Riassunto di “Trattato delle quattrocento strofe” – Dott. Berzin

Il Trattato delle quattrocento strofe è stato composto dal grande maestro indiano Aryadeva, discepolo del fondatore della tradizione Madhyamaka, Nagarjuna. Contiene sedici capitoli, ciascuno con venticinque strofe. I primi otto capitoli discutono su come costruire la forza positiva (merito) per comprendere la vacuità e indicano come correggere i modi distorti di considerare la verità convenzionale e come superare emozioni e atteggiamenti disturbanti. Gli ultimi otto capitoli indicano come ottenere una corretta comprensione della verità più profonda secondo la visione Madhyamaka.

Primo capitolo. Indicare i metodi per liberarsi dall’afferrarsi (al corpo come) permanente

I primi quattro capitoli mostrano come liberarsi delle quattro considerazioni errate: considerare qualcosa di impermanente per natura come permanente, qualcosa nella natura della sofferenza come nella natura della felicità, qualcosa di impuro per natura come pulito e qualcosa privo di un’anima o un sé impossibile come avente un’anima o un sé impossibile. Sono presentate in termini di corpo umano.

Il primo capitolo parla del primo di questi, discutendo della certezza della morte e dell’incertezza del momento della morte. Mette in guardia contro l’ingenuità del pensare che vivrai per sempre. Poi estende questo alla morte di persone care, come tuo figlio. Mette in guardia contro l’attaccamento alle persone care, poiché ciò causa solo dolore. Tutti devono separarsi; la separazione è la conclusione naturale dell'incontro. O dovrai partire per primo tu o la persona amata, ma la separazione è inevitabile. Se ti liberi dell’attaccamento, anche al tuo stesso corpo, allora non c’è nulla da temere riguardo alla morte. Puoi andartene felicemente in ritiro nella foresta.

Secondo capitolo. Indicare i metodi per liberarsi dall’afferrarsi (al corpo come) piacevole

Sebbene il tuo corpo sia impermanente, devi comunque prendertene cura. Ma ricorda, avverte Aryadeva, è come un nemico, poiché ti porta sofferenza e dolore così come piacere e felicità. È estremamente facile trovare sofferenza e infelicità nella vita, ma molto difficile trovare la felicità. Questo perché le cause della sofferenza sono molte, ma le cause della felicità sono poche.

È la natura del corpo che ti porta sofferenza, quindi perché esserne così devoto? Sperimenti sofferenze per fame, malattia, vecchiaia e morte e queste solo aumentano con il passare della vita. La felicità è dettata dai tuoi pensieri, ma per gli esseri samsarici i pensieri sono dettati dalla sofferenza e infelicità. E in uno stato samsarico niente è più impellente di emozioni disturbanti e infelicità. Inoltre, il corpo è composto dei quattro elementi che per natura si scontrano. Pertanto, naturalmente il corpo porta sofferenza, come sentire troppo caldo o troppo freddo.

È importante non accumulare forza negativa da un comportamento distruttivo nella vana speranza che ti porti un piacere fisico temporaneo e in ultima analisi insoddisfacente. Se consideri il corpo come la fonte del tuo piacere, non supererai l’attaccamento a esso. Ma le cose impermanenti inevitabilmente sono danneggiate e cadono a pezzi. Pertanto, devi considerare il corpo come sofferenza.

Terzo capitolo. Indicare metodi per liberarsi dall’attaccamento al corpo come pulito

Sei attaccato al tuo corpo o, se sei un uomo etero, al corpo di una donna come piacevole perché lo consideri erroneamente pulito. Ma non troverai mai una felicità duratura dalla tua attrazione e attaccamento a un corpo. Anche i cani trovano i loro compagni attraenti e sono attaccati a loro, quindi non c’è niente di speciale nella persona che trovi così attraente.

Sebbene le persone abbiano delle belle qualità, hanno anche degli aspetti poco attraenti quindi non dimenticarli. Non sarai in grado di stare insieme alla persona a cui sei attaccato e qualsiasi felicità tu trovi non è la felicità suprema che Buddha ha insegnato. Considera la sporcizia del corpo del tuo partner. Non è assurdo essere così attaccati a un contenitore pieno di escrementi? Non puoi mai rendere pulito l’interno del corpo, non importa quanto lavi l’esterno. Molti punti in questo capitolo sono ripetuti ed elaborati da Shantideva nel capitolo sulla stabilità mentale in Impegnarsi nella condotta del bodhisattva (sPyod-’jug, sanscr. Bodhicaryavatara).

Quarto capitolo. Indicare metodi per liberarsi dall’attaccamento al corpo come a un “sé” impossibile (di cui provare orgoglio)

Aryadeva discute il punto successivo rivolgendosi a un re. Non c’è motivo per cui un re debba sentirsi orgoglioso del suo “io”. La terra non è tua, poiché è condivisa equamente da tutti coloro che ci vivono. Sei il servitore del popolo, pagato dalle sue tasse. Per essere in grado di proteggerli e prenderti cura di loro, loro devono proteggere e prendersi cura di te. Inoltre, condividi non solo la loro ricchezza grazie alle tasse, ma anche la loro forza karmica negativa accumulata nel servizio per te, come in guerra. Se punisci le persone e causi loro difficoltà e dolore, come può essere una fonte della tua felicità? Come puoi trovare la felicità come re, se continui a sfruttare gli altri e combattere guerre?

La tua posizione elevata deriva da precedenti cause karmiche, non dalla casta. Non c’è nulla di intrinseco nella tua posizione nella vita; quindi, pensa a come le tue azioni attuali influenzeranno le tue future rinascite. Se la tua occupazione ha determinato la tua casta realmente esistente, allora anche un fuoricasta potrebbe essere considerato un bramino o un membro della casta reale se lavorasse come tale. Inoltre, se sei così orgoglioso della tua autorità e del tuo potere, guarda gli altri governanti che sono ancora più potenti.

Quinto capitolo. Indicare il comportamento dei bodhisattva

Non ci sono azioni di un Buddha che non siano cause di beneficio per gli altri perché sono onniscienti e sanno cosa è di beneficio e cosa non lo è. Inoltre, tutte le azioni diventano benefiche a seconda della loro motivazione e intenzione. Quindi, i bodhisattva possono trasformare anche azioni ordinariamente distruttive in azioni costruttive attraverso la loro motivazione e intenzione.

I bodhisattva devono aiutare ad addomesticare i discepoli in accordo alle loro inclinazioni e necessità, come dei medici, senza combattere con loro. Il nemico non è il paziente, ma la malattia. È quindi meglio insegnare agli altri prima gli argomenti che prediligono, e non immediatamente quelli più profondi se non sono pronti e il sentirne parlare li farebbe declinare spiritualmente.

Proprio come una madre è particolarmente premurosa e gentile verso il suo bambino quando è malato, un bodhisattva tratta in modo particolarmente gentile coloro che sono più turbati emotivamente. Non c’è nessuno che i bodhisattva non aiutino, compresi gli shravaka. Ecco perché i bodhisattva sono disposti a rimanere finché dura l’universo, conducendo tutti alla liberazione e all’illuminazione.

I bodhisattva assumono qualsiasi forma per aiutare gli altri, anche quella di un animale. Pertanto, è importante non disprezzarli mai. La forza positiva accumulata da loro è enorme. Anche mentre rimangono in uno stato samsarico, non ne soffrono mai. I bodhisattva sono più felici quando sono in grado di dare. Anche sentire la parola generosità li rende gioiosi. Pertanto, evita l’atteggiamento di dare agli altri per ricevere qualcosa in cambio, poiché ciò non è diverso da una transazione commerciale.

Sesto capitolo. Indicare metodi per liberarsi dalle emozioni disturbanti

Le tre emozioni e atteggiamenti velenosi causano grande sofferenza - desiderio, rabbia e ingenuità o ignoranza con una mentalità chiusa. L’attività del desiderio è raccogliere cose per te, l’attività della rabbia è contestare e allontanare le cose da te, e l’attività dell’ingenuità è agire come base che fa divampare le altre due. Non incontrando ciò che ti piace, provi desiderio; non avendo la forza di superare ciò che non ti piace, provi rabbia e non comprendendo appieno la realtà, provi ingenuità e chiusura mentale. Ma alcune persone possono provare desiderio e rabbia verso lo stesso oggetto, quindi la risposta emotiva non è inerente all’oggetto.

Come guru devi trattare i discepoli in modo diverso, a seconda dell’emozione disturbante di cui soffrono di più. È meglio trattare i discepoli con desiderio come servi e non essere deferenti nei loro confronti, e i discepoli con rabbia come signori ed essere deferenti nei loro confronti. Ognuna delle tre emozioni velenose ha grandi svantaggi. Pertanto, coloro che hanno ingenuità devono studiare l’origine interdipendente, coloro che nutrono desiderio devono stare lontani dal cibo, dall’intrattenimento e così via a cui sono attaccati e stare vicini ai loro guru. Coloro che hanno rabbia devono pensare che non è mai utile arrabbiarsi con qualcuno o qualcosa.

Molti punti qui sugli svantaggi della rabbia e su come superarla sono ripetuti ed elaborati da Shantideva nel suo capitolo sulla pazienza. Un bodhisattva, quindi, ha bisogno di liberarsi di queste tre emozioni disturbanti e aiutare gli altri a fare lo stesso.

Settimo capitolo. Indicare metodi per liberarsi dal desiderio per gli oggetti piacevoli che le persone desiderano

L’oceano di sofferenza derivante dalla rinascita samsarica incontrollabile e ricorrente sarà infinito, a meno che non ti impegni per uscirne. La giovinezza viene prima della vecchiaia e poi di nuovo dopo, quindi è inutile aggrapparvisi e sentirsi orgogliosi di essa. Giovinezza, vecchiaia e morte sono come concorrenti in una gara per vedere chi arriverà prima. Inoltre, non c’è garanzia di quale tipo di rinascita seguirà a questa. È appropriato, quindi, vivere nella paura e nel terrore mentre si è sotto l’influenza di emozioni e karma disturbanti, e rinunciare a loro e alla rinascita ricorrente sotto il loro controllo. Quindi fai uno sforzo nell’ascoltare, riflettere e meditare il Dharma.

La rinascita samsarica ha la sofferenza della sofferenza, la sofferenza del cambiamento e un aumento dei risultati karmici: un’azione negativa può portare a molti ripetuti risultati disastrosi. Inoltre, non c’è certezza che la felicità mondana sorgerà da un comportamento costruttivo, poiché puoi distruggere la sua forza positiva attraverso la rabbia. In ogni caso la felicità mondana passata, presente o futura, non può mai soddisfare poiché è impermanente. Pertanto, non fare sforzi solo per la felicità mondana e gli oggetti piacevoli, i saggi rinunciano a ciò.

Ma rinunciare semplicemente alla felicità mondana e agli oggetti piacevoli in questa vita non è sufficiente, poiché questo attaccamento si ripresenterà nelle vite future. Quindi, non compiere azioni costruttive del Dharma per ottenere prosperità nelle vite future. Farlo è come essere attaccati a ricevere uno stipendio per aver fatto un buon lavoro. Se vedi tutta la felicità mondana e gli oggetti piacevoli come un’illusione, puoi superare l’attaccamento a essi e raggiungere la liberazione e l’illuminazione. Pertanto, non provare gioia nei piaceri mondani.

Ottavo capitolo. Formazione dei discepoli

Proprio come persone diverse non rimarranno amiche a lungo, allo stesso modo coloro che vedono i difetti dei fenomeni samsarici perderanno ogni desiderio di stare con loro. Poiché qualsiasi oggetto o persona può essere oggetto di attrazione, repulsione o indifferenza per persone diverse, oggetti e persone non esistono per loro potere come veramente attraenti. La desiderabilità è stabilita semplicemente dall’etichettatura mentale e sorge in modo dipendente basandosi solo su quella. Quindi, in qualsiasi relazione tra due persone, non esiste una cosa come una connessione veramente esistente tra loro che possa durare per sempre.

Coloro che hanno accumulato poca forza positiva non avranno nemmeno dubbi sugli insegnamenti sulla vacuità, ma coloro che hanno forza positiva consumano l’esistenza samsarica. Pertanto, è necessario comprendere appieno gli insegnamenti più profondi sulla vacuità, non c’è altro modo per ottenere la liberazione. Ma non pensare che se tutto è privo di vera esistenza allora è totalmente inesistente e quindi non ha senso lavorare per la liberazione. Facendo azioni che pensi siano veramente esistenti, crei per te stesso ulteriore rinascita samsarica e sofferenza; ma compiendo azioni che comprendi che mancano di vera esistenza ottieni la liberazione. Tuttavia, non afferrarti ad azioni o a diverse posizioni sulla vacuità come “cose” veramente esistenti da accettare o rifiutare.

I discepoli devono essere guidati in base alla loro capacità. Il Buddha insegnò la generosità per coloro di capacità minima, la disciplina etica per coloro di capacità media e la vacuità per coloro di capacità suprema. Inoltre, i discepoli devono essere guidati per gradi. Innanzitutto, insegnate loro ad allontanarsi dalle azioni distruttive, in modo intermedio ad allontanarsi dall’afferrarsi a un sé grossolano e infine, ad allontanarsi da tutte le visioni di un’esistenza veramente stabilita. Notate che questo punto può essere compreso sia in modo Svatantrika come indicante diversi livelli di comprensione della vacuità necessari per ottenere la liberazione e l’illuminazione, sia in modo Prasanghika come indicante che questi due livelli di comprensione sono stadi per ottenere la liberazione o l’illuminazione. Quindi, se comprendete la vacuità di una cosa, comprenderete la vacuità di ogni cosa.

Ma il Buddha non insegnò la vacuità allo stesso modo a tutti. Una medicina non è adatta a ogni malattia. Così, ad alcuni il Buddha insegnò che i fenomeni hanno una vera esistenza, ad altri discepoli che alcuni fenomeni hanno una esistenza e altri ne sono privi; e ad altri ancora che nulla ha una vera esistenza. Nota che questi tre modi di spiegazione sono la base per dividere gli insegnamenti del Buddha in tre cicli di trasmissione, i cosiddetti “tre giri della ruota del Dharma”. È di beneficio anche una comprensione di una visione meno sofisticata della vacuità, poiché ti consentirà di ottenere migliori stati di rinascita samsariche. Ma con una piena comprensione tutti i semi karmici vengono bruciati e ottieni la liberazione.

Nono capitolo. Indicazione delle meditazioni per confutare i fenomeni funzionali statici

I fenomeni funzionali che derivano da cause e circostanze non possono essere statici con un’esistenza veramente stabilita. Dipendono da cause e circostanze e non esistono in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Nessun fenomeno funzionale esiste senza una causa e quindi è impossibile averne una causa statica come un dio creatore come affermato dalla scuola Nyaya.

Aryadeva continua a confutare la logica di altri sistemi difettosi. I Vaisheshika sostengono che se qualcosa è prodotto è impermanente e se qualcosa non è prodotto è permanente e statico. Poiché un atman o “anima” non è prodotto, è permanente. Aryadeva confuta questo sostenendo che se qualcosa è prodotto esiste, ma se qualcosa non è prodotto non è pervasivo che esista come statico, perché anche le cose inesistenti non sono prodotte.

Lo spazio statico, ad esempio, non può essere considerato sostanzialmente esistente in base all’argomentazione che svolge la funzione di agire come oggetto della sua cognizione, come afferma la scuola Vaibhashika, perché le cose statiche non fanno nulla. Inoltre, lo spazio statico non può essere onnipervasivo e senza parti, come afferma quella Vaisheshika, perché ci sono sempre parti direzionali. È anche contraddittorio dire che il tempo è sia statico sia che consente ai fenomeni funzionali di apparire o di non apparire ora, come afferma il Vedanta, poiché allora, di nuovo, qualcosa di statico starebbe eseguendo una funzione. In generale, qualsiasi causa che non abbia un risultato non può essere una causa, e quindi ogni causa stessa deve essere un risultato di qualcos’altro, poiché la capacità di una causa di dare il suo risultato è causata dalle circostanze. Quindi, cause come il tempo non possono essere statiche e permanenti. Inoltre, i fenomeni funzionali non possono sorgere da qualcosa di statico e non funzionale, poiché i fenomeni correlati da un processo causale devono essere della stessa classe o tipo di fenomeno.

In definitiva, le particelle più piccole non possono essere sia statiche che costituire oggetti, come afferma la scuola Vaisheshika. Questo perché l’incontro di tali particelle funziona come causa per oggetti materiali, e quindi tali particelle sono fenomeni funzionali. Tali particelle non possono essere neanche senza parti, come afferma anche Vaisheshika, poiché se fossero senza parti, non potrebbero incontrarsi da un lato. Shantideva ripete quest’ultimo argomento per confutare l’affermazione vaibhashika secondo cui le particelle più piccole in definitiva sono fenomeni funzionali senza parti.

I veri arresti o cessazioni della sofferenza non possono essere non statici e impermanenti, eppure non esistono come fenomeni statici sostanzialmente esistenti che svolgono la funzione di servire come oggetto per la loro cognizione, come affermano i vaibhashika. Inoltre, la liberazione non è la stessa cosa di nessuno dei due e il nirvana senza rimanenze non significa che una persona che lo raggiunge diventa totalmente inesistente, come affermano sia Vaibhashika che Sautrantika. Significa che non c’è alcuna rimanenza dell’afferrarsi a un “sé” o “anima” sostanzialmente esistente che ha raggiunto la liberazione. Inoltre, il nirvana stesso non esiste sostanzialmente.

Aryadeva confuta anche come illogica l’affermazione samkhya di un “sé” permanente e veramente esistente come cosciente, perché secondo la scuola Samkhya un tale “sé” si è totalmente separato da tutti gli oggetti della cognizione. Non può esserci coscienza senza essere coscienti di qualcosa. Anche la posizione Nyaya di un sé permanente e veramente esistente come privo di coscienza è illogica, perché come potrebbe un tale sé avere il pensiero di lavorare per ottenere la liberazione? Inoltre, anche se le persone comuni non istruite non sostengono nessuna di queste visioni concettuali errate, ciò non significa che non abbiano automaticamente l’afferrarsi all’esistenza veramente stabilita.

Decimo capitolo. Indicazione delle meditazioni per confutare un “sé” o “anima” (statico, impossibile)

L’affermazione di un “sé” o “anima” permanente, statico e veramente esistente porta a molte altre incongruenze logiche. Un tale sé o anima non può essere maschile, femminile o ermafrodita, come affermano i vaisheshika perché se lo fosse tutti rinascerebbero sempre con lo stesso genere. Inoltre, poiché gli elementi del corpo sono senza genere, un sé che si basa su di essi non potrebbe avere genere. Inoltre, se un sé esistesse veramente come “il sé” dovrebbe essere il sé di tutti e quindi anche il tuo sé dovrebbe essere l’oggetto della mia preoccupazione personale, ma non lo è. Inoltre, un sé non può cambiare aspetto a ogni rinascita e rimanere comunque statico. Un sé statico non potrebbe indurre i movimenti del corpo, perché un oggetto statico non può fare nulla. E se affermi un sé permanente statico che non può essere danneggiato, perché preoccuparti di fare azioni per prevenire la sofferenza?

Se, come i nyaya, dici che il sé non è cosciente di per sé, ma acquisisce coscienza connettendosi con una mente fisica, come potrebbe essere ancora statico e permanente se cambia connettendosi con una mente? Ma se, come i samkhya, dici che un sé statico e permanente è intrinsecamente cosciente, allora perché c’è bisogno che si affidi a sensori cognitivi per avere una cognizione sensoriale di un oggetto fisico? Inoltre, se un sé cosciente è statico e permanente, non dovrebbe mai smettere di essere cosciente di qualcosa.

Aryadeva continua a confutare l’affermazione samkhya della materia primordiale costituita dei tre principi di felicità, infelicità e neutralità, e tuttavia non essendo essa stessa un modo di essere consapevoli di qualcosa. Inoltre, un sé che pervade l’intero universo e il tempo, come affermato dai nyaya-vaisheshika, non potrebbe venire qui o andare lì. Inoltre, come affermano alcuni sostenitori del Vedanta, è illogico affermare che, sebbene un sé non liberato sia un’illusione e non veramente esistente, un sé liberato è veramente esistente. Inoltre, l’impermanenza di qualcosa non può significare la sua trasformazione veramente esistente in un nulla veramente esistente; altrimenti, tutta l’impermanenza significherebbe questo e non potrebbe esserci continuità di nulla dopo la fine del suo primo momento.

Capitolo undici. Indicazione delle meditazioni per confutare il tempo (veramente esistente)

Se il passato, il presente e il futuro fossero statici e realmente esistenti come afferma il Vedanta, allora il vaso che non esiste più, che esiste ora e che non esiste ancora esisterebbero per sempre e non ci sarebbe bisogno di produrre nulla. Nemmeno una porzione o un aspetto di un vaso che non esiste ancora può trasformarsi in un aspetto di un vaso che esiste ora o di un vaso che non esiste più e continuare a essere statico e realmente esistente come non esistente ancora. Ma se, come i nyaya-vaisheshika e i vaibhashika, affermassi che passato, presente e futuro sono impermanenti e tuttavia realmente esistenti, come potrebbe qualcosa cambiare dall’essere un vaso che non esiste ancora veramente a un vaso che esiste ora veramente e poi a un vaso che non esiste più veramente?

Se un tempo veramente esistente - già trascorso - dovesse essere impermanente e a un certo punto dovesse passare, come potrebbe qualcosa di veramente esistente già trascorso passare di nuovo? Ma se non fosse mai passato, allora come potrebbe essere un tempo passato? Inoltre, è illogico affermare, come fanno alcuni vaibhashika, che i vasi non ancora esistenti, esistenti ora e non più esistenti sono veramente esistenti e identici al vaso veramente esistente stesso, poiché allora tutti e tre i tempi sarebbero identici e nulla potrebbe disintegrarsi e passare.

Se ciò che non esiste ancora esistesse già come un futuro realmente esistente, non ci sarebbe bisogno che sorgesse. Starebbe già accadendo. Quindi, se i tuoi voti non ancora esistenti esistessero già veramente, perché preoccuparti di fare qualsiasi sforzo per prenderli?

Se, come i sautrantika, affermi che la tua sofferenza che non si è ancora verificata esiste come un’entità metafisica statica realmente esistente, allora saresti già liberato e non ci sarebbe bisogno della pratica del Dharma, poiché non potrebbe mai trasformarsi in sofferenza che si verifica nel presente.

Se, come i samkhya, affermi la vera esistenza simultanea di causa ed effetto, non avresti bisogno di mattoni e pilastri per costruire una casa. D’altro canto, se il tempo avesse un verificarsi realmente esistente, allora nessun momento del tempo potrebbe mai cambiare dallo stato di verificarsi. Ma, se il tempo realmente esistente non si verificasse, non potrebbe esserci fine al suo non verificarsi e quindi nulla potrebbe mai verificarsi o accadere.

I fenomeni veramente esistenti non potrebbero avere neanche un’impermanenza di bassa intensità mentre si verificano e un’impermanenza di alta intensità quando finiscono perché, se fossero veramente esistenti di impermanenza di bassa intensità, ciò non potrebbe mai cambiare. Inoltre, i fenomeni non potrebbero essere sia realmente esistenti che impermanenti allo stesso tempo, perché le due caratteristiche si contraddirebbero a vicenda. Se qualcosa è impermanente, dovrebbe cambiare il suo stato e potrebbe solo cambiare dall’essere qualcosa che si verifica a qualcosa che non si verifica più. Ma se qualcosa si verifica veramente esistenzialmente, deve farlo per sempre e quindi non potrebbe mai cambiare nell’essere qualcosa che non si verifica più, quindi non potrebbe essere impermanente. Inoltre, ogni ricordo è cognizione ingannevole, poiché una cognizione già superata non può assolutamente verificarsi di nuovo.

Capitolo dodici. Indicazione delle meditazioni per confutare (l’attrazione verso) le visioni (distorte)

Un recipiente appropriato per ricevere gli insegnamenti sulla vacuità è qualcuno che è retto e imparziale, ha una discriminazione basata sul buon senso e nutre un vivo interesse per la vacuità. Al contrario, coloro che sono recipienti impropri affermano che è colpa del Buddha se non riescono a comprendere le quattro nobili verità.

È importante gioire degli insegnamenti sulla vacuità: solo comprendendoli puoi liberarti dalla sofferenza. Acquisendo fiducia in essi, puoi essere sicurə che il Buddha è una valida fonte di informazioni anche su fenomeni estremamente oscuri, come il karma.

Solo coloro che sanno molto poco della vacuità ne hanno paura perché non sono abituatə alla vacuità. Ma, poiché tali persone sono abituate all’ignoranza e alla confusione che portano a ulteriore sofferenza, non ne hanno paura. Pertanto, è meglio insegnare che ci sono sé veramente esistenti a coloro che non sono ancora adatti per gli insegnamenti sulla vacuità, poiché potrebbero allontanarsi completamente dal Dharma se insegnassi loro la vacuità prematuramente.

Il Buddha non insegnò la vacuità per amore del dibattito che elimina le visioni distorte degli oppositori. Quando vedi detentori di visioni distorte, la cui ignoranza ristretta causa loro solo più sofferenza nel samsara nonostante il loro desiderio di liberazione, come potresti non sviluppare compassione per loro? Gli insegnamenti sulla vacuità sono di gran lunga superiori alle dottrine dei brahmini e dei giainisti. La sofferenza che i giainisti impongono a se stessi per ottenere la liberazione, come andare nudi in inverno e morire di fame, è il risultato del loro karma e non è certamente un sentiero verso la liberazione. Nascere come brahmini e quindi recitare i Veda come dovere di casta non è un sentiero verso la liberazione, poiché anche quello è il risultato del karma. Al contrario, il Buddha insegnò che la pratica del Dharma è semplicemente duplice: non fare del male e comprendere la vacuità. Pertanto, tutti devono cercare di sviluppare interesse per la vacuità.

Capitolo tredici. Indicazione sulle meditazioni per confutare i sensori cognitivi e gli oggetti cognitivi (veramente esistenti)

Non vedi tutte le qualità e gli aspetti di un vaso quando ne vedi la forma visibile, quindi come può la semplice cognizione visiva di una forma stabilire la vera esistenza di un oggetto che possiede anche altre qualità, come una sensazione tattile tangibile e un odore odorabile? Se la semplice cognizione visiva conoscesse veramente il vaso, dovrebbe riconoscerne anche l’odore; e se non conosce la vera esistenza di tutte le qualità del vaso, non può conoscerne la vera esistenza di alcuna, inclusa la forma visibile. Il vaso è composto da parti e le parti sono fatte di parti, all’infinito. Quindi, poiché le particelle più piccole che compongono la forma del vaso sono solo imputazioni sulle loro parti, come può un composto di parti non realmente esistenti costituire un oggetto cognitivo intero realmente esistente? Lo stesso vale per i suoni delle parole, che sono composti da parti fonetiche e che costituiscono composti più grandi, vale a dire frasi.

Se la forma e il colore di un vaso fossero veramente esistenti diversi, come potrebbe la cognizione visiva del colore di un vaso anche riconoscere la forma? E se fossero veramente esistenti identici, allora perché una cognizione tattile della forma di un vaso al buio non riconosce anche il suo colore? La terra può essere vista come qualcosa di fermo e solido, ma può anche essere conosciuta come tale dalla cognizione tattile. Ma se la terra esistesse veramente come un oggetto di cognizione visiva non potrebbe anche essere un oggetto di cognizione tattile.

Se un vaso sorgesse come veramente esistente conoscibile dal suo stesso lato, non ci sarebbe bisogno che fosse connesso alla categoria universale realmente esistente di conoscibilità, che i nyaya-vaisheshika affermano come necessaria per la cognizione: il vaso sarebbe già conoscibile. Ma, se un vaso sorgesse come veramente esistente inconoscibile, allora non potrebbe essere conosciuto anche se fosse connesso a tale categoria universale.

I sensori oculari realmente esistenti non possono conoscere forme visibili realmente esistenti che siano realmente diverse da loro. Se le forme visibili potessero essere conosciute da cose realmente diverse da loro, anche i sensori uditivi dovrebbero essere in grado di conoscerle, poiché anch’esse sono diverse da loro. Inoltre, una cognizione visiva non può realmente esistere prima che i sensori oculari guardino una forma visibile, né può realmente esistere dopo che i sensori l’hanno guardata perché la visione si verificherebbe dopo che l’osservazione è cessata e i sensori non stanno più guardando la forma. Ma se la cognizione visiva di una forma si verificasse simultaneamente con i sensori oculari che guardano una forma visibile, allora guardare la forma non potrebbe più essere la causa della sua visione.

Secondo la tradizionale analisi pan-indiana della percezione sensoriale, il potere dei sensori cognitivi viaggia verso gli oggetti sensoriali per percepirli, non sono le informazioni sensoriali che viaggiano dall’oggetto al sensore come affermato dalla scienza occidentale. Se il potere di un sensore oculare realmente esistente dovesse viaggiare verso un oggetto per guardarlo, allora dovrebbe impiegare più tempo per vedere un oggetto distante rispetto a un oggetto vicino. E se impiega lo stesso tempo, allora perché un oggetto vicino è più chiaro di uno distante? Dovrebbero essere uguali sulla base di sensori oculari realmente esistenti.

Se il sensore oculare si sposta verso il suo oggetto dopo averlo notato, allora che bisogno c’è di vederlo: lo avrà già visto. E se si sposta senza averlo notato, allora si sta spostando per guardare un oggetto senza sapere che sta per guardare qualcosa. Ma, se la potenza del sensore oculare non dovesse spostarsi verso il suo oggetto, allora dovrebbe vedere tutto in ogni momento, vicino o lontano, ovvio o nascosto. Dovrebbe anche essere in grado di vedere se stesso.

Inoltre, i sensori oculari, essendo materia fisica, non possono essere un modo di essere consapevoli di qualcosa e la coscienza, essendo un modo di essere consapevoli di qualcosa, non può essere qualcosa di fisico che viaggia verso un oggetto. Quindi, come può la cognizione verificarsi come risultato dell’interazione di coscienza, sensori cognitivi e oggetti cognitivi veramente esistenti? Aryadeva fa quindi un’analisi simile dei sensori uditivi e dei suoni udibili. Quindi, la cognizione è come un’illusione che nasce da coscienza, sensori e oggetti simili a illusioni.

Capitolo quattordici. Indicazione sulle meditazioni per confutare l’attaccamento agli estremi

Un fenomeno funzionale realmente esistente non potrebbe derivare dal dipendere da qualcos’altro, poiché dovrebbe quindi esistere in modo totalmente indipendente per il suo stesso potere. Se un vaso realmente esistente esistesse veramente con una forma visibile realmente esistente in generale, allora ogni volta che vedi una qualsiasi forma visibile, vedi un vaso. Se i due esistessero veramente come diversi, allora un vaso non sarebbe una forma visibile.

Se, come affermano i nyaya-vaisheshika, un vaso e la categoria universale esistenza fossero entrambi veramente esistenti come tipi separati di fenomeni veramente esistenti, allora non ha senso la tua affermazione di un vaso che esiste veramente in una categoria separata dall’esistenza. Il vaso dovrebbe essere veramente inesistente. Aryadeva quindi confuta altre asserzioni nyaya-vaisheshika, come le sostanze che possono esistere senza qualità, ma le qualità - per esempio la qualità del numero, come essere "uno" o "due" - non sono in grado di esistere indipendentemente dalla qualificazione di una sostanza. Oppure, le qualità non sono in grado di qualificare altre qualità - sia la qualità di essere una forma che la qualità di essere grande possono qualificare una sostanza, ma "grande" non può qualificare "essere una forma" e quindi le forme non possono essere grandi.

Se un vaso realmente esistente è veramente uno con gli otto tipi di particelle costituenti realmente esistenti che lo costituiscono, come affermano i sautrantika, allora il vaso dovrebbe essere otto cose realmente esistenti, non una. Inoltre, sarebbe impossibile per le particelle dei quattro elementi che hanno la capacità di avere contatto unirsi alle quattro particelle di essere una forma visibile, e così via, che non hanno quella capacità e formare un singolo vaso come un'unità.

Aryadeva continua poi confutando che i fenomeni veramente esistenti abbiano caratteristiche di definizione veramente esistenti, perché i due non possono veramente esistere né come uguali né come diversi l'uno dall'altro. Confuta anche che interi veramente esistenti possano esistere come raccolte di parti fisiche veramente esistenti o come risultato di una raccolta di cause veramente esistenti. Analizza ulteriormente come una raccolta di combustibile veramente esistente, come un esempio della terra o dell'elemento solido, insieme all'aria veramente esistente e al fuoco veramente esistente possa diventare calda. Se il caldo è una qualità veramente esistente dell'elemento fuoco, non può qualificare il combustibile come un esempio dell'elemento terra. Ma il combustibile non deve diventare caldo per bruciare?

Aryadeva spiega poi che la linea di ragionamento del “né uno né molti” deve essere applicata per confutare tutte le visioni estreme riguardanti l’esistenza, la non esistenza, entrambe o nessuna delle due.

Capitolo quindici. Indicazione sulle meditazioni per confutare l’afferrarsi ai fenomeni dipendenti come ultimamente (veramente prodotti)

I fenomeni dipendenti sono quelli che sorgono essendo stati influenzati da cause e circostanze. Aryadeva ora analizza le produzioni come se fossero in ultima analisi realmente esistenti.

Qualcosa di veramente inesistente al momento della causa non può sorgere al momento del risultato; ma se un risultato veramente esistente esistesse già al momento della causa, non ci sarebbe bisogno che sorgesse di nuovo. Una causa veramente esistente non può dare origine a un risultato veramente esistente che sia veramente uguale a se stesso o veramente diverso da se stesso. Inoltre, non può esserci alcun sorgere, permanere o cessare veramente esistente, poiché al momento in cui uno di questi accade, gli altri due sarebbero veramente inesistenti e non potrebbero mai accadere o non sarebbero mai potuti accadere.

Inoltre, un fenomeno veramente esistente come risultato non può essere prodotto da qualcosa che sia veramente uguale a se stesso o veramente diverso da se stesso. Inoltre, se qualcosa che sorge fosse veramente nuovo, non potrebbe mai diventare vecchio. Poiché un sorgere, un permanere e un cessare veramente esistenti non possono verificarsi né separatamente e indipendentemente né simultaneamente, quando si verificano? Inoltre, un sorgere, un permanere e un cessare veramente esistenti non possono esistere veramente sulla base di un fenomeno funzionale veramente esistente come fenomeni separati veramente esistenti; altrimenti, i fenomeni funzionali sarebbero statici e permanenti.

Inoltre, un fenomeno funzionale realmente esistente non può sorgere da un altro fenomeno funzionale realmente esistente, perché esisterebbe già realmente. Ma non può sorgere neanche da un fenomeno statico non funzionale. E un fenomeno non funzionale non può sorgere da un altro fenomeno non funzionale, quindi come può esserci un sorgere realmente esistente di qualcosa da qualcosa?

Inoltre, come potrebbe qualcosa di veramente esistente e in procinto di sorgere essere già veramente esistente come ciò che sarà? Allora cos’è? E ha senso dire che c’è un intervallo tra quando il risultato veramente esistente non esiste ancora e quando esiste veramente, e durante quell’intervallo il fenomeno esiste come metà veramente esistente e metà veramente inesistente?

Quando avviene allora il processo di un sorgere realmente esistente? E come può un sorgere realmente esistente esistere prima di un oggetto che sorge realmente? E come può qualcosa di veramente esistente essere realmente nel processo di sorgere, come se il suo sorgere esistesse veramente come qualcosa di separato da esso? Inoltre, come può un sorgere reale esistere prima di essersi verificato e poi connettersi a un oggetto realmente esistente che non è ancora sorto e, tramite quella connessione, far sorgere quell’oggetto?

Capitolo sedici. Indicare come far sì che insegnanti e discepoli ottengano certezza (sulla vacuità)

Infine, Aryadeva confuta la logica veramente esistente che è asserita da tutte le scuole buddhiste non prasanghika. Tutti questi capitoli, spiega Aryadeva, servono per confutare qualsiasi ragione per l’afferrarsi alle cose come non prive di esistenza veramente stabilita, nonostante tutto ne sia privo. E persino l’autore, l’argomento e le parole di questo testo sono privi di esistenza veramente stabilita. Per contrastare la posizione di un altro e stabilire o provare la tua posizione, devi affidarti al ragionamento logico. Se dopo l'analisi con la logica ciò che affermi non si trova come esistente, allora devi capire che ciò che affermi non esiste affatto.

Noi prasanghika non utilizziamo ragionamenti errati di altri buddhisti, come l’argomento sautrantika secondo cui qualsiasi cosa conosciuta dalla pura cognizione non concettuale esiste veramente, perché è conosciuta. Inoltre, non affermiamo nemmeno che la vacuità sia veramente esistente come affermano i cittamatra. Se una base per la vacuità non è veramente esistente, come potrebbe la sua vacuità essere veramente stabilita? Inoltre, se la vacuità come posizione logica da dimostrare avesse vera esistenza, allora il suo opposto - la non vacuità - dovrebbe anche essere veramente esistente, poiché queste due componenti di un ragionamento dipendono l'una dall'altra. Ma poiché la vacuità non è veramente esistente, nemmeno la non vacuità lo è.

Se i fenomeni veramente esistenti esistessero realmente, dovrebbero essere riconosciuti da una cognizione valida. Ma non sono mai riconosciuti da una cognizione valida, quindi come possono esistere? Inoltre, poiché non ci sono fenomeni veramente esistenti non ha senso dividere i fenomeni in alcuni che esistono veramente e altri che non esistono veramente, come fanno i cittamatra. E se accusi i prasanghika di affermare che tutto è totalmente inesistente, allora come è possibile che la nostra logica sia in grado di confutare la tua posizione? Se dici che la nostra logica prasanghika è assurda, allora perché non riesci a trovarci alcun difetto? Se non puoi stabilire la tua posizione di non vacuità tramite la logica e fosse corretta semplicemente perché dici che è corretta; allora qualsiasi posizione sarebbe corretta semplicemente dicendo che è così.

Anche le parole usate nel ragionamento logico mancano di esistenza veramente stabilita in quanto riferite a fenomeni veramente stabiliti. Ed è illogico dire che la vacuità ha vera esistenza semplicemente perché è dimostrata da ragionamenti veramente esistenti o usando esempi veramente esistenti ne ragionamenti per dimostrare la vacuità.

Se i fenomeni avessero vera esistenza, non ci sarebbe beneficio nel comprendere la vacuità perché la vacuità sarebbe errata. Ma il Buddha insegnò la vacuità dell’esistenza veramente stabilita perché è corretta e la sua comprensione elimina la sofferenza. Quindi, che tu affermi l’esistenza veramente stabilita, la non esistenza veramente stabilita, sia l’esistenza che la non esistenza veramente stabilite, o né l’esistenza né la non esistenza, la vacuità confuta tutte queste cose.

Informazioni sul testo

Dopo aver ricevuto gli insegnamenti madhyamaka sulla vacuità dal suo maestro Nagarjuna verso la fine del II secolo o l’inizio del III secolo d.C., Aryadeva li elaborò nel suo Trattato in quattrocento strofe. Il titolo completo di questo testo è Trattato in quattrocento strofe sulle azioni dello yoga di un bodhisattva (Byang-chub sems-dpa’i rnal-’byor spyod-pa bzhi-brgya-pa’i bstan-bcos kyi tshig-le’ur byas-pa, sanscr. Bodhisattvayogacarya-catuhshataka-shastra-karika), indicando la sua importanza per la pratica di un bodhisattva. Prima di morire, Aryadeva affidò gli insegnamenti a Rahulabhadra.

Chandrakirti apparteneva alla generazione successiva di discepoli dopo Rahulabhadra. Scrisse il più famoso commento indiano su Le quattrocento. Il testo radice e questo commento furono tradotti in tibetano da Patshab Lotsawa (Pa-tshab Nyi-ma grags, n. 1055). Patshab Lotsawa fu un importante traduttore dell’opera di Nagarjuna, così come dei testi di Guhyasamaja. Revisionò la vecchia traduzione de Strofe radice sulla via di mezzo, chiamata “Consapevolezza discriminante” (dBu-ma rtsa-ba shes-rab, sanscr. Prajna-nama-mulamadhyamaka-karika) di Nagarjuna e il commento di Chandrakirti su di essa, Impegnarsi nella via di mezzo (dBu-ma-la ’jug-pa, sanscr. Madhyamakavatara). Secondo i ghelug egli ebbe un ruolo importante nella trasmissione e nell’affermazione della visione Prasanghika in Tibet.

Rendawa (Red-mda’-ba gZhon-nu blo-gros) (1349–1412) scrisse il primo commento su Le quattrocento, dal punto di vista sakya-madhyamaka. Gyaltsab Je (rGyal-tshab rJe Dar-ma rin-chen) (1364–1432) compose un commento ghelug-prasanghika.

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