La via di mezzo tra controllo totale e apatia totale
Da quanto ho capito, ci sono due estremi: quello del controllo totale di tutto e quello del sedersi senza fare nulla e dire: "Non importa", ovvero non fare nulla e accettare semplicemente qualunque cosa accada. Quindi, in che modo il Buddhismo definisce la via di mezzo, una posizione intermedia tra i due estremi del controllo totale e del fregarsene di tutto?
La via di mezzo è fare ciò che possiamo, senza sopravvalutare l'effetto che avrà. Per esempio: io ho un sito web. Perché l’ho aperto? Per diversi motivi, il primo tra tutti è che ho avuto l'incredibile privilegio e la buona fortuna di studiare con il Dalai Lama e i suoi insegnanti – diversi grandi maestri dell'ultima generazione che avevano ricevuto la loro intera formazione in Tibet. Ho vissuto in India per ventinove anni con i tibetani e tutto ciò che ho studiato l’ho trascritto, poiché si trattava della tradizione autentica e reale. Ho viaggiato in tutto il mondo, prima come interprete del mio insegnante, e poi dopo la sua morte sono stato invitato a insegnare in tutto il mondo. Ho tradotto un numero incredibile di libri e altri materiali. Alla fine mi sono trovato con circa 30.000 pagine di materiale inedito e non volevo che fosse gettato nella spazzatura alla mia morte; così ho voluto condividere gli insegnamenti autentici che ho ricevuto.
Quello che notai in occidente fu che il livello del Buddhismo, il modo in cui veniva praticato e insegnato in occidente, era molto diluito, molto annacquato. Avrei potuto semplicemente sedermi e dire: “Bene, questi sono tempi di degenerazione, non c'è niente che io possa fare. È inevitabile che gli insegnamenti vengano distorti”. Oppure sarei potuto cadere nell'altro estremo: "Sarò il salvatore del Buddhismo": entrambi sono estremi.
Invece ho pensato: “Bene, ho il materiale e posso creare un gruppo di persone che mi aiuti a creare questo sito web. In realtà, qualcuno si è offerto di creare il sito per me, tanto per cominciare. Farò del mio meglio per rendere disponibile questo materiale. Se la gente lo legge, meraviglioso. Se è utile, meraviglioso. Spero di poter contribuire un po', ma mi rendo conto che questo non salverà l'universo”.
Da un lato sono rilassato rispetto a questo, ma dall'altro ci lavoro costantemente. È così che passo il mio tempo, occasionalmente viaggio per insegnare. Lavoro sul sito sempre, ogni giorno e mi piace. Non lo trovo spiacevole e, molto lentamente, sta crescendo. Il sito web è attivo dal novembre 2001 e attualmente è visitato in media da 3000 persone che lo leggono ogni giorno. Ci aspettiamo di avere circa un milione di visitatori nel 2011. Quindi sicuramente avrà un certo impatto, ma non lo esagero pensando che cambierà tutto, e ora il Buddismo non sarà più annacquato in occidente – certo che no. Quindi, ti rallegri di ciò che puoi fare, di ciò che puoi realizzare e non ti penti o ti senti male per ciò che non puoi fare.
C'è un concetto molto importante del sentiero buddhista chiamato "intento eccezionale", intento significa che lo farò sicuramente. Ha a che fare con il raggiungimento dello stato illuminato di Buddha, per poter beneficiare gli altri il più possibile. L'atteggiamento è che mi assumerò la responsabilità; anche se nessun altro lo farà, io lo farò. Questo non significa che io sia l'unico a poterlo fare, tuttavia non mi interessa se non ottengo alcun aiuto. Niente mi fermerà, lo farò. Significa accettare tutte le difficoltà che si presenteranno e non essere irrealistici al riguardo – capire che ci saranno sfide. Ma come ho detto, si fa quel che si può. Questa perseveranza è chiamata "perseveranza simile ad un'armatura", è come indossare una corazza; non importa quanto sarà difficile – non mi interessa – non mi fermerò.
L’orgoglio egotistico per la ricerca dell'illuminazione
La mia domanda è più legata alla religione buddhista e non alla filosofia in quanto tale e riguarda la motivazione fondamentale nel Buddhismo, la motivazione di raggiungere l'illuminazione al fine di aiutare tutti – c'è qualcosa di assolutamente eccezionale in questo. Posso dire che raggiungerò questo obiettivo e salverò tutti gli esseri. Ma come posso evitare la trappola del provare orgoglio egoistico nel raggiungere l'illuminazione?
C'è una differenza tra fiducia in sé stessi e ossessione per sé stessi. Quando dico con questo intento eccezionale, “Non mi interessa quanto sia difficile, io lo farò", ciò non deve essere detto da una posizione di un grande ego, come in: "Quanto sono meraviglioso, posso farlo e che lo farò". Lo fai solo perché deve essere fatto. Shantideva ha ben detto che la sofferenza non ha proprietari e non dovrebbe essere rimossa perché è la mia o la tua sofferenza: deve essere rimossa semplicemente perché è sofferenza e fa male. Quindi se c'è una spina nel tuo piede, la mano aiuta il piede e rimuove la spina, senza dire: “Bè, io sto bene quassù. Quella spina è un tuo problema”. Quindi ci assumiamo la responsabilità di farlo – lo fai perché deve essere fatto.
Visto che dici di venire da un ambiente buddhista, bisogna decostruire il fatto che ci sei tu, l'agente dell'azione; ci sono quelle persone che ti stai sforzando di aiutare; c'è quello che stai facendo, l'azione stessa; tutti questi dipendono l'uno dall'altro. Non basta isolarne uno e gonfiarlo: "Io, sono io quello che lo sta facendo". Le tue azioni dipendono dalla presenza di altre persone che saranno le destinatarie dei tuoi sforzi e, qualunque cosa tu stia facendo, richiede l'aiuto e la collaborazione degli altri.
Quindi bisogna costantemente meditare e tenere presente come esisto in termini di qualunque cosa stia facendo, senza trasformarlo in un’esagerazione dell'ego. Come fai a sapere che è un’esagerazione egoista? Lo è quando ti senti insicuro e l'energia dentro di te non è pacifica. Forse ti preoccupi di ciò che la gente penserà di te, pensi "Sono abbastanza bravo?", sei preoccupato di deludere gli altri e così via. Fallo e basta. Agisci solo meglio che puoi.
Teorie sulla felicità: confronto tra Buddhismo e psicologia moderna
Ho una domanda più teorica sugli aspetti della nostra esistenza, sull'infelicità e le sue cause. La spiegazione buddhista di ciò che provoca l'infelicità sembra essere simile alle spiegazioni fornite da varie scuole della moderna psicologia occidentale; per esempio, la psicologia positiva di Seligman, la psicoanalisi di Erich Fromm o la psicologia esistenziale di Viktor Frankl. Qual è la differenza tra il punto di vista buddhista e la psicologia moderna, riguardo alla felicità e alle sue cause?
Qui differenziamo tra scienza e filosofia buddhista rispetto alla religione buddhista. Tuttavia, in realtà non esistono separatamente e quindi se vogliamo considerare la psicologia buddhista in un modo più completo, allora dobbiamo introdurre il concetto di vite passate e future. Il Buddhismo afferma che la felicità e l'infelicità sono il risultato di comportamenti precedenti.
In primo luogo c'è la consapevolezza del contatto, che è la consapevolezza di qualcosa come piacevole, spiacevole o neutrale quando entriamo in contatto con esso. Perché sperimentiamo qualcosa di piacevole o spiacevole? A volte il contatto con lo stesso identico oggetto (ad esempio un amico) può essere vissuto come piacevole o spiacevole. Ad un certo livello, il modo in cui viviamo questo contatto è influenzato da ciò che è accaduto nel nostro precedente incontro: ci siamo divertiti o abbiamo litigato. È anche influenzato dal nostro stato d'animo o dalla situazione quando incontriamo il nostro amico: siamo soli e desideriamo compagnia, oppure siamo occupati o stanchi. Ma a un livello più profondo, la qualità della nostra consapevolezza di contatto nell'incontrare il nostro amico è il risultato dei potenziali positivi o negativi che abbiamo accumulato nelle vite precedenti dal nostro comportamento. I potenziali positivi del nostro precedente comportamento costruttivo rendono piacevole il contatto con il nostro amico e ci sentiamo felici. D'altra parte, se viviamo questo contatto come spiacevole e ci sentiamo infelici, questo è il risultato di potenziali negativi del nostro precedente comportamento distruttivo. Comportamento distruttivo significa agire, parlare o pensare sotto l'influenza di emozioni disturbanti, come rabbia, attaccamento, avidità o ignoranza.
Supponiamo che quando entriamo in contatto con il nostro amico lo sperimentiamo come spiacevole e ci sentiamo infelici. La circostanza potrebbe essere che abbiamo avuto una discussione l'ultima volta che ci siamo incontrati o, anche se ci siamo divertiti, siamo di cattivo umore. Ma questa è solo la circostanza per la comparsa dell'aspetto compulsivo. Essendo infelici, abbiamo voglia di fare qualcosa, ad esempio urlare "Vattene!". Sono infelice e, proprio come quando ho sete, voglio allontanare quella brutta sensazione: “Non mi piace quell'infelicità. Portala via da me!”. Quindi ora, sulla base di una precedente tendenza a urlare, sorge l'impulso a urlarti compulsivamente, e pensando che, se te ne vai, la mia infelicità sparirà. Ciò porta all’istinto di urlare; penso di urlare e poi lo faccio. Poi, dato che l'urlo è una sensazione spiacevole e crea ancora più infelicità, il nostro urlare istintivamente accumula ulteriori cause non solo per ripetere questa abitudine di urlare, ma anche per sperimentare in futuro l’entrare in contatto con più cose spiacevoli e l’essere di nuovo infelici. Il Buddhismo ci fornisce questa analisi molto approfondita.
Tutto ciò deriva dalla confusione su me stesso e su come esisto. Ciò su cui devo concentrarmi è che queste proiezioni, queste fantasie su come penso di esistere – che dovrei essere sempre felice, fare sempre a modo mio e così via – tutto ciò non corrisponde a nulla di reale. L'affermazione del vuoto è piuttosto singolare e non si trova generalmente nella psicologia occidentale. Stiamo reagendo a qualcosa che in realtà non è reale e il vuoto si riferisce a un'assenza; qualcosa è totalmente assente e non c'è mai stato. Ciò che è totalmente assente è un oggetto nella realtà che corrisponda alla mia proiezione di ciò che è impossibile, una figura corrispondente nella realtà di ciò che sto proiettando, che è impossibile. Ad esempio, un "io" che è il centro dell'universo e dovrebbe sempre fare a modo suo. Potrei pensare così, potrei sentirmi così, ma in realtà non c'è nulla che corrisponda a questo. L'esempio che uso spesso: il partner perfetto, come il principe o la principessa sul cavallo bianco che mi soddisferà in tutti i modi è una favola, nessuno esiste così. Quando ci concentriamo sulla totale assenza di quell'oggetto, quando ci rendiamo conto che non esiste una cosa del genere, quando ne siamo convinti – allora tutte le emozioni compulsive e disturbanti (che sono basate su questa falsa credenza) si fermano.
Gli esseri umani possono diventare perfettamente razionali?
La mia domanda è più filosofica. All'inizio della lezione ha detto che una delle cause della nostra sofferenza è l'irrazionalità. Pensa che un essere umano possa diventare perfettamente razionale?
Una delle cause della sofferenza è l'irrazionalità. Credo che gli esseri umani possano diventare perfettamente razionali? Prima di tutto, essere razionali non significa non avere emozioni. Essere razionali significa che il nostro modo di pensare, il nostro modo di comprendere sono validi. Ad esempio, è irrazionale pensare che io sia l'unico al mondo ad avere questo problema. È irrazionale e non ha alcun senso. Così, quando siamo razionali a riguardo, ci rendiamo conto che molte persone hanno lo stesso problema, permettendoci di provare compassione, amore e comprensione per loro.
Molti dei nostri pensieri, ovviamente, sono irrazionali. Questo perché non ci alleniamo veramente analizzando: come sto pensando? È un modo di pensare corretto o errato? Ma con l'allenamento, penso che sia possibile correggere il nostro pensiero: questo è ciò che facciamo in meditazione, analizziamo i nostri sentimenti. Ad esempio, forse mi sento arrabbiato: rivedo cosa è successo durante il giorno rendendomi conto che ero arrabbiato per questo o per quello. Poi mi chiedo perché, e mi rendo conto di essere arrabbiato per questa o quella ragione, il che è irrazionale. Non sono ragioni corrette. Quando analizzo e decostruisco, vedo la situazione in un modo completamente diverso, che è molto più razionale, e così non sono più arrabbiato; mi alleno in meditazione per non essere così irrazionale, così da non esserlo nella vita quotidiana.
Nell'addestramento buddhista tibetano, il sistema educativo si basa sulla logica e sul dibattito. Il punto del dibattito consiste nello scoprire le incoerenze nel processo di pensiero e nel pensiero di altre persone. Si dichiara la propria comprensione di qualcosa, e poi l'altra persona la mette alla prova e la testa per vederne la coerenza. Da solo, non metterai mai in discussione la tua comprensione in modo critico come faranno gli altri. E il risultato della formazione del dibattito è che esegui un'analisi critica rispetto a qualunque pensiero. Dopo un po' non deve essere un'analisi verbale, è la tua mente che pensa così. Hai certezza nella tua comprensione e non c'è incoerenza, che ti prepara ad essere molto più efficiente nella meditazione. Se stai cercando di meditare sull'impermanenza, ad esempio, ma non la capisci davvero o ne sei confuso, allora non ne trarrai alcunché se non più confusione.
Una cosa a cui devi stare attento durante l'addestramento e il dibattito è di non diventare quello che io chiamo un "mostro del dibattito", qualcuno che non sa mai quando smettere di discutere; qualunque cosa qualcuno dica il mostro del dibattito lo assale e attacca, iniziando a discutere. Tale comportamento fa perdere molto rapidamente gli amici. Confesserò che quando sono andato in India all'inizio, venendo da un'università che ho frequentato con profitto, di proposito non sono andato alla formazione del dibattito, perché sapevo che sarei diventato un mostro del dibattito. Bisogna stare attenti.
Mostri di dibattito e come conquistarli
Cosa posso fare se sono già diventato un mostro di dibattito?
Quello che fai se sei già un mostro di dibattito è imparare ad attenuarlo, si chiama pazienza e tolleranza verso gli altri. Va bene se qualcuno è ricettivo nei tuoi confronti e alla tua correzione, se non sono soltanto parole a vanvera. Devi anche imparare a essere diplomatico, sapere quando è appropriato dire qualcosa e quando non lo è, come dire le cose in un modo che non sia offensivo senza avere la motivazione: “ho ragione, io sono così meraviglioso e tu sei stupido". Dopotutto, stai cercando di aiutare qualcuno, non cerchi di sminuirlo e di mostrargli quanto è stupido; non è necessario dire tutto ciò che si pensa. È molto importante. Finché sappiamo dentro di noi che ciò che l'altra persona dice è irrazionale allora va bene, non c’è bisogno di sottolinearlo.
Ad esempio, hai un figlio di tre anni ed è ora di andare a letto, lui non vuole e inizia a urlare: “Ti odio! Ti odio!”. Questo è irrazionale. Credi che il bambino ti odi davvero? No, è solo stanco e irritabile, quindi sei tollerante. Non devi correggerlo dicendogli "Guarda che non mi odi davvero", iniziando una discussione; sarebbe ridicolo. Sei molto paziente e hai a che fare con il bambino in qualunque modo sia appropriato in quel momento.
Un altro esempio: sei con il tuo partner o un amico che è molto arrabbiato e ti dice: "Ti odio e non voglio vederti mai più". È interessante, cosa vi proiettiamo? Potrebbe essere il pensiero che “Non mi hai mai amato. Non mi amerai mai più. Questo è ciò che hai sempre pensato" e ti arrabbi molto. Ma se invece pensi: “Va bene, è arrabbiato. Ha detto questa cosa, ma mi rendo conto che in questo momento è molto arrabbiato ed è stata un'affermazione irrazionale". Sarebbe ridicolo iniziare a discutere con lui "Cosa vuoi dire con il fatto che non mi vuoi più vedere?" – so nella mia mente che questo è irrazionale, lui è sconvolto, quindi sono paziente e decido di aspettare di parlarne domani.
Il giusto tipo di lavoro per il sentiero spirituale
Ho una domanda sul lavoro. Che tipo di lavoro può aiutarmi a rimanere in contatto con questo percorso spirituale? Ho un esempio: potrei andare a lavorare in una grande società legale, ma i miei amici dicono di no, che questa società legale è troppo grande e distruggerà me e il mio spirito, distraendomi e facendomi dimenticare di seguire un percorso spirituale. Sembra che la maggior parte dei buddhisti svolga lavori part time o che siano liberi professionisti e lavorino solo quando vogliono. Quindi si possono in qualche modo combinare lavoro e percorso spirituale?
Bene, nessuno ha detto che sia facile! Prima di tutto, non abbiamo necessariamente il controllo sul tipo di lavoro che svolgiamo; in numerosi paesi adesso c'è molta disoccupazione e sei molto fortunato se trovi lavoro. Idealmente, ovviamente, cerchiamo di trovare un tipo di lavoro che amiamo fare, che non ci faccia arrabbiare e che in qualche modo sia di beneficio per gli altri. E mentre lavoriamo, proviamo a sviluppare le varie buone qualità che coltiviamo nel Buddhismo, come la pazienza, la comprensione e la compassione per gli altri. In un mondo ideale, cerchiamo di trovare lavoro usando i nostri talenti e le nostre capacità, ma potremmo non essere in grado di farlo a causa di ragioni economiche e sociali. Quindi, qualunque sia il tipo di lavoro che siamo in grado di trovare, se riusciamo a trovarlo – usiamo la situazione, sfruttiamola. Anche se altri al lavoro potrebbero provare a creare un'atmosfera molto stressante, significa solo che sarà più difficile per noi resistere a diventare stressati. Cerca di avere abbastanza tempo per avere almeno una sorta di pratica buddhista quotidiana o pratica spirituale, qualunque essa sia.
Se stai seguendo qualche tipo di pratica spirituale – parliamo di una pratica buddhista – è importante che sia significativa per te e non solo una ripetizione di un rituale che è diventato privo di significato, perché allora non avrà molto un effetto. La cosa più utile è stabilire un'intenzione per la giornata, come ad esempio: “Cercherò di non arrabbiarmi oggi. Proverò ad essere paziente. Proverò ad essere comprensiva” e così via. È anche utile, alla fine della giornata, rivedere come l’abbiamo affrontata; se siamo stati turbati o stressati pensiamo a quali misure possiamo prendere per affrontarla meglio. Se abbiamo bisogno di alcuni metodi per aiutarci a calmarci, possiamo usare metodi buddhisti, ad esempio, di concentrazione sul respiro. Anche se facciamo tutto questo per soli cinque minuti al giorno, ne vale la pena. Cerca di trovare un certo equilibrio nella tua vita e di conoscerti abbastanza da sapere quali sono i tuoi squilibri e cosa devi fare per risolverli.
Ti faccio un esempio, un mio caro amico praticante buddhista era molto stressato per il lavoro: ha trovato molto utile suonare il piano; l’aveva suonato da giovane ma si era fermato. Scoprì che suonare per quindici minuti al mattino, o quindici minuti la sera, aumentava il suo equilibrio. C'era qualcosa di creativo nella sua giornata: un'attività che utilizzava il lato destro del cervello, piuttosto che il lato sinistro. Quindi ciò che aggiungi per portare equilibrio non deve necessariamente essere un'attività buddhista. Il semplice suonare il piano, per esempio è stato molto utile per lui.
Ho scoperto che se provo a lavorare su quelle situazioni che potrei incontrare a lavoro, è molto più utile per la mia pratica spirituale piuttosto che stare semplicemente nella zona di comfort e provare a fare qualche pratica più generica.
Questo è vero. È solo attraverso le sfide che cresciamo.
Non solo sedersi a casa e cantare, ma fare qualcosa per aiutare davvero le persone.
Giusto. Aiutare gli altri è sicuramente molto meglio. In realtà sporcarsi le mani e impegnarsi ad aiutare le persone è sicuramente più vantaggioso del solo sedersi e dire mantra.
Perché esiste la sofferenza?
Una persona nasce con il desiderio di essere felice e di non soffrire, ma incontra comunque sofferenza e forse non ne ha l'antidoto. Molte persone soffrono e non possono farci nulla, quindi moltiplicano la sofferenza. Non c'è logica in questo. Perché succede? Perché abbiamo questa sofferenza? Perché esiste questa sofferenza?
Alex: La sofferenza esiste a causa della nostra confusione rispetto alla realtà; la nostra attività mentale produce un'apparenza ed è molto confusa. Ad esempio, sembra che ci sia una voce nella nostra testa che parla continuamente e così sembra che a parlare sia una specie di me seduto nella mia testa, che dice: “Ooh, cosa pensa la gente di me? Cosa dovrei fare ora? Devo farlo adesso. Devo farlo” – preoccupandosi e così via. Quindi sembra che ci sia un piccolo "io" solido seduto nella nostra testa, ma questo è ridicolo se ci pensate. Non c'è un piccolo io seduto dietro un pannello di controllo, con le informazioni che arrivano sullo schermo e attraverso gli altoparlanti, e poi il piccolo io preme i pulsanti e induce il corpo a fare le cose, o la bocca a dirle. Questa è fantasia, vero? Le neuroscienze sarebbero d'accordo. Ma sembra così; crediamo che ci sia quel vero "io" che è solido, seduto lì, ed è quello di cui siamo preoccupati. Quindi è un limite di questo tipo di hardware che abbiamo, questo corpo.
Senza l'antidoto, la sofferenza continua indefinitamente
Ma il 95% delle persone vive con questa sofferenza e non sa cosa farsene. Quindi cosa succede, continuerà all'infinito?
Sì. Continuerà a meno che tu non faccia qualcosa al riguardo. Non deve essere così. Bisogna svegliarsi, per così dire, e rendersi conto che ciò non corrisponde a nulla di reale: io credo in una fantasia e agisco sulla base di questa – come se ci fosse un piccolo "io" che deve difendersi, attaccare e così via. A volte, ovviamente, devi difenderti e affermarti. Questo non è in discussione qui. Se qualcuno ti lancia qualcosa, ovviamente devi alzare la mano e lo fai automaticamente.
Ma puoi capire che non c'è nulla di cui sentirti insicuro; non c'è niente che devi difendere. Non devi provare te stesso; non devi dimostrare di essere degno di amore, e così via. Questa è una preoccupazione ridicola che si basa sulla convinzione che dentro ci sia un piccolo "io" che deve dimostrare sé stesso. E quando ne sei libero, allora agisci e basta; agisci in modo compassionevole, paziente, amorevole, senza preoccuparti. Sei in grado di pensare: “Se le mie azioni mi aiutano, bene. Se non aiutano – bene, cosa posso fare? Non sono Dio”. Ma a meno che non ci rendiamo conto che tutta questa spazzatura che stiamo proiettando è solo spazzatura, allora sì, questa sofferenza continuerà per sempre. Pertanto, proviamo compassione per coloro che non lo capiscono. Quando agiscono in modo distruttivo, piuttosto che arrabbiarsi con loro e volerli punire, generiamo un’attitudine compassionevole: capiamo che agiscono in quel modo perché non ne conoscono di migliori, come dei bambini monelli.
Ci sarà il Buddhismo occidentale in futuro?
Il Buddhismo si è sviluppato adattandosi in diverse culture, come quella di Tibet, Cina, Tailandia, ecc. Pensa che un giorno ci sarà un momento in cui il Buddhismo si adatterà alla cultura occidentale in modo che sarà praticato non come tradizione culturale di una determinata nazione, ma come tradizione naturale della cultura occidentale?
In generale sì. Ma non esiste qualcosa come il Buddhismo al di fuori di un contesto culturale. Dopo tutto, il Buddha era indiano e insegnò in un contesto indiano. Quindi, indipendentemente da quale paese o cultura si sia diffuso il Buddhismo, ci sono alcuni aspetti indiani di base che sono fondamentali per il modo di pensare buddhista. Ciò a cui mi riferisco è la rinascita per via dell'influenza del karma, l'obiettivo della liberazione dalla rinascita mediante l’acquisire conoscenza e comprensione per contrastare l'ignoranza, la possibilità di diventare un essere illuminato e la credenza in molte altre forme di vita oltre agli esseri umani e animali. Tutte queste cose sono il contesto culturale generale del Buddhismo, indipendentemente da dove si sia diffuso; quindi ci sono aspetti specifici che variano da cultura a cultura.
Distinguo tra ciò che chiamo "Dharma versione leggera" (Dharma sono gli insegnamenti buddhisti) e il Dharma "vero e proprio". La prima è una versione a basso contenuto calorico, basso contenuto di caffeina, in cui non esiste il concetto di rinascita e così via. Dharma versione leggera è solo per questa vita, il che va bene, ma riduce il Buddhismo a una semplice forma di psicologia. È benefico senza dubbio e ha le sue caratteristiche distintive. Ma non è la cosa reale; non è il Dharma autentico. Quindi se il Buddhismo occidentale diventasse solo una versione buddhista del Dharma versione leggera, penso che sarebbe una grande perdita. Questo fa parte di ciò che cerco di fare con il mio sito web: mostrare almeno quello autentico.
Ci sono sviluppi occidentali che possono essere aggiunti alle tradizionali presentazioni asiatiche che sarebbero molto utili per il nostro modo di intendere. Noi occidentali pensiamo in un modo storico e quindi ci piace capire lo sviluppo delle idee nel tempo. Siamo molto bravi a confrontare i sistemi – questo è il modo in cui impariamo. Vogliamo sapere, ad esempio, qual è l'opinione del vuoto in questa scuola rispetto a quella scuola e come si è sviluppata? Comprendiamo le cose attraverso la comprensione delle loro differenze. Quindi penso che questa sarà una caratteristica integrante del Buddhismo occidentale – coinvolgere e fondervi insieme il nostro modo più scientifico di comprendere il Buddhismo – non solo accettare per fede che qualcosa appare nelle scritture e quindi è così.
Sua Santità il Dalai Lama cerca sempre di integrare scienza e Buddhismo, in particolare la neuroscienza. Nel Buddhismo non si parla di cervello, la scienza del cervello occidentale non è affatto in contraddizione con gli insegnamenti buddhisti e può integrarsi molto bene agli insegnamenti. Inoltre ci sono discussioni sulla fisica delle particelle, la fisica quantistica, la cosmologia e tutto questo genere di cose. Il Dalai Lama dice e Buddha disse, che dovremmo accettare solo ciò che può essere verificato come verità, altrimenti possiamo scartarlo; senza quindi l’atteggiamento sciovinista che, dal momento che tutto si trova nelle scritture buddhiste e Buddha l'ha detto molto tempo fa, allora non c'è nulla di nuovo da imparare. Invece, se c'è qualcosa di impreciso negli insegnamenti del Buddha, dovremmo correggerlo secondo quanto scoperto dalla scienza.
E per quanto riguarda i cambiamenti superficiali occidentali nel Buddhismo? Perché no? I tibetani certamente non hanno lo stesso tipo di musica o lo stesso tipo di offerte floreali degli indiani, quindi non abbiamo bisogno di avere le stesse cose dei tibetani. Sono aspetti banali e semplicemente ornamentali. Tuttavia, qualunque sia l'elemento occidentale che introduciamo, come la musica, ecc., è molto importante essere molto rispettosi e dignitosi, non banali e ordinari.