Collera: affrontare le emozioni disturbanti

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La collera è una forte repulsione verso qualcosa o qualcuno che riteniamo sia minaccioso o che non ci piace. Come emozione disturbante, essa distrugge la nostra pace mentale e noi perdiamo l'autocontrollo. Mediante le varie pratiche di sviluppo della pazienza, tuttavia, possiamo evitare la collera e condurre così una vita più serena.

Problemi nella vita

Il tema che discuteremo questa sera è “gestire le emozioni: come affrontare la collera.” Suppongo che la ragione per la quale ci siamo trovati per discutere tale questione è che quasi tutti noi abbiamo problemi nella vita. Vogliamo essere felici. Non vogliamo avere alcun problema, ma dobbiamo continuamente affrontare molte difficoltà differenti. Qualche volta siamo depressi; incontriamo difficoltà e ci sentiamo frustrati nel nostro lavoro, frustrati nelle nostre posizioni sociali, nelle nostre condizioni di vita o situazioni familiari. Abbiamo problemi quando non otteniamo ciò che vogliamo. Vogliamo avere successo. Vogliamo che alle nostre famiglie e ai nostri affari accadano solo cose positive, ma questo non sempre accade. Allora, quando abbiamo questi problemi, diventiamo infelici. Qualche volta ci capitano cose che non vogliamo accadano, come ammalarci o diventare molto deboli quando invecchiamo, o perdere il nostro udito o la nostra vista. Innegabilmente, nessuno vuole che ciò accada.

Abbiamo problemi nel nostro lavoro. Qualche volta le cose vanno male e i nostri affari calano o falliscono. Ciò è evidentemente qualcosa che non vogliamo accada, ma accade comunque. Qualche volta ci capita un danno, ci facciamo male; abbiamo incidenti; ci ammaliamo. Tutte queste cose continuano a succedere come problemi che affrontiamo.

Oltre a questi, affrontiamo inoltre molti problemi emozionali e psicologici. Queste potrebbero essere cose che potremmo non sentire di voler discutere o rivelare agli altri. Ma, dentro di noi, scopriamo che ci sono certe cose che ci disturbano per quel che riguarda le nostre aspettative verso i nostri figli, le nostre preoccupazioni o ansie, creandoci molte difficoltà. Queste sono ciò che chiamiamo “situazioni o problemi incontrollabilmente ricorrenti” (sct. samsara).

I problemi incontrollabilmente ricorrenti sono samsara

La mia esperienza e la mia formazione sono quelli di un traduttore, e come traduttore ho viaggiato per il mondo in molti paesi diversi, traducendo e anche tenendo conferenze sul Buddhismo. Ho scoperto che ci sono molti equivoci sul Buddhismo. Gli equivoci sul Buddhismo sembrano essere, per la maggior parte, dovuti alle parole inglesi che sono state scelte per tradurre i termini e le idee originarie. Molte di queste parole sono state scelte nel secolo scorso da missionari vittoriani, ed hanno connotazioni piuttosto forti che non sono le connotazioni o i significati che le parole originarie avevano nei linguaggi asiatici. Per esempio, abbiamo parlato di problemi. Ciò è di solito tradotto con “sofferenza.” Se parliamo di sofferenza, allora molte persone avranno l’idea che il Buddhismo è una religione molto pessimistica, perché dice che la vita di ciascuno è piena di sofferenza. Sembra dire che non abbiamo il diritto di essere felici. Se parliamo a qualcuno che è agiato, benestante e ricco, e gli diciamo: “la tua vita è piena di sofferenza,” allora quella persona si metterà molto sulla difensiva. Potrebbe ribattere e dire: “che vuoi dire? Ho un videoregistratore, ho una bella auto ed ho una bella famiglia. Non sto soffrendo.”

La sua risposta è giustificata a causa della parola sofferenza, che è una parola molto pesante. Se, invece, traduciamo lo stesso concetto buddhista con “problemi,” e poi diciamo a qualcuno: “a prescindere da chi tu sia, da quanto sia ricco, da quanti figli possa avere, tutti hanno problemi nella vita;” questo è qualcosa che ognuno è disposto ad accettare. Perciò, discuterò queste spiegazioni buddhiste di tradizione tibetana in termini leggermente diversi da quelli che usiamo normalmente.

I problemi incontrollabilmente ricorrenti sono samsara. Queste sono situazioni in cui non abbiamo controllo e che continuano a ripresentarsi: ad esempio, essere sempre frustrati o avere sempre preoccupazioni e ansietà. Ora quali sono le loro “vere cause”? Il Buddha ha parlato di come non solo ci siano “veri problemi” che affrontiamo, ma anche di come essi abbiano vere cause e di come sia possibile arrestarle. Il modo di arrestarle, di conseguire “veri arresti” di esse, è seguire un “vero sentiero,” il che significa sviluppare “vere menti-sentiero,” modi di comprensione che eliminano le cause. Una volta che ci siamo liberati dalle cause, ci siamo liberati dai problemi.

La radice dei problemi: aggrapparsi ad una solida identità

La vera causa di questi problemi incontrollabilmente ricorrenti che affrontiamo nella vita è che non conosciamo la realtà. Siamo inconsapevoli di chi siamo realmente, chi siano realmente le altre persone, quale sia il senso della vita, cosa stia davvero succedendo nel mondo. Uso “inconsapevolezza” anziché ignoranza. Ignoranza suona come se qualcuno stesse dicendo che sei stupido e che non capisci. Invece di questo, siamo semplicemente inconsapevoli e, poiché siamo inconsapevoli, proviamo questa [inconsapevolezza] come insicurezza a livello psicologico. A causa di tale insicurezza, tendiamo ad aggrapparci ad un qualche tipo di solida identità, ad un qualche tipo di “io:” “non so chi sono o in che modo esisto, e così mi aggrapperò a qualcosa che forse è vero o forse è solo una fantasia su me stesso e dirò che questo sono io, questo è chi sono io realmente.”

Possiamo aggrapparci all’identità di essere un padre, per esempio: “questo è ciò che sono, sono il padre, devo essere rispettato nella mia famiglia. I miei figli devono avere un certo atteggiamento di rispetto e obbedienza verso di me.” Se l’intero orientamento nella vita è in termini di essere un padre, allora chiaramente questo può procurarci qualche difficoltà. Questo perché, se i nostri figli non lo rispettano, allora c’è un problema. Se siamo in un ufficio, le persone non ci guardano come fossimo un “padre,” oppure come qualcuno degno di tale tipo di rispetto. Ciò di nuovo può essere molto disturbante. Che succede se sono il capo nella mia famiglia e tuttavia, quando vado in ufficio, le altre persone in ufficio mi guardano dall’alto, mi trattano come un subalterno e devo mostrare loro rispetto? Se ci aggrappiamo troppo saldamente all’identità di essere un padre e di dover incutere rispetto, allora possiamo essere molto infelici in ufficio quando altre persone non ci trattano in quel modo.

Potremmo avere l’identità di essere un uomo d’affari di successo: “sono un uomo d’affari di successo. Questo è ciò che sono; questo è il modo in cui io devo essere.” Tuttavia, se i nostri affari falliscono o gli affari vanno molto male, siamo completamente distrutti. Alcune persone potrebbero addirittura suicidarsi, oppure fare ogni tipo di cose orribili se i loro affari falliscono, perché non possono proprio vedere la vita continuare senza questa forte identità alla quale si stavano aggrappando.

Oppure possiamo basare la nostra identità sull’essere virili: “questo è ciò che sono; sono un uomo virile, bello e attraente.” Ma non appena cominciamo ad invecchiare e a perdere la nostra virilità, questo potrebbe farci impazzire. Alcune persone potrebbero essere completamente distrutte, se quella fosse la loro identità, il loro io. Non sono disposti a vedere che ogni cosa cambia nella vita e che questa identità non è permanente.

Potremmo anche provare che siamo delle persone tradizionali e così ogni cosa deve essere fatta secondo modi tradizionali. Quando la società cambia e i giovani non seguono più le tradizioni sulle quali basiamo la nostra identità, possiamo diventare molto arrabbiati, molto turbati, molto offesi. Davvero non possiamo immaginare come potremmo possibilmente vivere in un mondo che non segue le nostre usanze tradizionali cinesi, il modo tradizionale in cui siamo stati educati.

D’altra parte, come persone giovani potremmo basare la nostra identità sull’essere persone moderne: “sono una moderna persona del mondo; non ho bisogno di questi valori tradizionali.” Se ci aggrappiamo molto saldamente a questo e poi i nostri genitori iniziano ad insistere molto che noi seguiamo i valori tradizionali, e che li trattiamo secondo i modi tradizionali, di nuovo, come giovani persone moderne possiamo sentirci molto ostili, molto arrabbiati. Potremmo non esprimerlo, ma dentro sentiremmo che, poiché la nostra identità è quella di persone moderne, non abbiamo bisogno di visitare i nostri genitori per il Capodanno cinese. Non abbiamo bisogno di fare tutte queste cose tradizionali, e di nuovo avremo molti problemi.

Possiamo anche identificarci con la nostra professione. Se poi i nostri affari falliscono e pensiamo soltanto a noi stessi esclusivamente in termini di quest'unica professione che avevamo, non saremo flessibili. Quando non possiamo fare quel lavoro che abbiamo fatto prima, sentiamo che il nostro mondo finisce. Non vediamo che è possibile intraprendere una differente professione e che non dobbiamo sempre esercitare un solo tipo di professione.

Ci aggrappiamo a questi differenti tipi di identità come modi per farci sentire sicuri. Abbiamo alcune idee su chi siamo, che tipo di regole seguiamo, che tipo di cose vogliamo dalla vita. Tendiamo a pensare che questo sia permanente, che tutto questo sia concreto, che questo sia davvero io. Ciò che accade è che, sulla base di questa concezione di noi stessi, di questa immagine di noi stessi, abbiamo ogni tipo di emozioni disturbanti che emergono come modi per sostenere quell’identità. Questo è perché ancora ci sentiamo insicuri su quell’identità, così sentiamo che dobbiamo dimostrarla e affermarla.

Per esempio, se sentiamo che “in famiglia sono il padre,” allora non è sufficiente per noi semplicemente sentire che in famiglia siamo il padre, dobbiamo anche affermare quell’autorità. Dobbiamo affermare il nostro potere sulla famiglia e assicurarci che ciascuno s'inchini a noi, perché dobbiamo dimostrare a tutti che siamo ancora il padre. Non è abbastanza per noi solo saperlo. Se sentiamo che questa identità è minacciata, possiamo metterci molto sulla difensiva, oppure possiamo diventare molto offensivi e aggressivi per dimostrare qualcosa. “Devo dimostrare chi sono. Devo dimostrare che sono ancora virile e attraente,” e così dobbiamo prendere un’altra moglie, oppure avere una storia d’amore con una donna giovane per dimostrare che questo è ciò che siamo, questo è il modo in cui esistiamo.

Emozioni e atteggiamenti disturbanti

Attrazione e desiderio bramoso

Emozioni e atteggiamenti disturbanti sono stati della mente che si manifestano, con i quali tentiamo di dimostrare o mantenere un’identità solida. Queste emozioni disturbanti possono essere di tipi diversi, come per esempio l’attrazione e il desiderio bramoso. Un desiderio bramoso si manifesta quando abbiamo bisogno di ottenere qualcosa per noi, intorno a noi, al fine di rendere sicura quell’identità. Per esempio, se la mia identità è di essere il padre o il patriarca della mia famiglia, allora potrei pensare: “devo ottenere rispetto; devo far sì che i miei figli vengano per l’Anno Nuovo e devo far sì che obbediscano a tutto ciò che dico.” In qualche modo sento che, se posso ottenere abbastanza rispetto, questo mi farà sentire molto sicuro. E ovviamente quando non ottengo quel rispetto, mi sento ferito e potrei arrabbiarmi molto.

Posso anche pensare che la mia identità sia quella di essere una persona fortunata: “devo sempre avere buona sorte e buona fortuna, e devo sempre vincere a mahjong.” Se questa è la mia identità, allora sento che, se vinco sempre a mahjong, se vinco sempre a diversi tipi di gioco d’azzardo, ciò mi fa sentire sicuro. Oppure potrei dover sempre andare dall’indovino o lanciare i bastoncini della fortuna al tempio buddhista cinese per trovare le risposte appropriate, riconfermando a me stesso che ho successo, che sono a posto. Sono troppo insicuro delle mie personali capacità negli affari per sentire che avrò successo. Devo sempre ottenere più segni, più segni dagli dei oppure più segni da chiunque per farmi sentire sicuro, e perciò devo sempre provarci impulsivamente.

Potrei anche sentire che “sono la persona al comando nei miei affari. Sono attratto dal potere, e il potere mi farà sentire sicuro.” Questo atteggiamento potrebbe derivare da diversi contesti psicologici. Potrebbe essere basato sul sentire che sono una persona potente, o sul sentire che non sono davvero una persona potente ma ho bisogno che quel potere mi sostenga. Allora sentiamo che “se posso fare in modo che tutti nel mio ufficio mi obbediscano, facciano le cose nel modo in cui voglio che le facciano, ciò mi renderà sicuro.” Oppure, se abbiamo domestici in casa, per dimostrare che sono in una posizione di autorità, sono sempre attratto dall’idea che debbano fare le cose nel modo in cui voglio, e potrei anche cominciare ad ordinare loro di fare cose che sono superflue, solo per dimostrare loro chi ha il controllo.

Uno può anche essere infatuato dall’attenzione. Come persone giovani, potremmo provare che: “la mia identità è quella di un giovane moderno che veste alla moda e, se potessi sempre tenermi al passo con le ultime mode, gli ultimi video, gli ultimi CD, le ultime cose che succedono su tutti i giornali di moda, ciò renderebbe la mia identità sicura.”

Ci sono molti modi diversi, molte cose diverse su cui potremmo concentrarci e sentire che, se solo potessi averle tutte intorno a me e accumularne abbastanza, abbastanza soldi, abbastanza averi, abbastanza potere, abbastanza attenzione o abbastanza amore, ciò mi renderebbe sicuro. Ovviamente non funziona. In realtà, se mai funzionasse, sentiremmo che abbiamo abbastanza e saremmo pienamente soddisfatti. Ma non sentiamo mai di averne abbastanza e vogliamo sempre di più, e quando non lo otteniamo ci arrabbiamo. La collera emerge in così tanti modi diversi.

Repulsione e ostilità

Un altro meccanismo che usiamo per tentare di rendere sicura un’identità apparentemente solida è la repulsione, l’ostilità, e la collera: “se solo potessi allontanare da me certe cose che non mi piacciono, che stanno minacciando la mia identità, ciò mi renderebbe sicuro.” In questo modo, se baso la mia identità sulle mie visioni politiche o sulla mia razza o sulla mia cultura: “se solo allontanassi chiunque abbia una visione diversa, una pelle di diverso colore, una diversa religione, ciò mi renderebbe sicuro.” Oppure, se i miei domestici stanno facendo cose in modo leggermente diverso da come voglio che le facciano, o quelli che lavorano nel mio ufficio stanno facendo cose un po’ diverse dal modo in cui voglio le facciano, sentiamo, “se solo potessi correggerli, se solo potessi cambiare quel modo, ciò mi renderebbe sicuro.” Mi piacciono le mie carte sistemate sulla scrivania in un certo modo, ma quell’altra persona nel mio ufficio le sta sistemando in un modo diverso. In qualche modo sentiamo che questo ci sta minacciando: “se solo potessi farglielo fare a modo mio, ciò mi renderebbe sicuro.” Che differenza fa? In questo modo, dirigiamo la nostra ostilità verso gli altri nello sforzo di allontanare da noi tutto ciò che ci sta minacciando.

Oppure, quando basiamo la nostra identità sull’essere qualcuno che è sempre corretto, allora quando qualcuno ci disapprova o critica, ci mettiamo molto sulla difensiva, diventiamo ostili e arrabbiati. Anziché accettare con riconoscenza la critica di questa persona così che cresciamo e miglioriamo noi stessi, o anche se la sua critica è ingiusta, servendoci dell’occasione per verificare noi stessi e assicurarci di non essere troppo indulgenti o in errore, attacchiamo la persona con parole dure, o agiamo con maniere ostili in modo passivo ignorando quella persona e non parlandole. Agiamo in questo modo perché ci sentiamo piuttosto insicuri e minacciati. Pensiamo che la persona stia respingendo “me,” che sono sempre giusto, e così per proteggere questo solido “me,” respingiamo quella persona.

Ingenuità dalla mentalità ristretta

Un altro meccanismo è l’ingenuità dalla mentalità ristretta, che è essenzialmente il costruire muri intorno a noi: “se qualcosa mi sta minacciando, sta minacciando la mia identità, beh, semplicemente fingo che non esista.” Abbiamo difficoltà con la nostra famiglia, difficoltà al lavoro e torniamo a casa, con una faccia di pietra, come se non fossimo preoccupati di nulla. Non vogliamo parlarne; accendiamo semplicemente la televisione e fingiamo che il problema non esista. Questo è un atteggiamento dalla mentalità ristretta. I nostri figli vogliono parlare dei problemi che hanno e noi semplicemente li allontaniamo. “La mia identità è che la nostra famiglia non ha problemi; la nostra famiglia è perfetta; segue tutti i valori tradizionali. Come puoi insinuare che c’è un problema e turbare l’equilibrio, turbare l’armonia?” Sentiamo che l’unico modo di affrontare il problema è fingere che non esista. Questo tipo di atteggiamento è chiamato ingenuità dalla mentalità ristretta.

Gli impulsi che ci vengono in mente sono espressioni del karma

Quando abbiamo questi diversi tipi di emozioni disturbanti, la cosa seguente che accade è che diversi impulsi ci vengono in mente. Questo è ciò a cui il karma si riferisce. “Karma” non significa fato o destino. Sfortunatamente, molte persone sembrano pensare che significhi proprio questo. Se gli affari di qualcuno falliscono o qualcuno è investito da un’auto, potremmo dire, “beh, sfortuna nera, quello è il loro karma.” Questo è quasi come dire: “questa è la volontà di Dio.”

Qui, nella discussione sul karma, non stiamo parlando della volontà di Dio o del destino. Stiamo parlando di impulsi, i vari impulsi che ci vengono in mente per fare delle cose. Per esempio, l’impulso che ci è venuto in mente di prendere una certa decisione nei nostri affari, la quale si è rivelata essere una cattiva decisione. Oppure l’impulso di fare una richiesta ai miei figli, che mi mostrino rispetto. Oppure l’impulso di urlare ai miei impiegati, che devono fare le cose non a modo loro ma a modo mio. Un altro impulso potrebbe venirmi in mente di mostrare una faccia di pietra, accendere la televisione e non ascoltare nessuno. Questi tipi di impulsi, karma, ci vengono in mente, li mettiamo in atto e ciò produce i nostri problemi incontrollabilmente ricorrenti. Questo è il meccanismo.

Potremmo avere il problema di sentirci sempre ansiosi e preoccupati riguardo alla nostra posizione di lavoro, o riguardo ai problemi nella nostra famiglia. Sulla base dell’aggrapparci alla solida identità che “devo avere successo e in questo modo accontentare i miei genitori o la società,” tentiamo di difendere quell’identità negando che il problema dell’ansia esista. Diventiamo di mentalità chiusa e chiusi di cuore. Poi, anche se stesse accadendo ogni tipo di difficoltà nella nostra famiglia o sul lavoro, queste restano sotto la superficie e ciascuno semplicemente mette su una bella faccia. Dentro, però, ci sono tutte queste preoccupazioni e tensioni, che in seguito potrebbero veramente esplodere in un impulso che conduce a una scena di violenza, spesso diretta verso qualcuno della nostra famiglia o sul lavoro, che non è nemmeno coinvolto nella questione. Questo poi porta a problemi enormi.

Questi sono i differenti meccanismi che producono i nostri problemi incontrollabilmente ricorrenti. Possiamo vedere che questo ha a che fare con le nostre varie emozioni e naturalmente nasce la domanda, tutte le emozioni sono cause di problemi? Tutte le emozioni sono cose che ci danno problemi?

Emozioni costruttive

Dobbiamo differenziare tra certe emozioni che sono molto positive e costruttive, come amore, cordialità, affetto, tolleranza, pazienza e gentilezza; ed emozioni negative o distruttive come desiderio bramoso, ostilità, mentalità ristretta, orgoglio, arroganza, gelosia e via dicendo. Non c’è una parola per emozioni nella lingua pali, sanscrita o tibetana. Possiamo parlare di quelle positive o di quelle negative, ma non c’è una parola comune che le copra entrambe come in inglese.

Quando parliamo di certe emozioni o atteggiamenti che, quando suscitati, ci fanno sentire a disagio o inquieti, quelle sono emozioni disturbanti o atteggiamenti disturbanti. Per esempio, potremmo avere un’infatuazione o un’ossessione per qualcosa o qualcuno e ciò ci fa sentire molto inquieti. Potremmo essere molto ansiosi di ricevere rispetto, oppure ci aggrappiamo all’amore, all’attenzione o all’approvazione di qualcuno perché siamo attaccati a questa persona e ci aggrappiamo alla sua approvazione e via dicendo per farci sentire degni e sicuri: queste sono tutte difficoltà che emergono in termini di atteggiamento emotivo disturbante di un desiderio bramoso. Ogni volta che siamo ostili ci sentiamo molto a disagio; oppure, se abbiamo una mentalità ristretta, anche questo è un sentimento inquieto. Tutti questi atteggiamenti sono cause di problemi. Perciò dobbiamo differenziare le emozioni negative dalle positive, come nel caso dell’amore.

L’amore, nella tradizione buddhista, è definito come l’emozione positiva con la quale desideriamo che gli altri ottengano la felicità e le cause della felicità. Questo si basa sul ragionamento che siamo tutti uguali e che ognuno di noi ugualmente vuole essere felice, e nessuno vuole avere alcun problema. Ognuno ha lo stesso diritto di essere felice. Occuparsi e prendersi cura degli altri nello stesso modo in cui faremmo con noi stessi è amore. È l’avere cura che gli altri siano felici, indipendentemente da ciò che fanno. È come l’amore di una madre, che ama ancora il proprio bambino anche quando il bambino le ha sporcato il vestito o le ha vomitato addosso. Ciò non importa, la madre non smette di amare il bambino solo perché il bambino si è ammalato ed ha vomitato sui suoi vestiti. La madre ha ancora la stessa cura, lo stesso desiderio che il bambino sia felice. Mentre ciò che spesso chiamiamo amore è un'espressione di dipendenza o bisogno. “Ti amo” significa “ho bisogno di te, non lasciarmi mai, non posso vivere senza di te, ed è meglio che tu faccia questo e quello, che tu sia una buona moglie o un buon marito, che mi porti sempre fiori il giorno di San Valentino e che faccia sempre quello che mi fa piacere. Se non lo fai, beh, ora ti odio perché non hai fatto quello che volevo, non c’eri quando avevo bisogno di te.”

Tale atteggiamento è un’emozione disturbante e non è l’idea buddhista di amore. L’amore è avere cura di qualcuno, sia che ci mandi fiori o no, sia che ci ascolti o no, sia che sia gentile e piacevole con noi o che si comporti orribilmente verso di noi e anche ci respinga. È l’avere cura che sia felice. Dovremmo realizzare che quando parliamo di amore e di simili emozioni, ce ne può essere sia un tipo positivo che uno disturbante.

La collera è sempre un’emozione disturbante

Infine ora arriviamo a discutere della collera. Che succede con la collera? La collera è qualcosa che è sempre disturbante. Nessuno è reso più felice dall’essere in collera. Non ci fa sentire meglio arrabbiarci. Non fa avere al nostro cibo un sapore migliore. Quando siamo in collera e agitati, non ci sentiamo a nostro agio e non possiamo dormire. Non dobbiamo fare una grande scenata, urlando e gridando, ma se dentro di noi siamo in collera per ciò che sta succedendo nel nostro ufficio o nella nostra famiglia, ciò può cominciare a provocarci una cattiva digestione o un’ulcera, oppure non possiamo dormire di notte. Andiamo incontro a molte difficoltà che emergono a causa del trattenere la collera e, se effettivamente esprimiamo tale collera e diamo agli altri occhiate molto ostili e ostili vibrazioni, perfino gatti e cani non vorranno stare intorno a noi. Se ne andranno via lentamente perché sono messi a disagio dalla nostra presenza, dalla nostra collera.

La collera è qualcosa che non ha affatto alcun beneficio reale. Se la nostra collera diventa così forte o frustrata che dobbiamo sfogarla in qualche modo ed esplodiamo e lanciamo una maledizione a qualcuno o gli lanciamo qualche funesto incantesimo, questo ci fa davvero sentire meglio? Ci fa sentire meglio vedere qualcun altro ferito e turbato? Oppure ci arrabbiamo tanto che sentiamo di dover prendere a pugni il muro. Prendere a pugni il muro ci fa davvero sentire meglio? No, ovviamente no, fa male. A dire la verità la collera non ci aiuta in alcun modo. Se siamo bloccati nel traffico e ci arrabbiassimo tanto da cominciare a suonare il clacson, e urlare e maledire tutti, a che serve? Ci fa sentire meglio? Ha reso le auto più veloci? No, ci ha solo fatto perdere la faccia davanti a tutti gli altri perché diranno, “chi è questo idiota che suona il clacson?” Questo chiaramente non aiuterà quella situazione.

Dobbiamo provare collera?

Se emozioni disturbanti come collera e tipi impulsivi di comportamento basati su di esse, come urlare e gridare contro qualcuno oppure con ostilità isolarci o respingere qualcuno, sono le cause dei nostri problemi, avremo sempre difficoltà con esse? Questo è qualcosa che dobbiamo provare sempre? No, questo non è il caso, perché le emozioni disturbanti non sono parte della natura della mente. Se lo fossero, allora la nostra mente dovrebbe essere sempre disturbata. Anche nei casi più seri, ci sono momenti in cui non siamo disturbati dalla collera. Per esempio, quando finalmente ci addormentiamo, non stiamo provando collera.

È perciò possibile che ci siano certi momenti in cui emozioni disturbanti come collera, ostilità e risentimento non sono presenti. Questo prova che queste emozioni distruttive non sono permanenti; non sono parte della natura delle nostre menti e perciò sono cose di cui ci si può liberare. Se arrestiamo le cause della nostra collera, non soltanto superficialmente ma al livello più profondo, è definitivamente possibile superare il risentimento e conseguire la pace della mente.

Questo non significa che dobbiamo liberarci di tutte le emozioni e i sentimenti e diventare proprio come il Dr. Spock in Star Trek, diventare qualcuno che è proprio come un robot o un computer con nessuna emozione. Piuttosto, ciò che vogliamo è liberarci delle nostre emozioni disturbanti, i nostri atteggiamenti disturbanti che sono basati sulla confusione, e sulla nostra mancanza di consapevolezza della realtà di chi siamo. Gli insegnamenti buddhisti sono molto ricchi di metodi per fare questo.

Superare la collera: cambiare la qualità della nostra vita

Prima di tutto, abbiamo bisogno di avere una certa motivazione o base che ci spinga a lavorare su noi stessi per liberarci della nostra collera e di tutte le nostre emozioni e atteggiamenti disturbanti. Se non abbiamo alcuna ragione per farlo, perché dovremmo farlo? Perciò è importante avere una motivazione.

Possiamo cominciare a sviluppare tale motivazione pensando: “voglio essere felice e non aver alcun problema. Voglio migliorare la qualità della mia vita. La mia vita non è molto piacevole perché provo sempre risentimento e ostilità dentro di me. Spesso, mi arrabbio. Forse non lo esprimo, ma è lì e mi fa sentire molto infelice, molto agitato tutto il tempo e non è una qualità di vita molto buona. Inoltre, mi provoca una cattiva digestione e ciò mi fa venire la nausea. Non posso nemmeno godermi il cibo che mi piace.”

Dopo tutto, la qualità della nostra vita è qualcosa che è nelle nostre mani. Uno dei più grandi messaggi che il Buddha ha insegnato è che possiamo fare qualcosa per la qualità della nostra vita. Non siamo condannati a dovere vivere le nostre vite nell’infelicità tutto il tempo. Possiamo fare qualcosa.

Allora penseremmo, “non solo voglio migliorare la qualità della mia vita ora, o in questo momento, nel breve termine, ma anche nel lungo termine. Non voglio permettere che le cose vadano così male che finiscano addirittura col peggiorare. Perché, per esempio, se non mi libero della mia ostilità e del mio risentimento ora e se li tengo dentro, peggioreranno e potreisviluppare un’ulcera. Potrei esplodere e fare qualcosa di terribile, come lanciare una maledizione o un incantesimo su qualcuno, e tentare davvero di distruggerlo. Ciò potrebbe condurre l’altra persona a vendicarsi lanciando una maledizione su di me e sulla mia famiglia e, all’improvviso, abbiamo la sceneggiatura perfetta per un nuovo video o film.”

Se siamo previdenti del fatto che questo sia qualcosa che non vorremmo capitasse, ci lavoreremo e tenteremo di liberarci della nostra collera così che i problemi non si intensificheranno. Inoltre, potremmo aspirare non soltanto a minimizzare i nostri problemi, ma, meglio ancora, a liberarci interamente di tutti i problemi, perché sentire anche una piccola quantità di ostilità e risentimento non è divertente: “devo sviluppare una forte determinazione ad essere libero da tutti i problemi.”

Determinazione ad essere libero

Di solito ciò che chiamo una “determinazione ad essere libero” è tradotto con “rinuncia,” che è una traduzione piuttosto fuorviante. Tende a dare l’impressione che dovremmo abbandonare ogni cosa e andare a vivere in una caverna. Questo non è per niente ciò che si sta chiedendo in questo caso. Ciò di cui si sta parlando è di guardare ai nostri problemi onestamente e coraggiosamente e, vedendo quanto sia ridicolo continuare a vivere con essi, decidere: “non voglio continuare così. Ne ho avuto abbastanza. Ne ho abbastanza; non ne posso più. Devo uscirne.”

L’atteggiamento da sviluppare in questo caso è la determinazione ad essere liberi e, con ciò, la disponibilità ad abbandonare i nostri vecchi, disturbanti schemi di pensiero, parola e comportamento. Questo è molto importante. A meno che non ci siamo decisi con molta fermezza, non ci metteremo tutta la nostra energia. Fino a che non ci metteremo tutta la nostra energia, il nostro sforzo per essere liberi sarà soltanto esitante e non andremo da nessuna parte. Vorremo ottenere felicità ma non abbandonare nulla, come le nostre abitudini ed emozioni negative. Ciò non ha mai successo. Perciò, è molto importante avere questa fortissima determinazione per decidere che uno deve porre fine ai propri problemi ed essere disponibile ad abbandonare questi ultimi, assieme alle loro cause.

Ad un successivo e più alto livello, dobbiamo pensare: “devo liberarmi dalla mia collera non soltanto per trovare la felicità per me stesso, ma anche per il bene di tutti gli altri intorno a me. Per il bene della mia famiglia, dei miei amici, dei miei colleghi e della società, devo liberarmi dalla mia collera. Devo superare questo, per riguardo verso gli altri. Non voglio causare loro difficoltà e renderli infelici. Non solo mi farebbe perdere la faccia se esprimessi la mia collera, ma sarebbe una vergogna per tutta la mia famiglia. Sarebbe una vergogna per tutti i miei collaboratori e via dicendo. Così, per riguardo verso di loro, devo imparare ad essere capace di controllare e affrontare la mia collera, e liberarmene.”

Una motivazione anche più forte è prodotta dal riflettere: “devo liberarmi da questa collera perché m'impedisce di aiutare gli altri. Se gli altri hanno bisogno del mio aiuto, come i miei figli o le persone al lavoro o i miei genitori, e se sono completamente sconvolto o disturbato dalla collera o dall’ostilità, come posso aiutarli?” Ciò è un ostacolo considerevole e così è molto importante lavorare su noi stessi per sviluppare sinceramente questi diversi livelli di motivazione.

Indipendentemente da quanto raffinato possa essere il metodo per affrontare la collera, se non abbiamo una forte motivazione a metterlo in pratica, non lo faremo. E, se non mettiamo in pratica i metodi che impariamo, allora qual è il punto? Perciò, il primo passo è pensare in termini di motivazione.

Video: Dr. Alexander Berzin — “Esprimere le emozioni in modo salutare”
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Metodi per superare la collera

Quali sono i metodi effettivi che possiamo usare per superare la collera? La collera è definita come uno stato agitato della mente che vuole generare violenza contro qualcosa, animato o inanimato. Se ci concentriamo su una persona, un animale, una situazione o qualche oggetto ed esso non ci piace e vogliamo esprimere della violenza e dell’agitazione verso di esso, farlo cambiare in un modo violento, questa è collera. Così, la collera è uno stato di intolleranza e una mancanza di pazienza, combinati con il desiderio di nuocere qualunque cosa vi sia che non possiamo sopportare. Il suo opposto, da un lato, è la pazienza, la quale è l’opposto dell’intolleranza e, dall’altro lato, l’amore. Poiché l’amore è il desiderio che qualcun altro sia felice, l’amore è l’opposto di desiderare un danno per lui.

Spesso ci arrabbiamo in situazioni in cui ci succede qualcosa che non ci piace sia successa. Le persone non stanno agendo nel modo in cui vogliamo che agiscano. Per esempio, non ci stanno dimostrando rispetto, non si stanno attenendo ai nostri ordini al lavoro, oppure hanno promesso di fare qualcosa per noi negli affari e non lo fanno. Dato che non fanno quello che ci aspettiamo che facciano, ci arrabbiamo con loro. In un altro esempio, qualcuno potrebbe calpestarci un dito del piede, e noi ci arrabbiamo con lui poiché questo è qualcosa che non ci piace che accada. Ma ci sono diversi modi in cui possiamo affrontare tali circostanze, senza arrabbiarci.

Il consiglio di Shantideva per coltivare la pazienza

Un grande maestro buddhista indiano dell’ottavo secolo, Shantideva, ha dato molte linee di pensiero per aiutarci. Se posso parafrasare ciò che ha scritto, ha detto: “se in una situazione difficile c’è qualcosa che possiamo fare per cambiarla, allora perché preoccuparsi e arrabbiarsi, semplicemente cambiala. Se non c’è nulla che possiamo fare, allora perché preoccuparsi e arrabbiarsi? Se non può essere cambiata, la collera non aiuterà.”

Per esempio, vogliamo prendere un volo da qui, Penang, per Singapore, ma quando arriviamo all’aeroporto il volo è tutto prenotato ed già pieno. Non ha senso arrabbiarsi. La collera non ci aiuterà a salire sull’aereo. Tuttavia, c’è qualcosa che possiamo fare per cambiare la situazione: possiamo prendere il prossimo volo. Perché arrabbiarsi? Prenota il prossimo volo, telefona agli amici a Singapore e informali che arriveremo più tardi; poi è fatta. Questo è qualcosa che possiamo fare per occuparci del problema. Se la nostra televisione non funziona, allora perché ci arrabbiamo e la prendiamo a calci e imprechiamo? Semplicemente aggiustiamola. Questo è qualcosa di molto ovvio. Se c’è una situazione che possiamo cambiare, allora non c’è bisogno di arrabbiarsi, semplicemente cambiamola.

Se non c’è nulla che possiamo fare per cambiare la situazione, come per esempio se siamo nel traffico dell’ora di punta, allora dobbiamo semplicemente accettarla. Non abbiamo un cannone a raggi laser sulla parte anteriore della nostra auto per far fuori tutte le auto davanti a noi o non possiamo volare sopra il traffico come in qualche cartone giapponese. Perciò, dobbiamo accettarla con garbo, pensando: “va bene sono nel traffico, accenderò la radio, oppure accenderò il registratore e ascolterò degli insegnamenti buddhisti, oppure della bella musica.” Il più delle volte, sappiamo quando saremo nel traffico dell’ora di punta e perciò possiamo prepararci prendendo con noi una cassetta da ascoltare. Se sappiamo che dobbiamo guidare in tale traffico, possiamo usare quel tempo nel modo migliore. Possiamo pensare a qualche problema nel nostro ufficio o in famiglia o qualunque altra cosa e tentare di farci venire in mente una buona soluzione per questi problemi.

Se non c’è nulla che possiamo fare per cambiare una situazione difficile, allora semplicemente tentiamo di ottenere il meglio da essa. Se ci facciamo male al dito del piede nel buio, beh, se saltiamo su e giù e urliamo e gridiamo, ciò ci farà sentire meglio in alcun modo? Nello slang americano chiamiamo ciò “fare la danza del ferito.” Ti fai così male che danzi su e giù, salti su e giù; ma ciò non ti farà sentire meglio. C’è poco che si possa fare. L’unica cosa da fare è semplicemente andare avanti con qualunque cosa stiamo facendo. Il dolore è temporaneo. È qualcosa che passerà. Non durerà per sempre e saltare su e giù, gridare e urlare non ci farà sentire meglio. Cosa vogliamo? Vogliamo che tutti vengano e dicano: “Oh povero, ti sei fatto male al dito del piede.” Se un bebè o un bambino si fa male, allora sua madre viene e lo bacia e lo fa sentire meglio. Allora ci aspettiamo che le persone ci trattino in modo simile, come un bimbo?

Mentre aspettiamo il nostro turno in coda o l’autobus, se pensiamo alla temporaneità che non sarò sempre il numero trentadue o il numero nove in coda, ma che alla fine il mio turno arriverà, questo ci aiuterà ad essere capaci di tollerare la situazione e potremmo usare quel tempo in un modo diverso. C’è un detto in India: “aspettare ha un certo piacere in sé.” Questo è vero, perché se dobbiamo aspettare il nostro turno in coda o l'autobus, potremmo usare quel tempo per diventare consapevoli delle altre persone in coda o alla fermata dell'autobus, delle cose che succedono in ufficio, o di qualunque altra cosa. Ci aiuta a sviluppare un senso di riguardo verso gli altri e la compassione. Se siamo in tali situazioni, potremmo inoltre usare il tempo costruttivamente anziché passare mezz'ora ad imprecare.

Un’altra linea di consiglio di Shantideva ci dice: “se qualcuno ci colpisce con un bastone, con chi ci arrabbiamo? Ci arrabbiamo con la persona o ci arrabbiamo con il bastone?” Se ci pensiamo logicamente, dovremmo arrabbiarci con il bastone, perché è stato il bastone a farci del male! Ma ciò è stupido. Nessuno si arrabbia con un bastone; ci arrabbiamo con la persona. Perché ci arrabbiamo con la persona? Perché il bastone è stato usato dalla persona. Allo stesso modo, se pensiamo ulteriormente, la persona è stata manipolata dalle sue emozioni disturbanti. Così, se ci arrabbiamo, dovremmo arrabbiarci verso le emozioni disturbanti di questa persona, le quali hanno fatto in modo che lui o lei ci colpisse con il bastone.

Allora pensiamo: “da dove è venuta questa emozione disturbante? Non è venuta dal nulla. Devo aver fatto qualcosa per provocarla. Devo aver fatto qualcosa che ha fatto in modo che l’altra persona si arrabbiasse con me e mi colpisse poi con il bastone. In quel modo, potrei aver chiesto a qualcuno di farmi un favore e quando lui o lei ha rifiutato, mi sono arrabbiato. Mi sono offeso per questo. Beh, se ci penso, è stato infatti un mio errore. Ero troppo pigro e non l’ho fatto da solo. Ho chiesto a quest’altra persona di farmi un favore e, quando lui o lei ha rifiutato, mi sono arrabbiato. Se non fossi stato io stesso così pigro, allora non l'avrei mai chiesto a questa persona, e l’intero problema non si sarebbe mai presentato. Se proprio mi arrabbierò, dovrei arrabbiarmi con me stesso per essere così stupido e pigro da chiedere a questa persona di farmi un favore.”

Anche quando parzialmente non è stato un nostro errore, dobbiamo guardare per vedere se noi stessi siamo liberi da questa emozione disturbante che sta manipolando l’altra persona, come per esempio dall’egoismo: “ha rifiutato di farmi un favore. Beh, io faccio sempre favori agli altri? Sono io qualcuno che sempre accetta di aiutare gli altri, e lo fa immediatamente? Se non lo sono, allora perché dovrei aspettarmi che le altre persone facciano sempre lo sforzo di aiutarmi?” Questo è un altro modo di affrontare la collera.

Ho menzionato prima che la collera non deve sempre essere espressa urlando, gridando o colpendo un’altra persona. La collera è un’emozione disturbante che, per definizione, quando si presenta ci fa sentire a disagio. Così, anche se la stiamo tenendo dentro e non la esprimiamo mai, la collera agirà in modo molto distruttivo dentro di noi e ci turberà molto. Più tardi verrà fuori in un modo molto distruttivo. Dobbiamo applicare gli stessi metodi che ho appena spiegato al fine di essere capaci di gestire anche la collera tenuta inespressa dentro di noi. Dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento. Dobbiamo sviluppare la pazienza.

Diversi tipi di pazienza

Tipo di pazienza del bersaglio

Ci sono molti tipi diversi di pazienza. Il primo è il tipo di pazienza del bersaglio. L’idea è che, se tu non avessi preparato un bersaglio, nessuno lo avrebbe colpito. In America, i bambini hanno un piccolo gioco. Appuntano o incollano un pezzo di carta sul didietro dei pantaloni di un loro amico. Sulla carta scrivono “dammi un calcio” e questo è chiamato il segno del “dammi un calcio.” Allora chiunque veda questo “dammi un calcio” sul didietro del piccolo bambino, gli darà un calcio. In tal modo, con questo tipo di pazienza pensiamo a come abbiamo appuntato tale segno del “dammi un calcio” sul nostro didietro attraverso le nostre azioni negative e distruttive in passato, e a come questo sia la causa del fatto che ora ci capitiogni tipo di problema.

Per esempio, supponiamo di essere aggrediti per strada. Penseremmo, “se non avessi preparato un bersaglio agendo negativamente e distruttivamente in passato o in vite precedenti, allora non mi sarebbe venuto in mente l’impulso di passare per quella strada buia proprio in quel momento in cui c’era un assalitore che aspettava di derubarmi e picchiarmi. Di solito non vado là, ma quella notte ho pensato, passerò per quella strada buia. Di solito vado a casa molto prima, ma quella notte mi è venuto l’impulso di stare con i miei amici un po’ più a lungo. In aggiunta, sono passato per quella strada proprio nel momento in cui c’era un rapinatore ad aspettare che qualcuno arrivasse. Perché quell’impulso mi è venuto in mente? Deve essere stato che in passato ho fatto qualcosa che ha ferito questa persona e ciò ora sta maturando in termini di causa ed effetto.”

Gli impulsi vengono alle nostre menti come espressione del karma. Così possiamo pensare: “sto esaurendo il mio karma negativo precedente. Dovrei essere molto felice che me la stia cavando così a buon mercato, perché poteva andare molto peggio. Questa persona mi ha semplicemente derubato, ma avrebbe potuto anche spararmi. Perciò, dovrei sentirmi molto sollevato che ora questa negatività sia maturata con così poco e che con essa abbia chiuso. Dopo tutto non è andata così male ed è un bene essermene liberato, essermela tolta di dosso. Non ho più questo debito karmico.”

Questo tipo di pensiero è molto utile. Ricordo che una volta stavo andando con un amico in vacanza per passare un weekend in spiaggia. Abbiamo guidato per molte ore. Era un lungo viaggio dalla città. Dopo aver guidato per circa un’ora e mezza, abbiamo sentito uno strano rumore provenire dall’auto. Ci siamo fermati da un meccanico in una stazione lungo la strada. Il meccanico ha dato un’occhiata all’auto e ha detto che c’era una crepa nell’asse e che non avremmo potuto continuare; abbiamo dovuto chiamare un carro attrezzi per farci trainare indietro verso la grande città. Il mio amico e io avremmo potuto seccarci e arrabbiarci molto perché volevamo andare in questa bella località sulla spiaggia per un weekend di riposo. Ma con un atteggiamento diverso l’abbiamo guardata in modo completamente diverso: “oh, è fantastico! È un’ottima cosa che questo sia accaduto perché, se avessimo continuato, l’asse avrebbe potuto rompersi mentre stavamo guidando. Avremmo potuto avere un terribile incidente ed essere entrambi uccisi. Quindi è fantastico che ciò sia maturato in questo modo. Ce la siamo cavata facilmente.” Così, con la mente tranquilla, abbiamo preso il carro attrezzi per tornare indietro in città e, una volta là, abbiamo preso in prestito un’altra auto e poi abbiamo continuato con un piano diverso.

Potete vedere che ci sono molti modi in cui avremmo potuto vivere quel tipo di situazione. Arrabbiarsi e agitarsi non avrebbero aiutato per niente. Se possiamo guardarla in termini di: “questo sta esaurendo il mio karma negativo passato. Questo debito karmico ora è maturato. Splendido, abbiamo chiuso. Poteva andare molto peggio,” questo è un modo molto più sensato di gestirla.

Tipo di pazienza dell’amore e della compassione

C’è anche il tipo di pazienza chiamato “pazienza dell’amore e della compassione.” Con questa pazienza, consideriamo chiunque si arrabbi con noi, oppure urli e gridi contro di noi, come un pazzo, qualcuno disturbato mentalmente. Questo tipo di pazienza può anche essere messo in pratica con qualcuno che ci mette in imbarazzo o ci critica davanti agli altri, che ci farebbe perdere la faccia e con cui ci arrabbieremmo. Se, per esempio, un pappagallo dicesse i nostri nomi davanti agli altri, ciò non ci farebbe perdere la faccia, no? Non c’è ragione di arrabbiarsi con l’uccello. Sarebbe una reazione stupida. Similmente, se un pazzo comincia ad urlare e gridare contro di noi, a dire il vero non perdiamo la faccia per questo. Tutti sanno che i bambini occasionalmente hanno scatti d’ira. Anche uno psichiatra non si arrabbia con un paziente quando quest'ultimo è in collera, ma piuttosto prova compassione per il paziente.

Allo stesso modo, tenteremmo di provare compassione per chiunque ci renda agitati, si arrabbi con noi o ci metta in imbarazzo. Dobbiamo renderci conto che, in realtà, sono loro a perdere la faccia, non è vero? Non siamo noi a perdere la faccia. Tutti vedono che questa persona è la sola a fare di sé un completo idiota. Dovremmo provare compassione per la persona, allora, anziché collera.

Questo non significa che, se qualcuno sta tentando di colpirci, non tentiamo di fermarlo. Se il nostro bambino sta gridando, noi tentiamo di calmarlo. Vogliamo impedirgli di causare danno a noi o agli altri, e di causare danno a lui stesso. Il punto è di non farlo per collera. Se il nostro bambino si sta comportando male, lo puniamo non per collera, ma per il bene del bambino stesso. Vogliamo aiutare il bambino a non perdere la faccia, e non vogliamo che le persone pensino male di lui. Vogliamo punire il bambino perché ci interessiamo di lui, non per collera.

Il tipo di pazienza guru-discepolo

Poi c’è il “tipo di pazienza guru-discepolo.” Questo è basato sul fatto che un discepolo non può imparare senza un maestro, e così, se nessuno ci mettesse alla prova, non potremmo sviluppare la pazienza. Nel decimo secolo, il grande maestro indiano Atisha fu invitato in Tibet per aiutare a risollevare il Buddhismo. Questo maestro indiano portò con sé un cuoco indiano. Il cuoco indiano non fece mai nulla in modo corretto o rispettoso; era assolutamente detestabile e molto spiacevole. I tibetani rispettavano molto Atisha e perciò gli chiesero: “Maestro, perché hai portato con te dall’India questo cuoco odioso? Perché non lo rimandi indietro? Noi possiamo cucinare per te; possiamo cucinare molto bene.” Atisha rispose: “oh, lui non è solo il mio cuoco. L’ho portato con me perché è il mio maestro di pazienza!”

Allo stesso modo, se c’è qualcuno nel nostro ufficio che è detestabile, che sta sempre dicendo cose che ci danno fastidio, possiamo guardare a questa persona come al nostro maestro di pazienza. Ci sono alcune persone con abitudini molto irritanti, come tamburellare sempre con le loro dita. Se nessuno ci mette alla prova, come potremmo sviluppare noi stessi? Se ci imbattiamo in situazioni difficili come un lungo ritardo all’aeroporto o alla stazione degli autobus, possiamo usarle come un’occasione d’oro per praticare la pazienza: “ah! Mi sono allenato per fare questo. Mi sono allenato a coltivare la pazienza, e ora qui c’è la mia possibilità di vedere se posso effettivamente farlo.” Oppure, se stiamo avendo difficoltà nell’ottenere alcuni moduli burocratici da un ufficio, la prendiamo come la nostra sfida. “Questo è come quando mi sono allenato in arti marziali per qualche tempo e infine ho avuto la possibilità di usare le mie abilità. Sono contentissimo.” Allo stesso modo, se abbiamo allenato noi stessi ad essere pazienti e tolleranti, allora quando abbiamo a che fare con una situazione detestabile come questa, la guarderemo con grande gioia: “ah! Qui c’è una sfida. Vediamo se posso gestirla e non perdere il controllo, non arrabbiarmi, nemmeno stare male dentro.”

Non perdere la nostra pazienza è una sfida molto più grande di un incontro di arti marziali. Questo è perché dobbiamo affrontare la sfida con le nostre menti, con i nostri sentimenti, non soltanto con il nostro corpo e il nostro controllo fisico. Se gli altri ci criticano, dobbiamo tentare di guardare a questa critica come una possibilità di vedere dove siamo nel nostro sviluppo, invece di sentirci arrabbiati per essa. “Questa persona che mi sta criticando potrebbe indicare alcune cose su di me da cui forse potrei imparare.” In questo senso, dobbiamo tentare di tollerare la critica e imparare a gestirla, cambiando il nostro atteggiamento. Se ci arrabbiamo molto, ciò potrebbe farci perdere la faccia di più rispetto a qualche folle che ci avesse semplicemente criticato e urlato contro.

Pazienza verso la natura delle cose

Un altro modo di affrontare la collera e sviluppare pazienza è “la pazienza verso la natura delle cose.” È la natura delle persone immature comportarsi male e sgarbatamente. Se c’è un fuoco, la sua natura è di essere caldo e bruciare. Se mettiamo la nostra mano in questo fuoco e ci bruciamo, beh, cosa ci aspettiamo? Il fuoco è caldo; ecco perché il fuoco brucia. Se guidiamo attraverso la città durante l’ora di pranzo, beh, cosa ci aspettiamo? È l’ora di pranzo e ci sarà un traffico intenso: ciò è nella natura delle cose. Se chiediamo a un bambino piccolo di portare un vassoio o una tazza di tè caldo e lui lo rovescia, beh, cosa ci aspettiamo? È un bambino e non possiamo aspettarci che il bambino non rovesci nulla. Allo stesso modo, se chiediamo ad altre persone di farci un favore o di fare qualcosa per i nostri affari, facciamo un accordo e poi ci deludono, beh, cosa ci aspettiamo? Le persone sono immature; non possiamo contare sugli altri. Shantideva, il grande maestro indiano, disse: “se vuoi fare qualcosa di positivo e costruttivo, fallo da solo. Non contare su nessun altro. Questo perché, se conti su qualcun altro, non c’è certezza che lui o lei non ti deludano.” Questo è il modo in cui possiamo guardare a tali situazioni: “beh, cosa mi aspettavo? Se è nella natura delle persone deludere gli altri, non c’è motivo per me di arrabbiarmi.”

Pazienza della sfera di realtà

L’ultimo metodo da usare contro la collera è chiamato “pazienza della sfera di realtà,” vedere cosa sta effettivamente accadendo. Tendiamo a etichettare noi stessi, gli altri e gli oggetti con una qualche solida identità. È come tirare nella nostra immaginazione una grande solida linea intorno a qualche aspetto di noi stessi, e attribuire a tale aspetto la nostra solida identità: “questo è ciò che sono; questo è come devo sempre essere. Per esempio, “sono il dono di Dio al mondo,” o “sono un perdente, un fallito.” Oppure mettiamo una grande solida linea intorno a qualcun altro e diciamo: “lui è odioso. Non è bravo, è un piantagrane.” Tuttavia, se quella fosse la sua vera, solida identità, egli dovrebbe sempre esistere in questo modo. Avrebbe dovuto esistere in questo modo anche da piccolo. Dovrebbe anche essere odioso per tutti, per sua moglie, per il suo cane, per il suo gatto e per i suoi genitori, perché è veramente un individuo odioso.

Se potessimo vedere che le persone non esistono con una grande solida linea intorno a loro che delinei la loro concreta, vera identità o natura, ciò ancora una volta ci consentirebbe di rilassarcie non saremmo così arrabbiati con loro. Vedremmo che l’agire in modo odioso di questa persona era solo un evento passeggero, anche se frequente, e non costituisce il modo in cui questa persona deve sempre essere.

Sviluppare abitudini benefiche

In situazioni difficili, potrebbe non essere così facile mettere in pratica tutti questi punti. Tutti questi diversi modi di ragionamento sono conosciuti come “misure preventive.” Questo è come traduco la parola Dharma. Dharma è una misura che prendiamo al fine di prevenire i problemi. Ci vogliamo salvaguardare dall’arrabbiarci tentando di sviluppare questi diversi tipi di pazienza come abitudini benefiche. Questo è ciò che la “meditazione” è. La parola tibetana per meditazione deriva dalla parola “rendere qualcosa un’abitudine,” abituare noi stessi a qualcosa di benefico.

Prima di tutto, abbiamo bisogno di ascoltare queste diverse spiegazioni in merito ai diversi tipi di pazienza. Poi, abbiamo bisogno di rifletterci così da comprenderli e vedere se hanno senso. Se hanno senso e li comprendiamo, e abbiamo anche la motivazione di volerli mettere in pratica, allora tenteremo di consolidarli come abitudini benefiche ripassandoli e praticandoli.

Questo viene fatto prima di tutto esaminando questi punti. Dopo che abbiamo esaminato questi punti, dobbiamo tentare di vedere e sentire le cose in quel modo. Dobbiamo figurarci situazioni nelle nostri menti utilizzando la nostra immaginazione. Possiamo immaginare una situazione in cui di solito ci arrabbiamo e ci agitiamo. Per esempio, qualcuno nel nostro ufficio potrebbe fare le cose in un modo che non ci piace. Per prima cosa, tentiamo di vedere questa persona come lui o lei è, come un essere umano che vuole essere felice e non infelice. Anche se sta cercando di fare del suo meglio, è ancora come un bambino e non sa davvero cosa stia facendo. Se tentiamo di vedere e provare questo nei suoi confronti e ripassiamo questo nella nostra mente seduti tranquillamente a casa, allora più lo abbiamo fatto e più facilmente risponderemo in un modo più positivo quando siamo in ufficio e lui comincia a comportarsi in modo odioso. Invece dell’impulso di arrabbiarci con lui, un nuovo impulso ci verrà in mente: l’impulso di essere più paziente, di essere più tollerante.

Poiché ci siamo esercitati a vederlo come se fosse un bambino così da sviluppare pazienza verso il suo cattivo comportamento, possiamo allora andare un passo avanti. Possiamo vedere che quando agisce in questo modo detestabile, è lui che sta perdendo la faccia. Così, sviluppiamo compassione per lui. Possiamo sviluppare l’abitudine di vedere e provare queste cose attraverso la meditazione. Quando guardare e provare pazienza diventa un’abitudine benefica, ciò diventa sempre più una parte di noi. Diventa il nostro modo naturale di rispondere a situazioni difficili che dobbiamo affrontare. Quando l’impulso ad arrabbiarci ci verrà in mente, ci sarà spazio. Non lo metteremo subito in atto e si presenteranno impulsi più positivi ad agire in modo più benefico.

Nelle lezioni sul Buddhismo, di solito ci concentriamo sulla sensazione del respiro e contiamo il nostro respiro fino a ventuno all’inizio di ogni discorso. Questa pratica è anche molto utile quando per la prima volta notiamo noi stessi sul punto di arrabbiarci. Ciò crea dello spazio in cui non mettiamo immediatamente in atto l’impulso negativo di dire qualcosa di crudele, per esempio, e ciò offre dello spazio in cui riconsiderare se vogliamo arrabbiarci e agitarci. Pensiamo: “davvero voglio fare una scenata oppure c’è un modo migliore di gestire questa situazione?” Come risultato della meditazione e dello sviluppo di abitudini più benefiche, vedremo le situazioni con più pazienza e ci sentiremo più tolleranti verso di esse. Alternative più positive ci verranno in mente e le sceglieremo naturalmente, poiché vogliamo essere felici e sappiamo che questi modi alternativi ci daranno quel risultato.

Per fare questo, abbiamo bisogno di concentrazione. Ecco perché nel Buddhismo ci sono così tanti metodi diversi di meditazione per sviluppare la concentrazione. Questi metodi non sono solo appresi come un esercizio astratto; sono fatti al fine di essere usati e messi in pratica. Quando li mettiamo in pratica? Li mettiamo in pratica in situazioni difficili, quando stiamo affrontando persone o condizioni odiose. Ci aiutano a concentrarci per mantenere la nostra mente paziente.

Sommario

Non ci asteniamo da un comportamento negativo e distruttivo facendo ricorso soltanto all'autocontrollo e alla disciplina. Se lo facessimo semplicemente con autocontrollo e disciplina, la rabbia rimarrebbe dentro di noi; creeremmo una forte facciata esteriore, ma all'interno la rabbia arderebbe facendoci sviluppare un'ulcera. Invece, al contrario, quando utilizziamo questi metodi in modo corretto, la collera non sorge neppure. Non si tratta di controllare la collera e tenerla tutta dentro; si tratta di sostituire gli impulsi che ci vengono in mente. Invece di veder sorgere impulsi negativi, con i quali dovremmo fare i conti trattenendoli internamente, sorgeranno impulsi positivi. Quando riusciamo a far questo, allora, in base alla nostra motivazione, possiamo liberarci dei nostri problemi adesso, e le cose non peggioreranno in futuro. Oppure non avremo proprio alcun problema; oppure ancora, con la motivazione più forte e avanzata, non causeremo problemi alle nostre famiglie, ai nostri amici, alle persone attorno a noi, e saremo in grado di aiutare gli altri nel modo più completo. Saremo in grado di farlo perchè non saremo limitati dalle nostre emozioni e pensieri disturbanti. Pertanto saremo in grado di realizzare tutte le nostre potenzialità.

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