Diventare nostra madre e diventare un Buddha

Introduzione

Oggi discuteremo di un argomento molto importante: come sviluppiamo la bodhicitta per la prima volta? È libero arbitrio, determinismo o qualcos’altro? Vedete, se la nostra motivazione è aiutare tutti gli esseri e per farlo dobbiamo liberarci e raggiungere l’illuminazione, la domanda è: come avviene? È solo una questione di libero arbitrio, possiamo semplicemente scegliere di farlo? È già determinato, o il Buddha lo ha profetizzato o in qualche modo deriva dal karma o da qualche altra spiegazione meccanicistica?

Ho scritto un’intera lezione su questo e ho anche tenuto due seminari sulla questione del libero arbitrio e il determinismo. Ciò che vorrei fare nelle sessioni di oggi è introdurvi alla meditazione analitica su questo argomento.

Ciò che ho scritto è piuttosto lungo e non credo sia così utile leggervelo; quello che proporrei di fare è di vederlo insieme  lentamente, perché penso che il punto importante sia esercitarsi su come analizziamo problemi così difficili che non possono semplicemente essere cercati in un libro (non discutono davvero questo genere di argomenti nei trattati tradizionali del Buddhismo tibetano). Spero che acquisiate degli strumenti in modo da poter continuare da soli, se vorrete. Dopo tutto, lo scopo di venire qui è imparare e, per intraprendere il sentiero buddhista, si impara ricevendo degli strumenti per poi usarli da soli, perché il sentiero dello sviluppo spirituale è di auto sviluppo. Impariamo ad analizzare e lavorare su noi stessi per raggiungere l’illuminazione. In questo modo, attraverso il nostro sforzo e la nostra ispirazione (guida dei nostri insegnanti), possiamo svilupparci fino all’illuminazione.

Per analizzare abbiamo bisogno di moltissimi strumenti e avere a portata di mano una grande quantità di informazioni di base degli insegnamenti buddhisti. Ecco perché lo studio è così importante. Ad esempio, possiamo studiare il lam-rim (gli stadi graduali del sentiero), ma non è un processo una tantum: impari, poi prendi l’intero lam-rim e torni all’inizio cercando di inserire tutto ciò che viene dopo in ciascuno dei punti mentre procedi di nuovo, e poi inserisci tutti gli studi madhyamaka e tutte le altre nozioni che hai studiato.

Il modo in cui studiamo il Dharma è come ricevere pezzi di un puzzle: abbiamo tutti questi piccoli pezzi, dobbiamo imparare a metterli insieme e che si incastrano in molti modi diversi, non solo in uno. Ecco perché uso spesso il termine rete, perché tutte queste cose si collegano e si rafforzano a vicenda in così tanti modi multidimensionali. Più cose possiamo considerare in questa rete, più profonde saranno la nostra comprensione e intuizione, finché alla fine svilupperemo la mente onnisciente di un Buddha in cui tutto, tutta la conoscenza e la comprensione, è collegata in rete nella consapevolezza onnisciente. Quindi è un’avventura. Se la si considera un’avventura piuttosto che un compito difficile, allora possiamo sviluppare una gioiosa perseveranza e ci piacerà lavorare con questo. Quindi iniziamo la nostra avventura oggi.

Né libero arbitrio né determinismo

Il samsara si riferisce alla rinascita incontrollabile e ricorrente, non ha inizio, eppure può esserci una prima volta in cui sviluppiamo un obiettivo di bodhicitta. Sono due cose piuttosto difficili da mettere insieme: nessun inizio del continuum mentale e un inizio di quando sviluppiamo per la prima volta bodhicitta. Dalla traduzione emerge che usi l’espressione tempo senza inizio. Il tempo diventa quindi una questione molto difficile, qui non voglio entrare troppo nei dettagli a riguardo - ho molto materiale sul mio sito sul concetto buddhista di tempo, che è molto diverso dalle nostre idee occidentali convenzionali - non tempo come un contenitore che ha un inizio e in cui le cose accadono. Questo non è certamente la visione buddhista e non è nemmeno il metodo scientifico moderno. Stiamo parlando dei continua - mentali, di universi, materia, energia e così via - che non hanno inizio. Un continuum non può avere un inizio, un nulla non può iniziare a diventare qualcosa. Questo è il problema con un inizio assoluto: un nulla non può diventare un qualcosa.

Quindi, in ogni caso, come nasce la decisione di voler raggiungere l’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri se accade per la prima volta? È una questione di libero arbitrio, scegliamo di volerla realizzare? È tutto determinato dal nostro karma e accade meccanicisticamente, e quindi non abbiamo scelta, accade e basta? O è molto più complesso di così? Né il libero arbitrio né il determinismo, tuttavia, spiegano come prendiamo decisioni e compiamo scelte. Entrambe sono posizioni estreme. Per questo dobbiamo applicare la nostra meditazione sulla vacuità.

Vacuità 

Quando parliamo di vacuità ci riferiamo a un’assenza. Assenza di cosa? Ciò che immaginiamo, ciò che proiettiamo, non corrisponde alla realtà. Ciò che è assente, quindi, è un referente effettivo che corrisponde a ciò che immaginiamo: non esiste una cosa del genere. Immaginiamo cose impossibili, specificamente ciò che è impossibile e modi impossibili di esistere. Ad esempio, che le cose esistano da sole, indipendentemente da qualsiasi altra cosa, come se fossero incapsulate nella plastica e poi semplicemente lì. Ciò non corrisponde alla realtà, non esiste una cosa del genere. Quindi la vacuità è un’assenza di ciò.

Non stiamo parlando di un bicchiere d’acqua vuoto. Ecco perché la parola vuoto è fuorviante. In tedesco è abbastanza facile, avete solo una parola. In italiano ci sono due parole, vuoto e vacuità e hanno un significato diverso. Non stiamo parlando di qualcosa che è vuoto di qualcos’altro, ma di niente. È solo assente. Non esiste una cosa del genere. (La parola shunya in sanscrito è la parola per zero, niente.) Ma non significa che non ci sia niente. Significa solo che ciò che è impossibile non esiste.

Libero arbitrio

Cosa implica il libero arbitrio? Un me realmente esistente che può prendere decisioni in modo indipendente, senza essere influenzato da cause e condizioni. Implica anche decisioni che esistono in modo indipendente, da sole, come le scelte su un menu, e il me che esiste in modo indipendente può semplicemente scegliere dal menu queste opzioni che esistono in modo indipendente. Ma è impossibile. Se un tale me esistesse, sarebbe come incapsulato nella plastica, e queste scelte sarebbero incapsulate nella plastica, e non potrebbe mai esserci un’interazione. Tutto ciò che esiste in modo indipendente non può fare alcunché, non può essere influenzato dalla decisione di fare qualcosa, dall’aver fatto qualcosa e poi da ciò risulta qualcosa. Non può essere influenzato da alcunché. Quindi non esiste nulla del genere. L’alternativa del libero arbitrio è in realtà impossibile se lo consideriamo alla lettera (che puoi fare qualsiasi cosa). Riflettiamoci per qualche minuto.

Faccio un esempio: non puoi scegliere di mangiare a meno che non ci sia una qualche condizione, come avere fame, c’è del cibo sul tavolo e questa l’unica opportunità per mangiare. Non puoi scegliere di mangiare a meno che non ci sia del cibo. Quando si analizza si deve pensare ad altri esempi per dimostrare il punto e cercare di trovare dei controesempi che confutino l’affermazione.

La conclusione di qualsiasi tipo di analisi è “Non esiste una cosa del genere”. È così che ci concentriamo sulla vacuità. Ad esempio, molte persone pensano che esista Babbo Natale, c’è quella convenzione, molto bella ma non corrisponde a nulla di reale. Non esiste nessun Babbo Natale che vive al Polo Nord con le renne, se avete questo mito qui in Germania. Quindi non esiste una cosa del genere, non corrisponde alla realtà, non esiste una cosa come Babbo Natale. Come ti concentri su questo? Non volevo che questa fosse una lezione sulla vacuità ma è utile. Riuscite a vedere che non c’è nessuna mela su questo tavolo? Cosa vedete? Niente, ma sapete a cosa si riferisce quel niente: nessuna mela, un’assenza di una mela, non un’assenza di un elefante. Quindi non appare niente, ma capisci che Babbo Natale non esiste.

Quindi è la stessa cosa: non c’è un libero arbitrio assoluto, in cui puoi fare qualsiasi cosa senza alcuna ragione sottostante. Non stiamo confutando il processo decisionale che avviene ma stiamo parlando di come avviene. Concentratevi su “Non esiste” senza prestare attenzione a ciò che vedono gli occhi: non ci stiamo concentrando su un nulla visivo, ma mentale. Quindi non prestate attenzione a ciò che vedete.

Ci sono molte ragioni per cui nel Buddhismo tibetano incoraggiamo le persone a meditare con gli occhi aperti e non chiusi. Una delle ragioni è molto mahayana: se, per ricordare ed essere consapevoli della vacuità o della compassione o di qualsiasi altra cosa nella vita quotidiana, dovessi prima chiudere gli occhi, sarebbe impossibile applicare gli insegnamenti nella vita quotidiana. Pensateci, se avete l’abitudine a chiudere gli occhi per provare amore e compassione. Le persone in realtà non se ne rendono conto di avere una forte abitudine a chiudere sempre gli occhi “Non disturbarmi. Sto meditando”, escludendosi dal mondo. Non è molto mahayana. Penso che meriti qualche momento di riflessione.

Determinismo

L’altro estremo è il determinismo. Studiare il Madhyamaka, gli insegnamenti sulla vacuità, ci consente di adattare questo concetto di determinismo (che è un concetto occidentale) in una sorta di categoria che si adatterebbe al tipo di analisi della vacuità del Madhyamaka. Questo è molto importante. Il nostro modo di pensare occidentale ovviamente differirà da paese a paese ma, in generale, concettualizza la nostra esperienza in un modo abbastanza diverso da quello del Buddhismo tradizionale. Molte cose che sperimentiamo sono molto, molto difficili da esprimere in tibetano, anche parole semplici come insicurezza, per non parlare di cose come “Non sono in contatto con i miei sentimenti” (che non ha assolutamente senso in tibetano).

Quindi è importante riuscire in qualche modo ad adattare il nostro modo di pensare al sistema buddhista per poterlo usare per aiutarci, e naturalmente non ci sarà una corrispondenza uno a uno. Questa è davvero la chiave per poter usare gli strumenti buddhisti per aiutarci nella nostra vita quotidiana, perché concettualizziamo la nostra esperienza in modo diverso.

Concettualizzare: lasciatemi chiarire questa parola poiché genera molta confusione. Concettuale significa semplicemente “pensare con categorie”, come la categoria uomo, donna, cane, mela, qualsiasi cosa. Sono tutte categorie in cui ci sono molti esempi tutti individuali e diversi e tuttavia possiamo metterli insieme in una categoria: uomo, donna. Poi mettiamo la nostra esperienza emotiva in categorie: insicurezza, nervosismo, depressione, qualsiasi cosa. E naturalmente abbiamo bisogno di avere queste categorie, perché è a queste che vengono assegnate le parole. Assegniamo parole alle categorie. Non c’è una parola diversa per ogni mela nell’universo; la parola mela può essere usata per tutte.

Quindi categorizziamo le cose in modo diverso. Come categorizzeremo il determinismo? Il determinismo implica che il risultato esista davvero, già rintracciabile nella causa, realmente esistente lì in attesa di saltar fuori e manifestarsi. È già determinato cosa accadrà, cosa sceglierò. Quindi quella decisione è in un certo senso lì, come una specie di fuori scena, in attesa di salire sul palco e accadere, e poi andrà fuori scena.

Quindi se così fosse... Abbiamo la confutazione buddhista di questo, la confutazione classica che trovi in tutti i testi: se così fosse, il risultato sarebbe già stato prodotto e quindi non potrebbe essere influenzato da nessuna condizione per sorgere. Nessuna condizione potrebbe causarne il sorgere, perché è già sorto. Inoltre, non ci sarebbe bisogno che qualcosa che è già sorto sorga di nuovo. Come potrebbe verificarsi una decisione se è già presente nella tua mente ed è accaduta? Ricorda che veramente esistente significa essere come incapsulato nella plastica, in termini molto semplici. (Quando faccio una pausa, significa “pensateci”, ovviamente.)

Bene, se tutto è determinato allora, in un certo senso, tutto è già accaduto, e questo distrugge totalmente qualsiasi linea temporale: niente potrebbe svilupparsi, niente potrebbe crescere. Come un fiore. Non è che il fiore esista dentro il seme e tu premi semplicemente un pulsante e salta fuori. Il metodo buddhista usa esempi assurdi.

Quest’ultima confutazione del determinismo può essere inserita in un altro formato di analisi della vacuità, che è: Il risultato non è né veramente esistente né inesistente al momento della causa. Se esistesse veramente, se il risultato esistesse già, allora qualcosa non può diventare di nuovo se stesso (esiste già). Stiamo parlando del momento della causa. Se al momento della causa il risultato esistesse già, non potrebbe accadere di nuovo. D’altra parte, se il risultato fosse totalmente inesistente al momento della causa, un nulla non potrebbe diventare un qualcosa. Come potrebbe un nulla essere influenzato e diventare un qualcosa se fosse totalmente inesistente al momento della causa?

Questo è peraltro molto importante da capire se vogliamo considerare il caso dell’aborto. Quando inizia la vita? È una domanda molto difficile. Forse per un certo periodo di tempo durante la gravidanza iniziale è un nulla, e poi all’improvviso diventa un qualcosa, un essere umano? È prima un nulla e poi un qualcosa? Se è un nulla, come potrebbe diventare un qualcosa? Molte sono le conseguenze in questa analisi, ma non mi addentrerò in questo, lo lascio a voi. È un’analisi molto interessante e importante da applicare per comprendere la posizione buddhista sull’aborto.

Perché tutti sono già stati nostre madri, ma non tutti hanno ancora raggiunto l’illuminazione?

Quindi se né il libero arbitrio né il determinismo giocano un ruolo nel prendere decisioni e fare scelte, allora la nostra discussione si riduce davvero a un’analisi di come avviene il processo decisionale, come le decisioni coinvolte nello sviluppo della bodhicitta per la prima volta (la decisione di aspirare e lavorare per l’illuminazione per il beneficio di tutti). Vorrei discuterne in termini di una domanda più ampia, una domanda molto difficile che si basa su alcune ipotesi che abbiamo nel Buddhismo. Ora non stiamo mettendo in discussione gli assiomi o le credenze di base ma li stiamo mettendo insieme per spiegare qualcosa in modo più approfondito. In altre parole, stiamo mettendo insieme alcuni pezzi del puzzle e cercando di capire cosa implica questo: come inseriamo qui altri pezzi?

Se i nostri continua mentali non hanno inizio e, di conseguenza, tutti sono stati nostra madre in qualche vita precedente, allora perché non tutti hanno deciso di sviluppare la bodhicitta e di raggiungere l’illuminazione? Il tempo senza inizio non era abbastanza? Questa è la domanda. Pensateci, è davvero importante.

Rendiamo la domanda più completa, mettendo insieme qualche altro pezzo. Dato che

  • non c’è un inizio nel continuum (quindi nel nostro linguaggio ordinario diremmo che il tempo è senza inizio, anche se il tempo non è un contenitore),
  • il numero degli esseri limitati o degli esseri senzienti è finito,
  • tutti sono uguali,
  • ci sono sempre stati Buddha, senza inizio,

dato tutto questo, i pezzi del puzzle, allora la domanda: perché non tutti sono già diventati illuminati? Tempo senza inizio, esseri limitati. Quindi, man mano che ogni persona diventa illuminata, ce ne sono di meno: ci sono innumerevoli meno uno, innumerevoli meno due, ecc. Nessun inizio.

Questa è una situazione molto diversa dall’altra domanda: dato che il tempo è senza inizio, il numero di esseri limitati è finito, tutti sono uguali, come possiamo provare che tutti sono stati mia madre in qualche momento? È accettato nel Buddhismo che tutti sono stati mia madre, ed è anche affermato che non tutti sono già illuminati. Come si provano entrambe le cose? Sono queste che si analizzano quando si fa meditazione analitica. Perché? Per liberarsi dai dubbi. Quindi qual è la differenza?

Perché tutti gli esseri sono stati nostre madri

Se analizziamo questo punto, vediamo che non c’è una forza opposta senza inizio, reciprocamente esclusiva, che impedisca a chiunque di essere stato mia madre. Niente di senza inizio deve essere superato per diventare mia madre. Inoltre, in ogni vita in cui sono nata da un grembo o da un uovo, ho avuto una madre; quindi, ho avuto un numero infinito di madri. Questa è una delle differenze.

Per diventare illuminati bisogna superare l’inconsapevolezza o l’ignoranza che impedisce l’illuminazione, ma non c’è nulla che impedisca a qualcuno di essere mia madre. Qual è l’opposto (come consapevolezza e inconsapevolezza)? Non c’è nessun opposto mutuamente esclusivo che impedisca a qualcuno di diventare mia madre.

Quindi ora la prova che tutti sono stati mia madre. È una prova in stile prasanga. I miei studenti e io l’abbiamo pensata - non la troverete in nessun testo - ma ne ho verificato la validità con alcuni ghesce. Ecco la prova:

Se un essere è stato mia madre, allora tutti gli esseri lo sono stati, perché tutti sono uguali e non c’è una forza opposta senza inizio che deve essere superata per poter diventare mia madre. Giusto? Per dimostrare qualcosa: c’è il soggetto, cosa vuoi dimostrare e la ragione. Se una persona è stata mia madre, tutti sono stati mia madre, perché siamo tutti uguali, ecc. Ora il metodo prasanga (poi asserisci il contrario): se non fosse così, se un essere non è stato mia madre, allora ne seguirebbe l’assurda conclusione che nessuno è mai stato mia madre, inclusa mia madre in questa vita, per la stessa identica ragione: perché tutti sono uguali e non c’è una forza opposta senza inizio che deve essere superata per diventare mia madre. Pensateci. Se qualcuno è stato mia madre, allora tutti sono stati mia madre perché, se uno non è stato mia madre, nessuno è stato mia madre. Questo è un metodo di prova prasanga. Pensateci.

Il punto importante di questa argomentazione è che, se una è stata mia madre, tutti sono stati mia madre, perché niente lo impedisce e siamo tutti uguali. Tutti sono uguali e niente lo impedisce. (E questo dimostrerebbe anche che, se una non è stata mia madre, nessuno è stato mia madre.) Perché siamo tutti uguali e niente lo impedisce, quindi perché quella non avrebbe dovuto diventare mia madre? Quindi niente avrebbe impedito a quella che non era mia madre di essere mia madre. Va capito il modo di pensare prasanga.

Spero che abbiate capito che, quando studiate i testi di Nagarjuna e così via che contengono tutti questi argomenti di tipo prasanga, non sono solo nozioni in un libro di testo, non sono un metodo di analisi e di prova limitato a ciò che in essi viene discusso, ma uno strumento che possiamo usare per analizzare e comprendere molte altre cose.

Perché non tutti hanno ancora raggiunto l’illuminazione

Il caso del perché non tutti sono già diventati liberati e illuminati è diverso. Cos’è diverso? Che qui ci sono forze opposte reciprocamente esclusive, senza inizio, che impediscono la liberazione e l’illuminazione - i due ostacoli o oscuramenti, emozionale e cognitivo - quindi inconsapevolezza o ignoranza, l’afferrarsi all’esistenza veramente stabilita, le loro tendenze, le loro abitudini e così via. Tutti gli esseri limitati, tutti gli esseri senzienti, sono uguali nell’aver avuto questa inconsapevolezza e questo afferrarsi come parte dei loro continua mentali senza inizio. Quindi questo deve essere preso in considerazione nella nostra equazione.

Quindi ora - il classico stile indiano di commento e analisi - sorge un dubbio. Devi considerare il dubbio, che è ciò che emergerebbe naturalmente nella tua meditazione, nella tua analisi. Tutti hanno avuto un’ignoranza senza inizio, ma non hanno avuto una natura di Buddha senza inizio? In modo più completo: siamo tutti uguali nell’avere, senza inizio, come parte dei nostri continua mentali, i fattori della natura di Buddha che consentiranno a questa inconsapevolezza e a questa presa di fermarsi per sempre, che ci consentiranno di superare queste oscurazioni senza inizio.

Questo si riferisce a ciò che chiamo la rete di forza positiva (bsod-rnams-kyi tshogs) e la rete di consapevolezza profonda (ye-shes-kyi tshogs), di solito chiamate raccolta di meriti e raccolta di saggezza (o visione o come volete chiamarla). Ho scelto quei termini molto consapevolmente: non stiamo parlando di una raccolta a punti e che se ne hai abbastanza allora vinci un premio. Raccolta di merito sembra che, se otteniamo abbastanza punti, merito, vinciamo il gioco ma di certo non è così. Si vince il premio, l’illuminazione, è vero, ma è forza positiva che si collegherà e si rafforzerà a vicenda.

Similmente, dire saggezza o visione è completamente inappropriato perché anche il lombrico ce l’ha ma non si può dire che abbia saggezza. Stiamo solo parlando dei modi in cui funziona la mente, essere in grado di assorbire informazioni, mettere insieme le cose, sapere cosa fare con le cose e così via. Sono molto profondi nel senso che è il modo fondamentale in cui funziona la mente. E naturalmente può diventare profonda in un altro senso (comprendendo la vacuità).

Questi sono i fattori della natura del Buddha e ci sono queste due reti. Come possiamo dimostrarlo? Non accettate semplicemente che sia scritto nel testo, va dimostrato. Qual è la cosa principale che matura dalla forza positiva? (Pensate agli insegnamenti di base sul karma.) Felicità. Perché tutti noi a un certo punto, non importa quanto siamo infelici, abbiamo sperimentato alcuni momenti di felicità, il che dimostra che abbiamo una rete di forza positiva. Quali sono le leggi del karma? La felicità è il risultato della forza positiva. L’infelicità, la sofferenza, è il risultato della forza negativa. Diventa un po’ difficile se si pensa in termini di merito e peccato: non funziona così. Tutti abbiamo una rete di profonda consapevolezza, perché possiamo assorbire e combinare informazioni. Anche un lombrico sa quando vede qualcosa che è cibo, non una roccia, e sa cosa fare, sa mangiarla, non è vero? Non la chiameresti saggezza.

Quindi abbiamo queste reti senza inizio e la vacuità senza inizio, la natura più profonda della mente. Tuttavia, le due reti (senza inizio), l’inconsapevolezza senza inizio e l’afferrarsi all’esistenza veramente stabilita: cosa ottieni? Se le metti insieme cosa ottieni? Samsara, rinascita e sofferenza che si ripetono in modo incontrollabile. Questo perché, a meno che non siano accompagnate dalla rinuncia o da entrambe - rinuncia e bodhicitta - le reti di forza positiva e consapevolezza profonda creano il samsara. Senza rinuncia o rinuncia e bodhicitta, il meccanismo che abbiamo lì perpetuerà semplicemente il samsara. 

Il commento di Haribhadra sull’Abhisamayalamkara (La filigrana delle realizzazioni) di Maitreya viene studiato dai tibetani per cinque anni nel curriculum per diventare ghesce. Il commento di Haribhadra è il commento principale indiano e parla dei punti più minuti di ciò che si sviluppa in queste fasi del sentiero. In questo commento si spiega la parola sanscrita che i tibetani hanno tradotto con questa parola che significa raccolta o rete e così via. Solo perché i tibetani l’hanno tradotta in un modo non significa che quella sia davvero la connotazione del sanscrito. Prendono solo una connotazione. Haribhadra usa la parola sanscrita sambhara. Sam significa “puro” e bhara “qualcosa che costruisce”, quindi qualcosa che costruisce uno stato puro. Queste reti sono ciò che ci consente di costruire il puro stato di liberazione o illuminazione. In questo contesto non stiamo parlando di forza karmica positiva. Ricordate, il karma costruirà solo il samsara. La forza karmica positiva ci dà solo belle rinascite, fortunate. Non è quello che vogliamo. Stiamo parlando di un diverso tipo di forza positiva da costruire per tre innumerevoli eoni per raggiungere la liberazione e l’illuminazione. Questi sono i costruttori puri, che creano la liberazione e l’illuminazione.

L’Uttaratantra (Il continuum sublime, rGyud bla-ma) di Maitreya è un altro dei testi studiati e parla della natura di Buddha nel contesto di base, sentiero e risultato: queste reti sono il livello di base (ciò che produce il samsara), il livello del sentiero si riferisce a quando creano la liberazione e l’illuminazione, e il livello risultante sono i due corpi di un Buddha, il corpo della forma rupakaya e il dharmakaya (il corpo mentale, la mente).

Quindi per analizzare, per avere più strumenti, è davvero importante aver studiato molti testi diversi e poi prendere i pezzi del puzzle mettendoli insieme. Questo spetta a noi, non all’insegnante. Lui o lei ci può mostrare alcuni dei modi in cui vanno insieme, ma sta a noi mettere insieme sempre più pezzi. In questo modo ti sviluppi, ed è interessante e divertente, e più lo fai più diventi felice, perché tutto è pensato per aiutarci a superare la sofferenza, tutti gli insegnamenti sulla perseveranza gioiosa. Non è come dover fare i compiti di matematica la sera.

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