Confusione sui cinque aggregati

La motivazione per lavorare con i cinque aggregati

Abbiamo iniziato la nostra discussione esplorando il motivo per cui vogliamo imparare lo schema dei cinque aggregati che formano ciascun momento della nostra esperienza. Qual è la loro importanza?

L’approccio standard nel Buddhismo consiste innanzitutto nell’esaminare i benefici di imparare o sviluppare qualcosa. Una volta convinti, poi tendiamo ad avere un interesse genuino nell’imparare e sviluppare [quell’argomento]. Questa linea guida si applica al perché vorremmo sviluppare amore, compassione, e il desiderio di aiutare gli altri e anche al motivo per cui vorremmo generare una comprensione chiara e corretta della realtà. Se sappiamo i benefici di ciascuno di questi fattori, nonché le ragioni per svilupparli, allora possiamo impegnarci con tutto il cuore e andare avanti con fiducia. Quell’interesse, l’entusiasmo, e la convinzione di fare qualcosa – come la meditazione – e sapere come e perché è utile, è ciò che ci sostiene nel corso di tutto il processo in cui effettivamente facciamo qualcosa.

Il consiglio buddhista tradizionale afferma che seguire questa linea guida motivazionale è utile all’inizio, nel mezzo, e alla fine di qualunque studio o pratica. In altre parole, è utile per entrare realmente nella pratica, per essere in grado di continuare a praticare, e per poter effettivamente completare la pratica. Spesso potremmo stancarci di praticare, di meditare, o di venire a una lezione. Se riaffermiamo questa motivazione – che include il nostro obiettivo, l’emozione sottostante, e la comprensione dei benefici della pratica effettiva, della meditazione o della lezione, allora continueremo fino alla fine. Ovviamente potremmo stancarci, ma non agiamo in base a questo impulso semplicemente fermandoci – continueremo fino alla fine.

Inoltre, è essenziale che la nostra motivazione sia sincera, che sia ciò che sentiamo e crediamo effettivamente. Ad esempio, stiamo puntando alla liberazione e all’illuminazione, ma se non abbiamo nessuna idea di cosa questo significhi e non siamo nemmeno convinti che sia possibile ottenerle, come possiamo pensare sinceramente di ottenerle? A quel livello, possiamo invece avere l’aspirazione di puntare in futuro alla liberazione e all’illuminazione, di comprendere infine cosa significhino, e di convincersi che sia possibile raggiungerle. Inoltre, in generale, possiamo cercare di comprendere che non solo è possibile, ma che noi tutti possiamo raggiungerle. Possiamo aspirare a lavorare per questo obiettivo, ma adesso, forse, il nostro obiettivo è semplicemente di migliorare la qualità della nostra vita. Forse è questo ciò che proviamo sinceramente ed è il motivo per cui vogliamo imparare il Dharma.

La stessa cosa è vera in termini di sviluppare una motivazione per migliorare le nostre rinascite future, e per assicurarsi che siano preziose rinascite umane. Se non siamo pienamente convinti che la rinascita esista e non comprendiamo nemmeno cosa significhi la rinascita, come possiamo sinceramente puntare a migliorare le nostre vite future? Diventano solo parole.

È sempre cruciale nella pratica del Dharma di essere completamente onesti con noi stessi. In quella situazione, la motivazione onesta è che stiamo lavorando genuinamente per beneficiare questa vita, per migliorare la qualità della nostra vita per via dei problemi e difficoltà che affrontiamo. Comprendiamo il sentiero buddhista e gli altri livelli di motivazione - migliorare le rinascite future, ottenere la liberazione e raggiungere l’illuminazione – e consideriamo la nostra motivazione attuale come una tappa lungo la strada. Abbiamo l’intenzione di cercare di sviluppare queste motivazioni più avanzate, ma ancora non ci siamo arrivati. Senza questa onestà, la nostra pratica non è davvero genuina. Il nostro cuore non è proprio coinvolto.

Tuttavia, è essenziale che il nostro obiettivo ultimo sia la liberazione e l’illuminazione. È quando abbiamo l’obiettivo ultimo della liberazione e dell’illuminazione, per come sono definiti nel Buddhismo, che la nostra pratica diventa effettivamente una pratica buddhista. Altrimenti, se stiamo seguendo i metodi e gli insegnamenti buddhisti solo per migliorare questa vita, senza questo obiettivo ultimo, allora non siamo veramente dei praticanti buddhisti. Stiamo usando il Buddhismo come un tipo di psicologia e va bene, ma dobbiamo riconoscere che lo stiamo utilizzando come una forma di terapia psicologica.

In maniera simile, se stiamo adottando i metodi buddhisti semplicemente per migliorare le nostre vite future, senza l’obiettivo ultimo e la comprensione della liberazione e dell’illuminazione, allora, nuovamente, non stiamo seguendo il Buddhismo. Se avessimo fede in una religione occidentale, potremmo voler imparare come andare in paradiso. La motivazione di migliorare le vite future non è molto diversa dal desiderio di andare in paradiso, ma non è una motivazione buddhista. Affinché sia buddhista, deve essere intesa come una tappa sul percorso della liberazione e dell’illuminazione.

Cos’è la liberazione? È la libertà dalla rinascita che si ripete in maniera incontrollabile. Ovviamente, puntare alla liberazione dipende dalla comprensione nella rinascita. Tuttavia, anche se comprendessimo la rinascita correttamente, per come è spiegata nel Buddhismo, e pensassimo che sia la verità, se vogliamo solo una preziosa vita umana ogni volta, e non vogliamo arrestare la rinascita perché siamo piuttosto attaccati a questa vita e ne vogliamo di più, allora, di nuovo, questa non è una motivazione buddhista.

Assieme alla qualità essenziale di avere una motivazione sincera, dobbiamo anche essere onesti con le nostre emozioni che l’accompagnano. Se la nostra motivazione per raggiungere questi obiettivi è che sarebbe bellissimo e carino, queste non sono emozioni enfatizzate dal Buddhismo. Le emozioni motivanti che cerchiamo di sviluppare nel Buddhismo sono molto differenti. Sono emozioni quali un disgusto autentico per i problemi ricorrenti e incontrollabili e un desiderio sincero di superare questa situazione. In aggiunta, abbiamo davvero compassione per gli altri e vogliamo aiutarli inoltre a fermare le loro rinascite ricorrenti e incontrollabili. In più, vogliamo una preziosa rinascita umana, una tipologia migliore di rinascita, perché siamo terrorizzati dall’idea di una rinascita terribile. Non la vogliamo perché vogliamo continuare sul sentiero spirituale e infine essere di maggiore aiuto per tutti.

Se esploriamo le tre motivazioni nel Buddhismo, la struttura è la stessa. In ciascuna motivazione, vogliamo sbarazzarci di qualcosa. Vogliamo eliminare le rinascite terribili, la rinascita in sé e per sé, e vogliamo eliminare la sofferenza di tutti gli altri e la nostra inabilità di aiutarli sul serio. Stiamo rifiutando qualcosa con la motivazione sottostante di pensare: “Quanto sarebbe terribile” sperimentare stati di rinascita peggiori o essere bloccati per sempre nel samsara che continua a ripetersi costantemente. Oppure, provando empatia per gli altri, sentiamo quanto sia terribile che tutti gli altri stiano soffrendo senza poter fare molto al riguardo.

Se il nostro atteggiamento emotivo di fondo è “Che bello e meraviglioso”, allora è molto utile indirizzare questa emozione e devozione che sorge naturalmente verso il pensare a quanto sarebbe bello se potessimo evitare le rinascite peggiori, ottenere la liberazione dal samsara e aiutare davvero tutti. Così useremmo la nostra emozione che sorge naturalmente in un modo buddhista appropriato. Dopotutto, è così che pratichiamo i quattro atteggiamenti incommensurabili nel Buddhismo Mahayana: Come sarebbe meraviglioso se tutti fossero liberi dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza. Come sarebbe meraviglioso se tutti fossero felici e avessero le cause della felicità, ecc. Abbiamo bisogno di approcciarci allo studio dei cinque aggregati nel contesto di questo tipo di obiettivo ed emozione motivante.

Ripasso

Abbiamo parlato in precedenza dei benefici di imparare i cinque aggregati in quanto offrono il contesto per tutta la nostra pratica buddhista. I cinque aggregati sono un modo di comprendere la nostra esperienza di ciascun momento della nostra vita, in ogni vita. Per comprendere la vera sofferenza e le sue cause, abbiamo bisogno di osservare come si forma la nostra esperienza, ed esplorare i cinque aggregati che generano la nostra esperienza in ogni momento. Se vogliamo sperimentare un vero arresto della sofferenza e delle sue cause, dove avverrà questo? Anche questo avviene all’interno dei fattori aggregati della nostra esperienza. In altre parole, con la liberazione, gli aggregati saranno senza sofferenza e senza cause della sofferenza. Il tipo di mente che vogliamo sviluppare che genererà l’eliminazione della sofferenza e delle sue cause è qualcosa che vogliamo aggiungere ai cinque aggregati della nostra esperienza, e vogliamo che sia presente tutto il tempo.

Qual è la causa principale della nostra sofferenza, dei nostri problemi e, in effetti, della nostra incapacità di aiutare tutti pienamente come un Buddha? È la nostra inconsapevolezza della realtà. Semplicemente non sappiamo, o abbiamo una comprensione errata delle cose. L’antidoto per eliminare questa inconsapevolezza sarebbe di sviluppare una comprensione corretta della realtà e di come le cose esistono veramente. Vogliamo sbarazzarci del non sapere o della confusione che sorge in ciascun momento ed avere invece, in ogni momento, una conoscenza corretta. Perché vogliamo questo? Di nuovo, se abbiamo una comprensione vera della realtà, questo certamente migliorerà la qualità della nostra vita, proprio ora. Riconoscendo la sofferenza e i problemi che sperimentiamo in questa vita quando siamo confusi e davvero non sappiamo o sappiamo in maniera errata quello che sta accadendo, raggiungeremo un momento in cui ne avremo abbastanza, e lavoreremo per eliminare la nostra sofferenza.

Pensando oltre, vogliamo eliminare questa confusione perché porta a peggiori stati di rinascita. Perché? Il motivo è che più siamo confusi, più agiamo in maniera distruttiva, e come conseguenza patiremo maggiori sofferenze in rinascite peggiori. Se vogliamo ottenere la liberazione e l’illuminazione, cosa dobbiamo fare? Dobbiamo eliminare questa confusione che perpetua le nostre rinascite e ottenere la comprensione della realtà che causerà la liberazione e la nostra abilità di aiutare al meglio gli altri. A prescindere da qual è il nostro obiettivo qui, fondamentalmente vogliamo ripulire i nostri cinque aggregati e il modo in cui sperimentiamo la vita.

Per farlo, abbiamo bisogno di esplorare questa inconsapevolezza in modo più approfondito. Cosa è che non sappiamo? Qual è la fonte della nostra confusione, che genera i nostri problemi? Siamo confusi riguardo i cinque aggregati. Ci sono vari livelli di confusione, ma il problema generale è come comprendiamo, prestiamo attenzione, e consideriamo le nostre esperienze. Il problema è che le consideriamo in modo errato. Ci sono quattro modi in cui questo avviene. Queste si chiamano “le quattro considerazioni errate” – consideriamo le cose in modi che non sono in accordo alla realtà. A volte sono chiamate “considerazioni discordanti”.

Le quattro considerazioni errate  

Considerare la sofferenza come felicità

La prima di queste considerazioni errate è che consideriamo la sofferenza come felicità. Abbiamo descritto precedentemente come ciascun momento della nostra esperienza possegga un certo aspetto insoddisfacente; tuttavia, non riconosciamo che è problematico. Pensiamo che sia perfettamente normale; in effetti, pensiamo addirittura che sia felicità.

Ad esempio, concentriamoci su una relazione poco salutare. Sfortunatamente, quasi tutti noi sono stati in una relazione poco salutare una volta nella vita. Mentre ci troviamo in questa situazione, spesso siamo in uno stato di rifiuto e non vogliamo affrontare il fatto che la relazione sia poco salutare. Siccome siamo insicuri, la consideriamo come se fosse felicità: “Sono così felice, abusami verbalmente di nuovo”.

Ovviamente, questo è un esempio molto grossolano di ciò che stiamo parlando qui. Ci sono tantissime situazioni problematiche di cui siamo soddisfatti e che consideriamo essere fonti di felicità. Di solito abbiamo paura che se le molliamo, le cose andranno peggio. Potremmo avere paura che se usciamo da questa relazione poco salutare, ad esempio, allora saremo soli e ci ritroveremmo in una situazione ancora peggiore. Penseremo che non troveremo nessuno e che quindi sia meglio ritrovarsi in una relazione poco salutare che stare da soli. In questo modo, consideriamo questa situazione problematica come se fosse felicità. Facciamo questo con tutto, vero? Abbiamo un problema cronico, ad esempio, un disordine cronico del sonno, e invece di riconoscere che è un problema diciamo che va tutto bene; è solo il modo in cui dormiamo. Perché non vogliamo far nulla al riguardo? Abbiamo paura che l’alternativa sconosciuta sia persino peggiore. Pertanto, restiamo con quello che dovremmo cercare di eliminare. È così che consideriamo la sofferenza come felicità.

Riflettiamoci su per un momento e cerchiamo di riconoscere questa confusione che abbiamo. 

[Pausa]

Considerare ciò che è sporco come se fosse pulito

Il secondo tipo di confusione si traduce letteralmente come “considerare ciò che è sporco come se fosse pulito”. Questo si riferisce a considerare qualcosa che è impuro come puro. Ovviamente, al livello del corpo, pensiamo spesso che il corpo sia così pulito, bello e meraviglioso. Tuttavia, come disse il maestro indiano Shantideva, se prendiamo del cibo delizioso e ce lo mettiamo in bocca, lo mastichiamo e lo sputiamo, tutti considererebbero quello che sputiamo come qualcosa di disgustoso. Se quel cibo passa attraverso il nostro sistema digestivo e fuoriesce dall’altro lato, certamente non considereremmo come pulito quello che esce fuori. Se il corpo è così pulito e meraviglioso, perché trasforma del cibo delizioso in qualcosa di sporco e disgustoso? Ovviamente, se guardiamo dentro al corpo togliendo via lo strato di pelle, quello che troviamo certamente non è ciò che consideriamo essere pulito, attraente, e bellissimo.

Possiamo accettare questo livello di spiegazione, ma possiamo anche considerarlo in modo più ampio. Potremmo essere propensi a guardare le persone e le situazioni solo in base ai loro aspetti positivi; spesso non vogliamo vedere le cose negative. Nuovamente qui stiamo esaminando la nostra esperienza, i nostri cinque aggregati. Ad esempio, quando siamo innamorati di qualcuno, non vogliamo davvero ammettere a noi stessi che quella persona ha anche tratti negativi. Vogliamo solo focalizzarci sugli aspetti positivi. In un altro esempio, se nostro figlio mangia qualcosa e si ritrova con tutto il cibo in faccia, ridiamo e diciamo “Che bellino”. Se fosse il figlio di qualcun altro, potremmo semplicemente pensare, “Che casino”.

Siamo anche propensi a pensare così in altre cose. Ad esempio, non vogliamo davvero pensare al fatto che le nostre persone care russino o puzzino quando sudano, o cose del genere. Ci concentriamo soltanto sugli aspetti meravigliosi della persona. Tendiamo ad esagerare così tante cose. Qui in Messico, ad esempio, quando qualcuno ci invita a pranzo, molte persone fanno complimenti al padrone di casa dicendo: “Meraviglioso; è il pranzo più delizioso che abbia mai avuto”. Potremmo anche descrivere un evento sociale come “La festa più bella a cui abbiamo mai partecipato”. In realtà, probabilmente ci sono molti aspetti insoddisfacenti in quello che abbiamo sperimentato.

Tuttavia, non vogliamo vedere gli aspetti negativi. Anche questi aspetti li consideriamo invece belli e meravigliosi. Ad esempio, stiamo accarezzando un cucciolo di cane: lui starnuta, e noi pensiamo, “Ah che carino”, quando in realtà una creatura vivente ci ha appena starnutito in faccia. Se tenessimo in braccio un ubriaco che ci starnuta in faccia, non penseremmo che sia così carino. Il naso di nostro figlio cola e lo asciughiamo con il dito. Sicuramente non faremmo la stessa cosa con un ubriaco.

In questo modo, stiamo considerando pulito quello che è sporco, oppure puro ciò che è impuro. Esageriamo le cose. Ci piacerebbe che le cose siano come in una favola – non una piena di mostri e streghe che mangiano i bambini, ma una come Bambi in cui tutto è davvero bello. Siamo propensi a vedere le cose in questo modo, anche se non sono così belle.

Quindi siamo confusi riguardo alle nostre esperienze. Non vogliamo vedere gli aspetti negativi delle cose, gli aspetti spiacevoli. Vorremmo invece vivere in un mondo fantastico. L’espressione inglese è: “Vedere le cose attraverso occhiali con lenti rosa”. Questo vuol dire vedere le cose sporche come pulite. Riflettiamoci sopra e cerchiamo di riconoscere queste cose nella nostra esperienza. 

[Pausa]

Considerare statico ciò che è non statico

La terza di queste considerazioni discordanti consiste nel considerare statiche le cose che non sono statiche. Questo viene solitamente tradotto con “Considerare le cose impermanenti come permanenti”, ma dobbiamo ricordarci cosa si intende con questi termini. Stiamo parlando di cose che cambiano da momento a momento, che consideriamo erroneamente come immutabili. In altri contesti, pensiamo erroneamente che qualcosa che dura solo per un breve tempo durerà per sempre. Entrambi i significati di permanente e impermanente si applicano a questa considerazione errata.

Ad esempio, forse in quello che genera ciascun momento della nostra esperienza – gli aggregati – c’è depressione. Possiamo pensare che questo stato di depressione, tristezza, e bassa energia sia costante, immutabile. Potremmo anche pensare che durerà per sempre. Spesso ci sentiamo così, vero? Quando siamo dal dentista e sentiamo il trapano nel nostro dente, non pensiamo che durerà per sempre e non finirà mai? Non consideriamo veramente che in ogni momento il livello di dolore è leggermente differente. Oppure, quando incontriamo qualcuno e ci innamoriamo, non abbiamo questa sensazione che durerà per sempre? Vivremo sempre felici, per sempre. Questa è una considerazione errata della situazione perché, ovviamente, in ciascun momento di ogni giorno, le cose cambieranno. Ogni cosa cambia, è diversa, e nulla dura per sempre.

Questa sensazione di permanenza è qualcosa che noi tutti proviamo. Un bimbo potrebbe pensare: “Non crescerò mai”. Oppure pensa che il giorno di scuola durerà per sempre. Ancora una volta, questa considerazione errata è rivolta ai cinque aggregati della nostra esperienza. Pensiamo che quello che stiamo sperimentando non cambia, e ciò che stiamo sperimentando proprio ora (e il dolore è l’esempio più facile da capire) durerà per sempre.

Prendiamoci un momento per pensare a questo tipo di considerazione errata.

[Pausa]

Considerare ciò che non è il sé come se fosse il sé

Infine, la quarta considerazione errata o discordante riguarda il sé o “io” convenzionalmente esistente che fa parte dei nostri fattori aggregati. Pensiamo che “io” esisto in modo solido, che ci sia un’anima vera e concreta – ma questi sono modi impossibili di esistere. In realtà, il nostro sé convenzionale non è questo tipo di “anima” impossibile, o “io” impossibile che se ne sta lì seduto come parte di ciascun momento della nostra esperienza. Tuttavia, noi pensiamo che esista un io del genere, e questo pensiero è anche accompagnato da una sensazione. Sembra che ci sia un’anima o un’entità che esiste tutta da sola e, se crediamo nella rinascita, ora è entrata nel nostro corpo e si è sintonizzata con tutti gli aspetti del nostro corpo e della nostra mente, ed eccola qui! Inoltre, pensiamo che questo “io” utilizzi il corpo e la mente come una sorta di macchina con cui va in giro, pensa e comunica. Dopo un po’ di tempo, pensiamo che si staccherà, se ne andrà, e troverà un altro corpo e mente.

Anche se non crediamo alla rinascita, ancora sentiamo come se ci fosse un “io” solido che è il vero “io”, e ovviamente sentiamo che questo “io” non cambia. Andiamo a dormire la notte e ci svegliamo il giorno dopo e voilà, eccoci qui di nuovo. Man mano che invecchiamo, certamente pensiamo di essere lo stesso “io” che eravamo da giovani. È solo questo corpo che comincia a non funzionare più; tuttavia, è sempre lo stesso solido “io” che ha gli stessi desideri e abitudini. “Perché le persone mi guardano così, e mi trattano come se fossi vecchio?”. Ciononostante, noi non esistiamo realmente così. Questo tipo di “io” impossibile è un mito.

Al livello più sottile, pensiamo che ci sia un “io” che possa essere conosciuto in sé e per sé, non in relazione a un corpo o una mente; e inoltre abbiamo pure la sensazione che esista davvero un “io” del genere. Noi pensiamo: “Voglio che tu mi ami non solo per il mio corpo, la mia mente, i miei soldi o i miei beni. Voglio che tu mi ami solo per quello che sono”, come se ci fosse un “io” che possa essere amato indipendentemente da un corpo e da una mente, dai beni, dalla personalità, e da tutte queste altre cose. Noi tutti ci siamo sentiti in questo modo, ma una cosa del genere non esiste. Immaginiamo che ci sia un’entità del genere in ciascun momento della nostra esperienza, ma effettivamente non esiste. C’è un “io”, ma non esiste in questo modo impossibile.

Questo è il quarto tipo di considerazione errata. Tenete a mente che gli errori negli altri tipi di considerazione errata non sono difficili da riconoscere. Tuttavia, è molto difficile riconoscere l’erroneità di quest’ultimo tipo. È l’aspetto cruciale confutato dalla comprensione della vacuità. Prendiamoci qualche minuto per riconoscerlo.

[Pausa]

Rifiutare la considerazione errata

Abbiamo bisogno di un atteggiamento e di una comprensione realistica dei cinque aggregati. Dobbiamo riconoscere le considerazioni errate con cui li consideriamo in modi falsi che non corrispondono alla realtà. Dobbiamo realizzare come queste convinzioni siano errate e assurde; non si riferiscono a nulla di reale. Con la comprensione che questi modi falsi in cui consideriamo i nostri aggregati sono assurdi, ovvero non corrispondono alla realtà – con questa comprensione confutiamo e rifiutiamo queste visioni errate. Ce ne sbarazziamo e le rimpiazziamo con la comprensione corretta.

Non è sufficiente rimpiazzare superficialmente la comprensione errata con la comprensione corretta, specialmente riguardo a come esistiamo. Abbiamo bisogno di rifiutare la nostra comprensione errata sapendo che è falsa e comprendendo esattamente come e perché è incorretta. Poi la possiamo rimpiazzare con la comprensione corretta. Se non rifiutiamo, attraverso la comprensione, la nostra visione errata, poi se cerchiamo di annullarla con una visione corretta, semplicemente la sopprimeremo, e quindi emergerà di nuovo.

Sapere semplicemente che è errata e rifiutarla, tuttavia, fa solo cominciare il processo per eliminarla. Dobbiamo essere fermamente convinti della sua falsità e poi integrare questa comprensione nelle nostre vite. Potremmo sapere intellettualmente che la nostra visione errata su “me” è falsa, ma ancora sentire emotivamente le cose secondo questa visione errata. Dobbiamo andare oltre questo passo, e sapere che non c’è nessun “io” da amare indipendente dal corpo, dalla personalità, dalla mente, dai possedimenti, ecc. Questo lo sappiamo, ma nel profondo, vogliamo che gli altri amino “me”. Pertanto, ci vuole molta familiarità per eliminare realmente questa visione errata affinché non sorga mai più.

Ripasso

Per fare un ripasso, abbiamo bisogno di rifiutare la prima considerazione errata, che ciò che stiamo sperimentando sia felicità. In altre parole, abbiamo bisogno di comprendere cosa significhi che in ciascun momento della nostra esperienza c’è sofferenza. O stiamo provando qualcosa che non ci piace e che vogliamo eliminare, oppure stiamo provando qualcosa che ci piace e vogliamo che continui, ma non durerà, e non dura. Non è felicità perché se fosse davvero felicità, tutto sarebbe meraviglioso tutto il tempo, ma non è così. Ci sono sempre alti e bassi in quello che proviamo; a volte ci sentiamo felici, a volte infelici. I nostri sentimenti fluttuano costantemente e in ciascun momento della nostra esperienza stiamo perpetuando questo ottovolante. È questo ciò che si chiama sofferenza onnipervasiva.

In maniera simile, abbiamo bisogno di rifiutare e rimpiazzare la visione secondo cui quello che proviamo sia pulito e puro, quando in effetti non lo è. Pensiamo che il nostro corpo sia bellissimo, ma in effetti si ammala e genera escrementi. Compriamo un nuovo computer e pensiamo che sia meraviglioso e funzionerà per sempre, ma in realtà, a un certo punto, si romperà. Pensiamo che la vita andrà molto meglio se abbiamo un computer, un’e-mail e poi un cellulare, ma in realtà creano molta sofferenza. Proviamo sofferenza quando non funzionano e si rompono, o quando siamo bombardati costantemente da pubblicità, e-mail e spam. Non dimentichiamoci che i nostri cellulari non fanno altro che interromperci costantemente. In questi esempi, la felicità è problematica, vero? È divertente come a volte ora pensiamo che la vacanza ideale sia una in cui siamo disconnessi, senza nessuna e-mail e senza il nostro cellulare.

Vogliamo anche rimuovere la visione secondo cui qualunque cosa che stiamo provando non cambierà ma durerà per sempre. Infine, vogliamo rifiutare e rimpiazzare la sensazione secondo cui c’è una sorta di “io” solido con la comprensione che una cosa del genere non esiste. Sebbene ci sia quello che chiamiamo “io” convenzionale, non c’è qualche creatura, qualche entità dello spazio esterno, che è seduta dentro di noi, che parla nelle nostre teste, che schiaccia i bottoni per far muovere il corpo e far pensare alla mente questo e quello.

Domande

La mia confusione riguarda chi sta sperimentando il karma? Tendo a solidificare questo “io” che sperimenterà i risultati del karma.

Questo è naturale. Accade a tutti automaticamente. C’è la continuità di un “io”, ma non è come un bagaglio sul nastro trasportatore in aeroporto che è un’entità solida che si muove nel tempo.

Quello che stiamo confutando quando neghiamo un “io” solido e un solido “tu” è che ci sia un’entità del genere, un’anima impossibile che esiste come “io” o “tu”, come se fosse avvolta nella plastica, che esiste tutta da sola. Il Buddhismo dice che una cosa del genere non esiste. Non è che siamo avvolti nella plastica come una pallina da ping-pong, e questo è il nostro “io”. Non è che siamo così staticamente permanenti, come se “devessi mantenere la mia integrità ed essere vero a me stesso”, o qualcosa del genere. Al contrario, essere senza quella solidità ci consente di relazionarci con gli altri. Se questo “io” fosse incapsulato nella plastica, saremmo veramente isolati e non potremmo mai relazionarci a nessun altro. Questo “io” si definisce nelle relazioni.

La nostra convinzione in un “io” immaginato e impossibile sorge nel contesto di ciascun momento della nostra esperienza, nel contesto dei cinque aggregati. Tuttavia, l’effettivo “io” che esiste, un “io” convenzionale, sorge anche nel contesto dei cinque aggregati. Il nostro primo passo, allora, per eliminare questa incomprensione riguardo noi stessi è di comprendere i cinque aggregati. Con i cinque aggregati come base, possiamo poi parlare di come sono privi di questo “io” impossibile. Possiamo esaminare come questo “io” impossibile non esiste, e di come invece esiste un “io” convenzionale. Ma, siccome questo problema di come io esisto è così vitale ed essenziale per superare la sofferenza, abbiamo bisogno di avvicinarci a questo argomento sottile e delicato passo dopo passo, in modo ordinato. Abbiamo bisogno di accumulare quello che c’è da sapere, come prima cosa, per poi avere una base per continuare verso una comprensione stabile e corretta. Ciò che dobbiamo conoscere innanzitutto sono i cinque aggregati.

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