I dieci fattori mentali che accompagnano ogni momento dell’esperienza

Avere una mente tranquilla e un atteggiamento premuroso

Nello sviluppo di una sensibilità equilibrata ci sono molte variabili diverse per superare gli estremi dell’essere insensibili o ipersensibili nei confronti di noi stessi e degli altri. Ciò ha a che fare con la nostra attenzione alle situazioni, come rispondiamo a esse e gli effetti del nostro comportamento. 

Sia nel prestare attenzione che nel rispondere abbiamo bisogno di avere una mente tranquilla e un atteggiamento premuroso. Come conseguenza dell’attenzione mettiamo a tacere le nostre menti da ogni tipo di distrazione, commento, giudizio, preconcetto ed emozioni irrilevanti come paura e nervosismo. Tutto ciò deve essere messo a tacere per prestare attenzione e anche per rispondere in modo appropriato con le nostre azioni ed emozioni. Se pensiamo ad altro o siamo nervosi o spaventati, è molto difficile essere attenti e quindi rispondere in modo equilibrato e appropriato.

Lo stesso vale per l’atteggiamento premuroso, che significa rispettare l’altro comprendendo che è un essere umano con sentimenti proprio come noi ed è influenzato da ciò che facciamo. I suoi sentimenti vengono feriti, proprio come i nostri, e così via. Chiaramente, se non ci importa di lei, di quale sia la sua situazione, di come si sente o altro, di certo non le prestiamo attenzione e, anche se la notiamo, non ci prendiamo la briga di rispondere.

Queste sono le due ali dell’allenamento della sensibilità equilibrata, una mente tranquilla e un atteggiamento premuroso.

Distanziarci dal contenuto della nostra attività mentale

Abbiamo bisogno di staccarci, in un certo senso, dal contenuto della nostra esperienza e dall’attività mentale per poter sviluppare questa sensibilità equilibrata. Questo deve essere compreso in modo appropriato, poiché potrebbe essere un po’ fuorviante.

Non è molto facile essere d’aiuto a qualcuno se ci arrabbiamo sempre con lui, ci attacchiamo e pretendiamo cose, siamo egoisti e così via. Pertanto, dobbiamo essere in grado di prendere un po’ di distanza da quel livello e andare più in profondità per poter accedere ai fattori di base che tutti abbiamo per rispondere e prestare attenzione in modo equilibrato. Ciò significa prestare attenzione all’attività mentale di base che sta avvenendo piuttosto che al suo contenuto.

A un livello più elementare, quell’attività mentale è il sorgere di un ologramma mentale di qualcosa che vediamo, come una forma, un suono, un odore o persino un’emozione. C’è un ologramma e una sorta di coinvolgimento mentale con esso. In effetti, è la stessa attività appena descritta in due modi. Non è, ad esempio, che un pensiero sorge e poi lo pensiamo. Il sorgere di un pensiero e il pensare al pensiero sono la stessa cosa. Non c’è un “io” separato che osserva, controlla o fa accadere ciò. Non c’è una piccola mente come una macchina con questo “io” che preme i tasti dei pensieri o fa accadere la forma. Accade e basta.

Naturalmente, siamo noi la persona che pensa e vede, non è qualcun altro o nessuno. Tuttavia, anche quando pensiamo “Cosa dovrei fare adesso?” o “Cosa pensa la gente di me?”, tutto ciò che accade è un pensiero che sorge e che ha come contenuto il suono mentale di queste parole. Non c’è un piccolo “io” seduto nella nostra testa in una specie di stanza che ora sta pensando questo, preme alcuni pulsanti e poi il pensiero sorge. Tuttavia, quando pensiamo a noi stessi in termini di questo piccolo essere, come un alieno seduto nella nostra testa allora, naturalmente, diventa oggetto di intensa preoccupazione e insicurezza. Cosa penseranno le persone di questo piccolo “io”? Come lo rendiamo sicuro e facciamo in modo che le persone lo apprezzino? 

Ci preoccupiamo di qualcosa che in realtà è una finzione. La scienza, ovviamente, sarebbe d’accordo. Non possiamo trovare un piccolo “io” seduto da qualche parte nella nostra testa o, se lo vediamo nel modo tibetano, nel nostro cuore. Non c’è nessuno seduto lì dietro che guarda attraverso i nostri occhi. Tuttavia, quando pensiamo “Cosa pensa la gente di me?” non è qualcun altro a pensarlo. Convenzionalmente, ovviamente, lo stiamo facendo. Siamo responsabili di ciò che pensiamo, facciamo e diciamo.

Come comunicare con gli altri in modo sensibile

Naturalmente, quando sorgono questi ologrammi mentali dobbiamo anche verificare se sono apparenze ingannevoli o accurate per poter rispondere in modo appropriato. Per farlo possiamo lavorare con alcune delle caratteristiche di base di questa attività mentale. Tuttavia, ancora una volta, è molto importante non concepire un piccolo “io” seduto nella nostra testa dove regola le manopole e i pulsanti, le componenti della nostra attività mentale. Non è una cosa dualistica separata di un “io” che ora sarà il controllore e regolerà ciò che sta accadendo. 

Se dovessimo entrare in quel dualismo con questo tipo di materiale diventeremo maniaci del controllo, e diventa davvero molto artificiale, per nulla naturale. Per favore, non concepitelo come un social network o un dispositivo portatile e così via. Non è che ci sia un “io” qui che comunica premendo questi tasti a un “tu” simile a un’apparizione o un nome su uno schermo. Non è così. Abbiamo bisogno del contatto umano se vogliamo essere davvero sensibili agli altri e non avere la distanza che crea questa illusione di un “io” dietro a un computer. È molto importante capirlo.

Molte persone sono davvero coinvolte in questo fenomeno di comunicazione virtuale con gli altri tramite Facebook, e-mail, messaggi o altro. È molto interessante guardare dentro noi stessi: come comunichiamo con gli altri? Come viene alterato il nostro concetto di comunicazione e di sensibilità verso gli altri, soprattutto quando possiamo spegnere il nostro dispositivo se non abbiamo più voglia di comunicare? Siamo davvero sensibili a qualcuno quando si tratta solo di poche parole abbreviate in un sms?

Potrebbe essere molto utile prendersi qualche minuto e osservare dentro di noi. Forse alcuni non sono affatto interessati a questo tipo di comunicazione, ma molti lo sono. Qual è il nostro atteggiamento? Come viviamo la comunicazione in questo modo? Questo è diventato davvero il nostro concetto di comunicazione e di rapporto con gli altri? L’uso di questo tipo di media ha alterato il nostro modo di comunicare quando siamo con qualcuno di persona? 

Inoltre, quanto prestiamo attenzione a qualcuno quando siamo sempre preoccupati di cosa succede sulla nostra pagina Facebook o nei nostri messaggi? Quanto è profonda e significativa la nostra risposta quando si limita a pollici in su e “mi piace”? Tutto ciò che vogliamo nella comunicazione con gli altri è raccogliere un certo numero di “mi piace” e averne di più rispetto a qualcun altro?

Prendiamoci un momento per riflettere sulla nostra situazione personale. Un’istruzione particolare potrebbe essere quella di esaminare quante volte durante il giorno guardiamo la nostra e-mail o la nostra pagina Facebook. Quanto spesso controlliamo i messaggi e quanto velocemente rispondiamo, indipendentemente da chi siamo e cosa stiamo facendo? Ci importa di interrompere ciò che l’altra persona sta facendo quando le inviamo un messaggio? Ci importa qualcosa? Ci passa anche solo per la testa di pensarci? Guardare lo schermo del computer o di qualsiasi altra cosa è come guardare nello specchio. Fondamentalmente è vedere noi stessi, e sembra che diventiamo così importanti che possiamo interrompere chiunque con qualsiasi cosa vogliamo dire.

Prendetevi un momento, per favore, per riflettere.

Penso che la conclusione a cui possiamo giungere è che la vera comunicazione tra esseri umani richiede schiettezza, un coinvolgimento effettivo e un impegno con l’altro. Non si tratta di avere questa salvaguardia per cui se non abbiamo voglia di avere a che fare con qualcuno, spegniamo semplicemente il computer.

I primi cinque fattori mentali

Osservando la nostra esperienza in termini di attività mentale momento dopo momento scopriamo che in ogni istante ci sono molte componenti coinvolte, i fattori mentali. Secondo l’analisi buddhista ce ne sono dieci che funzionano sempre. Se impariamo a identificarli e a riconoscerli nella nostra esperienza momento per momento quando abbiamo a che fare con gli altri o semplicemente con noi stessi, allora possiamo anche notare se ognuno di questi è in equilibrio. Sono in armonia tra loro o c’è qualcosa di squilibrato che deve essere corretto?

Non posso non sottolineare abbastanza che non lo facciamo come un “io” separato che osserva e formula questo giudizio, come l’insegnante o la poliziotta che esige “Devi fare questo e quello”, e poi apportiamo i cambiamenti. Lo facciamo e basta. 

Girate la testa verso il muro; mentre lo fate c’è una sensazione di un “io” separato dentro di voi che decide e poi tira i fili come una marionetta girando la testa? Dubito che l’abbiate sperimentato. Avete semplicemente girato la testa.

Diciamo che ci accorgiamo di non prestare molta attenzione a ciò che questa persona sta dicendo e i nostri pensieri sono “Vorrei proprio andarmene, vorrei che smettesse di parlare”. Come possiamo cambiarlo? Ci fermiamo e basta, prestiamo più attenzione. Non è come se ci fosse un “io” che deve girare la manopola sulla macchina dell’attenzione, un “io” che è il controllore e un altro “io” che deve essere controllato e fa sì che il terzo “io” presti più attenzione. Non è così, lo facciamo e basta.

Ha senso? Vi ci ritrovate? Sembra molto semplice, ma in realtà non è così facile, soprattutto quando siamo molto afflitti dalla preoccupazione “Cosa dovrei fare? Lo farò bene? Non voglio commettere un errore”. Allora, sembra che ci sia un “io” che deve manipolare e controllare, non è vero? Quando sperimentiamo le cose in quel modo, con tutta questa preoccupazione, non abbiamo uno stato mentale molto felice.

Questo non significa che non siamo attenti, solo non dobbiamo sperimentare l’essere attenti in questo modo dualistico, da controllori. Lo facciamo e basta. Questa è l’arte, il modo in cui lavoriamo con questi fattori mentali. Lo facciamo e basta. Prestiamo più attenzione o abbiamo più interesse per l’altra persona. Lo facciamo e basta, senza commentare quanto sia noioso quello che sta dicendo. Anche se è noioso, non importa. Se l’altra persona lo considera abbastanza importante da esprimerlo, allora mostriamo interesse.

Ora passiamo in rassegna questi dieci fattori mentali, non nell’ordine tradizionale ma in uno leggermente modificato che aiuta con questo allenamento.

L’impulso

L’impulso (sems-pa) è il fattore mentale che, mentre è focalizzato su un oggetto, attrae la coscienza e gli altri fattori mentali che l’accompagnano a impegnarsi in qualche azione verso o con quell’oggetto nel momento successivo. Può essere descritto come una calamita o una locomotiva. Abbiamo l’impulso di grattarci la testa, di guardare in questa direzione, di cambiare posizione sulla sedia. Proprio come una calamita, ci attrae nella direzione del momento successivo del fare qualcosa. Possiamo vederlo chiaramente quando interagiamo con qualcuno; potremmo avere l’impulso di scappare e dirgli di stare zitto o altro. Tuttavia, potremmo controllare quell’impulso oppure indirizzarlo per avere l’impulso di stare fermi e ascoltare pazientemente ciò che sta dicendo. In alcuni sistemi buddhisti questo impulso è identificato con il karma.

La distinzione                                                                                                                                            

Poi abbiamo la distinzione (’du-shes) che ha a che vedere con il modo in cui gestiamo un campo sensoriale. Abbiamo il campo sensoriale della vista o dell’udito, ad esempio, e dobbiamo essere in grado di distinguere certe caratteristiche al suo interno. Se dovessimo pensare al campo sensoriale visivo come a un’enorme massa di pixel di colori o, più approssimativamente, di forme colorate, allora dobbiamo poter distinguere una caratteristica per mettere insieme questi pixel e queste forme colorate in una sorta di oggetto; altrimenti, non possiamo gestirlo. Non dobbiamo necessariamente dargli un nome o un significato, il che è concettuale. 

C’è distinzione nel pensiero concettuale, quando distinguiamo che rientra in questo o quel nome o categoria. Tuttavia, se abbiamo a che fare con qualcuno, dobbiamo poter distinguere la sua testa dallo sfondo, non è vero? Altrimenti, non ha senso. Oppure per rivolgerci a una persona in una folla dobbiamo distinguere le forme colorate, l’immagine visiva della sua testa dalle altre persone intorno a lei. Non le mettiamo insieme in modi strani, vero?

Tuttavia, possiamo anche distinguere a un livello molto più raffinato in termini di espressione di un viso o di una postura. Non gli stiamo dando un nome ma solo distinguendo come un elemento, il che ovviamente ci fornisce più informazioni in termini di come relazionarci con la persona. Sembra annoiato? Stressato? Malato? Stanco? Distinguiamo una categoria. Prima, però, dobbiamo distinguere l’espressione sul suo viso, il suono della sua voce dal rumore del traffico in strada, certamente. Dobbiamo cercare di distinguere il tono di voce perché ci dà molte informazioni sul suo stato emotivo, il suo livello di stress o di autostima, non è vero? Questo viene comunicato molto nel modo in cui parla; dobbiamo distinguerlo da tutto il resto.

L’impulso ci porta a guardare la persona o ad ascoltare il suono della sua voce e poi, all’interno del campo sensoriale, distinguiamo determinati tratti.

L’attenzione

Il fattore successivo è l’attenzione (yid-la byed-pa). Quanta attenzione prestiamo a ciò che percepiamo? Prestare attenzione significa impegnarsi con un oggetto specifico all’interno di un determinato campo sensoriale o impegnarsi con uno stato emotivo o un pensiero specifico. Ci fa concentrare o considerare questo oggetto in un certo modo. Potremmo prestargli attenzione con vigilanza o in modo rilassato. Tutti questi fattori mentali possono variare su una scala da poco a molto. Potrebbe essere che prestiamo molta attenzione o no.

Come ci relazioniamo con questo oggetto? Poi, entrano in gioco altri fattori mentali. Lo facciamo in modo molto critico e giudicante? In modo molto aperto? Tutto questo descrive come prestiamo attenzione all’oggetto.

La consapevolezza del contatto

Abbiamo ora un fattore un po’ difficile chiamato consapevolezza del contatto (reg-pa). Di solito viene tradotto come contatto ma non stiamo parlando di contatto fisico bensì di un fattore mentale. Viene definito come ciò che differenzia se l’oggetto della cognizione è piacevole, neutro o spiacevole e serve come base per sperimentarlo con una sensazione di felicità, infelicità o neutralità.

Possiamo distinguere qualcuno da qualcun altro, differenziarlo come un oggetto piacevole e, di conseguenza, sentendoci felici nel vederlo. Un altro esempio è sentire alcune parole e differenziarle come piacevoli o spiacevoli. Se spiacevoli potremmo sentirci infelici. Magari sono solo parole, blah blah blah, ed è neutro e non ci sentiamo né super felici né infelici. 

È interessante se ci pensiamo. Non stiamo parlando di essere critici qui. Pensateci. Quando vediamo qualcuno, è piacevole vederlo o no? Potrebbe essere la stessa persona: a volte è piacevole, a volte no e, sulla base di ciò, siamo felici o infelici di vederla. Dal punto di vista buddhista lo descriveremmo come una situazione karmica. Tuttavia, potremmo anche espanderlo e dire che è influenzato da molti fattori causali e che, in qualche modo quando entriamo in contatto con questa persona, questo oggetto o queste parole, è piacevole. Se siamo indaffarati, abbiamo fatto un buon pasto o qualsiasi altra cosa, questo influenzerà il modo in cui entriamo in contatto con un’esperienza, non è vero?

Ci sono molte variabili che potrebbero influenzare il modo in cui entriamo in contatto con qualcuno, in modo piacevole o spiacevole, gradito o sgradito? È piacevole vedere nostro figlio, diciamo, o spiacevole? Potremmo essere molto impegnati e lui entra e ci disturba, facendo un gran trambusto o altro; è spiacevole. Tuttavia, questo è influenzato dal fatto che siamo molto impegnati e preoccupati per qualcos’altro. Fondamentalmente, stiamo pensando a me, me, me, e non vogliamo essere interrotti. Ma se ci interessassimo di più al bambino non sarebbe più spiacevole vederlo perché ci teniamo a lui.

Tutte queste cose interagiscono, si collegano tra loro. Se fossimo più interessati a qualcuno, allora distingueremmo e presteremmo attenzione all’espressione del suo viso e al tono della sua voce, non è vero? Ci aiuterebbe a essere in grado di rispondere in modo appropriato. Perché uno dei modi in cui funziona l’attività mentale è che assorbe informazioni. Abbiamo bisogno di assorbire più informazioni. Le informazioni sono lì, dobbiamo solo distinguerle e prestarvi attenzione.

Provare un certo livello di felicità o infelicità

Poi abbiamo la sensazione (tshor-ba), che si riferisce al sentire un certo livello di felicità o infelicità. Non deve essere drammatico, potrebbe essere un livello molto basso e di solito lo è. Si verifica sempre.

Per esempio, stiamo guardando questo dipinto sul muro, è una piacevole consapevolezza di contatto e siamo felici di guardarlo. Pochi istanti dopo non è più molto piacevole, e non siamo così felici nel continuare a guardarlo. Non è che siamo veramente tristi e infelici, ma siamo abbastanza insoddisfatti da sentire l’impulso di muovere la testa e guardare un altro dipinto.

Un altro esempio potrebbe essere quando ascoltiamo qualcuno parlare, è una piacevole consapevolezza di contatto e siamo felici di ascoltare. Ci sentiamo a nostro agio. La felicità può anche essere la dimensione del semplice sentirsi a proprio agio. Tuttavia, quando non è più molto piacevole, siamo infelici e ci viene voglia di guardare altrove o di pensare verbalmente a qualcos’altro, senza prestare più attenzione. Invece di distinguere il significato dei suoni che escono dalla bocca della persona, questi diventano una specie di rumore di sottofondo. Stiamo distinguendo come ci sentiamo e ci sentiamo annoiati, stanchi e irrequieti. Facciamo questa distinzione quando sentiamo le parole di qualcuno, ma in realtà non le stiamo ascoltando.

Riconoscere questi cinque fattori 

Questi sono i primi cinque fattori mentali. Innanzitutto, l’impulso ci porta a impegnarci in qualche attività con un oggetto, come una calamita. Naturalmente, potrebbe esserci forza di volontà o potremmo decidere di guardare un oggetto. La decisione è un altro aspetto e aggiunge certezza a ciò che stiamo facendo. Tuttavia, anche quando abbiamo la forza di volontà per fare qualcosa, non c’è un “io” separato seduto nella nostra testa che prende la decisione. È solo una parte di ogni momento. Per riepilogare, c’è l’impulso, la distinzione, l’attenzione o l’impegno con l’oggetto, la consapevolezza del contatto - piacevole o spiacevole - e la sensazione di un livello di felicità o infelicità. Questi sono i primi cinque con i quali abbiamo acquisito un po’ di esperienza e familiarità.

Quando guardiamo qualcosa ed è piacevole siamo soddisfatti, lo guardiamo, ma poi c’è l’impulso di guardare qualcos’altro e poi qualcos’altro ancora. C’è sempre un impulso in corso che causa un cambiamento in ciò che percepiamo. 

Guardatevi intorno nella stanza, non girate semplicemente la testa: guardate qualcosa e poi notate quando non avete più voglia di guardarla e poi guardate qualcos’altro. Succede naturalmente, non è vero?

Quando sei stanco di guardare qualcosa e ne guardi un’altra, riesci a distinguerla dal muro? 

Ci sono dei dipinti in questa stanza in cui possiamo distinguere un colore dall’altro e lo mettiamo tra gli oggetti; c’è un loto e c’è un Buddha. Lo facciamo anche prima di dargli un nome. Non dobbiamo dargli un nome nella nostra testa perché sappiamo che è un loto. Prima, lo mettiamo insieme come un oggetto e poi concettualmente lo inseriamo nella categoria del loto. Tutto ciò è non verbale e questa distinzione avviene in continuazione.

Possiamo prestare molta attenzione o per niente affatto. C’è persino un tipo di attenzione in cui non vogliamo più guardare qualcosa. Dopo di che, sorge l’impulso di guardare qualcos’altro; quando continuiamo a guardarlo, a un certo livello potremmo dire che è piacevole e siamo felici di guardarlo, siamo a nostro agio, ci sentiamo bene. Poi, non è più così confortevole e piacevole, e allora guardiamo qualcos’altro.

È ancora più interessante quando lo applichiamo all’ascoltare o allo stare con qualcuno. Mentre ascoltiamo quello che sto dicendo io o il traduttore, c’è un impulso di ascoltare o di fare qualcos’altro? Mentre siamo qui seduti ci possono essere impulsi di fare qualcos’altro, come cambiare posizione, grattarci la testa, pensare ad altro o di prendere appunti. 

Stiamo distinguendo solo il suono delle parole dando loro un significato? La nostra attenzione potrebbe essere distratta e stiamo ascoltando il rumore del traffico. A cosa stiamo prestando attenzione? Al suono delle parole o alla sensazione nelle nostre ginocchia che iniziano a far male? A cosa stiamo prestando attenzione? Cambia sempre, non è vero? Potrebbe esserci una sensazione di prurito nella parte posteriore della nostra testa e vogliamo grattarla, e sorge l’impulso a grattarci. 

È piacevole ascoltare il suono della voce mia o del traduttore? C’è una sensazione di felicità e di benessere o no? Quando non capiamo l’inglese, ad esempio, è la stessa esperienza ascoltare l’inglese e la lingua tradotta?

È molto interessante. Cosa è piacevole? Cosa è spiacevole? Qualcuno potrebbe avere una voce sgradevole e non è molto piacevole ascoltarlo, ma siamo molto interessati. Alcuni traduttori parlano in modo molto noioso, senza espressione, e non è molto piacevole ascoltarli. In realtà, possono essere davvero noiosi ma, se siamo davvero interessati perché vogliamo sapere cosa è stato detto, allora è comunque piacevole. 

Questi fattori possono adattarsi insieme in molti modi diversi. L’interesse annullerà il fatto che non è così piacevole ascoltare una voce. Ciò rientra nella sfera dell’attenzione. Come prestiamo attenzione a qualcosa, come importante o come non importante? Qualcuno potrebbe avere una voce monotona e noiosa ma, se consideriamo importanti le sue parole, allora prestiamo attenzione al significato di ciò che dice e ignoriamo facilmente come irrilevanti i nostri pensieri sulla sua voce.

Questo è un tipo di situazione. Ascoltare una traduzione non è qualcosa che facciamo sempre. Tuttavia, interagiamo sempre con gli altri, si spera, a meno che non viviamo completamente isolati e da soli. A volte, il modo in cui gli altri parlano può essere davvero molto spiacevole: alcune persone si ripetono sempre, per esempio, o parlano così piano che dobbiamo davvero sforzarci. O la loro voce è così forte che ci sentiamo sopraffatti. In questo tipo di situazione, cosa consideriamo importante o non importante? Il tono della voce, il fatto che si ripetano costantemente o il problema che stanno affrontando e di cui vogliono parlare? 

Di nuovo, come prestiamo attenzione? Cosa distinguiamo come focus principale della nostra attenzione? Tutto ciò varia e può cambiare. L’essenza o lo scopo di questo tipo di allenamento consiste nel vedere che in ogni momento della nostra esperienza ci sono tutti questi fattori e finora ne abbiamo trattati solo cinque dei dieci. Tutti interagiscono tra loro, si influenzano a vicenda e possono essere cambiati. Ognuno è una variabile, può essere regolato in un modo da ottimizzare la nostra interazione sana e benefica con qualcuno, o quella che chiamo “sensibilità equilibrata”.

Inoltre, dobbiamo essere sensibili non solo all’altra persona ma anche a noi stessi, trovare un equilibrio ed è molto importante ricordarlo quando stiamo regolando questi fattori mentali. Possiamo anche distinguere che siamo molto stanchi, per esempio, e questo è piuttosto spiacevole e non un tipo di sensazione molto felice. Possiamo ignorarlo, cercare di non prestare attenzione alla stanchezza ma a volte diventa davvero intenso, soprattutto se stiamo cercando di sbadigliare tenendo la bocca chiusa e così via; diventa molto spiacevole. A volte, dobbiamo essere sensibili a noi stessi in quella situazione. L’altra persona sta parlando di tutti i suoi problemi e difficoltà, e dobbiamo spiegare che siamo molto stanchi e che è diventato difficile ascoltarla. Ovviamente, ci scusiamo e possiamo esprimere che vorremmo davvero poter ascoltare, ma siamo esausti ed è difficile prestare attenzione. Abbiamo bisogno di una piccola pausa o di parlare di più domani. Altrimenti, non stiamo davvero prestando attenzione all’altro. Se siamo davvero onesti, di solito la maggior parte delle persone risponderà favorevolmente.

Prendiamoci un momento per digerire questi primi cinque fattori mentali: impulso, distinzione, attenzione, consapevolezza del contatto e sensazione di un livello di felicità o infelicità. Per riconoscerli semplicemente analizzate proprio questo momento.

Cosa costituisce la nostra esperienza di questo momento? 

Qual è l’impulso? 

Cosa abbiamo voglia di fare? 

Cosa stiamo distinguendo? Il nostro umore, ciò che c’è sul muro o un suono? Cosa stiamo distinguendo? 

Che tipo di attenzione prestiamo a questo e a tutto il resto? 

È piacevole? È spiacevole? Sentiamo un livello basso di agio, felicità, disagio o infelicità? Cosa sta succedendo in questo momento?

In realtà, quando analizziamo in questo modo, diventa abbastanza chiaro che non c’è un “io” separato da tutto questo. C’è un “io” che non ha alcuna sensazione di piacere, nessuna distinzione, nessun impulso? Un “io” che è solo vuoto, che poi in qualche modo si collega al sentirsi felici o infelici, o al distinguere, o ha un impulso a fare qualcosa? Un “io” che, quando lo vediamo da solo, esiste completamente separato da tutto questo, senza niente? Quando analizziamo vediamo che è impossibile che esista quel tipo di “io”.

Eppure, ci sentiamo felici. Non è qualcun altro che si sente felice, e non è solo felicità. Certo, ci sentiamo felici, ma non è un “io” che esiste separatamente, totalmente slegato dalla felicità o dall’infelicità che poi entra nella stanza e si collega a una sensazione di felicità o infelicità. Ciò ha enormi conseguenze in termini di vita emotiva, soprattutto se siamo ossessionati dalla ricerca della felicità, come se ci fosse un “io” totalmente dissociato dalla felicità o infelicità, e ora vuole connettersi con il sentirsi felice. Ciò può renderci davvero preoccupati e turbati. Certamente, vogliamo essere felici, tutti vogliono essere felici. Tuttavia, fai semplicemente ciò che è essenziale per esserlo. 

Per molti versi, un’analogia con il computer è molto utile. A volte dobbiamo semplicemente riavviarlo. Questo stato d’animo in cui ci troviamo, o tutta questa ossessione per me, me, me, è come il programma che non funziona correttamente. Alla base di tutto ciò che stiamo vivendo, c’è un livello molto sottile della mente che ha fornito la continuità della nostra esperienza. Per riavviare, andiamo a questo livello molto sottile e poi la riavviamo con uno stato d’animo diverso. Ricominciamo da capo. Quando ci alleniamo possiamo riavviare in qualsiasi momento e farlo abbastanza rapidamente. Non è così esotico.

Abbiamo davvero bisogno di questa capacità quando interagiamo con qualcuno e siamo eccitati, stressati o nervosi. Le nostre spalle sono tese, la nostra voce è molto forte e ci rendiamo conto “Errore. Errore. Qualcosa non funziona correttamente”. Poi ci riavviamo, ci calmiamo, abbassiamo le spalle e così via. Ci vuole solo un microsecondo per farlo una volta che siamo allenati. Una volta che siamo più calmi, possiamo parlare con un tono molto più rilassato. È così che lo gestiamo. Lo facciamo e basta.

Questo è ciò che sviluppiamo quando iniziamo a lavorare con questi fattori mentali e ci rendiamo conto che il nostro umore, il nostro stato mentale, tutto questo può essere cambiato. Non dobbiamo farlo come controllori. Lo facciamo e basta, e siamo perfettamente in grado di farlo.

I prossimi cinque fattori mentali 

Esaminiamo i prossimi cinque fattori mentali. 

L’interesse

Il primo di questi è l’interesse, o riguardo (mos-pa). Riguardo è una parola difficile ma è la traduzione effettiva. Non è la parola tibetana o sanscrita per interesse, ma è per lo più equivalente a interesse. Il riguardo ha a che fare con il prendere un oggetto per un certo livello di buone qualità, questa è la definizione. Quando consideriamo qualcosa come avente un certo livello di buone qualità diciamo che è interessante, nutriamo interesse per esso e quindi gli prestiamo attenzione. Se consideriamo che non ha molte buone qualità non lo troviamo molto interessante. L’interesse, in realtà, è una variabile del fatto che possiamo distinguere le buone qualità in qualcosa.

Ad esempio, stiamo interagendo con qualcuno che parla in un modo davvero noioso, ripetendosi e così via. Abbiamo distinto che ci sentiamo annoiati e vogliamo andarcene, non nutriamo alcun interesse: ciò significa che non consideriamo ciò che sta dicendo come avente buone qualità o interessante. Cosa stiamo distinguendo qui? Il tono della voce e il fatto che si ripete probabilmente non sono molto interessanti. Tuttavia, quando distinguiamo il suo stato emotivo, ciò che sta cercando di comunicare e, inoltre, ci preoccupiamo della persona, allora stiamo distinguendo buone qualità e, di conseguenza, nutriamo interesse.

La variabile dell’interesse è collegata alla capacità di distinguere un certo aspetto che abbia delle buone qualità che consideriamo importanti e a cui teniamo. Possiamo osservarlo molto facilmente quando andiamo in un negozio, vediamo un bel vestito o un cappotto e distinguiamo la buona qualità del materiale, il taglio, il design e così via. Tuttavia, se abbiamo una quantità limitata di denaro, allora il design non è la cosa principale che ci interessa ma magari il buon prezzo, è in saldo ed è di buona qualità: ci interessa. Questo è ciò che stiamo distinguendo, ciò a cui stiamo prestando attenzione. Il fattore che non è nel nostro colore preferito è accettabile.

Per riepilogare, l’interesse è il fattore di ciò che stiamo distinguendo come di buona qualità, e quale variabile per noi è importante. L’importanza varia a causa di molti fattori come, usando il nostro esempio, quanti soldi abbiamo e se siamo o meno interessati alla moda. Molte cose influenzano ciò che consideriamo importante. Quando non abbiamo molto tempo per fare shopping compriamo la prima cosa che va bene. È interessante la scelta che facciamo se il negozio chiuderà tra cinque minuti o se abbiamo molto tempo per fare shopping. Una variabile completamente diversa, non è vero? Pertanto, ciò che consideriamo importante e quanta attenzione prestiamo alle cose, e così via, dipende da tante cause e condizioni.

La consapevolezza

Questo fattore è solitamente tradotto come consapevolezza (dran-pa), un termine difficile che io chiamo colla mentale. È l’attività mentale di mantenere una presa su un oggetto una volta che la nostra attenzione si è focalizzata su di esso. Ricordate, con l’attenzione ci impegniamo con l’oggetto e ora la consapevolezza lo tiene lì e non lo lascia andare. Ci aiuta a non lasciarlo andare mentre, naturalmente, la nostra mente vaga continuamente. È la consapevolezza del trattenere e mantenere la nostra attenzione su quell’oggetto.

Spesso, dobbiamo davvero impegnarci per mantenere la nostra attenzione su ciò che la persona sta dicendo, abbiamo bisogno di questa colla mentale per non iniziare a pensare a qualcos’altro, specialmente quando notiamo l’impulso di farlo o commentiamo “Questo è davvero stupido”, “Questo è davvero noioso” o qualsiasi altra cosa. C’è un tipo di attenzione che riporta indietro la nostra attenzione e ce la fa mantenere con consapevolezza.

La consapevolezza ha un vasto spettro: può avere una presa davvero ferma o molto debole. Potrebbe essere troppo intensa e anche questo è un difetto, non è vero? Deve essere in equilibrio, non troppo intensa e non troppo rilassata.

Il fattore dell’attenzione va di pari passo. A cosa prestiamo attenzione in termini di consapevolezza? Spesso, le persone ipersensibili prestano davvero attenzione, ascoltano intensamente aspettando che l’altro dica qualcosa che troveranno offensivo o doloroso e così via. Questo è un tipo di consapevolezza molto sbilanciato.

La concentrazione 

Poi c’è il fattore mentale della concentrazione (ting-nge-’dzin), il fissarsi mentalmente su un oggetto o, in altre parole, rimanere su un oggetto. La consapevolezza è la presa sull’oggetto e la concentrazione è il rimanervi. Potremmo rimanere sull’oggetto - la nostra attenzione è lì - ma la presa è molto debole. Queste sono due variabili presenti.

Succede a tutti. Ad esempio, stiamo guardando la TV o un film e ci stiamo addormentando, ma vogliamo davvero guardare il programma perché è molto interessante e cerchiamo di resistere. In questo caso, la consapevolezza è forte ma non riusciamo a mantenerla. La concentrazione non c’è e quindi ci addormentiamo costantemente. Queste sono due variabili, due fattori mentali diversi.

La discriminazione 

La discriminazione o consapevolezza discriminante (shes-rab) aggiunge certezza a ciò che distinguiamo. Questa è la sua definizione e di solito viene tradotto come saggezza, seppur questa traduzione può essere piuttosto fuorviante. Distinguiamo una caratteristica e che è questo e non quello. La discriminazione determina in modo molto decisivo tra due alternative: è questo e sicuramente non è quello; questo è ciò che farò, non quello; questo è benefico e non dannoso.

Ora, naturalmente, possiamo essere completamente certi di qualcosa e sbagliarci; ciò che distinguiamo non deve necessariamente essere corretto. Ad esempio, abbiamo un’interazione con qualcuno e distinguiamo il tono della sua voce, l’espressione del suo viso e così via. Siamo certi che sia turbato emotivamente mentre, in realtà, ha mal di testa o mal di stomaco, ed è solo una cosa fisica, non è affatto emotiva. Ancora peggio, potremmo discriminare che è turbato con noi, qualcosa che abbiamo fatto, mentre potrebbe esserlo per qualcosa di completamente diverso. Ha lasciato cadere un bicchiere durante il giorno. Il bicchiere si è rotto, lui è turbato e non ha nulla a che vedere con noi. 

Tuttavia, per sapere e per decidere cosa fare, come rispondere e come interpretare ciò che percepiamo, abbiamo questa consapevolezza discriminante che aggiunge certezza a ciò che distinguiamo. Si verifica di continuo. È davvero sorprendente: guardiamo queste forme colorate del muro e le distinguiamo mettendo insieme un certo insieme di forme colorate, poi concettualmente le inseriamo nella categoria di “porta”. Siamo davvero certi di distinguere che è una porta e la usiamo. Potremmo sbagliarci e sbattere contro il muro! È sorprendente come abbiamo bisogno di avere quella certezza per attraversarla. Dovremmo chiamarla saggezza? Anche una mucca può varcare la porta di una stalla senza sbattere contro il muro.

Partecipante: A volte è una parete di vetro.

Se fosse di vetro, allora, sebbene la mucca possa distinguere lo spazio vuoto tra la porta aperta della stalla dal muro non concettualmente, quando guarda la stalla potrebbe non avere la struttura concettuale appropriata per adattare ciò che vede, come un uccello che sbatte contro una finestra. Non hanno il concetto di finestra di vetro. In questo caso, sono discriminazione e considerazione scorrette. La loro certezza che sia uno spazio aperto è scorretta e la considerano scorrettamente; volte succede anche a noi con il vetro.

L’intenzione 

L’ultimo di questi cinque è l’intenzione (’dun-pa), il desiderio o l’intento di compiere un’azione specifica verso o con un oggetto specifico. Tuttavia, è un impulso che ci spinge a farlo, non l’intenzione in sé. L’intenzione potrebbe essere, ad esempio, il desiderio di avere un oggetto specifico; abbiamo distinto un oggetto dagli altri e lo abbiamo discriminato in modo che ora siamo certi che è ciò che vogliamo. C’è l’intenzione di averlo, di fare qualcosa con esso o di raggiungere un obiettivo desiderato. Distinguiamo una certa sensazione fisica con certezza e la inseriamo nella corretta categoria concettuale di ciò che è. Ad esempio, diciamo che è la fame. Ciò che segue è l’intenzione di raggiungere un obiettivo, arrivare al frigorifero, aprire lo sportello e prendere qualcosa da mangiare. È molto semplice e ce l’abbiamo sempre.

Come questi dieci fattori sono coinvolti nel rapporto con noi stessi e con gli altri

Tutti questi fattori mentali sono coinvolti nelle nostre interazioni con gli altri e nel modo in cui ci relazioniamo a noi stessi; dobbiamo essere in grado di distinguere come ci sentiamo e avere una certa discriminazione di cosa sia realmente, un po’ di certezza e l’intenzione di come lo affronteremo.

Ad esempio, di tutte le sensazioni fisiche che stiamo sperimentando come quella della sedia sotto di noi, dei nostri vestiti, della temperatura della stanza, tra tutto ciò stiamo distinguendo che le nostre spalle sono sollevate. Distinguiamo come le teniamo, che è una sensazione fisica. C’è tensione nei muscoli e, poi, aggiungiamo la certezza che i muscoli delle nostre spalle sono tesi, sono sollevati. Dopo, arriva l’intenzione di abbassarli, di rilassarli. 

È molto utile lavorare con questi fattori mentali. A cosa presteremo attenzione? Cosa consideriamo interessante? È interessante ciò che fanno i nostri muscoli, cosa si prova quando sono tesi. Perché lo è? È una qualità importante perché ci fa sentire stressati. Quindi, li rilassiamo.

Ripetiamo brevemente il nostro secondo gruppo di cinque fattori mentali: interesse, consapevolezza, concentrazione, discriminazione e intenzione. In tutto sono dieci.

Osservazioni conclusive

Nella prossima sessione risponderemo ad alcune domande su questi fattori. Questo è sempre il modo migliore per iniziare una nuova sessione dopo pranzo perché tutti sono assonnati, me compreso, quindi diventa un po’ più stimolante. Cosa c’è di interessante in questi fattori mentali? Qual è la loro buona qualità? Avrete la possibilità di dire qualcosa e di partecipare. Sono curioso, mi piace sentire cosa pensano gli altri. È una buona qualità quella di preoccuparsi di cosa pensano gli altri, cosa hanno da dire e quale potrebbe essere la risposta. Ciò ci porterà a prestare un po’ più attenzione alle domande e alle risposte piuttosto che prestare attenzione alla sonnolenza che proviamo dopo aver mangiato e al fatto che la stanza è calda perché è una giornata estiva soleggiata.

Questi fattori mentali sono coinvolti in ogni singolo momento della nostra esperienza e, se ne siamo consapevoli, possiamo modellare le situazioni in modo tale da ottimizzare l’esperienza. Anche se potrebbe sembrare che ci sia un “io” separato seduto nella stanza nella nostra testa che cerca di capire “Come posso mantenere l’interesse delle persone in una giornata calda subito dopo pranzo?”, non è così. C’è solo il processo del pensiero che si verifica, i pensieri emergono su cosa fare e come gestire la situazione. Prendiamo una decisione e agiamo di conseguenza: non è che ci sia un “io” separato totalmente dissociato dal partecipare a questa lezione e che decide di agire in un modo o in un altro. Anche se potrebbe sembrare così, è ingannevole. 

Concludiamo qui e continueremo nella prossima sessione.

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