Consigli per studiare la vacuità

La vacuità è uno degli argomenti più importanti negli insegnamenti del Buddha, e uno dei più difficili da capire. Però, non dobbiamo averne paura. Come spiega il grande maestro indiano Shantideva nel suo Impegnarsi nella condotta del Bodhisattva, se dobbiamo avere paura di qualcosa, dovremmo averla della nostra ignoranza, della nostra inconsapevolezza, che ci sta causando tutti i problemi. Non dovremmo aver paura di ciò che, quando sarà da noi compreso, eliminerà le cause dei nostri problemi. È come se, invece di avere paura dei nostri nemici – come ad esempio ladri, banditi e assassini per strada – avessimo paura della nostra guardia del corpo. E, anche se la vacuità non è facile da capire, è semplicemente naturale che sia così. Perché dovremmo aspettarci che sia facile da capire? Se lo fosse, tutti la comprenderebbero e nessuno avrebbe più problemi.

La necessità di creare una forza positiva sufficiente per comprendere la vacuità

Per comprendere la vacuità o la realtà, dobbiamo costruire un’enorme quantità di forza positiva, di solito chiamata “merito”. Non lo si rimarcherà mai abbastanza. Fondamentalmente, la forza positiva si costruisce trattenendoci dall’agire in modo distruttivo. Ora, potremmo dire, ad esempio: “Comunque sia, io non pratico la caccia né la pesca”; quindi, in che modo il fatto di non impegnarsi in tali attività crea una forza positiva? Il punto sta, quando una zanzara ci ronza attorno al braccio o al viso, nel trattenerci dall’ucciderla, nel trovare un altro modo, più pacifico e non violento, di affrontare la zanzara. Ovviamente è molto più impegnativo, ed è questo, ossia l’astenerci dall’agire in modo distruttivo quando invece vorremmo comportarci in quel modo, che crea forza positiva.

Costruiamo una grande quantità di forza positiva anche impegnandoci concretamente in atti costruttivi – ad esempio: recarci agli insegnamenti di Dharma, riflettere e meditare su di essi, cercare di capirli il più possibile. Accumuliamo una grande quantità di forza positiva anche aiutando gli altri il più possibile, sebbene, al punto in cui ci troviamo, spesso non sappiamo che cosa fare, effettivamente, per essere di aiuto nel miglior modo possibile. Inoltre, con varie pratiche di purificazione dobbiamo cercare di liberarci della forza negativa, o potenziale negativo, quanto più riusciamo. Tutto ciò aiuta noi stessi a essere più aperti, e la nostra mente a essere più chiara e ad avere una maggiore comprensione. Se la nostra mente è chiusa o oscurata dalla confusione, o agiamo sempre in modo distruttivo e non cerchiamo di essere più costruttivi, come potremo mai capire qualcosa di così difficile da comprendere come la vacuità?

In modo analogo, quando vogliamo ascoltare gli insegnamenti o cercare di capirli, se semplicemente ci sediamo e iniziamo, può essere difficile passare da una mente indaffarata a una più chiara. Per evitare questo problema, prima recitiamo molte volte il mantra di Manjushri, “OM ARA-PATSANA DHIH”, e poi ripetiamo il più spesso possibile, in un unico respiro, la sillaba-seme di Manjushri: “DHIH-DHIH, DHIH-DHIH, DHIH-DHIH”. La maggior parte dei tibetani fa questo. Tuttavia, è essenziale ripetere tutto ciò con la forte intenzione che la nostra mente possa diventare più chiara. A un livello più avanzato possiamo aggiungere visualizzazioni grafiche che aiutino a chiarire la nostra mente. Se non siamo in grado di compiere facilmente la visualizzazione, però, in una fase iniziale non ha senso forzarla; la sola ripetizione del mantra è sufficiente.

Tutti questi preparativi sono molto necessari, ma soprattutto, oltre a ciò, dobbiamo aver sviluppato almeno un certo livello di finalità della bodhichitta per raggiungere l’illuminazione in modo da essere di beneficio a tutti, al nostro meglio. Se ci manca una forte motivazione o emozione positiva dietro al “Perché voglio capire questo punto?” e al “Che cosa voglio farmene di questa comprensione?”, non porremo molta energia costruttiva nei nostri sforzi e non ne trarremo un grande risultato. Una forte motivazione è assolutamente necessaria. Più il nostro cuore è aperto a tutti – non soltanto a tutti gli esseri umani, ma anche a tutti gli insetti, a tutti – e aperto all’illuminazione – l’onniscienza di un Buddha, che è davvero vasta – più la nostra mente sarà aperta alla possibilità di comprendere la vacuità. Dobbiamo abbandonare le convinzioni ristrette e limitate che potremmo aver mantenuto fino ad ora, come ad esempio il pensare: “Non sono in grado di capire, non sono capace”. Dobbiamo aprire la nostra mente a possibilità più grandi, che possiamo realizzare costruendo proprio tale forza positiva mediante la finalità della bodhichitta e la recitazione di mantra. Tutto ciò ci permetterà, un giorno, di comprendere la vacuità. Senza tutto questo, sarà estremamente difficile.

La forza positiva funziona fornendoci l’energia per demolire i nostri blocchi mentali. La nostra comprensione diventerà sempre più profonda e tutto ciò che abbiamo imparato si connetterà, così che gradualmente vedremo come tutto rientri in una visione olistica. Un’analogia con la fisica potrebbe esserci utile per capire come compiere tale svolta. Quando aggiungiamo sempre più energia termica al ghiaccio, questo, a un certo punto, subisce una transizione di fase e si trasforma in acqua. Se viene aggiunta ancora più energia, si trasforma in vapore. La nostra pratica procede così. È possibile che restiamo a un certo livello per un po’, ma per avanzare al successivo abbiamo bisogno di aggiungere un’enorme quantità di energia aggiuntiva. Mediante l’energia di una sufficiente forza positiva, il nostro continuum mentale e la comprensione in esso contenuta subiranno una transizione di fase. Improvvisamente la nostra comprensione sarà a un livello molto più profondo.

È anche molto importante non essere mai soddisfatti del nostro attuale livello di comprensione. Fino a quando non saremo a un punto molto avanzato lungo il percorso – e possiamo dirci sicuri di non essere ancora a quel punto – non avremo capito né pienamente né sufficientemente in profondità. Non importa che età abbiamo, o per quanti anni abbiamo studiato il Dharma: possiamo sempre rivedere e migliorare la nostra comprensione per renderla ancora più precisa. Ciò, ovviamente, ci richiede di studiare e meditare ancora di più e andare ancor più in profondità. Man mano che la nostra mente diventa più aperta e siamo meno spaventati dalle implicazioni della vacuità, possiamo comprendere spiegazioni sempre più complicate e profonde.

Ulteriori necessità

Per progredire in questo modo dobbiamo essere totalmente convinti dell’importanza e della necessità di comprendere la vacuità. Inoltre, dobbiamo essere convinti che è qualcosa che non solo può essere conosciuto, ma può essere conosciuto pienamente. Cosa ancor più importante: abbiamo bisogno di essere convinti che “noi possiamo capirla pienamente, siamo in grado”. Se abbiamo poca autostima, come nel caso di molti di noi in occidente, questo può essere un grande ostacolo. Per superare la bassa autostima dobbiamo lavorare sugli insegnamenti riguardanti la natura di Buddha – quei fattori che tutti noi possediamo e che ci consentono di raggiungere lo stato di Buddha.

Inoltre, non saremo mai in grado di capire la vacuità se non abbiamo almeno un buon livello di concentrazione, in modo che sia funzionale. Non è necessario che la nostra concentrazione sia perfetta, ma se la mente vaga costantemente, o tende al torpore e alla sonnolenza, non c’è modo di imparare nulla sulla vacuità – figuriamoci se possiamo capirla! Come possiamo imparare, se non riusciamo nemmeno a leggere una pagina senza stancarci o divagare mentalmente?

Capiamo, quindi, che se vogliamo davvero ottenere la liberazione e l’illuminazione, e aiutare anche gli altri a raggiungerle, abbiamo bisogno di una grande preparazione. Quando capiremo che ci vorrà molto tempo e che dobbiamo procedere lentamente, passo dopo passo, allora avremo la pazienza necessaria per questo grande sforzo. Dobbiamo essere realistici riguardo al percorso buddhista e, in particolare, il tentativo di sviluppare una sincera finalità di bodhichitta, che è estremamente avanzata e difficile da sviluppare. È importante non banalizzare l’aspirazione ad aiutare tutti gli esseri che sono limitati, pensando che non sia importante o riducendola a parole semplicemente ripetitive, quali: “Sto praticando per il bene di tutti gli esseri senzienti”. Nella maggior parte dei casi, tali parole sono prive di un sentimento profondo e piuttosto insignificanti. Dobbiamo considerare la bodhicitta con serietà.

Quando ascoltate degli insegnamenti sulla bodhichitta, o sulla vacuità, che vi sembrano molto facili, per favore, tenete presente che ciò è segno del fatto che questi argomenti sono stati senza dubbio semplificati. Il problema non è che siano stati semplificati: il problema è la nostra arroganza o compiacimento in relazione a essi, perché pensiamo che siano molto facili. È necessario che ascoltiamo dapprima delle semplificazioni, per comprendere ciò che vogliamo capire a un livello più profondo. Altrimenti miriamo a qualcosa di misterioso e non abbiamo idea di che cosa effettivamente sia, e quindi perdiamo presto interesse. Oppure ci perdiamo, perché non abbiamo neppure una qualche idea di ciò cui aspiriamo.

Quando ascoltiamo delle spiegazioni che sono più complesse di ciò che siamo in grado di comprendere al momento presente, dobbiamo avere un approccio adeguato anche rispetto a esse. Un atteggiamento appropriato e utile è riconoscere questo: “Forse io ora non riesco a capire questo insegnamento, ma ci sono altre persone qui presenti nella stanza, oltre a me, e forse loro possono capirlo un po’ più in profondità”, e quindi rallegrarci di ciò. Tutti noi avremo livelli diversi di comprensione. Quindi, qualunque sia la nostra, va bene: c’è sempre qualcosa che non capiamo. Questa è la realtà e la accettiamo. Ecco che cosa significa essere realistici; non dobbiamo essere scoraggiati o imbarazzati per il livello attuale della nostra comprensione.

È importante non cadere nella trappola della convinzione di essere stupidi – il che serve solo a chiudere ulteriormente la nostra mente. Invece, semplicemente ci rendiamo conto di questo: “Non sono ancora a quel livello, dato che sono ancora molto giovane nei miei studi”. Adottando tale atteggiamento, ascoltare spiegazioni più complesse può diventare stimolante, anziché deprimente. Il fatto che ci siano alcune persone che in questo momento capiscono può anche essere una fonte di ispirazione. Invece di essere invidiosi o gelosi di loro, possiamo esserne ispirati e motivati a darci da fare di più, in modo che anche noi potremo capire qualcosa in più.

A meno che non abbiamo accumulato un’incredibile quantità di forza positiva nelle vite precedenti, la prima volta che ascoltiamo qualcosa non capiamo. Non siamo al livello di Sua Santità il Dalai Lama. Il mio insegnante, Serkong Rinpoche, era uno dei suoi insegnanti e lo accompagnava in tutte le lezioni che aveva con gli altri insegnanti. Rinpoche mi ha detto che si doveva spiegare qualcosa a Sua Santità una volta soltanto, perché egli la capiva immediatamente. Non soltanto la capiva al primo ascolto, ma la ricordava, anche, solo sulla base del primo ascolto, senza mai bisogno che qualcuno poi gliela ripetesse. Ricordava perfettamente tutto ciò che ascoltava e studiava. Avere una mente capace di fare tutto ciò richiede un’enorme quantità di forza positiva.

Però non siamo ancora a quel livello, giusto? Tuttavia, se Sua Santità è stato in grado di accumulare sufficiente forza positiva, noi possiamo fare lo stesso. L’attività mentale è soltanto attività mentale, indipendentemente da chi la svolge. E non c’è niente di speciale in alcun continuum mentale individuale. L’unica cosa che fa la differenza è la quantità di forza positiva e negativa accumulata su quel continuum mentale, che influenza la qualità della sua attività mentale. Quindi, se costruiamo la nostra forza positiva addestrandoci ora, diventerà sempre più facile progredire spiritualmente, non solo in questa vita ma anche in quelle future. Tuttavia, ci alleneremo soltanto se avremo una forte motivazione positiva a volerlo fare, basata sulla comprensione della grande necessità di farlo.

Se prendiamo seriamente in considerazione le vite future, anche se non comprendiamo appieno come funziona la rinascita, o con esattezza quali sono gli insegnamenti buddhisti al riguardo, tuttavia, avanzando con l’età, avremo una motivazione e una ragione ancora più forti per non interrompere il nostro studio e la nostra pratica. Vogliamo continuare ad addestrare la mente in modo da creare ancor più forza positiva. Ci alleneremo ancora più intensamente nel costruire buone abitudini, perché ci rendiamo conto che tali abitudini, consolidate, influenzeranno positivamente le nostre vite future.

A meno che non abbiamo il morbo di Alzheimer o qualcosa del genere, siamo sempre in grado di imparare qualcosa in più e di fare qualche progresso. Ho una studentessa a Berlino che ha più di ottant’anni, e tuttavia non si arrende. Continua a frequentare le lezioni, anche se cammina con il bastone e le risulta difficile viaggiare. Eppure si dà da fare, viene alle lezioni e cerca di capire. È di grande ispirazione per tutti.

Quindi, soprattutto se siete giovani, non mollate: c’è la possibilità di svolgere un gran lavoro. La vita è complicata, quindi non dovremmo immaginare che il percorso buddhista non sia complicato. Spesso i maestri ci dicono che, se siamo attratti da un percorso che è facile poiché non richiede troppo lavoro ed è veloce, ciò è indice di pigrizia.

Il bisogno di essere pazienti

Prima di approfondire l’argomento in questione, ossia la vacuità, vorrei indicare alcuni aspetti generali sullo studio della vacuità che potrebbero servire da base per rivedere questo seminario in futuro, lavorare su di esso e approfondire ulteriormente i punti che vorrei sollevare.

Lo scopo principale dei maestri che sono in visita come ospiti è offrirci nuovo materiale o spiegarci ciò che abbiamo già studiato, ma magari a un livello più avanzato o da un’altra prospettiva. Gli insegnanti in visita stanno con noi soltanto per un breve periodo. Con loro non c’è la possibilità di addentrarci in ciascun punto lentamente, in modo che tutti capiscano. Non c’è tempo per questo. Al contrario, infatti, un maestro in visita può solo presentare una sintesi. E questo vale anche quando Sua Santità il Dalai Lama insegna nel contesto di grandi incontri. Per la maggior parte di noi, la cosa principale che possiamo fare è raccogliere il materiale e poi lavorare su di esso in un secondo momento, per aggiungervi i dettagli e scoprirne le implicazioni. Quindi siate pazienti. Potete capire qualcosa al primo ascolto? Molto bene. Non capite qualcosa? Molto bene anche per questo: potete lavorarci successivamente, con i vostri insegnanti e tra di voi, e quindi procedere oltre e più in profondità. Capire la vacuità richiede del tempo. A Berlino, per esempio, ho insegnato il nono capitolo del testo di Shantideva Impegnarsi nella condotta del Bodhisattva, che concerne la vacuità, una volta alla settimana per due anni e mezzo, e siamo arrivati soltanto a un terzo!

I problemi linguistici

Dobbiamo anche essere consapevoli del problema della lingua. L’originale sanscrito, come il tibetano, è incredibilmente preciso nel definire i termini per tutti i diversi aspetti della vacuità. Non è facile trovare degli equivalenti nelle nostre lingue occidentali. Ed è ancora più difficile quando abbiamo traduzioni fuorvianti, basate su parole inventate cinquanta o cento anni fa. A quei tempi i traduttori non avevano a loro disposizione molto materiale che li aiutasse a scegliere la terminologia in modo più appropriato. La difficoltà aumenta ulteriormente quando traduciamo dall’inglese – dove già mancano i termini precisi – allo spagnolo o a qualsiasi altra seconda lingua.

Se siamo seri e vogliamo veramente capire bene, al punto attuale cui è giunta la storia della diffusione del Buddhismo dobbiamo imparare le lingue asiatiche originali. A meno che non siamo particolarmente portati per le lingue, non è necessario impegnarci come studenti e professionisti – apprendere cioè la lingua nella sua completezza e diventare traduttori. Piuttosto, ciò che è essenziale è imparare i termini tecnici nelle loro forme originali. Nella maggior parte dei casi i traduttori, se sono gentili, forniranno quantomeno un glossario dei termini da loro tradotti, oppure, come me, inseriranno in ogni loro articolo gli originali tibetani e sanscriti. Questo aiuta il lettore di un testo a capire di che cosa tratta.

Il problema più grande negli studi di Dharma in occidente e nell’Asia moderna, in particolare per quanto riguarda la vacuità, consiste nel fatto che ogni libro che leggiamo traduce le parole in modo diverso; così, non sappiamo come tenere insieme le diverse presentazioni. L’unica via d’uscita da questa difficoltà è imparare i termini originali. Così, quando vengono in visita dei maestri che hanno una preparazione sufficiente, e noi siamo confusi rispetto a ciò di cui stanno parlando, possiamo chiedere loro qual è il termine che stanno esaminando. Si tratta di un grosso problema che oggi ci troviamo ad affrontare e, sebbene implichi molto lavoro, non vedo altra via d’uscita. Non riusciremo mai a convincere tutti i traduttori a concordare sui termini da utilizzare.

La vacuità nel contesto delle quattro nobili verità

È sempre utile contestualizzare gli insegnamenti e, in questo caso, possiamo affrontare la vacuità dalla prospettiva delle quattro nobili verità.

  • La prima nobile verità parla della vera sofferenza, soprattutto della sofferenza onnipervasiva, ossia il fatto che i nostri aggregati contaminati – corpo, mente, emozioni, ecc. – provengono e sono accompagnati dall’inconsapevolezza circa la realtà. Proprio perché sono così, i nostri aggregati contaminati continuano a perpetuarsi con un’incontrollabile ricorrenza delle rinascite (samsara). Se non facciamo nulla per fermarlo, questo ciclo andrà avanti per sempre.
  • La causa del ciclo di rinascite – che continua in questo modo, proviene dall’inconsapevolezza, è accompagnato dall’inconsapevolezza e perpetua ancora più inconsapevolezza – è evidente: è l’inconsapevolezza circa la realtà. In altre parole, è l’inconsapevolezza della vacuità. Questa è la seconda nobile verità, la vera causa che provoca questa sofferenza onnipresente di base.
  • La terza nobile verità riguarda i veri arresti. Di che cosa vogliamo un vero arresto? Vogliamo un vero arresto di questa inconsapevolezza della realtà, della vacuità.
  • Che cosa si libererà della nostra inconsapevolezza, in modo che non si ripresenti mai più? Una vera mente-sentiero che comprende la vacuità in modo non concettuale e quindi ci libera da questa inconsapevolezza per sempre. In tal modo, una simile mente-sentiero ci libera anche, per sempre, dalla vera sofferenza. Questa è la quarta nobile verità, una vera mente-sentiero che comprende la vacuità.

Così possiamo renderci conto di come tutte le quattro nobili verità riguardino la vacuità. Descrivono che cosa succede quando non la capiamo e che cosa succede quando, invece, la comprendiamo.

L’inconsapevolezza

Che cos’è, allora, questa inconsapevolezza? Per capirlo dobbiamo tornare alla domanda: che cos’è l’attività mentale? Possiamo descriverla come la creazione di un ologramma mentale di qualcosa. E questa equivale a conoscere quell’oggetto – vedendolo, ascoltandolo, pensandolo e così via. Dopotutto, quando vediamo una cosa, accade soltanto questo: la luce proveniente da un oggetto colpisce le cellule fotosensibili dei nostri occhi; ciò si traduce in impulsi elettrici e processi chimici, e così si verifica l’esperienza soggettiva individuale della consapevolezza di un ologramma mentale che rappresenta l’oggetto.

L’attività mentale non è altro che questo. Non esiste un “io” separato da questo intero processo, che fa sì che abbia luogo e usa una macchina chiamata “mente” per farlo accadere. Né c’è un “io” seduto da qualche parte nella nostra testa, separato dall’attività mentale e che la osserva mentre accade. Semplicemente, l’attività mentale individuale e soggettiva accade. Tuttavia, a causa delle nostre tendenze all’inconsapevolezza della realtà, la nostra attività mentale produce ologrammi mentali di cose che non esistono, come ad esempio di un “io” esistente indipendentemente da tale attività mentale, intento a vedere o pensare qualcosa. E la cosa davvero orribile, in tutto ciò, è che si ha anche la sensazione che sia così: si ha la percezione che ci sia un “io” separatamente esistente.

L’inconsapevolezza è un fattore mentale disturbante; è uno dei fattori mentali inclusi negli aggregati che accompagnano la creazione di un ologramma mentale. Più precisamente, l’inconsapevolezza accompagna la nostra cognizione dell’ologramma mentale ed è una certa modalità di coglierlo cognitivamente – un certo modo di conoscere tale ologramma.

Possiamo renderci conto di come l’inconsapevolezza colga cognitivamente un oggetto, distinguendo due livelli. Il primo consiste nel fatto che l’inconsapevolezza semplicemente non sa che ciò che le appare non corrisponde a nulla di reale. Non sa che ciò che appare è qualcosa di impossibile. Il livello più profondo di comprensione, ossia quello Prasangika, consiste nel fatto che l’inconsapevolezza conosce il suo oggetto in modo opposto [a come esiste]; in altre parole, considera il suo oggetto come corrispondente a qualcosa di reale, e questo è l’opposto di ciò che è corretto. Non soltanto non sa che ciò che appare è impossibile: l’inconsapevolezza lo considera veramente come qualcosa che è possibile.

Fenomeni che sono negazione

Quando capiamo che quanto appare non corrisponde a ciò che è reale, che semplicemente non è possibile che vi corrisponda – ossia, ciò che dobbiamo capire quando comprendiamo la vacuità – abbiamo a che fare con un fenomeno che è negazione. Nella disamina rispetto a ciò che esiste e ciò che non esiste, ciò che esiste è tutto ciò che può essere conosciuto in modo valido. Ciò che non esiste – ad esempio, qualcosa di impossibile come degli invasori provenienti dalla quinta dimensione – può essere conosciuto, ma non può essere conosciuto in modo valido.

Ciò che esiste – ciò che può essere conosciuto in modo valido – può essere classificato in vari modi. Uno di questi è la suddivisione in cose che sono statiche e cose che sono non statiche, ma c’è un altro modo di dividere la torta. La torta di ciò che esiste, di ciò che può essere conosciuto in modo valido, può anche essere suddivisa in fenomeni-affermazione (sgrub-pa) e fenomeni-negazione (dgag-pa): fenomeni che sono affermazioni e fenomeni che sono negazioni. Si pensi a statico e non statico come alla divisione della torta in orizzontale, e ad affermazione e negazione come alla sua divisione in verticale.

Dobbiamo prestare attenzione a questo punto. Non stiamo parlando di positivo e negativo come di qualcosa che è costruttivo o distruttivo. Un esempio di un fenomeno-affermazione è “un bicchiere”, e un fenomeno-negazione è “non un bicchiere”. Quando vediamo un oggetto, possiamo conoscere in modo valido “questo è un bicchiere” e possiamo anche conoscere in modo valido “questo non è un bicchiere”. Quando conosciamo un fenomeno-affermazione, semplicemente affermiamo: “questo è un bicchiere”. Non dobbiamo conoscere nient’altro per conoscere “bicchiere”; invece, per conoscere in modo valido “non un bicchiere”, prima di poter conoscere “non un bicchiere” dobbiamo innanzitutto conoscere “bicchiere”.

Questo è un discorso affascinante cui potremmo dedicare molto tempo, perché potremmo approfondire l’intera questione che concerne il modo in cui un bambino impara: prima pensa che tutto sia cibo, e si mette tutto in bocca, ma poi deve imparare “non cibo”, giusto?

Esistono due tipi di fenomeni-negazione. Uno è “questa non è una mela”; il secondo è “non ci sono mele”. Nella terminologia tecnica mi piace chiamarli negazioni implicanti (implicative) (ma-yin dgag) e negazioni non implicanti (non-implicative) (med-dgag). Altri traduttori li definiscono negazioni affermative e non affermative.

Non è necessario addentrarci nei dettagli tecnici, in questa sede. “Questa non è una mela” e “non ci sono mele” sono entrambi fenomeni-negazione ma sono diversi, giusto? Il primo, “questa non è una mela”, dopo aver negato la “mela” lascia “questa”. In altre parole, ci rimane un “questa”, nonostante tale “questa” non sia una mela. È qualcos’altro, altro da una mela. “Non ci sono mele”, invece, dopo aver negato “mele” non lascia nulla. Semplicemente, non ci sono mele. Questa è la differenza.

Anche del secondo tipo di fenomeno-negazione esistono due tipi: “non ci sono mele” e “non ci sono invasori provenienti dalla quinta dimensione”. Il primo è “non c’è qualcosa che potrebbe esserci ma non c’è”; il secondo è “non c’è qualcosa che è impossibile e non potrebbe mai esserci”. La vacuità è questo secondo tipo di fenomeno-negazione. Non esiste l’oggetto di riferimento dell’ologramma mentale di qualcosa di impossibile. In altre parole, la vacuità è una totale assenza: la totale assenza di un oggetto di riferimento che corrisponda all’ologramma mentale.

Ad esempio, un bambino ha un ologramma mentale di un mostro sotto il letto e ne è spaventato. Eppure il mostro non esiste: l’ologramma mentale non corrisponde a nulla di reale. La paura del bambino non si basa sul vedere o sentire un vero mostro sotto il letto, cui seguirebbe la creazione mentale di un ologramma. C’è la totale assenza di un mostro sotto il letto. Il suo ologramma mentale nasce semplicemente dalla paura del bambino. Questo è un esempio di negazione non implicante di un oggetto che non corrisponde alla realtà.

La vacuità, tuttavia, è una negazione non implicante di una modalità di esistenza che non corrisponde alla realtà – per esempio, quella di un gatto che esiste come mostro. Quando un bambino immagina che il gatto sotto il letto sia un mostro, l’ologramma mentale non proviene da un mostro reale che è sotto il letto. Giunge dal proiettare una modalità di esistenza impossibile sul gatto, che effettivamente è lì. La vacuità, quindi, è la totale assenza di una modalità di esistenza di riferimento che corrisponda alla modalità di esistenza che appare nell’ologramma mentale. Nulla esiste come mostro: questa è una modalità di esistenza impossibile, perché non esiste nessun mostro.

I nostri ologrammi mentali di cose impossibili e di modi impossibili di esistere sono soltanto le creazioni delle nostre tendenze all’inconsapevolezza. Non provengono da una cognizione valida di ciò che realmente esiste, come quando vediamo qualcosa – o la ascoltiamo e così via –in modo valido, attraverso un suo accurato ologramma mentale. A causa delle nostre tendenze alla paranoia, ad esempio, la mente proietta ologrammi mentali che ci presentano tutti contro di noi. Ma questo scenario è impossibile. Magari una o due persone sono contro di noi, ma non è possibile che tutti coloro che finora sono esistiti ci odino. Eppure, la persona che ha paranoia ha questa sensazione e crede che tutti siano contro di lei. Per lei è reale, ma di fatto non è reale. La percezione di un ologramma mentale di qualcosa di impossibile sconvolge veramente la persona; tuttavia, non corrisponde a nulla di reale.

Ancora: per capire “questa non è una mela” dobbiamo capire “mela”. Pertanto, per capire che “questa cosa impossibile non esiste”, dobbiamo capire “questa cosa impossibile”. Tuttavia, non possiamo conoscere in modo valido qualcosa che è impossibile, perché è non esistente. Perciò, come possiamo conoscere in modo valido qualcosa che è impossibile, per capire che non esiste una cosa del genere? La soluzione è questa: possiamo conoscere in modo valido l’apparenza di qualcosa di impossibile, anche se non possiamo conoscere in modo valido la cosa impossibile in sé stessa. Dato che possiamo conoscere in modo valido, in questo modo indiretto, ciò che è impossibile, Tsongkhapa, il fondatore della tradizione Gelug, enfatizza il “conoscere l’oggetto che è da confutare”. Dobbiamo sapere che cosa viene negato per capire che non esiste nulla del genere. Se non possiamo identificare correttamente cosa è impossibile negli ologrammi mentali che la nostra attività mentale fa apparire a noi, non saremo mai in grado di confutarlo e di smettere di credere in esso.

Diversi livelli di modi impossibili di esistere

Sul piano delle apparenze di ciò che è impossibile, abbiamo proiezioni di molti diversi livelli di modalità di esistenza che sono impossibili: non si tratta soltanto della proiezione di un unico modo impossibile. Le diverse posizioni filosofiche buddhiste indiane, i cosiddetti sistemi di “principi”, sono estremamente utili da studiare perché ci aiutano a capire, in un ordine graduale, ciò che è impossibile.

Iniziamo dapprima con il livello più grossolano e, una volta che l’abbiamo confutato e ci siamo liberati del fatto di crederci, continuiamo con il confutare i livelli più sottili della proiezione di qualcosa di impossibile. Attraversando queste scuole nel loro ordine graduale arriviamo a riconoscere proiezioni sempre più sottili, fino a quando alla fine ci liberiamo della più sottile proiezione di modalità impossibili di esistenza. Tuttavia, è soltanto quando ci siamo liberati del primo livello di proiezione che ci diventa chiaro quali sono le modalità impossibili più profonde che ancora rimangono. Solo allora è possibile liberarci del livello successivo. Senza passare attraverso questo processo, è davvero molto difficile.

Se andiamo subito a considerare il livello più sottile della proiezione, e lo neghiamo, la modalità di esistenza impossibile che confutiamo può sembrarci banale. Ad esempio, ci chiediamo: “Dov’è l’io? È nel nostro naso, nell’ascella, nelle gambe, nello stomaco?”. Quando cerchiamo il sé, non riusciamo a trovarlo – e quindi? Posta in questi termini, la questione del sé diventa banale, perché non abbiamo attraversato tutti i passaggi precedenti per capire che cosa questa domanda significhi veramente.

Ad esempio, quando in inverno entriamo in un luogo chiuso, arrivando dal freddo, e vogliamo spogliarci del tutto, prima dobbiamo toglierci il cappotto; poi il maglione; poi la camicia e infine la biancheria intima. Non possiamo semplicemente sfilarci la biancheria intima senza passare per gli altri passaggi. Penso che questa sia un’immagine utile per ricordarci dell’importanza di attraversare ciascuno di questi sistemi e capire veramente di che cosa parlano, anche se ciò richiede pazienza e molto tempo. Ciascuno di essi è complesso e profondo.

Oggi ci sono a disposizione molte traduzioni di testi sanscriti e tibetani che spiegano la vacuità al livello più profondo. Dobbiamo chiederci: a chi erano destinati questi libri, originariamente? Erano rivolti ai monaci che già studiavano da molto tempo. Questi testi non sono mai stati concepiti come introduzioni alla vacuità per principianti! I tibetani che si formano nei monasteri non li studiano per primi: hanno bisogno di studiare la logica, il dibattito e i vari sistemi di principi per molti anni, prima di arrivare a questo materiale. Quindi, sebbene si tratti di un lungo processo, è utile iniziare con la spiegazione cosiddetta "semplice", della prima scuola di principi filosofici, e cercare di digerire le sue implicazioni, prima di passare a spiegazioni più sottili e avanzate.

L’esempio Vaibhashika

Come dice Shantideva, se riusciamo a comprendere un principio di base a un livello semplice, possiamo poi andare sempre più in profondità utilizzando questa comprensione come un’analogia. Lasciate che vi faccia un esempio. La prima scuola di sistemi di principi buddhisti indiani da noi studiata si chiama Vaibhashika. Essa indica che ci sono due tipi di fenomeni veri. Ci sono cose che sembrano essere solide e ci sono gli atomi di cui sono fatte. Sia gli oggetti solidi sia i loro atomi costituenti sono descrizioni corrette di ciò che ci appare. Poiché però sono ciò che appare da due diversi punti di vista, sono chiamate le due verità.

Se ci riflettiamo in modo più profondo, il livello al quale tutto sembra solido è quello superficiale, chiamato anche il livello dell’apparenza; i veri fenomeni più profondi, invece, sono gli atomi che costituiscono la materia. Entrambi i fenomeni – oggetti solidi e atomi – sono veri, ma uno è una verità più profonda. Pensateci. Questa sedia e il mio corpo sono entrambi delle raccolte di atomi. Ciò significa che sono campi energetici e, principalmente, spazio vuoto. Eppure, io non cado sul pavimento passando attraverso la sedia. Le implicazioni di questi due fatti sono incredibili.

Possiamo ora comprendere la similitudine secondo cui tutto è come un’illusione. Che la sedia e il mio corpo siano solidi è simile un’illusione: sembrano essere solidi, ma in realtà sono entrambi delle raccolte di atomi. Pertanto, la loro solidità è come un’illusione. Ma ora dobbiamo aggiungere a questa affermazione la frase più importante, ossia: “Eppure funzionano: io non cado a terra attraverso la sedia”. Se siamo davvero in grado di accettare, ponderare e assimilare il fatto che le cose sono come un’illusione, perché sembrano essere solide eppure non lo sono, e tuttavia funzionano – se possiamo accettarlo, e affrontare la vita alla luce di questa comprensione senza impazzire, siamo pronti per passare al livello successivo, quello di un’illusione più sottile.

Il successivo livello di illusione consiste nel fatto che il mio umore, ad esempio, sembra essere solido, ma in realtà è una raccolta di brevi momenti, tutti diversi tra loro. Anche la solidità del mio umore è quindi simile a un’illusione; tuttavia, questo cattivo umore è riuscito a rendere penosa la mia giornata.

La lingua è ancora più miracolosa nel modo in cui funziona, perché tutto ciò che accade in un momento, tutto ciò che udiamo in un momento, è una piccola parte del suono di una lettera di una parola. Nel momento successivo, quel piccolo suono non esiste più; tuttavia, non sembra forse che le parole e le frasi che noi e gli altri pronunciamo siano solide e reali? La loro solidità è simile a un’illusione; tuttavia, tra di noi possiamo comunicare.

Non sottovalutate la Scuola Vaibhashika, non pensate che sia un passaggio così semplice da poter essere banalmente saltato con un “Ah, sono solo cose da ragazzi!”. Essa offre una visione del mondo che è incredibilmente profonda e vera, e ci richiede molto tempo affinché possiamo assimilarla ed essere in grado di integrarla nella nostra vita. Possiamo facilmente comprendere questo punto intellettualmente, come parte del sistema di principi, ma è soltanto quando l’abbiamo digerito che siamo emotivamente pronti a passare al livello di proiezione successivo. Quindi la comprensione del fatto che “tutto è come un’illusione, eppure tutto funziona” è come una scala. Se riusciamo ad attuare tale comprensione sul primo gradino della scala, nella forma di oggetti costituiti di atomi ed eventi mentali costituiti di momenti, siamo pronti per passare al gradino successivo. Siamo pronti a capire un livello più sottile del fatto che ciò che è come un’illusione tuttavia funziona. Dobbiamo iniziare a salire su questa scala montando innanzitutto sul primo piolo. Gli altri sono troppo alti e difficili da raggiungere da terra.

Alla fine, capiremo la vacuità al livello più profondo: gli ologrammi mentali di persone, oggetti ed eventi che ci appaiono sono simili a un’illusione. Il modo in cui sembrano esistere non corrisponde al modo in cui le cose realmente esistono. C’è una totale assenza (una vacuità) di quella modalità di esistenza impossibile. Eppure, nonostante sia come un’illusione, tutto funziona.


Video: Tenzin Wangyal Rinpoche — “Evitare il fondamentalismo”
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Domande

La proiezione del mostro sotto il letto da parte del bambino è lo stesso tipo di fenomeno che abbiamo nelle proiezioni nevrotiche di noi adulti, ad esempio in relazione all’amare o odiare persone particolari? Il fatto che noi adulti siamo condizionati già da molto tempo, mentre i bambini non lo sono, fa la differenza?

Le proiezioni di adulti e bambini sono, sostanzialmente, lo stesso tipo di fenomeno: entrambe sono eventi disturbanti che sorgono automaticamente. Non dobbiamo insegnare al bambino a proiettare un mostro sotto il letto, e non dobbiamo insegnare a un adulto ad amare o odiare qualcuno. A un livello semplice, possiamo dire che tutti noi esageriamo, sia i bambini che gli adulti. Aggiungiamo cose che non ci sono o esageriamo ciò che c’è. La rabbia, ad esempio, esagera le qualità negative di qualcuno. Esageriamo l’importanza di “tu hai detto questo a me…!” fino a escludere ogni altra cosa nel nostro rapporto con la persona, e poi ci arrabbiamo.

Possiamo anche esagerare le qualità positive e, ad esempio, essere attratti da un’altra persona sulla base di uno specifico sguardo che ci ha rivolto. Per via della nostra inconsapevolezza, non sappiamo che tale ologramma mentale ingigantito non corrisponde alla persona reale, oppure lo consideriamo nel modo opposto: “Sì! Questa è la persona più incredibile che ci sia”. In realtà, è solo una persona che ci ha guardato in un certo modo.

L’influenza della nostra società e cultura può rafforzare la nostra tendenza automatica a esagerare gli aspetti positivi e negativi di persone, eventi e oggetti, ma anche senza questa influenza proveremmo rabbia o attaccamento per le cose, esagerando qualcosa che le riguarda. Allo stesso modo, magari la società può parlare dei mostri ai bambini e influenzarli, ma questi si spaventeranno automaticamente, in ogni caso, per i rumori che sentono di notte.

Tornando alla persona che si spoglia… Potremmo dire che i diversi sistemi di principi hanno l’obiettivo di fornirci delle tappe graduali attraverso le quali possiamo liberarci dei diversi livelli delle nostre proiezioni?

Sì, questo è il modo in cui i tibetani vedono la questione. Storicamente, i sistemi di principi si sono sviluppati in India autonomamente, in tempi – e spesso anche luoghi – diversi. In origine c’erano persone e scuole che seguivano l’uno o l’altro di questi sistemi, ed è in questa forma che il Buddhismo è arrivato in Cina. Quindi alcune scuole buddhiste cinesi seguono soltanto un sistema di principi indiano. Tuttavia, in tempi più tardi, nel curriculum delle università monastiche indiane come quella di Nalanda questi sistemi sono stati studiati insieme, come un tutt’uno, e quindi i tibetani, che hanno visitato questi monasteri, li considerano come un percorso graduale.

È anche importante ricordare che il sistema di principi più profondo potrebbe non essere adatto a una specifica persona, per esempio a noi stessi. Un giorno potrà esserlo, ma per ora forse dobbiamo renderci conto che un’altra scuola e spiegazione è già sufficiente, perché per noi ora è efficace, e questo è tutto ciò che possiamo gestire, al momento. Va bene così, in particolare se siamo consapevoli che ci sono livelli più profondi.

Dobbiamo ricordare che tutti i livelli sono di beneficio e possiamo compiere grandi progressi in ciascuno di essi. È anche importante non insistere troppo nello studio e non cercare di superare ciò per cui siamo pronti, intellettualmente ed emotivamente. Unitamente a ciò, anche se potremmo leggere i testi di Prasangika prima di essere pronti per essi, e questi mettono in luce le conclusioni assurde che derivano dalle credenze dei sistemi di principi meno sofisticati, non pensate neppure per un momento che tali altre scuole siano stupide. Come diceva il mio maestro Serkong Rinpoche, pensare in questo modo è un segno di arroganza. Buddha le ha insegnate tutte per aiutare le persone.

Quando siamo sotto pressione e proiettiamo a un ritmo molto alto, che cosa possiamo fare per fermare il torrente delle proiezioni?

Esistono delle misure provvisorie che possiamo adottare, e delle misure definitive. Comprendere la vacuità e applicarla è una misura definitiva. Come ho spiegato in precedenza, abbiamo bisogno di un’enorme quantità di preparazione, forza positiva, concentrazione e così via per poter applicare una corretta comprensione della vacuità. Dapprima applichiamo delle misure provvisorie, la più semplice delle quali è concentrarci sul respiro. Perché? Perché ci riporta al nostro corpo ed è piuttosto regolare e costante. Il respiro ci radica e ci fa tornare al presente quando ci perdiamo nelle nostre fabbricazioni mentali. Questo è raccomandato come misura provvisoria di base. Non risolverà il problema per sempre, ma ci aiuta a calmarci – cosa sicuramente necessaria.

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