Integrare la nostra vita: il nostro retroterra e il quadro generale

La differenza tra un ego sano e uno gonfiato

Innanzitutto, alcune domande. C’era una domanda durante la pausa, qual è la differenza tra il “sé” e il “me”, o l’“io”. Poiché questa domanda è stata posta da uno psicologo e la terminologia è un po’ diversa, la domanda è quale è la differenza tra l’“io” falso e impossibile - da confutare - e l’“io” convenzionale - questa è la terminologia buddhista – che corrispondono in psicologia a un “ego sano” e a un “ego gonfiato”. In realtà, “me” o “sé” da un punto di vista buddhista sono la stessa cosa. Quindi penso che la domanda riguardi questi due quadri concettuali.

In psicologia, l’ego si riferisce a uno stato mentale cosciente che pensa in termini di “me”. Non lo analizzerò seconda una scuola in particolare, ma solo in generale. Quando pensiamo a “me” in termini di “me” convenzionale, il Buddhismo intende l’oggetto della mente. Quindi un “me” convenzionale è un ego sano e il “me” falso è un ego gonfiato che non esiste, è impossibile che esista. 

Un esempio è: “Non solo esisto come un’entità solida, ma sono il centro del mondo. Sono il più importante. Dovrei sempre fare a modo mio”. L’analisi buddhista e l’analisi psicologica non sono contraddittorie, ma forse quella buddhista va più a fondo su ciò che sono in realtà l’“io” impossibile e convenzionale.

Imparare a convivere con i problemi

Molte terapie sono concepite come segue: “Hai questi problemi e la terapia ti aiuterà a conviverci in modo migliore”. Invece il Buddhismo mira a liberarsi della causa dei problemi ed eliminarli completamente, non solo a imparare a conviverci. Naturalmente, imparare a conviverci è certamente un passo iniziale e importante. Nel Buddhismo, parliamo di scopo iniziale: quando sorge un’emozione disturbante non la mettiamo in atto, ma piuttosto esercitiamo l’autocontrollo. In un certo senso, questo significa imparare a conviverci. Ma, come dice Shantideva, cose come la rabbia sono il vero nemico con cui non possiamo fare pace. Sono in agguato e tornano ad attaccarci di nuovo, causando di nuovo problemi. Quindi non si tratta solo di fare pace con i problemi e imparare a conviverci in qualche angolo della nostra mente; dobbiamo liberarcene completamente.

Fare pace con situazioni problematiche va bene quando non abbiamo altra scelta che accettarle. Ad esempio, potremmo dover accettare di essere nati in un gruppo minoritario, che i nostri genitori si sono separati prima ancora che nascessimo, che siamo cresciuti in un ghetto, o qualsiasi altra cosa. Ok, dobbiamo accettare la realtà, quindi in un certo senso facciamo pace con essa piuttosto che passare tutta la nostra vita a lamentarci e a pensare che tutti ci devono qualcosa perché ci è andata male nella vita. Ma poi, sulla base dell’aver fatto pace con esso, dell’accettare la realtà di ciò, andiamo avanti per cercare di migliorare e uscire da qualsiasi inconveniente che potrebbe esserci in quella situazione. Applichiamo metodi tratti dall’insegnamento dell’addestramento mentale, lojong, per trasformare le circostanze negative in positive.   

Lo stesso ragionamento che ha appena usato si applica alle malattie?

Assolutamente. Se abbiamo una malattia grave, non serve a niente lamentarci e compatirci. Di sicuro non ci aiuterà. Cerchiamo invece di trasformare le circostanze avverse in positive. Innanzitutto, ovviamente, dobbiamo riconoscere che la malattia è sofferenza; non è proprio piacevole. Non neghiamo la spiacevolezza di una malattia grave, non serve a niente fingere che non sia terribile; è terribile avere il cancro, la sclerosi multipla, essere paralizzati o qualsiasi altra cosa. Ma dobbiamo accettare la realtà.

Potremmo dire che il principio più fondamentale del Buddhismo è “accettare la realtà”: comprenderla e accettarla, non proiettare ogni sorta di fantasia impossibile. Ci sono molti modi per trasformare una circostanza avversa in una positiva. Ad esempio, un mio amico aveva un tumore al cervello che gli è stato rimosso e dopo è diventato un praticante buddhista veramente serio perché, più che mai, ha riconosciuto la preziosa rinascita umana che ha, e che voleva sfruttare al meglio e non solo sprecare il tempo rimasto. Quindi lo ha aiutato a diventare molto più forte sul sentiero buddhista.

Avete mai sentito la seguente definizione di vita? Una malattia sessualmente trasmissibile con un tasso di mortalità del 100%. È molto vero! Potremmo avere una preziosa vita umana ora, ma finirà. C’è un tasso di mortalità del 100%. È solo questione di quando, e non sappiamo mai quando. L’avere una malattia davvero grave ci fa prendere molto più seriamente la realtà che tutti affrontiamo. Dovremmo anche ricordare che una persona perfettamente sana può morire molto prima di noi, anche se abbiamo una malattia cronica. Chiunque può essere investito da un’auto in qualsiasi momento. 

Un altro mio amico, affetto da sclerosi multipla, è stato costretto su una sedia a rotelle ed è rimasto gravemente paralizzato. Aveva studiato il Buddhismo prima di allora e, come l’amico con il tumore al cervello, è diventato molto più serio al riguardo. Poi è diventato psicologo e ha iniziato a consigliare altre persone paralizzate o affette da gravi malattie croniche simili perché, soffrendone lui stesso, era in una posizione molto migliore per dare consigli agli altri che non avrebbero avuto risentimento nei suoi confronti. Sai, se una persona molto sana consiglia qualcuno in quel modo, se una persona che può vedere dice a un cieco “Beh, sei cieco, ma non sentirti così male per questo”, non ha lo stesso impatto di quando proviene da qualcuno che è afflitto in modo simile. Che si tratti di cecità, di cancro, di essere sieropositivi, è possibile cambiare e trasformare queste circostanze avverse in positive. Ciò ci consentirà non solo di svilupparci ulteriormente spiritualmente, ma anche di essere in grado di aiutare meglio gli altri. Come ho detto, la base per questo, per aiutarci a non sentirci dispiaciuti per noi stessi, è riconoscere che è terribile. Questa è la prima nobile verità, la vera sofferenza.

Esercizi

Ora, proseguiamo ulteriormente con i nostri esercizi. Abbiamo lavorato con i membri della famiglia, concentrandoci su nostra madre e nostro padre. A meno che non siamo una di quelle persone molto fortunate che hanno una madre e un padre meravigliosi e un rapporto meraviglioso con entrambi, forse abbiamo trovato qualche difficoltà con uno o con l’altro o con entrambi. Forse abbiamo notato una certa resistenza nel cercare di trovare le loro buone qualità, è stato difficile scoprirle. Ma ricordate, è quasi impossibile che ci sia qualcuno che abbia solo cattive qualità. Forse hanno mostrato principalmente qualità negative a noi, ma che dire di quelle che hanno mostrato agli altri? Forse è un aspetto completamente diverso di questa persona. Ciò significa che abbiamo ristretto la base dell’etichettatura per nostra madre o nostro padre solo ad aspetti delle loro interazioni con noi, e la maggior parte erano negative. Quindi, dobbiamo espandere la base per etichettarli e pensare in termini di tutta la loro vita: le loro interazioni con tutti, con i loro genitori, e così via. In questo modo, otteniamo una prospettiva un po’ più oggettiva su uno o l’altro genitore o su chiunque altro coinvolto in questo esercizio.

Ovviamente non è semplice, nessuno degli esercizi buddhisti lo è ma sono utili quando si presentano blocchi mentali e difficoltà. Come ha sempre sottolineato Tsongkhapa, devi essere in grado di riconoscere l’oggetto da confutare per confutarlo. Quindi, dobbiamo riconoscere su cosa dobbiamo lavorare prima di poterlo fare. L’immagine usata è che, se non riesci a vedere il bersaglio, non sarai in grado di colpirlo con una freccia.

Abbiamo lavorato con nostra madre e nostro padre, e possiamo facilmente vedere come possiamo estendere questo a vari altri membri della nostra famiglia. Anche se non abbiamo avuto una relazione stretta o una grande interazione con loro non importa davvero perché, in un certo senso, proveniamo da quella famiglia. Possiamo guardare alle buone qualità di questa persona in ogni caso. Se pensiamo che la nostra famiglia sia una completa - scusate la parola - schifezza, allora chi siamo? Voglio dire, hanno prodotto un altro pezzo di schifezza. Penso che sia molto importante avere un sentimento più positivo su coloro che ci hanno prodotto, non solo i nostri genitori, ma l’intera famiglia.

Concentrarsi sul paese d’origine

Quindi, andiamo avanti. Pensiamo in termini del paese e della religione nativa in cui siamo nati. So che qui in Messico è un po’ difficile separare le influenze del carattere messicano e quella del cattolicesimo. Non sto parlando di identità ma di influenza, le due potrebbero essere difficili da separare. Ma proviamo a pensare se ci sono altre caratteristiche della cultura e della mentalità messicana, oltre al cattolicesimo, che sono positive e fanno parte di noi.

  • Per cominciare, dobbiamo calmare la nostra mente.
  • Quindi, generiamo un atteggiamento premuroso verso noi stessi “Sono un essere umano, ho dei sentimenti, mi interessa la felicità e non l’infelicità”. Non abbiamo bisogno di entrare nei dettagli.
  • Ora, per il passo successivo, pensiamo a qualcosa che rappresenti il nostro paese.

Con i nostri genitori, abbiamo portato alla mente un’immagine della persona o una che la rappresenta. Questo è molto più difficile quando pensiamo al nostro paese natale, che si tratti di Messico, Cuba, Germania o negli Stati Uniti. E ovviamente, visualizzare una bandiera o una mappa è un po’ sciocco. In qualunque modo possiamo, anche se è solo il nome del paese, cerchiamo di concentrare la nostra attenzione su quello.

  • Possiamo ricordare le mancanze e le qualità negative e vedere che sono sorte da cause e circostanze e che non c’è alcun beneficio nel soffermarci su di esse o lamentarcene. Quindi le mettiamo da parte.
  • Poi ricordiamo le buone qualità del paese e quelle che abbiamo acquisito provenendo da quel contesto. Ci concentriamo su questi fatti con ferma convinzione che queste sono davvero buone qualità e che ne siamo stati davvero influenzati.
  • Poi cerchiamo di riconoscere i benefici che abbiamo tratto da quella nazionalità in termini di ciò che abbiamo imparato. 
  • Una volta che lo abbiamo riconosciuto, cerchiamo di sviluppare un senso di profondo apprezzamento e rispetto per il nostro retroterra nazionale. Ciò non significa che diventiamo patrioti fanatici e andiamo in giro a sventolare bandiere. È molto più realistico e non esagerato.
  • Poi cerchiamo di sentirci ispirati a sviluppare ulteriormente queste qualità.

Concentrarsi sulla religione nativa

Poi pensiamo alla religione nativa in cui siamo nati. 

  • Pensiamo alla religione della nostra famiglia.

Non è necessariamente la religione dominante del nostro paese, a meno che non siamo andati in una scuola che ci ha dato una formazione in una religione che non era quella della nostra famiglia. Ovviamente ci possono essere casi del genere. Inoltre, coloro che non sono nati in nessuna religione specifica possono ricordare i sistemi di credenze instillati in noi quando eravamo più giovani.

In qualche modo rappresentatelo nella mente, in modo da poterci pensare. Potrebbe essere solo con la parola mentale, non deve essere così specifico, non dovete visualizzare una croce o qualcosa del genere, a meno che non sia utile. 

  • Ricordate le carenze e le qualità negative, se ce ne sono, e vedete che sono sorte a causa di cause e circostanze. Decidete che non c’è alcun beneficio nel soffermarsi su di esse e nel lamentarsi, ma non negatele neanche. Poi mettetele da parte.
  • Poi, ricordiamo le buone qualità della religione e le qualità positive che abbiamo acquisito grazie ad essa. Anche se ce ne siamo allontanati è quasi impossibile che non abbia avuto un’influenza positiva su di noi. 
  • Pensa con ferma convinzione che queste buone qualità sono vere e che hanno avuto davvero un’influenza positiva su di noi.
  • Ora riconosciamo i benefici che abbiamo tratto da questo contesto religioso in termini di ciò che abbiamo imparato e di ciò che abbiamo ottenuto. 
  • Proviamo profondo apprezzamento e rispetto per questa religione.
  • Sentiamo l’ispirazione a sviluppare ulteriormente queste qualità.

Integrare tutto insieme

  • Ora, immaginiamo davanti a noi nostra madre, nostro padre, qualcosa che rappresenti il nostro retroterra nazionale e quello religioso. Pensiamo alle buone qualità che abbiamo acquisito da nostra madre. La luce gialla ci raggiunge e ci riempie di ulteriore ispirazione per svilupparle ulteriormente. La luce gialla proviene dal suo cuore e arriva al nostro.
  • Aggiungiamo le buone qualità di nostro padre. La luce proviene dal suo cuore, quindi ora abbiamo la luce che proviene da entrambi i loro cuori, abbiamo entrambe queste qualità insieme.
  • Poi aggiungiamo il carattere nazionale, l’influenza positiva che ne abbiamo tratto.
  • Per integrarli potremmo aver bisogno di una sorta di frase chiave che rappresenti gli aspetti positivi di ciascuno di essi, e ripeterli in modo da mantenerli vivi.
  • Poi aggiungiamo le buone qualità e l’influenza della nostra religione nativa. Quindi ora abbiamo tutte e quattro insieme.
  • Quindi, come un insieme integrato di tutte queste qualità positive, immaginiamo che l’integrazione di tutte brilli da noi come una luce gialla che giova a tutti, come da un sole.
  • Cerchiamo di lasciarlo sedimentare e di pensare che qualunque forza positiva e comprensione ne sia derivata, possa agire come causa per essere realmente in grado di utilizzare tutte queste qualità positive per raggiungere l’illuminazione a beneficio di tutti.
  • Lentamente usciamo da questo stato meditativo.

La vacuità è fondamentale per questi esercizi

Un’altra cosa da aggiungere qui è la nostra comprensione della vacuità e dell’etichettatura mentale. Dobbiamo avere quella comprensione come contenitore di questo intero processo. Un modo per farlo è pensarci all’inizio, prima di iniziare il processo, e riaffermarla alla fine. Quindi, iniziamo comprendendo che non esiste un “io” solido. Io esisto, ma non c’è nulla di trovabile dalla parte dell’“io” che abbia il potere di stabilire che io esisto. L’unica cosa che stabilisce che io esisto è che ci sono il concetto e la parola “io”, e “io” è solo ciò a cui questo concetto e questa parola si riferiscono sulla base di tutte le cose in continua evoluzione che sperimento nella vita. Questi vari aspetti che sperimento derivano da molte, molte cause e condizioni e hanno numerose parti. Quindi, non c’è nulla di solido nella base e nel fenomeno dell’imputazione, “io”, che è inestricabilmente legato a quella base. 

La meditazione che abbiamo imparato costituisce una base positiva per l’etichettatura concettuale del “me” per la sensazione di essere un tutto integrato, che chiameremmo un ego sano, ciò di cui stavamo parlando prima in termini di un “me” convenzionale. Il “me” è etichettato in termini di ciò. Quando facciamo questo processo nel tantra con una figura di Buddha chiamiamo “orgoglio della divinità” questo senso di “me” etichettato su tutto ciò, la sensazione che siamo effettivamente quella.

Alla fine, è importante ricordare a noi stessi che il “me” non è identico a nessuno di queste componenti aggregate. Né è qualcosa che esiste totalmente separato da esse. Non è qualcosa che possiede queste cose o vive al loro interno, come vivere in una casa. Né è come il capo che ora ha tutti questi fattori che può usare. Non è identico alla totalità di questa base, come se la totalità di tutto questo, come rappresentato da questa luce integrata che splende, fosse una cosa, il “me”, perché ovviamente tutte le parti, come abbiamo visto con gli aggregati, cambiano ogni momento a velocità diverse. Ognuna di queste componenti è nata da cause e circostanze, in termini dei genitori, di come sono cresciuti, del paese, di come si è sviluppato e così via; non c’è nulla di solido in tutto questo. Ciononostante, è il nostro grande “ciononostante”, sulla base di tutto questo siamo in grado di aiutare gli altri e raggiungere l’illuminazione. Questo è importante altrimenti, ancora una volta, potremmo arrivare a una proiezione di modi impossibili di esistere, come “io sono questa grande luce” e identificarci con questo o quell’aspetto e ancora una volta otteniamo un ego gonfio.

Gli ultimi passi

Vorrei illustrare brevemente gli altri passaggi.

Dopo aver esaminato tutte queste categorie di influenza positiva su di noi, come la famiglia, il nostro retroterra culturale e religioso, ciò che abbiamo studiato, i nostri insegnanti, amici e così via, allora potrebbe essere utile fare una lista, ed elencare ogni persona o elemento in ciascuna di queste categorie. Scrivere ognuna di esse e accanto a ciascuna mettere alcune parole chiave su quali sono le cose positive che abbiamo ottenuto da esse. Quindi, ogni mattina, se vogliamo farlo come pratica quotidiana, leggiamo la lista che abbiamo compilato. È molto più efficace che cercare di ricordarla sempre, anche se idealmente non dovremmo dover fare affidamento alla lista, ma comunque renderà le cose molto più facili. Leggere una lista è modellato sulla consueta pratica buddhista tibetana di leggere una sadhana, le istruzioni di ciò che stiamo immaginando e cercando di meditare. Deriva da quella tradizione.

Per ciascuno dei gruppi di elementi, immagineremmo le persone all’interno di quel gruppo o una qualche rappresentazione attorno a noi e, mentre recitiamo o leggiamo le qualità positive che abbiamo acquisito da ciascuna di esse in uno stato di ferma convinzione, apprezzamento e rispetto, immaginiamo che la luce gialla ci arrivi da ciascuna. Possiamo farlo prima uno alla volta o, se non è necessario, passiamo alla seconda fase di ciò, con la prima e poi aggiungendo la secondo sopra, la terza sopra, in modo che sia cumulativo piuttosto che una alla volta.

Alla fine di ogni gruppo, abbiamo una piena integrazione di tutti gli elementi al suo interno, tutta la nostra famiglia e i nostri amici. Potrebbe esserci una qualità dell’amico che ammiriamo davvero, che potremmo sentirci ispirati a sviluppare. Quindi, dopo aver fatto ognuno dei gruppi, cerchiamo di nutrire un sentimento per ognuno dei gruppi interi. Quindi, prima, la famiglia e la loro intera influenza. Poi, l’intero retroterra nazionale, religioso e culturale. Poi i nostri amici e ciò che abbiamo studiato e così via. Alla fine, in modo cumulativo, cerchiamo di mettere tutto insieme. Avere parole chiave per ciascuna di queste rende le cose un po’ più facili perché per la maggior parte di noi questa sarà una lista enorme.

Stiamo brillando di luce con l’intero insieme integrato, aiutando gli altri. Ricordate, iniziamo tutto con il calmarci e la mente premurosa, con la comprensione della vacuità. Alla fine, riaffermiamo quella comprensione della vacuità e l’etichettatura del “me” su tutto questo. 

È molto complesso, come ogni tipo di pratica sadhana; quindi, è qualcosa che dobbiamo costruire nel tempo e attraverso la pratica, un po’ alla volta. È bene fare un tentativo generale di tutto, ma concentrandosi su un aspetto, e la volta successiva su un altro aspetto. In questo modo, lo costruiamo gradualmente.

Un trampolino di lancio per la pratica del tantra

Questo potrebbe richiedere parecchio tempo. Coloro che hanno familiarità con la pratica del tantra vedranno come questo è modellato sulla sadhana tantrica. Iniziamo con la vacuità, immaginiamo di essere una figura di Buddha, spesso con altre figure intorno a noi e un mandala, con più braccia, gambe e volti, che tengono diversi strumenti che rappresentano diversi tipi di qualità positive. Sentiamo di essere l’insieme integrato di tutto. Ora, è esattamente la stessa struttura, ma forse più accessibile. Come in un sadhana immaginiamo che la luce esca e sia di beneficio a tutti con tutte queste qualità. Inviamo luce facendo offerte ai Buddha, e questo è come mostrare rispetto per le fonti di tutte queste qualità. Alla fine della pratica, di nuovo, pensiamo alla vacuità e, alla fine, sorgiamo in una forma più semplice, come il modo in cui concludiamo questa pratica.

Questo tipo di pratica può essere un metodo utile e più accessibile, utilizzando certi principi che troviamo in un aspetto del tantra. Tuttavia, non dovremmo pensare che il tantra sia solo questo, ma è simile e forse più accessibile, e non richiede rituali o cose del genere. È forse un trampolino di lancio per noi per poi lavorare con i metodi del tantra, non un sostituto, solo un trampolino di lancio. La maggior parte di chi proviene da una formazione occidentale ha un diverso modo di pensare e di approcciare il lavoro su noi stessi rispetto al modo buddhista tradizionale. Ciò di cui abbiamo bisogno è un ponte tra i due modi di pensare e di approcciare, di lavorare su noi stessi, di aiutare noi stessi. Forse questo metodo che abbiamo introdotto questo fine settimana può servire da ponte tra la psicologia occidentale e il tantra.

Inoltre, credo di non aver detto esplicitamente che, se dovessimo fare una pratica quotidiana, ciò che ripeteremmo ogni giorno sarebbe semplicemente calmarci, avere un atteggiamento premuroso, la vacuità, leggere l’elenco, fare la pratica che ho descritto e concludere con la vacuità e la dedica. 

Ciò che abbiamo fatto qui è stato il lavoro esplorativo, per creare la nostra lista personale. Se volete un programma più completo per lavorare su voi stessi in questo modo, allora vi consiglio questo programma che ho sviluppato chiamato Sviluppare una sensibilità equilibrata. Qui abbiamo aggiunto qualcosa. Ma nel programma abbiamo venti esercizi, ognuno dei quali è esteso quanto questo in termini di gestione di diversi aspetti che ci aiuteranno a svilupparci lungo il percorso spirituale per essere di maggiore aiuto agli altri. 

Concludiamo qui con una dedica finale. Pensate che qualunque comprensione, qualunque forza positiva sia derivata da questo, possa andare sempre più in profondità e agire come causa non solo per noi, ma per tutti per raggiungere l’illuminazione a beneficio di tutti.

Grazie.

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