per vincere le Olimpiadi. Ciò può portare alla competizione con il proprio mentore e lo sciovinismo culturale può rafforzare la sindrome. Ad esempio, alcuni discepoli e persino alcuni insegnanti spirituali non sufficientemente qualificati possono pensare con arroganza che un moderno approccio occidentale al Buddhismo sia ovviamente superiore ai metodi tradizionali antiquati e superstiziosi. Credono che, utilizzando questo approccio, possano, in effetti, diventare maestri più grandi dei loro mentori. Una sana relazione discepolo-mentore, tuttavia, richiede un umile apprezzamento della gentilezza del mentore e profondo rispetto per le sue qualità, anche dopo essere diventati noi stessi dei Buddha.
La tensione per la libertà creativa
Il concetto tibetano di creatività è molto diverso dall'idea occidentale: per i tibetani tradizionali, come per la maggior parte delle culture asiatiche, la creatività consiste nell’applicazione armoniosa di un motivo tradizionale a una circostanza individuale. Nell'architettura dei templi, ad esempio, si cerca di adattare gli stili classici a nuove ambientazioni paesaggistiche. Il concetto occidentale della creatività, d'altra parte, è inventare qualcosa di nuovo - e non solo nuovo, ma spesso anche qualcosa di meglio di qualsiasi cosa fatta in precedenza. In un contesto culturale occidentale, quindi, essere creativi è un mezzo per stabilire la propria unicità come individui e può portare con sè un motivo competitivo. In alternativa o in combinazione a questo motivo, la spinta creativa occidentale può essere alimentata da una ricerca ossessiva e individuale della bellezza ideale, inconsciamente equiparata alla verità e alla bontà. I concetti sono distintamente eredità del pensiero greco antico.
Inoltre, la cosmologia indo-tibetana vede la storia presente come una graduale degenerazione dei tempi piuttosto che come un processo evolutivo di inevitabile progresso. Pertanto, i tibetani tradizionali vedono le nuove idee originali con sospetto piuttosto che con eccitazione alla prospettiva del miglioramento.
I discepoli occidentali che non apprezzano queste differenze culturali riguardanti la creatività a volte desiderano ribellarsi ai mentori tibetani tradizionali che scoraggiano l'inventiva con il Dharma. Il Buddhismo tibetano, tuttavia, consente approcci innovativi sotto forma di mezzi abili. Dopotutto, Buddha sottolineò la necessità di insegnare il Dharma in modi che si adattino efficacemente alle diverse personalità e culture. Insegnare o fare qualcosa in un modo nuovo, tuttavia, è per avvantaggiare gli altri e non per affermare la propria creatività unica e superiore, per esprimere la propria individualità o per trovare la soluzione più elegante. Se teniamo a mente questa distinzione e comprendiamo le nostre motivazioni per il cambiamento, potremmo evitare di sentire la nostra individualità minacciata quando lavoriamo con degli insegnanti tibetani tradizionali.