Riepilogo
Abbiamo parlato di come nel Buddhismo la mente si riferisca a un'attività che continua senza sosta, senza inizio e senza fine. È l'attività mentale dell'esperienza delle cose ed è un'esperienza individuale e soggettiva di esse. Non stiamo parlando di esperienza nel senso di eventi che si accumulano uno dopo l'altro, né nel senso di eventi emotivi, del tipo: "Ieri ho avuto una bella esperienza." L'esperienza non deve neanche essere necessariamente conscia: quando dormiamo, generalmente non siamo consci di essere addormentati, eppure facciamo l'esperienza dell’essere addormentati. Qualcosa accade, è di questo che stiamo parlando. Vedere, udire, odorare, gustare, provare e pensare sono tutti modi di sperimentare le cose. Dormire, sognare, nascere e morire sono tutti esempi dell'esperienza di qualcosa. Anche se siamo in coma, continuiamo ad avere esperienza di qualche cosa: dello stato di coma.
Questa esperienza è individuale e soggettiva: la mia esperienza nel vedere lo stesso film che state vedendo anche voi è diversa dalla vostra esperienza nel vederlo. La nostra esperienza ha una continuità ininterrotta, che non nasce semplicemente dal nulla al momento del concepimento e non finisce senza un successivo momento di continuità al momento della morte. Non ha assolutamente alcun senso affermare che dal niente possa derivare l'esperienza di qualche cosa e che l'esperienza di qualche cosa possa divenire niente. La conclusione è che questa esperienza individuale e soggettiva non ha né inizio né fine, questo significa che c'è una continuità di vite, la rinascita.
La nostra esperienza può essere intrisa di confusione oppure può esserne libera. Quando è intrisa di confusione abbiamo il samsara, l'incontrollabile ricorrenza delle rinascite. La nostra esperienza è costellata di problemi di vario genere. Quando la nostra esperienza è priva d'inconsapevolezza, siamo liberi dal samsara e, una volta che siamo liberi dall'inconsapevolezza in maniera tale che non si ripeta mai più, la continuità della nostra esperienza va da una vita a un'altra, ma non è più sotto il controllo dell'inconsapevolezza. Se ci sforziamo per l'illuminazione o se siamo già illuminati, questa continuità è guidata dalla compassione. La forza motrice per la continuità dell'esperienza nel samsara è la spinta a cercare di rendere esistente un "io" apparentemente solido e senterci sicuri, vogliamo continuare a vivere. Quando siamo liberi dalla confusione, la forza motrice per continuare a vivere è il desiderio d'aiutare gli altri.
L'inconsapevolezza, ovvero il primo anello dell'origine dipendente, è l'inconsapevolezza del modo in cui noi e gli altri esistiamo – in primo luogo il modo in cui noi esistiamo. Ci sembra di esistere come una sorta di "io" concreto, solido, ma non sappiamo che ciò è soltanto un'apparenza o una sensazione che non corrisponde alla realtà. Oppure pensiamo che corrisponda alla realtà e questa inconsapevolezza ci rende storditi. La nostra mente non è chiara riguardo al modo in cui esistiamo e così siamo insicuri di noi stessi e indecisi. Essendo insicuri di noi stessi, ci afferriamo ostinatamente a qualsiasi cosa abbiamo deciso per poter acquistare un po' di sicurezza. Siccome siamo insicuri di come esistiamo e sentiamo d'essere un "io" concreto, vogliamo mettere al sicuro questo solido "io" immaginario. In effetti, la nostra intera vita è spinta dall'impulso a cercare di mettere al sicuro questo solido "io". Quest'impulso raggiunge il massimo al momento della nostra morte. Vogliamo disperatamente che questo solido "io" continui ad esistere, a qualsiasi costo. Questa è la forza motrice che ci porta ad un'altra rinascita con la continua inconsapevolezza del modo in cui esistiamo.
Abbiamo visto ieri che questa confusione riguardo al modo in cui esistiamo ha due livelli: l'inconsapevolezza che ha una base dottrinale e l'inconsapevolezza che sorge spontaneamente. La prima è qualcosa che impariamo, la sua forma autentica viene acquisita mediante concetti che abbiamo imparato ed accettato da uno dei sistemi filosofici non-buddhisti indiani. Una forma analoga può nascere dal condizionamento di famiglia, società, televisione, varie ideologie, propaganda, pubblicità e così via: questo condizionamento porta a delle nevrosi profondamente radicate. L'inconsapevolezza che sorge spontaneamente non è qualcosa che ci deve essere insegnata da qualcuno o che acquisiamo sotto l'influenza di qualcuno. Tutti la possiedono, sempre, semplicemente a causa della maniera limitata in cui la nostra attività mentale fa apparire le cose, come se noi esistessimo come un solido "io," il cosiddetto falso "io," e così noi abbiamo la sensazione che sia proprio così.
Abbiamo visto che se volessimo descrivere questa sensazione di un solido "io," la descriveremmo come avente tre caratteristiche: la sensazione superficiale del modo in cui esistiamo è che ci sia un solido "io" che non è influenzato da quanto accade, è sempre uno e lo stesso, ed è un'entità separata dalla nostra esperienza. Sulla base di queste tre caratteristiche, ce n'è una più sottile. Anche se in realtà la spiegazione di questa sottile forma d'inconsapevolezza è molto più profonda e complicata, spesso viene spiegata in una maniera semplificata. Abbiamo la sensazione che questo tipo di "io" sia il capo che controlli quanto sta avvenendo. È l'osservatore, colui che prende le decisioni, il controllore che deve avere tutto sotto controllo o che altrimenti è fuori controllo.
Abbiamo visto alcuni esempi di questa confusione riguardo al modo in cui esistiamo. In termini d'inconsapevolezza avente una base dottrinale, ci viene detto, per esempio, e pensiamo: "Sii solo te stesso. Sii fedele a te stesso." Questo è del tutto logico per noi. Essere noi stessi significa non essere influenzati ed essere separati da qualsiasi situazione. Allo stesso modo, ci viene detto di essere unici e di trovare noi stessi – un sé che sarà sempre lo stesso, qualsiasi cosa succeda.
Questi tre aspetti si sovrappongono. Noi proviamo queste cose: "Sono separato dalla mia esperienza, ma quando faccio un'esperienza, devo essere me stesso, unico, sempre lo stesso." Questo tipo di "io" solido ha bisogno d'avere tutto sotto controllo. Ci viene detto: "Controllati." "Non lasciare che nessuno ti calpesti." "Tieni tutto sotto controllo." Queste cose sono profondamente radicate. Ci diciamo: "Devo proteggermi per non venire ferito," come se ci fosse una piccola entità qui dentro di noi e un'altra entità separata, anch'essa dentro di noi, ma dall'altra parte, che deve proteggere la prima affinché non venga ferita. Se andiamo a vedere questa cosa, possiamo vedere come è questa la fonte della nostra preoccupazione verso noi stessi, ansia, nervosismo e così via. Tutte queste cose si moltiplicano a partire da questa inconsapevolezza. “Devo fare una bella figura, perché se non lo faccio, gli altri vedranno il mio vero io.” Tutto ciò si basa sull'idea che ci sia un “io” reale. Oppure diciamo: “Dici che mi ami, ma non conosci il mio vero io. Se lo conoscessi, non mi ameresti.” Di conseguenza, non possiamo accettare che qualcuno ci ami. Oppure torniamo dal lavoro, ci togliamo le scarpe e pensiamo: “Ah, ora sì che posso essere me stesso.” È strano, non trovate?
L'opposto di questo è l'esperienza delle cose da un momento all'altro con la consapevolezza della nostra motivazione e di ciò che accade alle altre persone e, con compassione, l'astenersi dal comportarsi in maniera nociva. Semplicemente agiamo, comunichiamo, ci relazioniamo, proviamo emozioni e facciamo esperienza delle cose da un momento all'altro, senza coscienza di sé e senza elaborare nulla oltre alla pura e semplice esperienza.
Il problema è che sentiamo come se ci fosse un "io" solido nella nostra esperienza. Questa è l'inconsapevolezza che sorge spontanea. Ci sembra automaticamente che ci sia un "io" solido che non è influenzato da nulla. Mangiamo un pezzo enorme di torta al cioccolato e siccome non ci troviamo subito ingrassati nel momento successivo, ci diciamo: "Non ne risentirò. Non c'è nulla che può ripercuotersi su di me." Andiamo a dormire e, quando ci svegliamo la mattina, abbiamo questo senso di: "Eccomi di nuovo qui!" Lo stesso "io," sempre lo stesso.
Sembra come se fossimo separati da quello che ci accade perché possiamo dissociarci dalle nostre esperienze. Mi ricordo una volta in cui sono caduto su un sentiero cementato e mi sono rotto alcune costole. C'era un'esperienza molto forte di un "io," separato da quell'esperienza, che non voleva avere nulla a che fare con essa. Quando il nostro partner inizia a gridare o a piangere, spesso ci dissociamo completamente. Ci sembra davvero come se ci fosse un "io" separato che non vuole fare l'esperienza di quello che sta succedendo. La mattina dopo una sbronza, diciamo a noi stessi: "Ieri notte non ero me stesso." Oppure a volte diciamo automaticamente, "Non sto bene; non mi sento molto me stesso oggi." E c'è questa vocina nella nostra testa che ce lo ripete tutto il tempo. Sembra davvero come se quella voce fosse la voce di questo "io" solido, il controllore, che ovviamente è separato da quello che sta succedendo perché sta continuamente commentando. Questa voce nella nostra testa rende il fenomeno del preoccuparsi ancora più concreto. Rinforza la nostra confusione. È automaticamente lì. Non abbiamo bisogno d'imparare a farlo.
È questo che è così terribile del samsara: questa inconsapevolezza del modo in cui esistiamo si auto-perpetua a causa del meccanismo che sorge automaticamente e che la rafforza. Più comprendiamo quello che sta succedendo e più proviamo disgusto. È come pensare che la nostra situazione in ufficio vada bene e poi scopriamo che il nostro capo è disonesto. Quando scopriamo la frode, ne siamo disgustati. Sviluppiamo la determinazione ad esserne liberi. Questo viene normalmente chiamato "rinuncia." È la determinazione ad essere liberi dal samsara e la completa disponibilità ad abbandonarlo.
Nel "Dharma light," il nostro atteggiamento è quello di pensare "Voglio essere libero," ma non pensiamo di dover abbandonare nulla. Dharma light è come la Coca Cola light: è deliziosa ma non è "quella vera." Non c'è nulla di male con il Dharma light, può essere utile, ma dobbiamo andare oltre. Per liberarci dai nostri problemi, dobbiamo abbandonarli. Dobbiamo abbandonare l'inconsapevolezza che li causa e le abitudini e gli schemi di comportamento che rafforzano la nostra inconsapevolezza.
Un'analisi più approfondita dell'anello dell'inconsapevolezza
Se andiamo a vedere più in dettaglio questo primo anello, ci stiamo concentrando sull'io convenzionale e lo stiamo apprendendo in maniera erronea, come se esistesse come un falso "io" – separato, non influenzato da nulla, sempre identico, il capo. È come un bambino che si concentra sul rumore del gatto sotto il letto e lo apprende come il rumore di un mostro là sotto. Il bambino sente veramente che c'è un mostro sotto il letto e si spaventa. Non è del tutto immaginario. C'è una base. C'è davvero un gatto sotto il letto. Allo stesso modo, c'è un "io" convenzionale, ma il modo in cui lo percepiamo e il modo in cui ci appare non corrispondono al modo in cui in realtà esiste.
Volendo usare un termine semplice, questo "io" convenzionale è un'astrazione. Tutto quello che sta succedendo è la nostra esperienza individuale e soggettiva d'ogni istante: svegliarci, lavarci i denti, fare colazione e così via. Se vogliamo radunare insieme tutti questi momenti e dare loro un nome, potremmo chiamarli "io." Ma questo "io" convenzionale non è qualcosa di solido, è solo un'astrazione per radunare insieme tutti i momenti della nostra esperienza delle cose. In termini tecnici, è un'imputazione mentalmente designata sulla continuità ininterrotta dei momenti della nostra attività mentale individuale e soggettiva.
Per esempio, cos'è una linea sul monitor di un computer? Una linea è qualcosa che ci sembra solida, ma se andiamo a guardare bene, è soltanto una serie di punti o pixel messi insieme. Una linea è soltanto un'astrazione per indicare una serie di punti. Non esiste veramente come una linea solida. La stessa cosa vale per la nostra esperienza. Ogni momento è come un punto, che poi viene radunato con altri e chiamato "me" e "mia vita." Come la linea sul monitor di un computer, sembra solida ma non lo è. La linea esiste, ma non esiste come qualcosa di solido e indipendente da una serie di punti. Allo stesso modo, noi esistiamo; ma non esistiamo come qualcosa di solido e separato da una serie di momenti della nostra esperienza. Ci vuole molto tempo per digerire questa cosa. È molto importante iniziare a lavorarci su.
In ogni momento della nostra vita, stiamo percependo l'io convenzionale, che non è solido, e lo apprendiamo come se fosse solido. Questo è il primo passo che crea i nostri problemi: ci fissiamo sull' io che esiste, che è una mera astrazione, eppure ci sembra che non esista come tale. L'inconsapevolezza e la confusione che accompagnano ogni istante della nostra attività mentale fanno sì che appaia come qualcosa di solido. Lo percepiamo in questo modo e ci convinciamo che, davvero, esista come qualcosa di solido. Questo ci rende ancora più confusi e ci sentiamo insicuri a questo proposito.
Una prospettiva ingannevole su una rete transitoria
Dunque sorge un atteggiamento disturbante del tutto fondamentale che accompagna la nostra esperienza delle cose. In gergo tecnico, viene chiamato "una prospettiva ingannevole su una rete transitoria (‘jig-lta). Questo atteggiamento mira alla nostra esperienza. Più precisamente, mira ad una particolare configurazione dei cinque aggregati che compongono ogni istante della nostra esperienza, prendendola o considerandola come “l'io” solido, falso. In parole povere, è l'atteggiamento fuorviante con cui ci identifichiamo solidamente con un particolare momento della nostra esperienza, che sia un umore, un evento o qualsiasi altra cosa. A differenza dell'inconsapevolezza di come una persona esiste, che può essere la confusione riguardo al modo in cui noi esistiamo oppure riguardo al modo in cui gli altri esistono, una prospettiva ingannevole verso una rete transitoria riguarda soltanto il modo in cui noi esistiamo.
"Transitoria" vuol dire che il contenuto della nostra esperienza cambia tutto il tempo: la nostra esperienza è fatta di molte parti mutevoli. La prospettiva ingannevole prende la configurazione delle parti che costituiscono una certa esperienza, e la considera come parte costituente di una solida identità per un "io" solido. Non soltanto facciamo questa cosa per qualsiasi configurazione degli elementi che costituisce la nostra esperienza, ma inoltre scambiamo un'identità di noi stessi con un'altra durante il corso di una giornata. A volte ci identifichiamo con qualcosa che dura solo pochi istanti, come l'udire il suono delle parole d'un insulto. Ci sentiamo insultati e, identificandoci con questa esperienza, abbiamo la sensazione: "Mi hai appena insultato." Possiamo anche identificarci con qualcosa di cui facciamo esperienza per un lungo periodo di tempo, come l'essere giovane, vecchi, un uomo, una donna, sposato, single e così via.
La prospettiva ingannevole su una rete transitoria ha due aspetti, che vengono spesso tradotti come riguardanti la nostra esperienza in termini di "io" e "mio." Sulla base del sentire e del credere che esistiamo come un "io" solido, non soltanto a volte ci identifichiamo con quello che sperimentiamo come "io," ma inoltre a volte identifichiamo ciò che sperimentiamo come essere la proprietà di quell'io solido. È "mio." Per esempio, possiamo credere che non soltanto esistiamo solidamente come una persona sexy, ma possiamo anche credere che il nostro corpo sia la proprietà di quel sexy “io.” È un'ulteriore solidificazione del nostro cosiddetto falso "io," poiché ora ci sono degli oggetti che esso possiede, controlla e può usare a suo piacimento. Nel caso del corpo, c'è un luogo in cui questo "io" solido abita. Oppure, facciamo l'esperienza del mettere al mondo dei bambini e dunque basiamo la nostra identità sul fatto d'essere un genitore. Allora sentiamo veramente che "i miei bambini mi appartengono," come se fossero di nostra proprietà e spettasse a noi controllarli.
Secondo l'interpretazione Ghelug Prasanghika, la prospettiva ingannevole verso una rete transitoria si concentra sull'io convenzionale, piuttosto che sugli aggregati. Come gli aggregati, l'io convenzionale è anch'esso transitorio ed è anche una rete di molti momenti e aspetti. Questa prospettiva ingannevole riguarda “l'io” che esiste convenzionalmente come un “io” solido avente la solida identità degli aggregati, oppure come un possessore solido che possiede gli aggregati come “ miei.”
Altre emozioni ed atteggiamenti disturbanti
Una volta che iniziamo a pensare all' io come se avesse una solida identità e come se fosse un solido possessore delle cose e quindi iniziamo a considerare questi due come se fossero solidamente "miei," sviluppiamo molte altre emozioni ed atteggiamenti disturbanti. Queste ci motivano ad affermare la nostra identità, a dimostrare questa identità, perché l'inconsapevolezza che l'accompagna continua a renderci insicuri. Spesso il processo è del tutto inconscio. Per esempio, potremo pensare inconsciamente: "Sono una madre. Possiedo questi figli come 'miei'. Devo ricevere la loro attenzione e la loro obbedienza. Devono essere come io li voglio, perché sono 'miei'. Soltanto allora sarò una buona madre. Devo difendere la mia identità come genitore dicendo loro quello che devono fare; altrimenti, non comando veramente come madre o padre. Questa è tutta la mia identità."
L'attaccamento o l'avidità è accumulare qualcosa che speriamo dia un fondamento alla nostra solida identità come genitori, per esempio l'obbedienza. Ci arrabbiamo e vogliamo liberarci da qualsiasi cosa che pensiamo possa minacciare la nostra solida identità come genitori, per esempio la disobbedienza. Se siamo davvero arrabbiati, potremmo addirittura picchiare i nostri figli, tanto è grande la minaccia che deriva dalla loro disobbedienza.
Tutto questo avviene insieme all'emozione disturbante che mi piace tradurre come "ingenuità" (gti-mug, sct. moha). L'ingenuità è una sottocategoria dell'inconsapevolezza. L'inconsapevolezza può accompagnare qualsiasi momento della nostra esperienza, mentre l'ingenuità è l'inconsapevolezza che accompagna soltanto i momenti di comportamento distruttivo – pensiero, parole o azioni distruttive. Ingenuità non è forse la traduzione migliore per questo termine, ma ancora non mi è venuto in mente nulla di meglio. In passato, lo traducevo come "ristrettezza mentale," ma la ristrettezza mentale enfatizza soltanto l'aspetto ostinato dell'inconsapevolezza. "Ingenuità" è un termine più vasto. Implica anche in modo opportuno innocenza, perché il concetto dell'essere cattivi o colpevoli quando agiamo in maniera distruttiva è del tutto alieno al Buddhismo.
Come con l'inconsapevolezza, l'ingenuità può riguardare la causa ed effetto comportamentali e il modo in cui noi, gli altri e qualsiasi cosa esiste. Nel nostro esempio, c'è l'ingenuità riguardo all'essere un genitore che ha bisogno d'essere obbedito. Ci sembra come se il nostro stesso valore derivasse dall'essere un genitore. C'è ingenuità nei confronti del bambino e ingenuità riguardo agli effetti del nostro comportamento, per esempio se pensiamo che picchiare il bambino farà sì che ci obbedisca. Sottostante all'intero scenario c'è l'ingenuità che un "io" solido possa valere qualcosa soltanto in base al modo in cui si comporta il bambino che esso possiede.
Ecco un altro esempio: facciamo l'esperienza del vedere nostro figlio seduto davanti alla televisione. Sorge un'emozione disturbante: "Devo essere un genitore che ha un figlio molto bravo. Questo bambino è la mia proprietà, lo possiedo come 'mio' e la mia identità dipende dall'essere un buon genitore. Devo riuscire a far sì che il bambino smetta di disobbedirmi e che mi obbedisca per potermi sentire sicuro di me stesso." Questi pensieri possono essere consci o inconsci. Generalmente sono inconsci.
Così sorge l'impulso di dire qualcosa al bambino. Attaccati al desiderio che ci obbedisca, dobbiamo dirgli di fare qualcosa, anche se non c'è nulla da fare. "Smetti di guardare la televisione e ascoltami!" Qui ci potrebbe anche essere della rabbia. "Cosa stai facendo, pigrone! Trovati un lavoro! Metti su famiglia (per farmi sentire sicuro, perché i miei amici mi chiedono perché mio figlio non si sia ancora sposato)!" Quando sorge la sensazione e l'impulso di dire o fare qualcosa, allora agiamo di conseguenza. Diciamo qualcosa di brusco oppure picchiamo il bambino perché viviamo quello che sta facendo come una minaccia nei nostri confronti. Inoltre, siamo ingenui riguardo al modo in cui il bambino reagirà.
Sintesi
Il primo anello è l'inconsapevolezza del modo in cui noi e gli altri esistono. Pensiamo di esistere come un "io" solido e pensiamo che gli altri esistano come un solido "tu." Questa inconsapevolezza è sia quella avente una base dottrinale sia quella che sorge automaticamente. Sorge automaticamente perché abbiamo la sensazione che ci sia un "io" solido qui dentro e un "tu" solido là fuori.
Questo funziona per gradi successivi. Per prima cosa, c'è una sensazione di un "io" solido e di un "tu" solido. Poi c'è la prospettiva ingannevole su una rete transitoria in cui diamo un'identità solida a questo "io" solido, sulla base di ciò di cui facciamo esperienza. Sulla base di questo atteggiamento disturbante, questo modo distorto di vedere le cose, la nostra confusione diventa sempre più profonda. Questo fa sorgere emozioni ed atteggiamenti disturbanti. A causa di ciò, sorge l'impulso a pensare, parlare o agire in certi modi, seguito dalla spinta a comportarsi in questo modo. Quindi mettiamo in atto questa spinta con un impulso energetico in cui effettivamente diciamo o facciamo qualcosa. Questo manda avanti l'intero processo del samsara e ci porta al secondo anello dell'origine dipendente.
Dobbiamo riconoscere che l'intero processo ha luogo in termini dei nostri atteggiamenti disturbanti, principalmente verso noi stessi. Dobbiamo anche riconoscere che gli altri hanno la stessa inconsapevolezza che abbiamo noi. Non siamo unici. Inoltre, tutto questo processo generalmente avviene a livello inconscio. Non sappiamo neppure di avere questi atteggiamenti disturbanti profondamente radicati. Né le altre persone sanno di averli.
Il primo passo per uscire da questa situazione è essere coscienti di quello che sta succedendo. Ieri, abbiamo parlato dell'acquisire consapevolezza di se stessi. Questo è un aspetto molto importante nel prendere una direzione sicura o rifugio nel Dharma. Dobbiamo guardare dentro di noi e vedere cosa sta succedendo per trovare le cause dei nostri problemi e non dare la colpa dei nostri problemi agli altri. Abbiamo la tendenza ad incolpare gli altri per i nostri problemi, ma come recita il detto: "Il tango si balla in due."
Se qualcuno ci fa un regalo e noi non lo accettiamo, a chi appartiene? Allo stesso modo, se noi facciamo un regalo ad un'altra persona e questa non lo accetta, a chi appartiene? Se qualcuno ci tira addosso ogni sorta di spazzatura in termini delle sue emozioni ed atteggiamenti disturbanti e noi ce la accolliamo tutta come se avessimo un bel guantone da baseball, non stiamo forse partecipando anche noi? Abbiamo accettato la spazzatura: "Sì, sono un cattivo genitore." In qualsiasi relazione con gli altri che sia problematica, è importante notare che entrambe le parti stiano partecipando. È molto difficile far sì che l'altra persona smetta di tirarci addosso della spazzatura. Ma se non l'accettiamo e se sappiamo che proviene da un'inconsapevolezza profondamente radicata nell'altra persona, possiamo gestirla in una maniera emotivamente matura.
Questa è una procedura molto delicata. Stiamo qui seduti tranquilli a guardare la televisione e nostro padre entra e ci guarda male come se stesse dicendo: "Alzati e vai a fare qualcosa di buono!" Forse iniziamo a sentirci in colpa. Con un po’ di comprensione, potremmo realizzare che non c'è motivo per sentirsi in colpa. Anche se ci sentiamo in colpa, non saremmo convinti di essere veramente una cattiva persona. Ci vuole molto tempo per evitare che il senso di colpa sorga spontaneo. Psicologicamente, è profondamente radicato e sorge spontaneamente. Poi dobbiamo fare attenzione a non essere ingenui, negando la realtà di quello che nostro padre stia provando o il fatto che abbia qualcosa a che fare con noi. Potremmo entrare in una dimensione diversa della confusione identificandoci con l'idea che vada tutto bene e quindi arrabbiandoci perché nostro padre sta rovinando tutto.
Dobbiamo essere abbastanza sensibili da capire cosa nostro padre stia provando. Oltre a non accettare di sentirci in colpa e di essere cattivi, potremmo rispondere in un modo che sia d'aiuto per nostro padre. Dobbiamo osservarci in profondità. "Cosa sto facendo qui seduto davanti alla televisione? In effetti, sto solo qui a oziare?" Se stiamo soltanto oziando e sprecando il nostro tempo, dobbiamo essere sufficientemente maturi da riconoscerlo e ammetterlo davanti a nostro padre. Oppure, possiamo essere abbastanza maturi da spiegare che abbiamo studiato o lavorato duro tutto il giorno e stiamo facendo una pausa. Dobbiamo prendere sul serio l'altra persona e i suoi sentimenti e rispondere in maniera matura, una maniera che tenga in considerazione sia l'altra persona che noi stessi. Questo viene chiamato agire con "mezzi abili."
Inoltre, dobbiamo rispondere con qualche coinvolgimento emotivo. Mi ricordo di quando tornai negli Stati Uniti per visitare la mia famiglia dopo i miei primi due anni passati in India. Mia sorella mi disse: "Sei così calmo che mi viene da vomitare!" Non stavo mostrando alcuna risposta emotiva forte a quello che stava succedendo. Andando nella direzione del Buddhismo, specialmente in termini dell'ottenere uno stato di calma, dobbiamo fare attenzione a non essere così calmi da rispondere agli altri in maniera impersonale.
La nostra introspezione non è soltanto in termini delle nostre motivazioni ed emozioni. Dobbiamo andare sempre più in profondità per portare alla luce la nostra fondamentale inconsapevolezza di fondo riguardo al modo in cui esistiamo. Questa è la base da cui sorge tutta la restante confusione. Se possiamo eliminare questa inconsapevolezza che sorge spontanea, tutta l'altra confusione smetterà di venire al seguito. Come disse il grande maestro indiano Shantideva: "Se non vedi con chiarezza l'obiettivo, non potrai colpire l'occhio del toro." Anche se portare alla luce la nostra inconsapevolezza può essere piuttosto scioccante, è un primo passo necessario per iniziare a liberarcene. Non dobbiamo aspettarci che la nostra inconsapevolezza scompaia istantaneamente. Quello che possiamo sperare di ottenere sono suggerimenti e indicazioni di cosa andare a cercare quando ci impegniamo nel processo di introspezione.
Prendiamoci qualche minuto di tempo per riflettere su quello di cui abbiamo parlato. Non pensate a tutto questo solo come ad un impianto teorico. Cercate di metterlo in relazione alla vostra esperienza personale. Penso che tutti noi siamo capaci di riconoscere questa inconsapevolezza e questi nostri schemi comportamentali. Non abbiamo bisogno d'essere depressi per queste cose. Stiamo soltanto osservando l'obiettivo. Man mano che acquisiamo familiarità con esso, possiamo iniziare a vedere come funziona tutto il tempo in noi stessi e in altri.
Il secondo anello: gli impulsi che influenzano
Questo ci porta al secondo anello dell'origine dipendente, che io chiamo "gli impulsi che influenzano" (‘du-byed, sanscr. samskara) e che a volte è tradotto con "formazioni karmiche." Si riferisce a un impulso karmico – in particolare ad un karma proiettante (‘phen-byed-kyi las) – che influenzerà la nostra coscienza nel continuare nelle vite future.
Nei sistemi di principi buddhisti indiani ci sono due spiegazioni principali del karma e ognuna di esse spiega questo secondo anello in maniera leggermente diversa: la spiegazione della scuola Vaibhashika, accettata anche dalla scuola madhyamaka Sautrantika Svatantrika e da quella Prasangika. Le scuole Sautrantika, Chittamatra e Madhyamika Svatantrika Yogachara asseriscono un’altra interpretazione che affrontiamo per prima, essendo meno complicata.
La spiegazione Sautrantika, Chittamatra e Svatantrika Yogachara
Secondo la visione condivisa, che ha solo delle lievi differenze, da Sautrantika, Chittamatra e Svatantrika Yogachara, il karma è esclusivamente un fattore mentale. È l'impulso mentale (sems-pa) che influenza la coscienza e il fattore mentale che la accompagna a muoversi nella direzione di un certo oggetto che è l’obiettivo, insieme al fattore mentale dell’intenzione (‘dun-pa) che l’accompagna, che è il desiderio di pensare, fare o dire qualcosa destinato a quell'oggetto. Avviene nel momento immediatamente precedente l'esecuzione effettiva di quell'azione, e ci porta a iniziare, continuare e a terminare quell'azione. L'impulso può essere per un’azione mentale, verbale o fisica, a seconda del tipo di azione. Il karma, tuttavia, non è mai l'azione stessa, possiamo chiamare karma un "impulso karmico."
Se una forte emozione o atteggiamento disturbante, oppure una forte emozione positiva, accompagna l'impulso karmico prima e durante un'azione, quell'impulso diventerà un karma proiettante. In parole povere, esso ha la forza di proiettare o indurre il nostro continuum mentale in una rinascita futura in uno specifico stato di esistenza. Altrimenti è un karma completante (rdzogs-byed-kyi las), che ha soltanto la forza di completare le condizioni e i dettagli di quella rinascita. Il secondo anello dell'origine dipendente, gli impulsi che influenzano, si riferisce agli impulsi karmici proiettanti. Sebbene gli impulsi karmici, in accordo all’emozione disturbante che li accompagna, possono essere costruttivi, distruttivi o non specificati – non specificati dal Buddha come costruttivi o distruttivi – il karma proiettante può essere solo costruttivo o distruttivo.
La spiegazione Vaibhashika, Sautrantika Svatantrika e Prasangika
Secondo i sistemi Vaibhashika, Sautrantika Svatantrika e Prasangika, la spiegazione del karma appena illustrata è valida soltanto per gli impulsi karmici delle azioni mentali. Essi sono in accordo sul fatto che un impulso mentale attira la coscienza e i fattori mentali che l’accompagnano verso un oggetto, insieme all’intenzione di pensare, fare o dire qualcosa rispetto a qull’oggetto. Tuttavia l’impulso karmico effettivo per le azioni fisiche e verbali consiste in due tipi di forme dei fenomeni fisici, non nel fattore mentale che spinge all’azione fisica o verbale. Sono chiamati "forme rivelatorie" (rnam-par rig-byed-kyi gzugs) e "forme non rivelatorie" (rnam-par rig-byed ma-yin-pa’i gzugs). Le prime rivelano l’emozione motivante che causa il loro sorgere, mentre non è così per le seconde. La distinzione tra karma proiettante e completante è uguale a quella dei sistemi precedenti meno complessi ed è delineata in dipendenza dalla forza dell’emozione disturbante che accompagna l’impulso karmico per l’azione mentale o l’impulso karmico rivelatorio per l’azione fisica o verbale.
Secondo le interpretazioni Svatantrika Sautrantika e Prasangika, la forma rivelatoria di un’azione fisica è il movimento del corpo come supplemento a un metodo per svolgere un’azione karmica. La forma rivelatoria di un’azione verbale è il pronunciare il suono di parole, anch’esso come supplemento a un metodo per svolgere un’azione karmica: anche queste non sono le azioni stesse. Un’azione, come nelle dieci azioni distruttive, è di fatto un sentiero di un impulso karmico (las-kyi-lam), che include una base verso cui è diretta l’azione, un contesto motivazionale di un’intenzione, una emozione distintiva e una disturbante, il supplemento di un metodo per svolgere un’azione e un finale. Pertanto l’impulso karmico che è la forma rivelatoria di un’azione fisica o verbale è solo parte di un’azione e non l’azione stessa. La forma rivelatoria inizia con le azioni preliminari, continua fino al compiere un’azione karmica specifica, come l’inseguire un cervo per ucciderlo, e finisce quando un’azione è effettivamente compiuta, come lo sparare al cervo che muore, o al completamento delle eventuali azioni che seguono, come lo scorticare, il cucinare e il mangiare la carne del cervo.
La forma non rivelatoria è una forma sottile e invisibile nel continuum mentale dell’agente di un’azione fisica o verbale che inizia con delle azioni preliminari, ma solo se sono motivate da una forte emozione distruttiva o costruttiva. Se le azioni preliminari non sono così motivate, la forma non rivelatoria sorge nel continuum mentale quando l’azione è effettivamente compiuta e continua nel continuum mentale dell’agente anche dopo la conclusione di qualunque azione posteriore a quell’atto, fino a che la persona decide di non ripetare mai più la medesima azione. Per semplificare, chiamiamole energie karmiche grossolana e sottile: l’energia karmica sottile è forse una sorta di “vibrazione”, continua finchè c’è l’intento, cosciente o meno, di ripetaere l’azione e di non abbandonarla.
Normalmente pensiamo che le vibrazioni siano all’esterno, "Posso sentire le tue vibrazioni", tuttavia qui una vibrazione è qualcosa che dà forma alla nostra energia sottile, che accompagna il nostro flusso continuo di esperienza soggettiva ed individuale delle cose. Di solito ne siamo completamente inconsci. Se siamo molto calmi può essere possibile avere un indizio di ciò di cui stiamo parlando, se ci sedessimo in tranquillità subito dopo aver fatto una scenata e aver gridato, potremmo sentire che la nostra energia è inquieta, il cuore batte velocemente, il sangue è pompato con più forza nelle nostre arterie. Man mano che diventiamo più sensibili, possiamo sentirlo. L'energia sottile del corpo viene forgiata da ciò che abbiamo compiuto. Anche se non sentiamo più i sintomi fisici grossolani di quell'energia, c'è ancora qualcosa che continua a forgiare la nostra energia e che accompagna la nostra esperienza soggettiva e individuale delle cose.
In breve, anche per queste scuole filosofiche, il secondo anello dell’origine interdipendente – gli impulsi che influenzano – si riferisce solo agli impulse karmici proiettanti. Sono inclusi gli impulsi karmici fortemente motivati per le azioni mentali e energie karmiche grossololane fortemente motivate per le azioni fisiche e verbali.
Karma proiettante e "io" convenzionale
Indipendentemente da quale sistema di spiegazione seguiamo, il karma proiettante è il karma che forma i nostri futuri stati di rinascita. Per esempio, può dare origine ad una rinascita di un cane. Il karma completante è il karma che determina se rinasceremo come un cane randagio oppure come un barboncino di una persona molto gentile che ci nutrirà per bene, ci metterà un collare di strass rosa attorno al collo e dipingerà di rosa le nostre unghie.
Potremmo pensare che in questa rinascita come un cane, saremmo un essere umano rinato come un barboncino con lo smalto rosa sulle unghie, ma questo è sbagliato. Per esempio potrei pensare, con inconsapevolezza, che io sia veramente e solidamente "Alex, l'umano." Questa è la "mia" vera identità. Poi, con grande orrore, potrei pensare: "Non voglio essere Alex l'umano che è rinato come il barboncino Fifi," come se il solido "io, Alex l'umano" fosse nel barboncino. "Le persone non riconoscerebbero 'chi sono veramente.' Mi chiamerebbero Fifi e mi metterebbero lo smalto rosa sulle unghie. Che schifo."
Queste sono considerazioni totalmente confuse sul funzionamento della rinascita. Non c'è un "io" solido con un'identità solida che si reincarna da una vita all'altra. Nonostante "io," come il convenzionale Alex l'umano, sperimenti le cose come "io," allo stesso modo lo fa la continuità di quell'io convenzionale nella forma del convenzionale barboncino Fifi. Fifi sperimenta le cose come "io" e "me stesso, il possessore" – il possessore del territorio di una certa casa come "mio" e il possessore di un certo padrone come "mio." È lo stesso trip samsarico. È solo una continuità del precedente e confuso modo di fare esperienza delle cose. In questo episodio di questo particolare continuum mentale individuale, mi identifico solidamente con Alex l'umano. Nel prossimo episodio, mi identificherò solidamente con un'altra configurazione di esperienza, Fifi il cane. Non c'è un "io" solido che ha sempre la stessa e unica solida identità, o che ha una differente identità solida in ogni vita. Non c'è nemmeno un "io" convenzionalmente esistente che ha sempre un'unica e la stessa identità.
Dobbiamo osservare questa cosa molto in profondità. C'è soltanto una continuità dell'esperienza individuale e soggettiva delle cose. L'astrazione "io" si riferisce a tutto questo. L'io convenzionale esiste, ma noi lo rendiamo qualcosa di sostanziale e poi ci incolliamo sopra una solida identità, basata sulla nostra esperienza di quanto sta accadendo.
Il karma proiettante è il più forte tra i tipi di impulso karmico. Per esempio, se pensiamo in termini di un "io" solido e ci identifichiamo con l'esperienza di venire disapprovati dai nostri genitori, crediamo di avere un'identità basata su quell'esperienza. "Non sono abbastanza bravo. C'è qualcosa che non va con me." Come risultato, possiamo avere un desiderio bramoso ricorrente di trovare qualcuno che ami ed apprezzi il "vero io," che quindi ci farebbe stare bene. Ma siccome ci identifichiamo con il fatto di non essere nulla di buono, inconsciamente compromettiamo qualsiasi relazione intrapresa, e così ci assicuriamo che l'altra persona ci rifiuterà, confermando che non siamo nulla di buono. Avere frequenti relazioni occasionali o andare irrefrenabilmente alla ricerca di un partner potrebbe essere motivato da questa insicurezza e dal desiderio di essere amati. Gli impulsi karmici associati a questo tipo di comportamento avrebbero la forza di un karma proiettante.
Se pensiamo soltanto in termini della forma dell'energia karmica coinvolta in questo tipo di comportamento, forse potremmo avere un'idea migliore del karma proiettante. Se abbiamo l'impulso di andare in giro a cercare un partner e andiamo in perlustrazione di bar o feste cercando di agganciare qualcuno, come ci stiamo comportando? Ci stiamo comportando come un cane randagio che va in giro ad annusare il didietro di altri cani, s'impegna in azioni fisiche con altri cani e poi prosegue per la sua strada. Specialmente se questo si ripete continuamente, questa forma diventa sempre più forte. Molto chiaramente diviene il karma proiettante di rinascere come un cane randagio.
Distinguere un'azione dall'emozione motivante
Inoltre, abbiamo bisogno di distinguere un'azione dall'emozione che motiva l'azione. Possiamo compiere un'azione distruttiva con una motivazione negativa. Per esempio, possiamo uccidere una zanzara perché ci sta dando fastidio mentre cerchiamo di addormentarci. Pensiamo che ci sia un solido “io” e un solido “tu, la zanzara.” Ci arrabbiamo con la zanzara e poi ci impegniamo in una caccia grossa per “acchiapparla.” Quando alla fine riusciamo ad ucciderla, siamo davvero contenti. Gli impulsi karmici coinvolti diventano il karma proiettante per rinascere come qualcosa tipo un animale da preda o qualcosa che viene cacciato da tale animale.
Potremmo anche commettere un'azione distruttiva con un'emozione motivante positiva. Potremmo uccidere quella zanzara perché amiamo i nostri figli e ci preoccupiamo per loro e non vogliamo che vengano punti e prendano la malaria. Siccome la motivazione e l'azione sono, in un certo senso, eticamente contraddittorie, la forza karmica dell'impulso distruttivo di uccidere è troppo debole affinché possa fungere da karma proiettante. Diventerebbe quindi un karma completante.
Allo stesso modo, possiamo compiere azioni costruttive con emozioni motivanti negative. Possiamo fare un buon pasto per i nostri figli adulti con la motivazione disturbante di voler essere apprezzati, amati e di sentirsi indispensabili. Oppure, potremmo preparare un pasto con una motivazione positiva, per amore e per renderli felici. Soltanto l'impulso costruttivo di quest'ultimo caso sarebbe un karma proiettante. Ma notate bene che per ogni possibilità, c'è sempre ancora l'inconsapevolezza sottostante riguardo al modo in cui esistiamo: pensiamo e sentiamo che ci sia un "io" solido, unico, che non viene influenzato e così via.
Quando gli impulsi karmici delle nostre azioni e le emozioni motivanti che le accompagnano sono forti, non in contraddizione etica e accompagnati da questa inconsapevolezza riguardo al modo in cui esistiamo, allora gli impulsi karmici fungono da karma proiettante. È sempre samsara, sia che sia un impulso karmico distruttivo che dà luogo ad uno degli stati di rinascita peggiori, oppure un impulso karmico costruttivo che dà luogo ad uno degli stati di rinascita migliori.
Questo è il secondo anello dell'origine dipendente, questi milioni e milioni di karma proiettanti, gli impulsi karmici fortemente motivati che possono influenzare e formare le nostre future rinascite. Ogni volta che agiamo con una forte motivazione non contraddittoria, l'impulso karmico coinvolto avrà la forza di fungere da karma proiettante. Non ci comportiamo come cani randagi tutti il tempo. Agiamo in molte maniere differenti. Ci sono molte possibilità che sono rafforzate dalla nostra inconsapevolezza e dal nostro comportamento. Non è che abbiamo appena iniziato ad accumulare karma proiettante: lo abbiamo fatto da sempre, senza inizio.
Il terzo anello: la coscienza carica
Il terzo anello dell'origine dipendente non lo chiamo semplicemente "coscienza," ma "coscienza carica" (rnam-shes), per renderlo più chiaro. Questo anello è diviso in due parti. La prima parte è, letteralmente, la coscienza carica al momento della causa (rgyu-dus-kyi rnam-shes). Si riferisce al nostro continuum mentale – la nostra esperienza soggettiva ed individuale delle cose che avviene di momento in momento – che è carico dello strascico karmico del karma proiettante che può fungere da causa per una futura rinascita. È lo strascico karmico del karma proiettante, non il karma proiettante stesso, che ci proietta nella nostra prossima rinascita. Tecnicamente, lo strascico karmico del karma proiettante "matura" (smin-pa) dando luogo ai cinque aggregati della nostra prossima rinascita e alle nostre esperienze in tale stato.
Strascico karmico
Allora, qual è lo strascico karmico del karma proiettante di cui la nostra coscienza è carica in questo stato, nel periodo dopo che l'azione associata a quel karma proiettante è terminata e prima che si attivi e maturi in una rinascita futura? Prima di tutto, dobbiamo sapere che secondo i principi mahayana, ci sono in generale due tipi di strascico karmico: quello che matura in maniera intermittente e quello che matura continuamente. Il primo produce risultati soltanto in certi momenti: quando si esaurisce e non dà altri risultati, smette naturalmente di esistere come qualcosa che è presente nel nostro continuum mentale. Il secondo produce effetti ad ogni istante della nostra esistenza, fino all'illuminazione. Non andrà mai via a meno che non ne otteniamo un vero arresto (‘gog-bden, vera cessazione). Quest'ultimo insieme di strascichi karmici si riferisce alle abitudini karmiche costanti (bag-chags).
Poiché i sistemi di principi Hinayana non accettano abitudini costanti, non asseriscono questo tipo di strascico karmico. Poiché i dodici anelli dell'origine dipendente sono una spiegazione che è accettata in maniera condivisa sia dall'Hinayana che dal Mahayana, lo strascico karmico di cui il terzo anello, la coscienza carica, è carico include soltanto lo strascico karmico che matura in maniera intermittente.
Ci sono due tipi di strascico karmico che maturano in maniera intermittente: le reti di forza karmica e le tendenze karmiche (sa-bon, seme). Consideriamo prima la spiegazione dei sistemi Sautrantika, Chittamatra e Svatantrika Yogachara.
La spiegazione Sautrantika, Chittamatra e Svatantrika Yogachara
Gli impulsi karmici proiettanti (spinte mentali) e le azioni karmiche mentali, fisiche o verbali conseguenti costituiscono un continuum che, in senso ampio, può essere considerato un continuum di energia karmica costruttivo o distruttivo, che attraversa una fase di transizione, come il ghiaccio che si scioglie in acqua, quando cessa l'azione karmica. La sua continuità assume la natura essenziale (ngo-bo) di una tendenza karmica (sa-bon, seme); diventa un'astrazione non-statica (ldan-min ‘du-byed, variabile che influenza incongruente), un fenomeno di designazione sulla base del continuum mentale dell’agente dell’azione. Chiamiamoli "potenziali karmici." Le astrazioni non-statiche non sono né forme di fenomeni fisici né modi d'essere consapevoli di qualcosa; sorgono da cause, cambiano da un momento all'altro e producono effetti. Come fenomeni di designazione sono “legati” alle loro basi: non possono essere conosciti nè esistere senza le loro basi.
Come termine generale per l'intero continuum di impulsi karmici proiettanti insieme alle conseguenti fasi di energia e di potenziale karmici, usiamo l'espressione forza karmica. Tenete a mente che questi sono termini coniati da me; non ci sono termini equivalenti a energia karmica, potenziale karmico o forza karmica né in tibetano né in sanscrito.
La forza karmica, sia come energia karmica che come potenziale karmico, è sempre costruttiva (dge-ba, virtuosa) o distruttiva (mi-dge-ba, non virtuosa). Quelle connesse ad un comportamento costruttivo sono forze karmiche positive (bsod-nams, sanscr. punya, merito), mentre quelle connesse ad azioni distruttive sono forze karmiche negative (sdig-pa, sanscr. papa, peccato). Preferisco le seguenti traduzioni: “costruttivo” “distruttivo” “forza karmica positiva” e “forza karmica negativa” rispetto ai termini usati più frequentemente: “virtuoso,” “non virtuoso” “merito” e “peccato.” Quest'ultimo gruppo di termini conduce spesso a dei malintesi perché introduce l'idea di un giudizio morale, di ricompensa o punizione. Questi concetti sono irrilevanti nel Buddhismo, e quindi penso sia meglio scegliere dei termini che possano minimizzare il malinteso derivante dall'attribuire inavvertitamente al Buddhismo concetti inopportuni provenienti da altri sistemi.
Solo la parte del continuum di una forza karmica che è un potenziale karmico è lo stascico karmico lasciato nel continuum mentale di un agente di una azione dopo che questa è stata completata e portata a termine. Tuttavia, come fenomeno di designazione sulla base di tutti i continua della forza karmica ancora presente nel continuum mentale, vi è anche una rete (tshogs, raccolta) di forza karmica nel continuum mentale della persona. Come il potenziale karmico, è anch'essa un'astrazione non-statica, ovvero né una forma di fenomeno fisico né un modo d'essere consapevoli di qualcosa. Il termine tecnico rete di forza positiva (bsod-nams-kyi tshogs, raccolta di merito) normalmente si limita ad indicare reti di forza positiva che costruiscono l'illuminazione: forza positiva accumulata tramite bodhicitta e dedicata all'ottenimento dell’illuminazione e all'essere d'aiuto agli altri. Tuttavia, penso che possiamo coniare i termini analoghi rete di forza karmica positiva che costruisce il samsara e rete di forza karmica negativa che costruisce il samsara, associandoli alle azioni karmiche che non sono accumulate con rinuncia o bodhicitta e che non sono dedicate alla nostra liberazione oppure alla nostra illuminazione. Per facilitare la discussione, uso i termini reti di forza positiva che costruiscono l'illuminazione e reti di forza karmica.
In aggiunta alle reti di forza karmica, il secondo tipo di strascico karmico che matura in maniera intermittente e di cui la nostra coscienza è "carica" sono le tendenze karmiche. Quando l'energia karmica positiva o negativa di un'azione costruttiva o distruttiva attraversa una fase di transizione per diventare un potenziale karmico quando l'azione cessa, quell'energia karmica dà origine anche ad una tendenza karmica (seme karmico). Come il potenziale karmico, anche la tendenza karmica è un'astrazione non-statica che è un fenomeno designato sul continuum mentale. Ma a differenza del potenziale o dell'energia karmica, una tendenza karmica è imprecisata, è eticamente neutra. Dunque, dei due tipi di strascico karmico che maturano in maniera intermittente, uno – le reti di forza karmica – è costruttivo oppure distruttivo, mentre l'altro – le tendenze karmiche – è imprecisato. Sono però entrambe astrazioni non-statiche. La coscienza è carica di esse non tanto in senso fisico, come dei semi piantati nel terreno, anche se questa è l'analogia che tradizionalmente viene usata per spiegare questo anello in maniera semplicistica. La coscienza è carica di tendenze karmiche solamente nel senso che la coscienza serve come base per designarle (gdags-gzhi).
Riassumendo, seconda la spiegazione condivisa da Sautrantika, Chittamatra e Svatantrika Yogachara, il karma proiettante è esclusivamente l'impulso mentale costruttivo o distruttivo fortemente motivato che dà origine e sostiene un'azione fisica, verbale o mentale avente una simile forte motivazione. Non è l'azione stessa. Lo strascico del karma proiettante e le azioni che induce ha due aspetti che matureranno in maniera intermittente, ed entrambi sono astrazioni non-statiche imputate sul continuum mentale – fondamentalmente, sul continuum della coscienza mentale carica. In quanto astrazioni non-statiche, esse non sono né forme di fenomeni fisici né modi d'essere consapevoli di qualcosa. Il potenziale karmico e la rete di forza karmica ad esso associata è costruttiva o distruttiva, mentre la tendenza karmica è eticamente neutral (lung ma-ten): Buddha non ha specificato il suo essere costruttiva o distruttiva.
Spesso incontriamo una spiegazione semplice di ciò di cui è carica la coscienza carica. È carica di semi karmici (sa-bon), come dei semi piantati nel terreno. "Semi karmici," come ricorderete, è il termine che ho tradotto con "tendenze karmiche." In questa spiegazione, "semi karmici" è usato come un'espressione generale che include sia i potenziali karmici che le tendenze karmiche. Soltanto le tendenze karmiche sono effettivamente semi karmici, perché, per loro natura, i semi karmici sono fenomeni eticamente neutri. Il potenziale karmico è meramente forza karmica nella natura di un seme karmico, ma non è effettivamente un seme karmico. Questo perché, in quanto forza karmica – il cosiddetto "merito" o il cosiddetto "peccato" – è costruttivo o distruttivo. Il termine seme è usato in modo figurato: una pianta produce un seme che a sua volta produce un'altra pianta. Allo stesso modo, gli impulsi karmici producono semi karmici, i quali a loro volta producono risultati karmici che portano al sorgere di nuovi impulsi karmici.
Tuttavia, a differenza dei semi reali, questi semi karmici non sono forme di fenomeni fisici. Sono potenziali e tendenze, ovvero astrazioni non-statiche. Anche i potenziali e le tendenze vengono da qualcosa e danno origine a qualcosa; sono solo fenomeni astratti, i quali descrivono il processo karmico in maniera più accurata.
La spiegazione Vaibhashika, Sautrantika Svatantrika e Prasangika
La spiegazione Vaibhashika, Sautrantika Svatantrika e Prasangika è un po' più complessa. Nel caso degli impulsi karmici delle azioni mentali, lo strascico è lo stesso di quello visto in precedenza: un potenziale karmico distruttivo o costruttivo con la rete di forza karmica associata ad esso, e una tendenza karmica imprecisata.
Nel caso degli impulsi karmici delle azioni fisiche e verbali, solo l’energia grossolana che è la forma rivelatoria dell'azione è il karma proiettante. Tuttavia, sia tale energia grossolana che l’azione karmica, e anche l’enrgia sottile che è la forma non rivelatoria dell’azione, sono forze karmiche costruttive o distruttive. La tendenza karmica e il potenziale karmico derivanti dall'energia karmica grossolana iniziano non appena l'azione cessa. Tuttavia, l'energia karmica sottile continua dopo che l'azione è cessata e prosegue fino a quando continuiamo ad avere, consciamente o inconsciamente, l'intenzione di continuare ad agire allo stesso modo dell'azione che l'ha creata, e non abbiamo alcuna intenzione di fermarci. Quest'energia karmica sottile che continua dopo il termine dell'azione è ancora una forza karmica, ma non è uno strascico karmico. Nel momento in cui perdiamo l'intenzione di continuare ad agire nello stesso modo, l'energia karmica sottile si trasforma in un potenziale karmico e poi diventa uno strascico karmico. A meno che non abbiamo fatto voto di portare avanti questo comportamento nelle nostre vite future – come facciamo, per esempio, quando prendiamo i voti del bodhisattva con l'intenzione di perseguire il comportamento del bodhisattva fino all'ottenimento dell'illuminazione – le nostre energie karmiche sottili si trasformano naturalmente in potenziale karmico al momento della nostra morte.
Dunque, come nelle presentazione più semplice del karma, la coscienza carica è carica di (1) potenziale karmico costruttivo o distruttivo, nonché la rete di forza karmica ad essa associata e di (2) tendenze karmiche imprecisate. Il potenziale karmico, la rete di forza karmica e le tendenze karmiche sono fenomeni non-statici e non sono karma proiettante.
Gli anelli risultanti di ciò che è stato proiettato
Il primo, il secondo e la prima metà del terzo anello sono, rispettivamente, inconsapevolezza, karma proiettanti positivi o negativi e il nostro continuum mentale carico dello strascico karmico di questi karma proiettanti. Questi due anelli e mezzo vengono chiamati "gli anelli causali che proiettano" (‘phen-byed-kyi yan-lag): ci proiettano nella prossima rinascita. Poi ci sono "gli anelli risultanti di ciò che è stato proiettato" (‘phangs-pa’i ‘bras-bu’i yan-lag). Essi descrivono lo sviluppo dello stato di rinascita che è stato proiettato dal karma proiettante. È il modo in cui l'intero meccanismo si sviluppa in un feto o in un uovo per perpetuare il samsara. Ora parleremo solo del feto in un utero.
La seconda parte del terzo anello è la coscienza carica al momento del risultato (‘bras-dus-kyi rnam-shes). È l'esperienza da un momento all'altro, individuale e soggettiva delle cose che è stata proiettata in una nuova rinascita come risultato dello strascico maturato del karma proiettante. È la base per provare tutti i risultati karmici che sorgeranno in quella vita.
Molti risultati karmici matureranno in maniera intermittente durante una futura rinascita. Il Buddhismo presenta un'analisi complessa di causa ed effetto, con sei tipi di cause e cinque tipi di risultato. Sia la rete di forze karmiche che le tendenze karmiche fungono da cause per ognuno di essi, anche se in forma di diversi tipi di cause per ogni risultato. Allo stesso modo, ciò che matura da esse è un diverso tipo di risultato per ognuna di loro, anche se a cose specifiche che maturano viene dato il nome del tipo predominante di risultato che esse sono. Inoltre, non dobbiamo pensare che qualsiasi cosa che sperimenteremo in una futura rinascita sarà determinata unicamente dallo strascico del nostro karma. Il Buddhismo non è un sistema solipsistico. Sia le circostanze interne che quelle esterne contribuiscono anch'esse al processo causale, e allo stesso modo molte altre cause esterne, come per esempio lo sperma e l'ovulo dei nostri genitori, incluse le loro specie e il loro DNA personale. In effetti, siccome tutto è in qualche modo interconnesso e dipendente da tutto il resto, causa ed effetto è l'argomento più complesso che ci sia.
Il principale risultato karmico discusso in relazione al meccanismo dei dodici anelli dell'origine dipendente è il risultato maturato (rnam-smin-gyi ‘bras-bu). Questo si riferisce agli aggregati di base (phung-po) della nostra prossima rinascita, i quali sono enormemente influenzati dalla forma di vita che assumeremo. I risultati maturati includono, comunque, soltanto gli oggetti imprecisati all'interno dei nostri aggregati, come il nostro corpo, la nostra mente e le tendenze karmiche.
- Le nostre reti di forza karmica sono le loro cause maturanti (rnam-smin-gyi rgyu). Esse danno loro origine nello stesso modo in cui un albero da frutta dà origine ad un frutto quando è maturo.
- Le nostre tendenze karmiche sono le loro cause di pari stato (skal-mnyam-gyi rgyu). Le cause di pari stato hanno lo stesso stato etico dei loro risultati, come un momento d'amore che dà origine ad un momento di compassione.
- Le nostre tendenze karmiche sono anche le nostre cause di ottenimento (nyer-len-gyi rgyu) del nostro corpo e della nostra mente. Esse danno loro origine come un seme dà origine ad un germoglio.
- La scuola Cittamatra asserisce che le nostre tendenze karmiche sono anche la sorgente natale (rdzas) di tutte loro, come un forno è la sorgente natale di una pagnotta di pane. Tutte le altre scuole asseriscono che le tendenze karmiche sono le sorgenti natali solamente di quegli oggetti, tra i nostri aggregati, che sono modi d'essere consapevoli di qualcosa e fenomeni non-statici. Lo sperma e l'ovulo dei nostri genitori e gli elementi esterni sono le sorgenti natali di quelli che sono forme di fenomeni fisici.
Non sono inclusi tra i risultati maturati quegli oggetti che sono naturalmente costruttivi o distruttivi, come la continuità delle reti di forza karmica che proseguono nella nostra prossima vita.
- Le nostre reti di forza karmica sono le loro cause di pari stato.
- Le nostre tendenze karmiche sono le loro cause di ottenimento e sorgenti natali.
I cinque aggregati
Per comprendere il modo in cui l'intero meccanismo si sviluppa nell'utero, dobbiamo avere almeno una comprensione approssimativa dei cinque aggregati, i fattori che compongono ogni momento della nostra esperienza delle cose. Il modo in cui sperimentiamo le cose, ciò che sperimentiamo, è un conglomerato di molti fattori diversi, che possiamo riunire in cinque gruppi. In realtà non esistono in cassetti separati. Questo è soltanto uno schema per organizzare il materiale. Ciascuna delle cinque categorie è composta da molti componenti e questo è il motivo per cui sono chiamati fattori "aggregati." Uno o più elementi di ognuno di questi cinque gruppi costituiscono l'esperienza che facciamo in ogni momento e tutti loro funzionano insieme come una rete: tutto è interconnesso. In questo contesto non li presenterò nel loro ordine tradizionale, ma in un ordine che è leggermente più facile da comprendere.
(1) Il fattore aggregato di forme di fenomeni fisici (gzugs-kyi phung-po) consiste di vista, suoni, odori, sapori e sensazioni fisiche, insieme ai sensori fisici, ovvero le cellule sensoriali, i bastoncelli e i coni degli occhi e così via. Possiamo anche parlare dell'elemento fisico del corpo in generale. Potremmo imbarcarci in una discussione molto sofisticata in merito alle forme che appaiono nei sogni e così via, ma lo tralasceremo per questa volta.
(2) Il prossimo è quello che viene normalmente chiamato l'aggregato della coscienza (rnam-shes-kyi phung-po). Questi sono i diversi tipi di coscienza primaria coinvolti nella nostra esperienza delle cose. Nel modello occidentale, abbiamo una coscienza generale che può operare tramite gli occhi, le orecchie, il naso, la lingua, il corpo o la mente. Nel modello buddhista, non parliamo di un tipo generale di coscienza. Parliamo di specifici tipi di coscienza per ognuno dei canali sensoriali. Ci sono sei tipi di coscienza: la coscienza della vista, dei suoni, degli odori, dei sapori, delle sensazioni fisiche e dei fenomeni mentali, come i pensieri, i sogni e il sonno. La coscienza primaria riguarda soltanto il campo sensoriale di base di cui siamo consapevoli. In ogni momento dell'esperienza delle cose, siamo su un canale oppure su un altro. Siamo sul canale della vista, oppure sul canale dell'udito, sul canale del pensiero e così via.
(3) Poi abbiamo un aggregato distinguente (‘du-shes-kyi phung-po). Questo viene spesso chiamato "riconoscimento," ma qui non stiamo parlando di qualcosa di così sofisticato come il riconoscimento. Stiamo parlando di qualcosa di molto basilare. Accade anche in qualsiasi momento dell'esperienza di un verme. Il termine occidentale "riconoscimento" significa che vediamo qualcosa di simile a quello che abbiamo già sperimentato in precedenza, poi ci ricordiamo cosa abbiamo sperimentato in precedenza e lo confrontiamo con quello che stiamo sperimentando adesso. Affinché il riconoscimento funzioni, dobbiamo riconoscere che questi due sono simili. Non è di questo che stiamo parlando con questo aggregato. Nella sua forma più semplice, stiamo parlando del distinguere qualcosa all'interno di un campo sensoriale, con una specifica caratteristica peculiare, in maniera tale che ci possiamo concentrare su di esso e farne l'esperienza.
Per esempio, il campo sensoriale della vista è composto da ogni sorta di forme colorate. Questo è ciò che vediamo con la coscienza primaria. Per poter mettere a fuoco e relazionarci con qualsiasi cosa sia presente in quel campo sensoriale, dobbiamo distinguere un certo gruppo di forme colorate aventi qualche caratteristica specifica da qualsiasi altra cosa si trovi sullo sfondo. Non solo è importante fare ciò, anzi è essenziale. Non potremmo affrontare il mondo senza essere in grado di distinguere diverse cose all'interno dei nostri campi sensoriali. Qualsiasi cosa vedessimo, sarebbe soltanto una massa indifferenziata di forme colorate.
All'interno del campo uditivo del suono, dobbiamo anche distinguere un suono dagli altri che udiamo contemporaneamente. Dobbiamo distinguere il suono di qualcuno che sta parlando dal rumore del traffico. Dobbiamo anche distinguere le parole. È davvero stupefacente, se ci pensate. C'è un flusso di suoni che proviene dalla bocca di qualcuno e noi siamo in grado di spezzettarlo e distinguere sequenze di suoni in sillabe e parole. Altrimenti, come potremmo comprendere qualsiasi cosa che venga detta da qualcuno?
Ogni momento della nostra esperienza contiene qualche aspetto di distinzione. Non abbiamo bisogno di sapere cosa sono le cose o di dare loro dei nomi per distinguerle. Per esempio, possiamo distinguere qualche cosa di nebuloso che si muove laggiù nell'oscurità. C'è un rumore. Non sappiamo cosa sia, ma possiamo distinguerlo. A volte, non vogliamo neppure sapere cosa sia, come quando sentiamo qualcosa che si muove nei cespugli al lato di un sentiero nella giungla.
(4) Poi abbiamo un aggregato della sensazione (tshor-ba’i phung-po). La nostra parola "sensazione" copre molti più significati di quanto s'intende qui. In quasi ogni linguaggio occidentale, sensazione significa emozione. In inglese, la parola feeling [sensazione] può indicare sensazioni come caldo o freddo, morbido o liscio; emozioni come passione o depressione; stati di benessere come lo star bene o l'essere malati; uno stato di sensibilità, come: "Ha un intuito per l'arte;" una soglia di sensibilità, come in "ha ferito i miei sentimenti;" intuizioni, come in "sento che oggi è il mio giorno fortunato;" oppure opinioni, come in "cosa pensi di questa faccenda?" Qui, non stiamo parlando di nulla di tutto ciò. Certamente non stiamo parlando di emozioni. Tutto quello di cui si parla in questo aggregato è il provare un certo livello di felicità o infelicità. In ogni momento della nostra esperienza, stiamo sperimentando qualche oggetto, insieme ad una sensazione concomitante che si trova da qualche parte nella scala da completamente felice a completamente infelice. È molto raro trovarsi esattamente nel mezzo o in uno stato neutro; c'è sempre almeno un livello sottile di felicità o infelicità. Anche se sembra come se non stessimo provando nulla, semplicemente non stiamo facendo attenzione a ciò che accade.
(5) L'ultimo aggregato è quello che io chiamo "l'aggregato delle altre variabili incidenti" (‘du-byed-kyi phung-po). A volte è chiamato "volizioni," ma questo vuol dire prendere un solo elemento dell'aggregato e usarlo per dare il nome a tutto l'insieme, quindi non è la traduzione migliore. Inoltre, anche se il nome di questo aggregato è lo stesso del secondo anello dell'origine dipendente, nel secondo anello "variabili incidenti" si riferisce soltanto al karma proiettante. Qui, le variabili incidenti che costituiscono questo aggregato includono tutto ciò che costituisce ed influenza la nostra esperienza che non sia contenuto negli altri quattro aggregati. È l'aggregato di tutto il resto. Include tutte le emozioni, positive e negative, e gli altri fattori mentali come l'attenzione, l'interesse, la concentrazione, la sonnolenza e la noia. E poi include anche le astrazioni non-statiche come i potenziali karmici, le reti di forza karmica e le tendenze karmiche, ma lasciamo queste da parte per il momento.
In parole povere, potremmo dire che abbiamo un fattore aggregato fatto di cose fisiche e quattro aggregati costituiti da cose mentali, modi d'essere consapevoli delle cose. Se pensiamo che "mentale" si riferisca soltanto ai nostri pensieri, ci faremo un'idea sbagliata. Stiamo parlando di qualsiasi modo d'essere consapevoli delle cose. Vedere, distinguere, provare un livello di felicità, essere arrabbiati e così via sono tutti modi d'essere consapevoli di qualcosa.
Il quarto anello: facoltà mentali nominabili con o senza forma grossolana
Siamo arrivati al quarto anello dell'origine dipendente, che io chiamo "facoltà mentali nominabili con o senza forma grossolana" (ming-dang gzugs). Spesso viene chiamato semplicemente "nome e forma."
Ognuno dei prossimi quattro anelli si riferisce ad un arco di tempo durante lo sviluppo di un feto. Nel Buddhismo, parliamo del livello degli esseri senza forma (gzugs-med khams, reame senza forma), il livello dell'esistenza samsarica in cui vivono esseri divini privi di una forma grossolana. Le facoltà mentali nominabili senza forma grossolana si riferiscono agli aggregati di questi esseri del livello senza forma. In realtà, anche se non ci sono forme grossolane su questo livello, ci sono ancora delle forme molto sottili. Gli esseri del livello degli oggetti dei sensi desiderabili (‘dod-khams, reame del desiderio) hanno forme grossolane, mentre esseri del livello delle forme eteree (gzugs-khams, reame della forma) hanno forme eteree. Le facoltà mentali nominabili con forma grossolana si riferiscono agli aggregati degli esseri di questi due livelli dell'esistenza samsarica. In ogni caso, il quarto anello si estende dal momento del concepimento fino al momento appena prima che le facoltà cognitive del vedere, udire e così via vengano differenziate.
Che cosa significa? Uno sperma e un ovulo s'uniscono. C'è un aggregato della forma: gli elementi del corpo sono palesi. Gli altri quattro aggregati, quelli mentali, i modi d'essere consapevoli delle cose, sono presenti in forma latente (bag-chags, istinti), ma non sono ancora palesi o differenziati. Sono presenti soltanto nominalmente: sono facoltà mentali meramente nominabili.
A questo punto dobbiamo essere molto precisi. Non stiamo parlando dell'unione di uno sperma ed un ovulo avente il mero potenziale di sostenere l'esperienza; piuttosto stiamo parlando dell'unione di uno sperma ed un ovulo dove una mente è già presente. Ha già attività mentale, anche se non è un'attività mentale conscia in nessuno dei sensi del termine conscio. Il feto fa esperienza delle cose, ma l'aggregato della coscienza non è ancora differenziato in vista, udito, olfatto, gusto, tatto e pensiero e i quattro aggregati mentali non sono differenziati tra di loro.
La distinzione tra l'avere il potenziale per l'attività mentale e l'avere effettivamente attività mentale, anche se inconscia e non differenziata, è molto importante e non del tutto ovvia. È questa la distinzione che dobbiamo fare per poter risolvere la questione di quando la vita abbia inizio, un punto essenziale per considerare la questione dell'aborto. Quando inizia una rinascita futura? Questa è una domanda a cui è molto difficile dare risposta. Quanto devono svilupparsi lo sperma e l'ovulo prima di cambiare dall'avere solamente il potenziale di sostenere l'esperienza all'effettivo sostegno dell'esperienza, anche se questa esperienza è inconscia e non ancora differenziata in vista, olfatto, gusto, e così via?
Un approccio fondamentalista a questa questione sarebbe l'affermare che il quarto anello abbia origine al momento del concepimento e dunque è in quel momento che la vita comincia. Se facciamo un'analisi con questa logica, non c'è pervasione logica del fatto che uno sperma e un ovulo con il potenziale di sostenere la vita stiano necessariamente supportando la vita. La vita non significa solamente cellule viventi, perché allora potremmo dire che uno sperma o un uovo siano vivi. Sono esseri senzienti? No. Questo è un punto molto interessante e Sua Santità il Dalai Lama ha detto che è necessario investigarlo scientificamente. Ci sono molte implicazioni etiche in termini di controllo delle nascite e aborto.
Il quinto anello: stimolatori della cognizione
Il quinto anello è chiamato stimolatori di cognizione (skye-mched, stimolatori cognitivi). Questo si riferisce al periodo tra lo sviluppo dei sei diversi stimolatori di cognizione fino ad appena prima che l'aggregato distinguente venga differenziato. I sei stimolatori di cognizione sono gli oggetti cognitivi e i sensori cognitivi (dbang-po) di ognuna delle sei facoltà cognitive. Nel caso delle cinque facoltà sensoriali, gli oggetti e i sensori hanno la forma di fenomeni fisici, come vista e cellule fotosensibili. Nel caso della facoltà mentale, gli oggetti possono essere un qualsiasi fenomeno validamente conoscibile, mentre i sensori sono i momenti cognitivi immediatamente precedenti.
L'aggregato della forma ora è differenziato in vista, suoni e così via, e allo stesso modo lo sono anche le cellule che possono percepire queste cose. Il feto si è sviluppato fino al punto in cui ci sono cellule sensoriali visive, in altre parole i coni e i bastoncelli nei proto-occhi, cellule sensoriali uditive nelle proto-orecchie e così via. Inoltre, l'aggregato della coscienza è anch'esso differenziato in coscienza visiva, coscienza uditiva e così via. Non è più meramente una facoltà mentale nominabile. A questo punto, tuttavia, non c'è distinzione di forme o di particolari sensazioni; c'è soltanto la consapevolezza dei campi sensoriali in generale. Le altre tre facoltà mentali sono ancora solamente nominabili. È molto interessante, se ci pensiamo da un punto di vista dello sviluppo: c'è la consapevolezza della sensazione fisica, ma non c'è differenziazione tra caldo e freddo e così via.
Il quinto anello si riferisce alle cellule sensoriali e agli oggetti sensoriali o ai campi sensoriali che vengono sperimentati attraverso esse. Questi sono risultati maturati e si riferiscono a ciò che accade quando una vita sta prendendo forma. Per usare l'analogia rudimentale di un computer, fino ad ora abbiamo discusso l' hardware. Ora dobbiamo discutere del software.
Il sesto anello: la consapevolezza contattante
Il sesto anello è la consapevolezza contattante (reg-pa). A questo punto l'aggregato distinguente e parti consistenti dell'aggregato delle altre variabili incidenti sono funzionanti. Non sono più facoltà mentali meramente nominabili.
Chiamare questo anello "contatto," la sua traduzione abituale, dà l'impressione che si tratti dell'azione fisica dell'entrare in contatto con un oggetto. Non è così. È un modo d'essere consapevoli d'un oggetto con cui si entra in contatto perché viene distinto. La consapevolezza contattante distingue questo oggetto come piacevole, spiacevole o neutro. Per esempio, all'interno del campo delle sensazioni fisiche, il feto ora è in grado di distinguere esperienze di caldo o freddo o di saltellare su e giù, con cui entra in contatto cognitivamente. È consapevole della sensazione fisica del saltellare su e giù, per esempio, in quanto sensazione piacevole, spiacevole o neutra.
Cosa determina questo? Il karma. A questo punto, i risultati karmici simili alla loro causa (rgyu-mthun-gyi ‘bras-bu) iniziano a maturare. Poiché abbiamo creato situazioni piacevoli o spiacevoli nelle vite precedenti, ora incontriamo cose di cui siamo consapevoli come piacevoli o spiacevoli a questo livello di sviluppo. Nonostante l'aggregato distinguente e quelle altre variabili incidenti come la consapevolezza contattante siano in funzione, l'aggregato della sensazione non sta ancora funzionando. È presente, ma ancora in maniera indifferenziata come facoltà mentale nominabile. In altre parole, siamo consapevoli degli oggetti con cui entriamo in contatto come piacevoli, spiacevoli o neutri, ma non ci sentiamo ancora felici, infelici o neutri in risposta a ciò.
Il settimo anello: provare un livello di felicità
Il settimo anello è provare un livello di felicità (tshor-ba). A questo punto, anche l'aggregato della sensazione è funzionante. La sensazione è definita come il modo in cui sperimentiamo ciò che è maturato dal nostro karma. Sperimentiamo felicità in accordo con la consapevolezza contattante una sensazione fisica piacevole, oppure infelicità in accordo con la consapevolezza contattante una sensazione spiacevole. Oppure non sperimentiamo né felicità, né infelicità, oppure un livello molto basso dell'una o dell'altra, in accordo con la consapevolezza contattante una sensazione neutra.
Questi quattro anelli e mezzo – la coscienza carica risultante, le facoltà mentali nominabili con o senza forma grossolana, gli stimolatori di cognizione, la consapevolezza contattante e la sensazione di un certo livello di felicità – sono gli anelli risultanti di ciò che è stato proiettato. Ora è entrato in funzione il meccanismo pienamente maturo di tutti i cinque aggregati. Qualsiasi cosa è al posto giusto per perpetuare incontrollabilmente la nostra situazione samsarica.
Per esempio, il feto nell'utero è consapevole del saltellare su e giù come una sensazione spiacevole. È infelice e la situazione non gli piace. Con repulsione, vorrebbe scalciare per poterla eliminare. Sorge un impulso di scalciare; l'impulso viene messo in atto con un impulso di energia e il feto dà un calcio. Questo fa sì che la madre provi una sensazione fisica con consapevolezza contattante come qualcosa di spiacevole. Prova fastidio. Scalciare rabbiosamente e creare la circostanza per cui la propria madre provi fastidio accumula le cause per essere consapevole delle cose come spiacevoli in futuro e sperimentare infelicità. Un altro feto potrebbe essere consapevole della stessa sensazione di saltellare su e giù come una cosa calmante e rilassante e in risposta a ciò, essere felice e sereno. Tutto proviene dal karma.
Domande riguardo alla futura rinascita
Lo strascico del karma proiettante matura nella vita immediatamente successiva oppure in una vita seguente a quella?
Lo strascico di un karma proiettante può maturare nella rinascita immediatamente seguente oppure in qualsiasi altra rinascita successiva ad essa. Tuttavia, una volta attivato, ci proietta nella rinascita immediatamente successiva. Nel nostro continuum mentale abbiamo gli strascichi di milioni di karma proiettanti. Quando lo strascico di un particolare karma proiettante viene attivato al momento della morte, ci proietta nella prossima rinascita, incominciando con lo stato intermedio del bardo. Nel bardo, abbiamo un corpo sottile fatto di luce, che ha già la forma della nostra prossima rinascita. Se rinasciamo come un essere umano, quel corpo avrà la forma di come saremo all'età di otto anni.
Ci sono insegnamenti secondo cui la coscienza nel bardo vede i suoi futuri genitori uniti nell'abbraccio sessuale. Come fa a sapere quando buttarsi in quella direzione?
Come abbiamo visto, il momento in cui inizia la prossima rinascita è una grande domanda. È una domanda difficile. Ci sono descrizioni classiche della coscienza che osserva il padre e la madre in unione e poi entra attraverso la bocca del padre e attraversa il suo organo con il suo sperma che entra nell'utero della madre e si unisce all'ovulo. Se rinascerà come maschio, proverà repulsione per il padre e attrazione per la madre e viceversa se rinascerà come femmina. Penso che logicamente dobbiamo differenziare un po’ di più e includere gli omosessuali e i bisessuali. Si potrebbe rinascere in un corpo maschile provando repulsione per la madre e così via. Il karma proiettante determina se sarà maschio o femmina e il karma completante determina la preferenza sessuale.
La domanda è se questa descrizione vada presa in senso letterale oppure metaforico. In ogni caso, sia che la coscienza si unisca allo sperma e all'ovulo al momento del concepimento oppure più tardi, non sta pensando consciamente: "Dove sono mio padre e mia madre? Ah, eccoli!" Non sceglie. Non se ne sta lì nel bardo a guardare le coppie e ad aspettare che quelli giusti comincino a fornicare. Piuttosto, è quasi come un'attrazione magnetica. Non c'è alcun controllo. Una coscienza è attratta verso una particolare base fisica. Sono propenso a pensare che la descrizione classica dell'attraversare la bocca del padre e così via non sia da prendere alla lettera. Ma se mettiamo in discussione alcuni punti nel Dharma, dobbiamo farlo con motivi di Dharma, non semplicemente dicendo: "non penso che sia così."
Questa descrizione della rinascita si trova principalmente in fonti tantriche. Nell'anuttarayoga, la classe più alta del tantra, vogliamo purificare il processo della morte, del bardo e della rinascita. Quindi, meditiamo su un processo che è analogo alla morte, al bardo e alla rinascita per poterli trasformare e purificare. La descrizione dell'universo nel Tantra di Guhyasamaja, con il Monte Meru, i quattro continenti, gli elementi e così via, è la stessa che si trova nei testi sutra dell'Abhidharma. Il Tantra di Kalachakra ha una descrizione differente, in cui il Monte Meru e gli elementi del mandala sono in proporzione al corpo umano. Sulla base di questa presentazione, possiamo meditare in modo tale che il mandala di Kalachakra abbia le stesse proporzioni dell'universo e le stesse proporzioni del corpo umano. In questo modo, possiamo purificare sia le nostre situazioni esterne che quelle interne allo stesso tempo. Allo stesso modo, quando vogliamo purificare il processo della nascita nell'anuttarayoga tantra, meditiamo in maniera analoga al processo della nascita. Meditiamo che la nostra coscienza entri nella bocca della divinità maschile e attraversi l'organo maschile, passando nell'utero della divinità femminile, con un'esperienza di beatitudine. Tutte le figure nel mandala sono generate da gocce nell'utero della divinità femminile e queste figure poi escono dall'utero e prendono il proprio posto nel mandala esterno.
Dunque, così come la descrizione dell'universo nel Kalachakra è una descrizione utile per la meditazione e non va presa alla lettera, allo stesso modo, la descrizione del processo di rinascita che troviamo nel Tantra di Guhyasamaja non va presa alla lettera. Sta soltanto offrendo un'analogia utile alla finalità della meditazione. Penso che questa sia un'argomentazione valida, coerente con la logica buddhista, per affermare che la descrizione della rinascita che inizia un momento prima dell'eiaculazione del futuro padre nell'utero della futura madre non vada presa alla lettera.
Cosa si può dire dei bambini in provetta e di ovuli fertilizzati che vengono congelati?
Nella presentazione tradizionale, possiamo nascere dall'utero, dall'uovo, dal calore e dall'umidità o dalla trasformazione. I testi classici dicono addirittura che gli esseri umani possono nascere in tutti questi quattro modi. Dobbiamo pensare cosa questo potrebbe indicare. Forse quello di cui stavano parlando era uno di questi modi moderni di nascere. Nascere da un uovo viene indicato come "nascere due volte," perché prima si nasce dentro l'uovo e poi si nasce nuovamente dall'uovo. Possiamo immaginare un processo simile in due passi quando un ovulo viene fertilizzato nell'utero di una madre e poi impiantato nell'utero di un'altra madre. Questo è nascere due volte. Se uno sperma ed un ovulo vengono uniti in una provetta e poi impiantati nell'utero di una madre o perfino sviluppati in qualche ambiente artificiale, cosa che prima o poi sicuramente accadrà, queste situazioni artificiali potrebbero essere simili alla nascita dal calore e dall'umidità. La nascita dalla trasformazione mi sembra essere come una clonazione; c'è una trasformazione da una cellula in un altro corpo, senza che ci sia la fertilizzazione di uno sperma e di un ovulo. Usando la nostra immaginazione, potremmo essere d'accordo che questi quattro tipi di rinascita si trovino anche tra gli esseri umani. Ovviamente, avremmo bisogno del karma di rinascere in un modo piuttosto che in un altro.
In termini di embrioni surgelati, è difficile dire se la coscienza sia entrata in un embrione oppure no. Ovviamente, ci possono essere entrambe le possibilità. Ma anche se vi è entrata, è soltanto un'altra esperienza. Ci sarebbe l'esperienza soggettiva ed individuale dell'essere in uno stato di animazione sospesa o coma a causa della circostanza che la base fisica è surgelata. È un rimasuglio di una precedente rinascita in un inferno freddo. Questi fenomeni vengono descritti nelle leggi del karma.
In quale momento il feto inizia a generare nuovo karma?
In risposta a sensazioni di felicità o infelicità, emozioni disturbanti emergono perché siamo attaccati alla felicità e non vogliamo lasciarla andare oppure non ci piace l'infelicità e vogliamo sbarazzarcene. Emozioni disturbanti come l'attaccamento e l'avversione emergono come risposta a sensazioni di felicità o infelicità. Queste emozioni disturbanti ci motivano a fare qualcosa a quel proposito. C'è anche un'intenzione. Quindi, c'è un impulso di energia con cui il feto dà un calcio alla madre. Questo inizia ad accumulare ulteriore karma.
Possiamo vedere che l'intero scenario è iniziato nuovamente. Se la madre si arrabbia con questo essere dentro il suo utero che la prende a calci e le crea disagi tutto il tempo, questo potrebbe essere l'inizio d'una relazione difficile tra la madre e il bambino. Anche il padre potrebbe arrabbiarsi con il bambino perché crea talmente tanti problemi alla madre che lei non riesce a mostrare affetto e attenzioni per lui. Il karma matura nelle circostanze che vengono sperimentate dal bambino. In questo esempio, esso nasce in una situazione in cui i genitori già sono arrabbiati con lui perché scalciava tutto il tempo. Probabilmente continuerà a scalciare e a piangere tutto il tempo perché sperimenta tutto come sgradevole ed è arrabbiato e infelice. Allora i genitori potrebbero desiderare ancora di più che il bambino stia zitto, cosa che il bambino sperimenterebbe come ancora più sgradevole e dunque lo farebbe andare ancora di più fuori di testa. Questo intero pacchetto è la maturazione del karma. Il bambino sta soltanto rendendo tutto peggio, senza alcun controllo. Benvenuto nel samsara!
Ma se la madre è già impegnata in un processo di purificazione, questo funge da condizione favorevole per il bambino, giusto?
Non necessariamente. Ricordatevi che abbiamo detto che il karma non matura in maniera lineare. Possiamo praticare bene e meditare ogni giorno e ciononostante avere il cancro e morire. Quello che matura può provenire da molte vite fa. Una madre potrebbe essere una buona praticante e avere un bambino che urla e strilla e sta sempre male. Non ne consegue che un praticante avrà come figlio un bel piccolo Buddha.
Un continuum mentale illuminato continua a rinascere per compassione, con totale controllo, invece che per confusione, in qualsiasi circostanza, luogo e tempo lui o lei desideri, giusto?
Giusto.