Sviluppare un sano interesse per gli altri

Ripasso

La preziosa vita umana e lavorare per sbarazzarsi della sofferenza

Abbiamo esaminato lo scopo iniziale e quello intermedio della progressione del lam rim, gli stadi graduali e che, prima di iniziare a smontare il falso sé, è molto importante costruire il sé convenzionale o, in altre parole, un senso del sé convenzionale, l'apprezzamento dell'esistenza del sé convenzionale. Quindi apprezziamo il fatto di essere liberi da situazioni orribili e ostacoli importanti: abbiamo molte opportunità di fare qualcosa di significativo con le nostre vite.

Uno dei presupposti di base nel Buddhismo è che tutti vogliono essere felici, nessuno vuole essere infelice. È come se le cose andassero verso la vita, verso la crescita; non vuoi peggiorare, vuoi crescere. Tutti vogliono essere felici e con l'apprezzamento della preziosa vita umana ci rendiamo conto che è possibile fare qualcosa per diventare più felici. Questo ci fa apprezzare la nostra capacità di fare qualcosa; in altre parole, prima devi preoccuparti di te stesso, prenderti sul serio. "Seriamente" significa che io esisto e voglio essere felice, non c'è niente di sbagliato in questo; mi interessa quello che provo. Questo è un sé positivo, un sano senso di sé.

Abbiamo una temporanea libertà da una sofferenza davvero orribile e se non facciamo qualcosa al riguardo, è molto probabile che sperimenteremo di nuovo terribile sofferenza, quindi vogliamo evitarlo. Anche questo è molto salutare. I bambini nel loro sviluppo devono rendersi conto che se mettono la mano nel fuoco, se finiscono nel traffico, tutto questo è pericoloso e causa loro dolore e sofferenza. Quindi, nello sviluppo di un sano senso di sé in un bambino, il bambino impara a evitare le cause della sofferenza; nello sviluppo del lam rim facciamo ciò a un livello più adulto.

Ci rendiamo conto che per liberarci della sofferenza dobbiamo liberarci della causa della sofferenza. Innanzitutto lavoriamo sull'autocontrollo per evitare comportamenti distruttivi, perché constatiamo che ciò condurrà all'infelicità; proviamo a fermare le cause della sofferenza eliminando un certo livello di inconsapevolezza, l’inconsapevolezza di causa ed effetto comportamentale. Nell'esercitare l'autocontrollo e la forza di volontà per astenersi dall'agire in modo distruttivo, si ottiene la felicità ordinaria che però non dura e non soddisfa.

Modi impossibili di esistere: il falso "io" contro l’"io" convenzionale

Comprendiamo che il problema qui consiste nel pensare in termini di questo solido "io" che avrà l’autocontrollo, controllerà l’io cattivo e così via. C'è una sorta di errore qui in termini di come concepiamo l’io che sta esercitando l'autodisciplina. L'autodisciplina, la forza di volontà, l'autocontrollo, questo genere di cose è necessario. Si basano sull’"io" convenzionale e non su qualcosa che vogliamo eliminare; vogliamo eliminare il malinteso sull'io che compie tutto questo. Per fare questo, ovviamente, dobbiamo liberarci dall'inconsapevolezza con cui siamo confusi su come io esisto, su come quell’"io" convenzionale esista realmente, confutare e sbarazzarsi di questa convinzione che l’io esista in questi modi impossibili.

Ora, la domanda diventa quali sono questi modi impossibili che stiamo proiettando; iniziamo a confutarli e vediamo che non si riferiscono a nulla di reale, passo dopo passo, diventando sempre più sottili. Tutto ciò si basa su questo sano senso del "me" convenzionale che vuole essere felice, non vuole soffrire. Quello che provo è mia responsabilità, non è la mia unica responsabilità: non è che io sono l'unico fattore causale, perché ce ne sono molti altri che influenzano ciò che provo. Tuttavia, svolgo un ruolo significativo in ciò che faccio e quindi devo in un certo senso prendere il controllo di ciò che sta succedendo – ma non in termini di questo grande controllore seduto nella mia testa – e fare qualcosa per la situazione.

Determinazione ad essere liberi

I problemi non spariranno da soli, bisogna fare qualcosa. Così,

  • Voglio liberarmi della sofferenza dell'infelicità;
  • Questa felicità ordinaria che ottengo e provo non è mai soddisfacente e non ne ho mai abbastanza, quindi mi piacerebbe davvero sbarazzarmi anche di questo tipo di situazione problematica;
  • Vorrei sbarazzarmi del ripetersi di questo, della compulsione di questi alti e bassi, la base per questo.

Abbiamo così questa forte determinazione ad essere liberi. Questo è il "me" convenzionale che vuole essere libero – forte, sano e in grado di vedere chiaramente ciò che è di grande beneficio e che ha la forza di volontà per farlo. Ma non avrà successo se proviamo a farlo come un grande viaggio dell'ego, il grande, forte sé auto-sufficientemente esistente – “Ho intenzione di liberarmi”. Questo non è lavorarci, cosa stiamo cercando di liberare? Il falso sé di cui parlavamo prima non esiste quindi, è inutile, devi liberare il sé convenzionale.

Con la forza di volontà e la determinazione del sé convenzionale ci alleniamo nell'autodisciplina etica, nei voti e così via, che strutturano il nostro comportamento; sulla base di quella disciplina, dell'attenzione e della prontezza sviluppiamo sempre più fortemente la più alta autodisciplina etica di mantenere i voti, allora abbiamo gli strumenti per essere in grado di ottenere davvero un'adeguata concentrazione superiore. Con quella maggiore concentrazione, possiamo rimanere concentrati sulla consapevolezza discriminante con la quale confutiamo qualsiasi tipo di credenza in questo modo impossibile di esistere di "me", perché vediamo che non si riferisce a nulla di reale. Questo è il significato della vacuità: l'assenza totale di un vero riferimento a questa proiezione di ciò che è impossibile.

Ora, quale altra cosa è impossibile rispetto all'io? È impossibile esistere e vivere in modo totalmente separato dagli altri. Non è solo che non esiste un "io" separato dalla base di un corpo, una mente, delle emozioni, delle sensazioni, ecc.; non c'è un "io" separato da tutti gli altri. Certo, siamo individui, quindi convenzionalmente siamo separati dagli altri; io non sono te, se tu mangi io non mi sazio. Così convenzionalmente siamo separati e individuali, ma non in modo falso per cui esistiamo totalmente senza nessuna relazione e indipendentemente da tutti gli altri.

Sviluppare amore e compassione verso noi stessi e tutti, sia emotivamente che razionalmente

Se vogliamo davvero sviluppare un sano senso del sé in termini di sano sviluppo di sé [attraverso il lam rim], allora dobbiamo preoccuparci anche di tutti gli altri – del sé convenzionale di tutti gli altri. Come possiamo sviluppare una sana preoccupazione per gli altri quando ci rendiamo conto che tutta la nostra esistenza dipende dal lavoro altrui, dal fatto che siamo cresciuti da altri, ecc.? Per questo vogliamo estendere l'intero ambito di come pensiamo, la preoccupazione positiva che abbiamo, non solo in termini di questo "io" limitato bensì di tutti. Vogliamo coltivare che, proprio come io voglio essere felice e non infelice, così anche tutti gli altri; sviluppare non solo il desiderio di essere felice e non infelice, cioè amore e compassione per me stesso, ma anche per gli altri affinché tutti possano essere felici e non soffrire – quindi amore e compassione per tutti.

È solo quando nutriamo amore e compassione per noi stessi che possiamo possibilmente averlo sinceramente per gli altri. Vogliamo estenderle partendo da noi stessi perché se pensiamo di non meritare la felicità o cose simili, perché qualcun altro dovrebbe meritare di essere felice? È molto sbilanciato, molto malsano.

Ora, per sviluppare questo amore e questa compassione ci sono due modi ed è molto importante averli entrambi.

  • Il modo emotivo di sviluppare amore e compassione,
  • Il modo razionale di svilupparli.

Si rafforzano a vicenda, averne uno solo non è abbastanza. Stiamo lavorando sullo scopo intermedio, per sbarazzarci delle emozioni inquietanti ma non siamo necessariamente andati fino allo stato di un arhat (un essere liberato) in modo da esserne completamente liberi. Nella maggior parte dei casi si progredisce cercando di sviluppare un ambito mahayana prima di quello, che non significa saltare gli scopi iniziale e intermedio ma significa non arrivare fino alla conclusione dello scopo intermedio. Questo è il modo in cui tutti i lam rim sono formulati.

Il nostro compito ora è aprirci e interessarci di tutti, non solo di noi stessi: questo è lo scopo del mahayana. È vasto, include tutti. Ciò che ora impedisce questo è che siamo attratti da alcuni, respingiamo o siamo indifferenti verso altri: queste sono le cosiddette tre “emozioni disturbanti velenose”:

  • desiderio bramoso
  • rabbia o repulsione
  • e indifferenza, ingenuità – ingenuità che esiste l'altra persona, quindi la ignoriamo.

La mancanza di inizio e fine del sé è assolutamente valida per tutti: a volte sono stati miei amici, a volte miei nemici, a volte estranei. È solo questione di tempo, questi ruoli cambiano continuamente. C’è questo metodo per sviluppare l'equanimità verso tutti in comune allo scopo intermedio e avanzato, in quanto lavora su queste emozioni disturbanti di base: attrazione, repulsione, indifferenza.

Notate che è in comune con lo scopo intermedio e basato sulle emozioni disturbanti grossolane, sul concetto di un solido "io" seduto nella mia testa e per essere felice sono attratto dagli altri. "Se riesco ad avvicinarli a me così saranno miei amici, piacerò loro e mi presteranno attenzione ecc., questo renderà felice quell’"io" solido. Se riesco ad allontanarne altri da "me", questo mi renderà felice e se ne ignoro alcuni senza dovermene occupare, allora sarò felice. Sarò più sicuro”. Tutto riguarda questo concetto di questo inutile tentativo di rassicurare questo sé, seduto dietro il pannello di controllo.

Ma tutti sono stati gentili con me in qualche momento; tutti sono stati orribili con me a volte e mi hanno fatto del male; tutti a un certo punto non hanno fatto alcunché verso di me. Quindi non c'è motivo di amare, odiare o essere indifferenti perché tutti hanno agito in questi tre modi nei miei confronti.

Se è così – se ora vediamo che abbiamo questa equanimità verso tutti – allora non solo tutti sono stati miei amici, nemici ed estranei ad un certo punto; tutti sono stati anche mia madre, colei che è la più gentile con me.

Abbiamo calmato le emozioni disturbanti verso tutti e vogliamo costruire emozioni positive verso tutti, basate sul fatto che tutti sono stati verso di me gentili, i più gentili come mia madre in questa vita. Se non dovesse essere nostra madre l’esempio migliore, allora nostro padre, il migliore amico – non importa. Il punto è considerare chi è stato il più gentile con noi e comunque nostra madre non ha abortito.

Quindi ci concentriamo sulla gentilezza che abbiamo ricevuto. Anche le nostre madri potrebbero essere state poco gentili con noi, ma non c'è alcun vantaggio nel concentrarsi su quello; così ci concentriamo sulla gentilezza che abbiamo ricevuto e l'emozione a cui ci conduce è gratitudine per tutta la gentilezza che abbiamo ricevuto. Possiamo integrarlo pensando a come gli altri sono stati gentili con noi anche quando non erano nostre madri coltivando il cibo che mangiamo, trasportandolo, costruendo strade e reti elettriche: tutto ciò che utilizziamo proviene dal lavoro di altri. Non importa se lo hanno fatto di proposito per il nostro vantaggio, ma per via della gentilezza del loro lavoro, ne siamo molto grati. Poiché siamo così grati e riconoscenti di questa gentilezza, naturalmente vorremmo aiutarli. Vorremmo fare qualcosa per ripagare questa gentilezza – non per senso di colpa, ma semplicemente perché ci sentiamo grati.

È importante ripagare la gentilezza degli altri, non si tratta di un debito e si è colpevoli se non lo si ripaga, quindi bisogna farlo. Vorremmo riparare e prenderci cura di tutto ciò che non va nell'altra persona, questa è la connotazione della parola tibetana usata; siamo così grati che ovviamente vorremmo essere utili per poter aiutare l'altra persona, perché sentiamo lì questa connessione positiva. Ciò porta naturalmente ad un amore caloroso, con il quale siamo davvero felici di incontrare qualcuno e ci sentiremmo terribili se accadesse qualcosa di brutto a loro.

Nel testo si dice che non si deve meditare separatamente per quello: sorgerà automaticamente. Quindi, sorgerà automaticamente quando si è veramente grati per la gentilezza ricevuta. Utilizziamo il buonsenso per capirlo, senza pensare "Ho questo debito e devo ripagarlo", in questo modo sicuramente non sarai felice di vedere nessuno; "Oh mio Dio, devo essere gentile con questa persona perché è stata gentile con me cinque milioni di vite fa".

Questo porta allo sviluppo emotivo dell'amore: vogliamo che siano felici e abbiano le cause della felicità; e della compassione: vogliamo che siano liberi dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza. Cercheremo davvero di aiutarli affinché siano felici e liberi dall'infelicità e dalla sofferenza. Lo vediamo nei passaggi per sviluppare i quattro atteggiamenti incommensurabili: amore, compassione, gioia ed equanimità. Per esempio,

  • Che bello sarebbe se tutti fossero felici – questo è il primo passo.
  • Possano essere felici – secondo passo.
  • Possa io essere in grado di condurli alla felicità; ho intenzione di fare qualcosa.
  • E poi, "Oh guru, maestri spirituali, Buddha – ispiratemi a essere in grado di farlo". Assumersi delle responsabilità nel fare qualcosa fa parte dell'amore e della compassione.

Questo è lo sviluppo emotivo che deve essere rafforzato. Lavorare solo sulle pure emozioni è instabile. Per prima cosa digerite ciò che è stato detto su questo sviluppo emotivo di amore e compassione, su cui lavori prima per superare qualsiasi traccia lasciata dalle emozioni disturbanti grossolane (attrazione, repulsione, indifferenza). Cancella tutto e poi sviluppa queste emozioni positive di amore e compassione.

Naturalmente colui che prova amore e compassione è l’“io” convenzionale. Gli altri sono stati gentili con me; con chi sono stati gentili? Con l’"io" convenzionale. Non potresti nemmeno pensare alla gentilezza degli altri se non ci fosse un "io" convenzionale. A chi l'hanno mostrata? A nessuno? Quindi queste meditazioni riaffermano il "me" convenzionale.

Vi è una presentazione di emozioni disturbanti sottili e grossolane. Devi capire cosa sono le emozioni disturbanti, sono ciò che abbiamo tralasciato quando abbiamo confutato questo livello iniziale di ciò che è impossibile riguardo al sé. Quindi ci siamo resi conto che non esiste un sé non influenzato da nulla, senza parti, che non dipende da nessuna base, che può essere liberato, esistere di per sé e che si può conoscere da solo. Confutare questo non è abbastanza per sbarazzarsi di tutte le emozioni disturbanti; secondo alcune teorie ci aiuterà a liberarci delle afflizioni grossolane, ma rimarranno ancora quelle sottili.

Bisogna davvero pensare e provare a capire cosa sono queste sottili emozioni disturbanti rimaste; non si basano sul pensare a questo "io", questo piccolo controllore seduto nella testa che vuole piacere o allontanare le altre persone da "me". Non si pensa così di sé, ci si rende conto che è una fantasia, una finzione, non si prova alcuna attrazione, repulsione o indifferenza verso nessuno; ma cosa mi rimane in termini di un falso "io"? C’è ancora un falso "me" che esiste separatamente da tutto il resto come se fosse incapsulato in plastica "Va bene, capisco che è imputato sugli aggregati e può essere conosciuto solo in termini di aggregati" e tutto il resto; ma è incapsulato, perché è individuale, così per tutti, [come una pallina da ping pong].

Non è che io sia attratto o respinto da nessuna di queste altre palline da ping pong per così dire, tuttavia sento ancora che alcuni sono vicini e altri lontani da me. Queste sono le emozioni disturbanti sottili: sentire che alcuni mi sono vicini, quindi li aiuterò per primi mentre alcuni sono distanti, lontani differenziandoli così. Questo è ciò su cui dobbiamo lavorare per sviluppare amore e compassione in un modo razionale che supererà queste emozioni disturbanti sottili, non grossolane.

Lo sviluppo emotivo dell'amore e della compassione si concentra sul superamento delle emozioni disturbanti grossolane e il modo razionale di sviluppare amore e compassione è finalizzato a superare quelle sottili. Nella sequenza emotiva non c'è motivo di essere attratti, respinti, indifferenti agli altri dal momento che tutti sono stati così gentili e sviluppiamo questa calorosa sensazione emotiva. Ma ora, poiché ancora concepiamo alcuni come vicini e altri come distanti da "me", abbiamo bisogno di un approccio più razionale per sviluppare un atteggiamento equo nei confronti di tutti, sulla base della linea di ragionamento molto razionale secondo cui siamo tutti uguali nel voler essere felici e non infelici. Questa è una ragione razionale per nutrire un atteggiamento uguale nei confronti di tutti e non solo emotivo basato sul riconoscimento dell’altrui gentilezza.

Ci sono nove diversi punti di vista che possiamo usare [per dimostrare questa uguaglianza] in un modo molto razionale. Non c'è tempo per esaminarli tutti, tuttavia ci sono nove considerazioni che dimostrano razionalmente che tutti sono uguali. Tramite queste sviluppiamo l'equanimità che ci aiuta a superare queste emozioni disturbanti sottili e così, in un modo molto razionale, ci rendiamo conto che l'infelicità deriva dal concentrarsi su noi stessi e la felicità dall'amore per gli altri. Abbiamo già un sano senso del sé, così non è che non si nutre alcun sentimento positivo per sé e poi vi si aggiunge "È orribile sono egoista e concentrato su me stesso" il che significherebbe solo scaricare più negatività su sé stessi. Lo scambiare l’egoismo con l’altruismo deve basarsi su un sano senso del sé convenzionale.

In un modo molto razionale vediamo che questo corpo e quello di tutti proviene da parti di corpi di altre due persone – lo sperma e l'ovulo dei miei genitori. Quindi qual è la differenza tra asciugare il mio naso o il tuo? Non c'è alcuna differenza. È il naso di un corpo prodotto da altre persone; sono uguali. Pulisco il mio fondoschiena, il tuo, quello del mio bambino o del tuo. Qual è la differenza? Si tratta di pulire un fondoschiena. Così come posso prendermi cura di questo corpo, posso prendermi cura del corpo di chiunque. È solo un corpo. Così questo non è un modo emotivo bensì razionale di sviluppare premura per gli altri.

Ci sono pratiche di scambiare sé stessi con gli altri, il tonglen, dare e prendere con amore e compassione "che tu possa essere felice e libero dalla sofferenza". È molto importante avere questo duplice sviluppo di amore e compassione. Se è solo razionale manca la qualità emotiva. Se è solo emotivo non è così stabile. I due si completano a vicenda.

Quindi sviluppiamo questa eccezionale determinazione "Non solo li aiuterò – che tu possa essere felice e non infelice", rispetto ai primi due tipi di sofferenza: quella dell’infelicità e la sofferenza del voler essere ordinariamente felice. Quindi ora l'eccezionale determinazione "Vorrei che fossero liberi della sofferenza onnipresente, quella che sta causando rinascite incontrollate e ricorrenti": li aiuterò a superare gli ostacoli che impediscono loro la liberazione, li aiuterò a raggiungere anche la liberazione e l'illuminazione". [Questa è la determinazione straordinaria: decidiamo davvero di farlo, non abbiamo solo la buona intenzione di aiutarli.]

Stiamo costruendo un sano senso di sé sempre più forte “ho intenzione di aiutare tutti, possano tutti essere felici; possa io essere in grado di portare loro la felicità. Lo farò”. Questo è il sé convenzionale. “Non farò solo questo, li aiuterò a ottenere la liberazione e l'illuminazione”. Sviluppiamo questa forza di volontà e autocontrollo rafforzando lo scopo iniziale “Mi asterrò dal comportamento distruttivo, otterrò la liberazione, concentrazione e così via e ora aiuterò tutti gli altri”. Quindi stai sviluppando un senso di sé molto potente e sano.

Bodhichitta e le qualità del sé convenzionale

Tuttavia nello stesso processo dobbiamo confutare i modi impossibili in cui immaginiamo che esista il sé che compie tutto questo; non è il controllore seduto nella testa, non è un "io" che è come una pallina da ping pong. Capiamo che per poter aiutare tutti a raggiungere la liberazione e l'illuminazione, dobbiamo noi stessi illuminarci e quindi sviluppare bodhichitta. Con bodhichitta ci concentriamo sulle nostre illuminazioni individuali – non su quella di Shakyamuni o in generale, ma sulla nostra illuminazione individuale, che non è ancora avvenuta ma che può accadere sulla base dei suoi fattori causali, ciò che consentirà che avvenga: le due cosiddette "reti di forza positiva e consapevolezza profonda" normalmente chiamate "le due raccolte" o “I fattori della natura di Buddha”.

Quella forza positiva è responsabile dei corpi di forma di un Buddha; la profonda consapevolezza è causa della mente di un Buddha tuttavia non abbiamo davvero il tempo di approfondire la natura di Buddha. Mi riferisco anche alla natura vuota della mente, che consentirà la trasformazione e del fatto che il continuum mentale può essere innalzato e ispirato: questi sono i fattori della natura di Buddha.

Queste sono tutte qualità del nostro sé convenzionale che può essere imputato su questi fattori. C'è una forza positiva. Come facciamo a sapere che abbiamo una forza positiva? Perché se mai abbiamo sperimentato la felicità, questa deriva da forza positive, dalla raccolta di meriti. Hai della forza positiva, altrimenti non avresti mai sperimentato la felicità e hai un certo livello di comprensione, altrimenti non capiresti nemmeno cosa sia il cibo e come mangiare, quindi esiste una rete di profonda consapevolezza. Possiamo etichettare "io" su quella base – sulla base del continuum mentale su cui possono anche essere designate queste reti.

È importante capire che non è che “io sono già un buddha, sono già illuminato, è già nella mia mente e devo solo rendermene conto”. Questa è una falsa visione di sé, un estremo; l'altro estremo è "Non potrò mai diventare illuminato". Se comprendiamo che possiamo imputare sul continuum mentale – razionalmente, logicamente – le cause che consentiranno di diventare illuminati, allora è possibile, sempre sulla base dell’"io" convenzionale. L'illuminazione individuale a cui miriamo non sta ancora accadendo, qualcosa che non sta ancora accadendo esiste perché possiamo pensarci. Il domani non sta ancora accadendo; non sta succedendo oggi, ora. È domani. Esiste qualcosa come domani? Sì.

Quindi sulla base di quel bodhicitta, questa è una conferma molto forte dell’"io" convenzionale: “Lo farò. È possibile farlo. Ho l’obiettivo di diventare illuminato”. Questo è il bodhicitta d’aspirazione, invece quello dell’impegno è: "Non tornerò mai più indietro". Quindi ricordate che avevamo questi stati di certezza:

  • Ne sono certo. "Lavorerò per raggiungere l'illuminazione";
  • e poi una convinzione ancora più forte e ferma: "Nulla mi allontanerà da quello";
  • e poi "Ho intenzione di impegnarmi nelle pratiche che mi porteranno all'illuminazione".

È interessante che questa parola "impegno" sia avatara in sanscrito – avatar in hindi  così diventeremo un avatar di un bodhisattva. Cercheremo di incarnarlo con gli atteggiamenti di vasta portata e cosa faremo come avatar che si impegna nel comportamento del bodhisattva? Prendiamo i voti del bodhisattva che strutturano il nostro avatar come bodhisattva. Al fine di mantenere questi voti che fissano i confini della forma del nostro comportamento che non andrà oltre, pratichiamo i sei atteggiamenti di vasta portata, le cosiddette "perfezioni" o paramita e il comportamento che ne deriva.

I sei atteggiamenti di vasta portata

Questi sei atteggiamenti di vasta portata rafforzano anche il sano senso di un "io" convenzionale.

  • La generosità è l’atteggiamento di offrire; quindi "ho qualcosa da dare", il "me" convenzionale ha qualcosa da dare. Quando sei in grado di dare, apprezzi il tuo valore: “c'è qualcosa che posso dare”.
  • Autodisciplina etica – rafforza anche l’“io” convenzionale. “Eserciterò l'autocontrollo, mi asterrò dall'agire in modi distruttivi; mi impegnerò in azioni costruttive”.
  • Pazienza: ci vorrà molto tempo per diventare illuminati. È molto difficile aiutare gli altri. Quindi possiamo raggiungere questi obiettivi solo sulla base del “sé” convenzionale, non di quello che pensa “Tutto può accadere istantaneamente”; così non ti arrabbi, sei in grado di sopportare le difficoltà che giungeranno. La pazienza richiede anche un sano senso del "sé" convenzionale che può aspettare.
  • Perseveranza, questa parola virya è difficile da tradurre. Virya è legata a vira, che significa "eroe" in sanscrito, "eroico". È legato alla parola latina vir, che significa "uomo", così virile – un senso di vero coraggio eroico e virile. Anche le donne possono averlo, non dovremmo pensarci in modo sessista. È davvero eroico aver intenzione di mettere forza e energia, ci vuole un grande coraggio per raggiungere l'illuminazione.  Pensare “Lo farò, nulla mi fermerà” aiuta a superare la pigrizia. Ci sono vari stati mentali che sosterranno questa virya, questa forte perseveranza che ci permette di continuare, di provare piacere e voglia di fare. Uno dei fattori di supporto – sottolinea Shantideva – è l'orgoglio; l’orgoglio per sé stessi indicato dalla parola tibetana nga rgyal, "sarò vittorioso". Quindi questo senso di fiducia in sé stessi. Nga è "io", il "me" convenzionale e rgyal "trionfare": "trionferò". Per avere questa forza coraggiosa, per essere eroici in questa impresa, bisogna avere fiducia in sé stessi. Questo è ciò di cui parla questo orgoglio e la stessa parola è usata nel contesto dell'orgoglio divino nel tantra. “Farò questo, sono in grado di essere un Buddha”. Fondamentalmente stiamo etichettando il “me” convenzionale in termini di tutti i fattori aggregati in ogni momento che hanno il fattore mentale di virya "Ho intenzione di farlo", e il comportamento che è coinvolto in questo. Quello è l’"io", il "sé" convenzionale.
  • La stabilità mentale include non solo la concentrazione ma anche la stabilità emotiva.
  • Consapevolezza discriminante: discriminare non solo come noi esistiamo, ma come tutto esiste e come non esiste. Confuta e nega ciò che non esiste, che è impossibile. Per raggiungere la liberazione o l'illuminazione abbiamo davvero bisogno di comprendere molto più profondamente ciò che è impossibile, quali modi impossibili di esistere stiamo proiettando su noi stessi e su tutto.

Cosa stabilisce che esistiamo?

Abbiamo compreso che non esiste un sé che non è influenzato da nulla e senza parti, privo di una base di designazione, che può essere liberato e totalmente separato da tutto ciò. queste cose. Abbiamo anche capito che l'io non si può conoscere da solo e cosa può essere etichettato sugli aggregati, le basi: corpo, mente, sentimenti, emozioni, qualunque cosa stiamo vivendo. Non è un solido "io" che viene etichettato su di esso che poi potrebbe esserne separato ed esistere da solo.

Quindi pensiamo a come può essere etichettato in questi momenti di esperienza; ci devono essere alcune caratteristiche dell'“io” che mi rendono "me". Dove sono? "Io" sono etichettato sul corpo, sulla mente e così via, così potremmo pensare che quelle caratteristiche sono sul lato della base per l'etichettatura. Di solito pensiamo che nella coscienza ci sia qualcosa dalla sua parte che è la caratteristica che la rende la mia mente, che stabilisce la mia individualità, la mia esistenza come "me", che stabilisce che sono "io".

Pensateci, è davvero molto sottile. Non riusciamo a pensare a "io" senza pensare alla nostra mente perché è lì che percepiamo la voce interna, così pensiamo che la "mente" sia "me" e che l'individualità – quella caratteristica del "me" – debba essere all'interno della mente, "Sono etichettato su quella caratteristica che potrebbe essere trovata nella mente, dal lato della mente come base per l'etichettatura". Tuttavia non puoi trovare quelle caratteristiche – ciò che rende la mente "me", la mia mente, non puoi trovarle dalla parte della mente. Questo è ciò che dobbiamo confutare a un livello più sottile: questo falso "io" – l’"io" che in qualche modo può essere trovato con le sue caratteristiche da qualche parte dal lato della mente.

Se approfondiamo, abbiamo questo falso concetto di una mente che si stabilisce da sola. I termini in sanscrito e in tibetano non parlano di vera esistenza ma di un’esistenza veramente stabilita. Cosa stabilisce qualcosa? Questa è la parola chiave [tibetano: sgrub, sanscrito: siddha]. Cosa stabilisce che io esisto? Non è tanto ciò che mi fa esistere o come faccio a sapere che esisto, ma che tipo di prova lo dimostra – da dove viene il potere? La parola "stabilire" è anche usata nell’accezione di "provare" qualcosa. Ciò che non è corretto è che c'è qualcosa dalla parte di "me" che per suo stesso potere stabilisce che io esisto o che c'è qualcosa dal lato della base dell'etichettatura, la mente, che stabilisce che io esisto. Non c'è nulla che tu possa trovare che stabilisca che io esisto per suo potere.

Quindi un sé che è stabilito per proprio potere non si riferisce a nulla di reale. Questo è ciò che è assente quando parliamo di vacuità: l'assenza totale di un riferimento reale a ciò che stiamo immaginando – un "io" auto-potenziato che si stabilisce da sé. “Sono io, eccomi qui con il mio potere, io stabilisco che esisto. Ehi! Eccomi”, qualcosa nella mia mente che stabilisce che io esisto: “Ehi! È Alex”, è una fantasia.

Etichettatura mentale

Quindi cosa stabilisce effettivamente che esistiamo? L’etichettatura mentale, che non significa che solo quando etichetto mentalmente "Alex, Alex, Alex", "io, io, io" – io esisto – e se smetto di etichettarmi non esisto più. Certamente non significa questo: l'etichettatura mentale non crea nulla. Come possiamo stabilire che esiste un "io", che io esisto? C'è l'etichetta, il nome, la parola ad esso associata e il fatto che si riferisce a qualcosa sulla base dell'etichettatura: ciò stabilisce che esiste qualcosa. Le parole, i concetti e così via si riferiscono a qualcosa, ma ciò a cui si riferiscono non è autonomo e potenziato dalla sua parte che stabilisce che esiste, non c'è nulla che lo supporti da dietro, come un sostegno.

Questo è il motivo per cui distinguo – anche in tibetano c’è una distinzione: parole, concetti, etichette si riferiscono a qualcosa, ma non c'è "cosa" che corrisponda alla parola. Parole e concetti – ricordate che stiamo parlando di categorie, sono come scatole mentali; c'è la parola, la scatola di "amore", la scatola di "rosso" o la scatola di "me". Le parole implicano scatole tuttavia l'universo non esiste nelle scatole. Questo sarebbe ciò che corrisponderebbe a parole e concetti: l'intero universo – “io”, tutti gli altri – esiste in questa o quella scatola, puoi trovarlo qui nel dizionario sotto questa parola. Ma le cose non esistono nelle scatole, quindi non c'è nulla che corrisponda a ciò che stiamo etichettando. Tuttavia le etichette si riferiscono a qualcosa, perché io lavoro, faccio cose e così via. Questa è una distinzione molto sottile, indicata da due parole diverse in tibetano [btags-chos e btags-don].

È piuttosto sofisticato, qualcosa su cui dobbiamo davvero lavorare. Ma come si traduce questo in un'esperienza ordinaria? Ciò si traduce nel nostro vecchio amico "niente di speciale": non c'è niente di speciale in "me", dalla mia parte che mi rende così speciale; che rende “me” me. Questo "niente di speciale" può essere compreso su così tanti livelli di profondità; ma tutto può essere coperto da questa comprensione che non c'è niente di speciale in "me". Sono solo uno con tutti gli altri, non c'è nulla di cui sentirsi insicuri, non c'è nulla che devo rendere sicuro, nulla che sia minacciato. Vai avanti con la vita e in particolare cerca di migliorare la tua situazione e quella di tutti gli altri. Fallo e basta. Niente di speciale, niente di speciale riguardo a "me". Fallo e basta.

Conclusione

Questo è l'argomento di uno sviluppo sano di sé attraverso il lam-rim; il processo di riaffermazione e rafforzamento di questo sano senso di "sé". Una volta che si è progrediti fino a un certo livello, iniziamo a chiarire le idee sbagliate su come fraintendiamo il modo in cui esiste il "sé" convenzionale, il falso "sé" confutandolo in modi sempre più profondi e sottili. Avete domande?

Domande

"Niente di speciale" opposto a indifferenza

Qual è il confine tra l'indifferenza, il semplice rilassarsi e non fare nulla, questo tipo di atteggiamento egoistico e il pensare non è "niente di speciale" e quindi avere l'autodisciplina per fare qualcosa?

"Niente di speciale" è molto diverso da "non mi interessa, chi se ne frega". Con l'atteggiamento "niente di speciale" non esageriamo quello che stiamo facendo, non lo pubblicizziamo, non dobbiamo essere ringraziati per questo – niente del genere. Per esempio, viviamo in un condominio nel cui ingresso ci sono carte e spazzatura sul pavimento e c'è un cestino. Quindi – niente di speciale – raccogliamo le carte dal pavimento mettendole nel cestino. Come dice Shantideva, i problemi non hanno un proprietario, quindi non è un mio problema, non è un tuo problema: è solo un problema. Deve solo essere risolto perché è un problema. Così, ci sono le carte sul pavimento e devono essere raccolte, niente di speciale, niente di speciale che io lo faccia. Lo faccio e basta.

Senza dover appendere un cartello sul muro "Le carte sono state raccolte da ..." mettendoci il tuo nome o te ne risenti "Sono la vittima; tutti nell'edificio sono così orribili e sciatti, perché devo sempre raccogliere le cose di tutti”; "Sono così speciale, sono la donna delle pulizie" o l'uomo delle pulizie. Lo fai, non è un grosso problema. Raccogli la carta. E allora? Lo fai solo perché deve essere fatto. Questo è l'atteggiamento "niente di speciale". Non è che tu non fai nulla e non sei egoista – “Non le ho buttate io quindi perché dovrei raccoglierle?”. Devi solo fare ciò che deve essere fatto.

Funziona sulla base di un sano senso di "io" convenzionale, non del falso "io" che deve andare in giro e ripulire tutto pensando "Sono così bravo, così perfetto, tutti gli altri così terribili. Sono il bodhisattva buddhista e che pulisce tutto". Non così.

E se vediamo quello che ha buttato le carte?

Tutto dipende dalla ricettività o meno di quella persona ai nostri consigli. Devi usare il tuo giudizio.

Se la persona è più forte di noi?

Queste sono situazioni molto difficili. Ad esempio, nella stazione della metropolitana, U-Bahn, a Berlino dove vivo c'è una regola "vietato fumare". Ma a volte alcuni di questi giovani particolarmente forti e dall'aspetto aggressivo fumano lì. Così se io, un vecchio dai capelli bianchi, mi avvicino a loro e dico "Ehi, non fumare!" potrei essere preso a pugni in faccia; quindi qui si esercita la pazienza. Non è così terribile: stanno fumando, non è che uccidono tutti. Cerca anche di non iniziare il viaggio mentale di critica "Oh questi giovani" e blah, blah, blah e tutto quel tipo distruttivo di pensare che, fondamentalmente, produce solo infelicità in noi stessi.

Poi ci sono situazioni veramente pericolose, si interviene quando qualcuno fa del male e picchia qualcuno? Devi giudicare se hai la possibilità di fermarli o puoi in qualche modo chiamare qualcuno che li fermi. Se hai l'abilità lo fai; se non lo fai allora trovi altri mezzi per fermarlo. Questo è molto delicato, molto difficile. Ecco perché ci piacerebbe essere un Buddha.

Ricordo un incidente in cui una coppia sulla metropolitana stava litigando e urlando in modo abbastanza brutto e piuttosto aggressivo. Qualcuno è intervenuto dicendo all'uomo: "Ehi, lascia stare questa signora". Così la coppia si è irritata con questa persona dicendo che stavano litigando per cose loro, che quello è il modo in cui interagiscono e quindi non sono affari di nessuno. Ecco perché uno deve diventare davvero un Buddha per sapere cosa sta realmente succedendo nella situazione.

Ho dei vicini così. È una vecchia coppia turca e riesco a sentirli attraverso il muro e a volte urlano a squarciagola. Eppure, quando li visito e mi invitano, sono la coppia più felice che ci sia. Questo è solo il loro modo di parlarsi e di essere in disaccordo. L'onniscienza sarebbe molto utile.

Un altro approccio interessante sarebbe raccogliere le carte quando vediamo qualcuno che le butta, mettendole nel cestino facendoci vedere dalla persona.

Bene, devi stare molto attento a non farlo come "Guarda quanto sono bravo", con l'intenzione di far sentire in colpa l'altra persona. Non lo so, è molto difficile. Sto pensando all'esempio di un bambino di un anno seduto sul seggiolone che getta sempre qualunque cosa sul pavimento. Come insegni al bambino di un anno a non farlo? Non così semplice. Richiede molta pazienza. Urlare e colpire il bambino non serve, perché lui non capisce. Anche gli adulti possono essere molto piccoli. È il termine che Shantideva usa sempre: le persone sono infantili. Ci aiuta a sviluppare la pazienza come si farebbe con un bambino, si spera.

Caratteristiche di un sano "io" convenzionale

Potremmo rivedere le caratteristiche del sano "io" convenzionale?

Un “io” convenzionale sano è quello che:

  • si assume la responsabilità delle sue azioni
  • si preoccupa delle conseguenze delle sue azioni su sé stesso e sugli altri
  • lavora in modo realistico per cercare di migliorare la qualità della sua vita e quella degli altri secondo le sue capacità
  • è abbastanza forte da essere in grado di esercitare l'autocontrollo per astenersi da ciò che sarebbe dannoso
  • ha la forza di volontà per impegnarsi in ciò che sarà costruttivo e benefico.

È un sano senso di un "io" che non gonfia l’"io" in qualcosa di assolutamente impossibile – uno che deve sempre avere il controllo, deve essere sempre perfetto, al centro dell’attenzione, sempre apprezzato da tutti.

Trovo sempre questa affermazione molto, molto utile: "Non a tutti piaceva il Buddha, quindi noi ci aspettiamo di piacere a tutti?". E quando commettiamo errori: "Cosa ti aspetti dal samsara?". Non siamo esseri liberati, quindi cosa ci aspettiamo? Naturalmente faremo degli errori, finché non ci libereremo ci arrabbieremo, non c’è nessun motivo per sentirsi in colpa. Lavoriamo su noi stessi, certo, ma non sentiamoci in colpa quando sbagliamo. Il senso di colpa è quando identifichiamo ciò che abbiamo fatto con il male e l’“io” come il cattivo che l’ha fatto, ci riconosciamo in questo e non lo lasciamo andare. Questa è il senso di colpa, pensare a noi stessi in termini di questo falso "io", questo solido "io" che è così malvagio. "Ho fatto un errore; sono stato influenzato da emozioni disturbanti e confusione. Certo, non sono ancora un essere liberato ma ci sto lavorando" e poi applichiamo vari rimedi. Lo facciamo – niente di speciale.

Top