La mente come attività mentale
Secondo la definizione buddhista, la mente (sems) è mera lucidità e consapevolezza (gsal-rig-tsam) e si riferisce all’attività mentale, soggettiva e individuale, di sperimentare le cose (myong-ba). Lucidità significa dare origine ad apparenze cognitive di cose (‘char-ba), simili ad ologrammi mentali, e consapevolezza si riferisce all’interazione cognitiva con essi (‘jug-pa). Mera implica che questo avviene senza un “io” monolitico, separato e inalterato che sta controllando oppure osservando questa attività. L’“io” esiste, ma meramente come una designazione basata su una continuità di momenti mutevoli in cui si sperimentano cose mutevoli.
Modi di essere consapevoli di qualcosa
I modi di essere consapevoli di qualcosa (shes-pa) includono tutte le tipologie di attività mentale. Essi includono:
- Le coscienze primarie (rnam-shes)
- I fattori mentali (sems-byung, consapevolezze secondarie).
I sistemi di principi Sautrantika e Chittamatra aggiungono un terzo tipo,
- La consapevolezza riflessiva (rang-rig).
La consapevolezza riflessiva accompagna ciascun momento di cognizione non concettuale e concettuale di un oggetto, sebbene essa stessa rimanga sempre non concettuale. Essa si concentra e conosce soltanto le altre consapevolezze della cognizione – vale a dire la coscienza primaria e i fattori mentali – nonché la loro validità. Essa non conosce gli oggetti delle coscienze primarie e dei fattori mentali su cui si focalizza. Essa pianta l’astrazione non statica (ldan-min ‘du-byed, variabile incidente non congruente) di una impressione mentale (bag-chags) della cognizione che conosce, che allora consente il successivo ricordo della cognizione (dran-pa, presenza mentale). Il suo ricordo avviene tramite la cognizione concettuale di un aspetto mentale che assomiglia ad un oggetto conosciuto in precedenza e ad una categoria (spyi, universale) che deriva mentalmente dall’oggetto e in cui si adattano tutti gli aspetti mentali che assomigliano all’oggetto.
Secondo la tradizione Gelug, nel sistema Madhyamaka, soltanto la suddivisione Yogachara Svatantrika-Madhyamaka accetta la consapevolezza riflessiva. Il Sautrantika-Svatantrika Madhyamaka e il Prasangika-Madhyamaka rifiutano persino la sua esistenza convenzionale (tha-snyad-du yod-pa). Secondo le scuole non-Gelug, tutte le suddivisioni del Madhyamaka accettano l’esistenza convenzionale della consapevolezza riflessiva.
Le coscienze primarie
Tutti i sistemi buddhisti accettano che ci sono almeno sei tipi di coscienze primarie:
- Coscienza visiva (mig-gi rnam-shes)
- Coscienza uditiva (rna’i rnam-shes)
- Coscienza olfattiva (sna’i rnam-shes)
- Coscienza gustativa (lce’i rnam-shes)
- Coscienza tattile (lus-kyi rnam-shes)
- Coscienza mentale (yid-kyi rnam-shes).
A differenza della visione occidentale della coscienza come una facoltà generale che può essere consapevole di tutti gli oggetti sensoriali e mentali, il Buddhismo differenzia sei tipologie di coscienza, ciascuna delle quali è specifica ad un campo sensoriale o al campo mentale.
Una coscienza primaria conosce meramente la natura essenziale (ngo-bo) di un oggetto, che significa la categoria del fenomeno a cui qualcosa appartiene. Ad esempio, la coscienza visiva conosce una vista semplicemente come una vista.
Le scuole Chittamatra aggiungono due tipologie ulteriori di coscienza primaria per formare una lista di una rete ottuplice di coscienze primarie (rnam-shes tshogs-brgyad):
- Consapevolezza illusa (nyon-yid)
- Coscienza fondamentale, alayavijnana (kun-gzhi rnam-shes, coscienza fondamentale onnicomprensiva, coscienza deposito).
L’alayavijnana è una coscienza individuale, non una universale, sottostante ad ogni momento di cognizione. Essa conosce gli stessi oggetti delle cognizioni (stando al di sotto di esse), ma è una cognizione non determinante di ciò che appare ad essa (snang-la ma-nges-pa, cognizione disattenta) ed è priva di lucidità (chiarezza) dei suoi oggetti. Essa porta con sé le eredità karmiche (sa-bon) e le impressioni mentali delle memorie, nel senso che entrambe sono astrazioni non statiche designate sull’alayavijnana. La continuità di un alayavijnana individuale cessa con l’ottenimento dell’illuminazione.
La consapevolezza illusa mira all’alayavijnana e conosce il suo fattore di maturazione (rnam-smin-gi cha) come un falso “io”. Ad un livello grossolano, essa lo conosce come un “io” che esiste come un’entità statica, monolitica, indipendente dai suoi aggregati (rtag gcig rang-dbang-can). Gli aggregati si riferiscono ai cinque fattori aggregati (phung-po, scr. skandha) che comprendono ciascun momento della nostra esperienza. I cinque sono le forme di fenomeni fisici (incluso il corpo), la sensazione di un livello di felicità, la distinzione, le altre variabili influenzanti (emozioni eccetera), e la coscienza primaria.
[Vedi: Schema di base dei cinque aggregati]
Ad un livello più sottile, la consapevolezza illusa conosce il fattore di maturazione dell’alayavijnana come un “io” che è un’entità conoscibile sostanziale, autosufficiente, che può mantenere la sua posizione (rang-rkya ‘dzin-thub-pa’i rdzas-yod).
Secondo le scuole non-Gelug, tutti i sistemi Madhyamaka accettano l’esistenza convenzionale dell’alayavijnana e della consapevolezza illusa. Secondo la scuola Gelug, tutti i sistemi Madhyamaka non accettano nemmeno la loro esistenza convenzionale.
Discussione generale dei fattori mentali
Come le coscienze primarie, i fattori mentali sono anche semplicemente modi di essere consapevole di qualcosa. Sono consapevoli dei loro oggetti in modi speciali, ma senza interpolare (sgro-‘dogs, aggiungere qualcosa che non è lì) o ripudiare (skur-‘debs, negare qualcosa che è lì). Alcuni svolgono funzioni che aiutano la coscienza primaria a conoscere cognitivamente (‘dzin-pa) un oggetto. Altri aggiungono un sapore emotivo alla presa dell’oggetto.
Una rete di fattori mentali accompagna ciascun momento di coscienza primaria e ciascuno condivide cinque caratteristiche congruenti (mtshungs-ldan lnga) con la coscienza primaria che l’accompagna, come l’essere tutti focalizzati sullo stesso oggetto.
Consapevolezza principale
Alcuni modi di essere consapevoli di un oggetto non rientrano nelle categorie né della coscienza primaria né di un fattore mentale. Gli esempi più comuni sono le consapevolezze principali (gtso-sems). All’interno di una cognizione, una consapevolezza principale è una consapevolezza costituita da un composto di una coscienza primaria e dei suoi fattori mentali relativi, che è il modo prominente di essere consapevole dell’oggetto della cognizione. Essa caratterizza il tipo di cognizione che sta avvenendo.
Un esempio di una consapevolezza principale è il bodhichitta. Il bodhichitta è composto da una coscienza mentale focalizzata sulla propria illuminazione individuale futura e da fattori mentali come l’intenzione di raggiungere tale illuminazione e di beneficiare tutti gli altri mediante tale realizzazione. Secondo la presentazione Gelug, i cinque tipi di consapevolezza profonda (ye-shes) – simile allo specchio, dell’uguaglianza, individualizzante, di conseguimento, e della sfera della realtà (scr. dharmadhatu) – sono altri esempi.
Il conteggio dei fattori mentali
Ci sono molti sistemi differenti dell’abhidharma (chos-mngon-pa, argomenti speciali di conoscenza), ciascuno con il suo conteggio individuale e lista di fattori mentali. Spesso anche le definizioni delle consapevolezze presentate in comune differiscono.
Ad esempio, il sistema Theravada presentato nel Testo onnicomprensivo sui punti dagli argomenti di conoscenza (Pali: Abhidhammattha-sangaha) di Anuruddha descrive 52 fattori mentali. La trattazione standard di questo argomento nel Bon, che si trova nel testo Il nucleo più profondo di argomenti di conoscenza (mDzod-phug) di Shenrab Miwo (gShen-rab mi-bo), dissotterrato come un testo tesoro (gter-ma, terma) di Shenchen Luga (gShen-chen Klu-dga’), ne elenca 51.
Nella Tesoreria di argomenti speciali di conoscenza, Vasubandhu descrive 46 fattori mentali, mentre nel suo testo La trattazione dei cinque fattori aggregati (Phung-po lnga rab-tu byed-pa, scr. Panchaskandha-prakarana), ne elenca 51. La lista di Vasubandhu di 51 differisce notevolmente dalla versione Bon che ha lo stesso numero. Asanga ha anche presentato 51 fattori mentali nel suo testo Antologia di argomenti speciali di conoscenza. Questa lista ripete la lista di Vasubandhu di 51, ma con definizioni differenti di molte delle consapevolezze e, in alcuni posti, con piccoli cambiamenti del loro ordine.
Le scuole Madhyamaka seguono la versione di Asanga. Qui presenteremo il suo sistema, basato sulle spiegazioni fornite del maestro Gelug del XVII secolo Yeshey-gyeltsen (Kha-chen Ye-shes rgyal-mtshan) nel testo Indicazione chiara della maniera dei fattori primari e mentali (Sems-dang sems-byung-gi tshul gsal-bar bstan-pa). Indicheremo alcune delle varianti fondamentali soltanto dalla Tesoreria di argomenti speciali di conoscenza di Vasubandhu, siccome comunemente i tibetani studiano anche questo testo.
Asanga fa questo elenco:
- Cinque fattori mentali sempre in funzione (kun-’gro lnga)
- Cinque fattori mentali di accertamento (yul-nges lnga)
- Undici emozioni costruttive (dge-ba bcu-gcig)
- Sei emozioni e atteggiamenti disturbanti radice (dge-ba bcu-gcig)
- Venti emozioni disturbanti ausiliarie (nye-nyon nyi-shu)
- Quattro fattori mentali mutevoli (gzhan-‘gyur bzhi).
Queste liste di fattori mentali non sono esaustive. Ce ne sono molti di più che semplicemente cinquantuno. Molte buone qualità (yon-tan) coltivate sul sentiero buddhista non sono elencate separatamente – ad esempio la generosità (sbyin-pa), la disciplina etica (tshul-khrims), la pazienza (bzod-pa), l’amore (byams-pa), e la compassione (snying-rje). Le varie liste sono soltanto di certe categorie significative di fattori mentali.
I cinque fattori mentali sempre in funzione
I cinque fattori mentali sempre in funzione accompagnano ogni momento della cognizione.
(1) Sentire un livello di felicità (tshor-ba, sentire) è come proviamo le maturazioni del nostro karma. Le maturazioni includono:
- I fattori aggregati con cui siamo nati
- L’ambiente in cui viviamo
- Gli eventi che ci accadono in modo simile a ciò che abbiamo fatto in passato
- Le nostre sensazioni di ripetere i nostri precedenti schemi mentali di comportamento.
Un livello di felicità è ciò che sperimentiamo come la maturazione del karma costruttivo, e un livello di infelicità è ciò che sperimentiamo come la maturazione del karma distruttivo. La felicità, lo stato neutro, e l’infelicità formano un ventaglio ininterrotto. Ciascuno può essere fisico o mentale.
La felicità è quella sensazione per cui, quando finisce, vorremmo incontrarla di nuovo. L’infelicità o sofferenza è quella sensazione che, quando sorge, vogliamo che se ne vada. Una sensazione neutra è una che non è nessuna delle due precedenti.
Le sensazioni di livelli di felicità potrebbero o potrebbero non essere disturbanti. Sono disturbanti (zang-zing) quando condividono cinque caratteristiche congruenti con la brama (sred-pa; aver sete) per i fattori aggregati della nostra esperienza quando sono contaminati (zag-bcas) – che significa mischiati alla confusione – e perpetuano il samsara. Sono non disturbanti (zang-zing med-pa) quando condividono cinque caratteristiche congruenti con l’assorbimento totale di un arya sulla vacuità (mnyam-bzhag, “equilibrio meditativo”). Soltanto una felicità non disturbante oppure una sensazione neutra non disturbante possono accompagnare l’assorbimento totale di un arya.
(2) la distinzione (‘du-shes, riconoscimento) assume una caratteristica non comune (mtshan-nyid) dell’oggetto apparente (snang-yul) di una cognizione non concettuale, oppure una caratteristica composta (bkra-ba) dell’oggetto apparente di una cognizione concettuale, e attribuisce un significato convenzionale (tha-snyad ‘dogs-pa) ad essa. Tuttavia non attribuisce necessariamente un nome o un’etichetta mentale al suo oggetto, né la paragona ad oggetti precedentemente conosciuti. L’etichettatura mentale di parole e nomi è un processo concettuale estremamente complesso. Pertanto la distinzione si differenzia molto dal “riconoscimento”.
Ad esempio, con la cognizione visiva non concettuale, possiamo distinguere forme colorate nel campo sensoriale visivo, ad esempio una forma gialla. Secondo la tradizione Gelug, possiamo anche distinguere oggetti di senso comune con la cognizione visiva non concettuale, come ad esempio un cucchiaio. In tali casi, La distinzione non attribuisce il nome giallo o cucchiaio. In effetti, la distinzione qui non sa nemmeno che il colore è giallo o che l’oggetto è un cucchiaio. Semplicemente lo distingue come un oggetto convenzionale. Così persino un neonato può distinguere la luce o l’oscurità, il caldo o il freddo. Questo è noto come la distinzione che assume una caratteristica riguardo un oggetto (don-la mtshan-mar ‘dzin-pa’i ‘du-shes).
Nella cognizione concettuale, la distinzione attribuisce un termine o significato convenzionale (sgra-don) al suo oggetto – l’oggetto apparente della cognizione, ovvero una categoria sonora (sgra-spyi) oppure una categoria di significato (don-spyi) – come l’esclusione di ciò che è altro (gzhan-sel), sebbene questo non sia un processo di eliminare possibilità alternative una per una. Né le possibilità alternative devono essere presenti per escluderle. Pertanto, nell’attribuire un nome al suo oggetto, come ad esempio “giallo” o “cucchiaio”, esso distingue la categoria “giallo” da ogni cosa che non è quella categoria, come la categoria “nero”, o la categoria “cucchiaio” da ogni cosa che non è quella categoria, come la categoria “forchetta”. Questo è noto come la distinzione che assume una caratteristica riguardo una convenzione (tha-snyad-la mtshan-mar ‘dzin-pa’i ‘du-shes). Alla cognizione non concettuale manca questo tipo di distinzione.
(3) Un impulso (sems-pa) fa in modo che l’attività mentale affronti un oggetto o vada nella sua direzione. In generale, ciò fa muovere un continuum mentale affinché conosca cognitivamente un oggetto. Un continuum mentale (sems-rgyud, flusso mentale) è una costante sequenza continua di momenti di attività mentale.
Il karma mentale (yid-kyi las) è equivalente ad un impulso mentale. Secondo il Sautrantika, Chittamatra, Svatantrika-Madhyamaka, e le scuole non-Gelug Prasangika-Madhyamaka, i karma fisici e verbali sono anche impulsi mentali.
(4) La consapevolezza contattante (reg-pa) differenzia (yongs-su gcod-pa) che l’oggetto di una cognizione è piacevole (yid-du ‘ong-ba), spiacevole, o neutro, e così serve da fondamento per sperimentarlo con una sensazione di felicità, infelicità, oppure una sensazione neutra.
(5) Prestare attenzione o tenere a mente (yid-la byed-pa) fa interagire (‘jug-pa) l’attività mentale con l’oggetto. L’interazione cognitiva potrebbe essere semplicemente per prestare una certa attenzione all’oggetto, da molto poca a molta attenzione. Potrebbe anche essere per concentrarsi sull’oggetto in un certo modo. Ad esempio, l’attenzione potrebbe concentrarsi su di un oggetto faticosamente, ripristinandosi, ininterrottamente, oppure senza nessuno sforzo.
[Vedi: Conseguire lo shamatha]
Alternativamente, o in aggiunta, l’attenzione potrebbe considerare un oggetto in una certa maniera. Potrebbe considerare il suo oggetto in modo concordante (tshul-bcas yid-byed; considerazione corretta) per ciò che è effettivamente oppure in modo discordante (tshul-min yid-byed; considerazione scorretta) per ciò che non è. I quattro tipi di prestare attenzione in modo discordante riguardo ai cinque fattori aggregati della nostra esperienza sono i seguenti: considerarli statici invece che non statici, la felicità invece che essere problematici (sofferenza), puliti invece che sporchi, e che hanno un sé veramente esistente invece di non avere un sé simile. I quattro tipi di prestare attenzione ad essi in modo concordante sono l’opposto di questi.
Tutti i cinque fattori mentali sempre in funzione sono necessariamente presenti in ciascun momento della cognizione di qualunque cosa. Altrimenti, il nostro utilizzo dell’oggetto (longs-su spyod-pa) come un oggetto di cognizione sarebbe incompleto.
Come ha spiegato Asanga,
- Noi effettivamente non sperimentiamo un oggetto, a meno che non proviamo un certo livello di felicità sullo spettro dalla felicità, attraversando la neutralità fino all’infelicità.
- Noi non conosciamo cognitivamente qualcosa all’interno di un campo sensoriale come un oggetto di cognizione, a meno che non distinguiamo alcune caratteristiche peculiari di esso.
- Non affrontiamo nemmeno o andiamo nella direzione di un oggetto di cognizione, a meno che non abbiamo un impulso verso di esso.
- Non abbiamo nessuna base per sperimentare l’oggetto con una sensazione, a meno che non abbiamo la consapevolezza contattante per differenziarlo come piacevole, spiacevole, o neutro.
- Noi non interagiamo effettivamente con l’oggetto specifico, a meno che non prestiamo una certa attenzione ad esso, anche se quel livello è estremamente basso.
I cinque fattori mentali di accertamento
Vasubandhu definì i seguenti cinque in una maniera generale e affermò che anch’essi accompagnano ciascun momento di cognizione. Asanga li chiamò fattori mentali di accertamento e diede definizioni più specializzate. Per Asanga, essi accompagnano soltanto cognizioni costruttive che apprendono (rtogs-pa, comprendere) i loro oggetti e pertanto sono sottocategorie di ciò che Vasubandhu definì. Essi consentono all’attività mentale di determinare (nges-pa, accertare) il suo oggetto, ovvero di conoscerlo con certezza.
(1) L’intenzione positiva (‘dun-pa) non è semplicemente la motivazione (kun-slong) di ottenere qualunque oggetto, di raggiungere qualunque obiettivo, o di fare qualcosa con l’oggetto o l’obiettivo una volta ottenuto o raggiunto. È il desiderio di avere un oggetto costruttivo desiderato, di fare qualcosa con esso, o di raggiungere un obiettivo costruttivo desiderato. L’intenzione potrebbe essere il desiderio di incontrare un oggetto costruttivo precedentemente conosciuto, il desiderio di non essere separati da un oggetto costruttivo conosciuto nel presente, oppure un profondo interesse (don-gnyer) in un oggetto costruttivo da ottenere nel futuro. L’intenzione positiva porta alla perseveranza gioiosa (brtson-grus) nell’ottenere l’oggetto desiderato o nel conseguire l’obiettivo desiderato.
(2) La convinzione ferma (mos-pa) si concentra su un fatto che abbiamo validamente determinato essere così e non così. La sua funzione è di rendere la nostra convinzione che un fatto è vero (dad-pa) così stabile che le discussioni o gli argomenti degli altri non ci dissuadono. Per Vasubandhu, questo fattore mentale significa riguardo. Semplicemente conosce che il suo oggetto possiede un certo livello di buone qualità – sullo spettro da nessuna buona qualità a tutte le buone qualità – e potrebbe essere accurato o distorto.
(3) La presenza mentale che ricorda (dran-pa) non è semplicemente mantenere qualunque oggetto conosciuto senza perderlo come un oggetto di concentrazione. Qui impedisce che l’attività mentale dimentichi o perda un oggetto costruttivo con cui ha familiarità. Essa possiede tre caratteristiche:
- L’oggetto deve essere qualcosa di costruttivo con cui abbiamo familiarità (‘dris-pa)
- L’aspetto (rnam-pa) deve essere che è focalizzato su questo oggetto e non lo dimentica o non lo perde
- La funzione deve essere che previene la divagazione mentale.
Dunque la presenza mentale equivale ad una sorta di “colla mentale” (‘dzin-cha) che mantiene l’oggetto di concentrazione senza lasciarlo andare. La sua forza si estende da debole a forte.
(4) Fissare mentalmente (ting-nge-‘dzin, concentrazione) non è semplicemente rimanere fissati su qualunque oggetto di cognizione conosciuto da qualunque tipo di cognizione, cognizione sensoriale compresa. Qui fa in modo che l’attività mentale rimanga agganciata in modo esclusivo, con continuità, focalizzata su un oggetto costruttivo etichettato (btags-pa’i dngos-po). In altre parole, l’oggetto del fissare deve essere qualcosa specificato dal Buddha come costruttivo. Inoltre l’oggetto deve essere conosciuto con la coscienza mentale. Questo perché l’etichettatura mentale è una funzione limitata alla cognizione concettuale, che è esclusivamente mentale. Il fissare consiste nel dimorare mentale (gnas-cha) su di un oggetto e in termini di forza potrebbe variare da debole a forte. Esso serve come una base per la consapevolezza discriminante.
Le tradizioni Karma Kagyu e Sakya insegnano la concentrazione su un oggetto visivo, come una statua del Buddha, come metodo per ottenere lo shamatha (uno stato mentale calmo e stabile). Questa istruzione non contraddice la definizione di Asanga sul fissare mentalmente. Questo perché tali tradizioni considerano la concentrazione sulla statua di un Buddha come un oggetto di senso comune. Secondo le loro asserzioni, gli oggetti di cognizione visiva sono semplicemente momenti di forme colorate. Oggetti di senso comune, come la statua di un Buddha, sono conosciuti soltanto dalla cognizione mentale concettuale. Questo perché gli oggetti di senso comune che si estendono nel tempo e si estendono sui sensibilia [stimoli sensoriali] conosciuti dagli altri sensi sono qui mentalmente etichettati sulla base di una sequenza di momenti, visivamente conosciuti, di forme colorate.
(5) La consapevolezza discriminante (shes-rab, “saggezza”) si concentra su di un oggetto per l’analisi e differenzia i suoi punti forti dalle sue debolezze o le sue buone qualità dai suoi difetti. Li differenzia sulla base dei quattro assiomi (rigs-pa bzhi): dipendenza, funzionalità, instaurazione mediante la ragione, e la natura delle cose. Pertanto, come per gli altri fattori mentali di accertamento, la consapevolezza discriminante comprende (rtogs-pa) il suo oggetto – per esempio se è costruttivo, distruttivo, oppure non specificato dal Buddha come nessuno dei due. La sua funzione è di allontanare l’indecisione vacillante su di esso.
[Vedi: I quattro assiomi per esaminare un insegnamento buddhista]
Vasubandhu chiamò questo fattore mentale consapevolezza intelligente (blo-gros) e lo definì come il fattore mentale che in maniera decisiva discerne che qualcosa è corretta o incorretta, costruttiva o distruttiva, eccetera. Esso aggiunge un certo livello di decisione alla distinzione di un oggetto di cognizione – anche se tale livello è estremamente debole – e potrebbe essere accurato o inaccurato. Pertanto la consapevolezza intelligente non necessariamente comprende il suo oggetto in modo corretto.
Le undici emozioni costruttive
(1) Credere che un fatto sia vero (dad-pa) si concentra su qualcosa di esistente e conoscibile, qualcosa che ha buone qualità, o un potenziale effettivo, e lo considera esistente o vero, oppure considera vero un fatto che lo riguarda. Pertanto questo implica accettare la realtà.
Ce ne sono di tre tipi:
- Credere un fatto riguardo a qualcosa in modo lucido (dang-ba’i dad-pa) è chiaro riguardo a un fatto e, come un depuratore d’acqua, schiarisce la mente. Vasubandhu specificò che schiarisce la mente da emozioni e atteggiamenti disturbanti riguardo all’oggetto.
- Credere un fatto basandosi sulla ragione (yid-ches-kyi dad-pa) considera vero un fatto riguardo a qualcosa basandosi sul pensare alle ragioni che lo provano.
- Credere un fatto con un’aspirazione che lo riguarda (mngon-‘dod-kyi dad-pa) considera vero sia un fatto riguardo a qualcosa sia un’aspirazione che di conseguenza manteniamo riguardo all’oggetto, come ad esempio che possiamo ottenere un obiettivo positivo e l’otterremo.
(2) Dignità personale morale (ngo-tsha, una sensazione di salvare la faccia) è la sensazione di astenersi dal comportamento negativo perché ci prendiamo cura di come le nostre azioni si riflettono su noi stessi. Secondo Vasubandhu, questo fattore mentale significa avere un senso dei valori. È rispetto per le qualità positive o per le persone che le possiedono.
(3) Avere cura per come le nostre azioni si riflettono sugli altri (khrel-yod) è la sensazione di astenersi dal comportamento negativo perché ci prendiamo cura di come le nostre azioni si riflettono sulle persone connesse a noi. Coloro che sono connessi a noi potrebbero essere, ad esempio, la nostra famiglia, i maestri, il gruppo sociale, il gruppo etnico, l’ordine religioso, o i connazionali. Per Vasubandhu, questo fattore mentale significa avere scrupoli, ed è una restrizione dall’essere sfacciatamente negativo. Questo e il precedente fattore mentale accompagnano tutti gli stati mentali costruttivi.
(4) Distacco (ma-chags-pa) è un disgusto annoiato (yid-‘byung) per l’esistenza compulsiva e pertanto privo di desiderio bramoso per quest’ultima e per gli oggetti dell’esistenza compulsiva (srid-pa’i yo-byad). Non implica necessariamente, tuttavia, una totale libertà da tutto il desiderio bramoso, ma solo un certo grado di libertà da esso. Il distacco potrebbe riguardare gli obiettivi compulsivi di questa vita, gli obiettivi compulsivi di qualunque vita in generale, o la serenità di una liberazione (scr. nirvana) dall’esistenza compulsiva. Questo funge da base per non impegnarsi in comportamenti errati (nyes-spyod).
(5) Imperturbabilità (zhe-sdang med-pa) è non desiderare di causare danni (mnar-sems) in risposta agli esseri limitati (esseri senzienti), la nostra stessa sofferenza, oppure le situazioni che implicano la sofferenza che potrebbe sorgere da questi due o che semplicemente potrebbero essere le situazioni in cui avviene la sofferenza. Essa non implica una libertà totale dalla rabbia, e anch’essa funge da base per non impegnarsi in comportamenti errati.
(6) Assenza di ingenuità (gti-mug med-pa) è la consapevolezza discriminante che è consapevole dei dettagli individuali (so-sor rtog-pa) riguardanti la causa e l’effetto del comportamento o la realtà, e che agisce come opponente dell’ingenuità verso di essi. L’assenza di ingenuità potrebbe sorgere come qualcosa acquisita alla nascita (skyes-thob) dalla maturazione del karma. In alternativa, potrebbe sorgere dal nostro impegno (sbyor-byung) nell’ascoltare o leggere le scritture, riflettere sul loro significato, oppure meditare sul loro significato correttamente compreso. Non implica una libertà totale dall’ingenuità, e anch’essa funge da base per non cadere in comportamenti errati.
(7) Perseveranza (brtson-‘grus) è la forza entusiasta di essere costruttiva. Asanga spiegò cinque aspetti o suddivisioni:
- Il coraggio simile ad una corazza (go-cha’i brtson-‘grus), per sopportare le difficoltà, ottenuto ricordando a noi stessi la gioia con cui abbiamo intrapreso ciò che abbiamo fatto.
- Un’applicazione di questo compito costante e rispettosa di noi stessi (sbyor-ba’i brtson-‘grus).
- Non essere mai scoraggiati o non indietreggiare mai (mi-‘god-ba’i brston-‘grus).
- Non ritirarsi mai (mi-ldog-pa’i brtson-‘grus).
- Non diventare mai compiacenti (mi-chog-bar mi-‘dzin-pa’i brtson-‘grus).
(8) Un senso di benessere (shin-sbyangs, flessibilità) è una sensazione di elasticità o funzionalità (las-su rung-ba) del corpo e della mente che consente all’attività mentale di rimanere impegnata in un oggetto costruttivo per tutto il tempo che vogliamo. Si ottiene avendo tagliato la continuità del corpo e della mente dall’adottare atteggiamenti dannosi, come l’irrequietezza o la divagazione mentale. Un senso di benessere induce un’esilarante sensazione non disturbante di piacere mentale e fisico.
(9) Un atteggiamento premuroso (bag-yod, prudenza) è un fattore mentale che, pur rimanendo in uno stato di distacco, imperturbabilità, assenza di ingenuità, e perseveranza gioiosa, ci fa meditare su cose costruttive e ci protegge dal propendere verso cose contaminate (negative). In altre parole, provando disgusto e non desiderando l’esistenza compulsiva, non volendo causare danno in risposta alla sua sofferenza, non essendo ingenui sugli effetti del nostro comportamento, e provando gioia nell’agire in modo costruttivo, un atteggiamento premuroso ci porta ad agire in modo costruttivo e ad evitare il comportamento distruttivo. Questo perché ci interessiamo delle situazioni degli altri e di noi stessi e degli effetti delle nostre azioni su entrambi; li consideriamo seriamente.
(10) Equilibrio (btang-snyoms) o serenità è un fattore mentale che, pur rimanendo in uno stato di distacco, imperturbabilità, assenza di ingenuità, e perseveranza gioiosa, consente all’attività mentale di rimanere indisturbata senza nessuno sforzo, senza volubilità o torpore mentale, in uno stato naturale di spontaneità e apertura.
(11) Non essere crudeli (rnam-par mi-‘tshe-ba) non è semplicemente l’imperturbabilità del non desiderare di causare danno agli esseri limitati che stanno soffrendo oppure di irritarli o innervosirli. È inoltre presente la compassione (snying-rje), il desiderio che siano liberi dalla loro sofferenza e dalle sue cause.
Le sei emozioni e atteggiamenti disturbanti radice
Un’emozione o atteggiamento disturbante (nyon-mongs, scr. klesha, “emozione afflittiva”) è una che quando sorge ci fa perdere la nostra pace mentale (rab-tu mi-zhi-ba) rendendoci incapaci e perdendo il nostro autocontrollo. Ci sono sei emozioni e atteggiamenti disturbanti radice, che agiscono come le radici delle emozioni e atteggiamenti disturbanti ausiliari. Vasubandhu classificò cinque delle sei come non aventi una prospettiva sulla vita (lta-min nyon-mongs). Pertanto esse sono emozioni o stati mentali disturbanti. La sesta è un set di cinque con una prospettiva sulla vita (nyon-mongs lta-ba can) e pertanto comprende cinque atteggiamenti disturbanti. Asanga chiamò questo set di cinque “prospettive sulla vita illuse e disturbanti” (lta-ba nyon-mongs-can). Chiamiamole in breve “prospettive illuse”.
Ad eccezione della scuola di principi Vaibhashika, tutti gli altri sistemi di principi buddhisti indiani (grub-mtha’) asseriscono che, a parte alcune eccezioni, tutte le emozioni e atteggiamenti disturbanti hanno due livelli: basati sulla dottrina (kun-brtags) e che sorgono automaticamente (lhan-skyes). Le emozioni e atteggiamenti disturbanti basati sulla dottrina si fondano sulla struttura concettuale di una visione distorta della vita. Quelli che sorgono automaticamente avvengono senza tale base.
Tra le emozioni disturbanti senza una visione, l’eccezione è l’indecisione vacillante, tra quelli con una visione, le eccezioni sono il mantenere una prospettiva illusa come fosse suprema, la visione di mantenere una moralità o una condotta illusa come fosse suprema, e una visione distorta. Queste eccezioni non hanno nessuna forma che sorge automaticamente e avvengono soltanto in base alla dottrina. Il sistema di principi Sautrantika inoltre non asserisce una forma di visione estrema che sorge in modo automatico. Il sistema di principi Vaibhashika non asserisce una forma di qualunque atteggiamento disturbante (visione illusa) che sorge automaticamente. Secondo le sue affermazioni, tutte le cinque prospettive illuse sono esclusivamente basate sulla dottrina.
(1) Il desiderio bramoso (‘dod-chags) mira a qualunque oggetto contaminato interno o esterno (associato alla confusione) – che sia inanimato o vivente – e desidera acquisirlo poiché considera l’oggetto attraente per sua natura. La sua funzione è di darci sofferenza. Sebbene il desiderio bramoso o l’avarizia potrebbero avvenire con la cognizione mentale o sensoriale, si basa in via preliminare su un’interpolazione concettuale. Notate che la cognizione sensoriale è sempre non concettuale, mentre la cognizione mentale potrebbe essere concettuale o non concettuale. L’interpolazione precedente esagera le buone qualità dell’oggetto desiderato oppure aggiunge buone qualità che non possiede. Pertanto, l’interpolazione concettuale presta attenzione all’oggetto desiderato in una maniera discordante (considerazione incorretta) – ad esempio considerando qualcosa di sporco (un corpo pieno di escrementi) come pulito.
Secondo una prospettiva occidentale, potremmo aggiungere che quando il desiderio bramoso è indirizzato ad un’altra persona o ad un gruppo, potrebbe prendere la forma di desiderare di possedere la persona e il gruppo come se appartenesse a noi, e come se noi appartenessimo alla persona o al gruppo. Sembra inoltre che il desiderio bramoso sia spesso supportato in aggiunta da un preventivo rifiuto o ripudio concettuale delle qualità negative del suo oggetto.
Vasubandhu definì questa emozione disturbante radice come attaccamento o possessività. Consiste nel desiderare di non lasciar andare nessuno dei cinque tipi di oggetti sensoriali desiderabili (viste, suoni, odori, sapori, o sensazioni fisiche) (‘dod-pa’i ‘dod-chags) o la nostra stessa esistenza compulsiva (srid-pa’i ‘dod-chags). Si basa anche su un’esagerazione o una maniera discordante di prestare attenzione ad un oggetto contaminato. L’attaccamento ad oggetti sensoriali desiderabili è l’attaccamento ad oggetti del piano degli oggetti sensoriali desiderabili (‘dod-khams, regno del desiderio). L’attaccamento all’esistenza compulsiva è l’attaccamento agli oggetti del piano delle forme eteree (gzugs-khams, regno della forma) o del piano degli esseri senza forma (gzugs-med khams, regno del senza forma). Questo significa attaccamento ai profondi stati di trance meditativa ottenuti in quei regni.
(2) Rabbia (khong-khro) indirizzata ad un altro essere limitato, la nostra stessa sofferenza, o situazioni che implicano sofferenza che potrebbe sorgere da uno qualunque di questi due, o che semplicemente potrebbero essere le situazioni in cui avviene la sofferenza. È impaziente verso di essi (mi-bzod-pa) e desidera sbarazzarsene danneggiandoli o ferendoli con cattive intenzioni (gnod-sems), oppure colpendoli con un atteggiamento combattivo (kun-nas mnar-sems). Si basa sul considerare il suo oggetto come non attraente e repulsivo per sua stessa natura e la sua funzione è di darci sofferenza. L’ostilità (zhe-sdang) è una sottocategoria della rabbia ed è indirizzata principalmente, sebbene non esclusivamente, agli esseri limitati.
Come per il desiderio bramoso, sebbene la rabbia potrebbe avvenire con la cognizione mentale o sensoriale, si basa su una precedente interpolazione concettuale. L’interpolazione esagera le qualità negative dell’oggetto oppure aggiunge qualità negative che non possiede. Pertanto, l’interpolazione concettuale presta attenzione all’oggetto in una maniera discordante – ad esempio, incorrettamente considerare difettoso qualcosa o qualcuno che non ha difetti.
Secondo una prospettiva occidentale, potremmo aggiungere che quando la rabbia o l’ostilità è indirizzata ad un’altra persona o un gruppo, potrebbe prendere la forma di rifiutare la persona o il gruppo. In alternativa, per via della paura di essere rifiutati dalla persona o dal gruppo, potremmo reindirizzare la rabbia verso noi stessi. Sembrerebbe che la rabbia sia spesso anche supportata da un preventivo rifiuto o ripudio concettuale delle buone qualità del suo oggetto.
(3) L’arroganza (nga-rgyal, orgoglio) è una mente altezzosa (khengs-pa) fondata su una prospettiva illusa verso una rete transitoria (‘jig-lta). Come spiegato più in basso, questa prospettiva illusa si concentra su qualche aspetto o rete di aspetti tra i nostri cinque aggregati e lo identifica come un “io” monolitico, non influenzato, separato dagli aggregati e che li comanda. Tra le varie forme e livelli di una prospettiva illusa verso una rete transitoria, si basa specificatamente su un afferrarsi ad un “io” che sorge automaticamente (ngar-‘dzin lhan-skyes). La sua funzione è di non avere apprezzamento per gli altri o rispettare le buone qualità degli altri (mi-gus-pa), e ci impedisce di imparare da qualunque cosa. Ce ne sono di sette tipi:
- L’arroganza (nga-rgyal) è una mente altezzosa che sente di essere migliore di qualcuno inferiore a me in qualche qualità.
- L’arroganza esagerata (lhag-pa’i nga-rgyal) è una mente altezzosa che sente di essere migliore di qualcuno uguale a me stesso in qualche qualità.
- L’arroganza oltraggiosa (nga-rgyal-las-kyang nga-rgyal) è una mente altezzosa che sente di essere migliore di qualcuno superiore a me in qualche qualità.
- L’arroganza egotistica (nga’o snyam-pa’i nga-rgyal) è una mente altezzosa che pensa “io” mentre si concentra sui nostri aggregati che perpetuano il samsara (nyer-len-gyi phung-po).
- L’arroganza anticipatoria o falsa (mngon-par nga-rgyal) è una mente altezzosa che sente che io ho ottenuto qualche qualità che non ho effettivamente o non ancora ottenuto.
- L’arroganza modesta (cung-zad snyam-pa’i nga-rgyal) è una mente altezzosa che sente che io sono solo un po’ inferiore paragonato a qualcuno immensamente superiore a me stesso in qualche qualità, ma ancora superiore a quasi tutti gli altri.
- L’arroganza distorta (log-pa’i nga-rgyal) è una mente altezzosa che sente che qualche aspetto deviante in cui sono caduto (khol-sar shor-ba) sia una buona qualità che ho ottenuto – ad esempio l’essere un buon cacciatore.
Vasubandhu menziona che alcuni testi buddhisti elencano nove tipologie di arroganza, ma possono essere assorbiti in tre di queste categorie – arroganza, arroganza esagerata, e arroganza modesta. Queste nove sono menti altezzose che provano ciò che segue:
- Io sono superiore agli altri
- Io sono pari agli altri
- Io sono inferiore agli altri
- Altri sono superiori a me
- Altri sono pari a me
- Altri sono inferiori a me
- Non c’è nessuno superiore a me
- Non c’è nessuno pari a me
- Non c’è nessuno inferiore a me.
(4) l’inconsapevolezza (ma-rig-pa, ignoranza), secondo Asanga e Vasubandhu, è la confusione o lo stupore (rmongs-pa) di non conoscere (mi-shes-pa) la causa e l’effetto del comportamento oppure la natura stessa della realtà (de-kho-na-nyid). Lo stupore è una pesantezza di corpo e mente. L’inconsapevolezza, allora, come uno stato mentale disturbante che causa e perpetua la rinascita che ricorre in modo incontrollabile (samsara), non include non conoscere il nome di qualcuno. L’inconsapevolezza produce una certezza distorta (log-par nges-pa), l’indecisione vacillante, e un completo stordimento (kun-nas nyon-mongs-pa). In altre parole, l’inconsapevolezza ci rende testardi nella nostra certezza di qualcosa che è incorretto, insicuri e non certi di noi stessi, e stressati.
Secondo Un commentario sul (“Compendio di Dignaga delle) menti che conoscono in modo valido” (Tshad-ma rnam-‘grel, scr. Pramanavarttika) di Dharmakirti, l’inconsapevolezza è anche la mentalità torbida di apprendere qualcosa in una maniera stravolta (phyin-ci log-tu ‘dzin-pa).
Il comportamento distruttivo sorge ed è accompagnato dall’inconsapevolezza della causa e dell’effetto del comportamento. Pertanto Asanga spiegò che tramite questo tipo di inconsapevolezza noi accumuliamo il karma per sperimentare stati peggiori di rinascita. L’inconsapevolezza della vera natura della realtà accompagna e dà origine a qualunque attività – distruttiva, costruttiva, o non specificata. Concentrandosi soltanto sul comportamento costruttivo, Asanga spiegò che tramite questo tipo di inconsapevolezza noi accumuliamo il karma per sperimentare stati migliori di rinascita samsarica.
Secondo Vasubandhu e tutti i sistemi di principi Hinayana (Vaibhashika e Sautrantika), l’inconsapevolezza della vera natura della realtà si riferisce soltanto all’inconsapevolezza di come le persone (gang-zag) esistono, sia noi stessi che gli altri. Questo perché le scuole Hinayana non asseriscono una mancanza di un’impossibile identità dei fenomeni (chos-kyi bdag-med, assenza di sé dei fenomeni, assenza di identità dei fenomeni).
Secondo le interpretazioni Sakya e Nyingma del Prasangika e tutte le quattro interpretazioni delle tradizioni tibetane dei punti di vista Svatantrika-Madhyamaka e Chittamatra, il riferimento di Asanga all’inconsapevolezza della vera natura della realtà inoltre non include l’inconsapevolezza di come esistono i fenomeni. Questo perché asseriscono che l’inconsapevolezza di come i fenomeni esistono non è uno stato mentale disturbante e non ostacola la liberazione. Essi includono questo fattore mentale tra le oscurazioni cognitive (shes-sgrib), in altre parole le oscurazioni riguardanti tutto il conoscibile, le quali ostacolano l’onniscienza.
Le interpretazioni Gelug e Karma Kagyu del punto di vista Prasangika-Madhyamaka includono l’inconsapevolezza della vera natura di come tutti i fenomeni esistono come una forma di inconsapevolezza che è uno stato mentale disturbante. Pertanto essi la includono nel riferimento di Asanga e nelle oscurazioni emotive (nyon-sgrib), in altre parole le oscurazioni che sono emozioni e atteggiamenti disturbanti, le quali ostacolano la liberazione.
L’ingenuità (gti-mug) è una sottocategoria dell’inconsapevolezza e, quando viene utilizzata in senso stretto, si riferisce soltanto all’inconsapevolezza che accompagna stati mentali distruttivi – sia l’inconsapevolezza della causa e dell’effetto del comportamento e della vera natura della realtà.
Il desiderio bramoso (o attaccamento, a seconda della definizione), l’ostilità, e l’ingenuità sono le tre emozioni velenose (dug-gsum).
(5) L’indecisione vacillante (the-tshoms, dubbio) è essere indecisi su cosa sia vero – in altre parole, vacillare tra accettare o rifiutare ciò che è vero. Ciò che è vero si riferisce a fatti come le quattro nobili verità e la causa e l’effetto del comportamento. Inoltre l’indecisione potrebbe tendere più verso il lato di ciò che è vero, più verso il lato di ciò che è falso, oppure potrebbe essere equamente divisa tra i due. L’indecisione vacillante funge da base per non impegnarsi in ciò che è costruttivo.
Asanga sottolineò che la causa principale dei problemi qui sia l’indecisione vacillante, illusa, disturbante (the-tshoms nyon-mongs-can). Si può riferire all’indecisione che tende più verso una indecisione incorretta su ciò che è vero. È il guastafeste perché, se l’indecisione tende verso ciò che è corretto oppure è equamente divisa, potrebbe portare ad un impegno in ciò che è costruttivo.
(6) Le prospettive illuse vedono i loro oggetti in un certo modo. Esse ricercano e considerano i loro oggetti come cose a cui attaccarsi (yul-‘tshol-ba), senza indagarli, analizzarli, o esaminarli minuziosamente. In altre parole, esse hanno semplicemente un atteggiamento verso i loro oggetti. Avvengono soltanto durante la cognizione concettuale e sono accompagnate da un’interpolazione oppure da un ripudio. In quanto fattori mentali, tuttavia, esse stesse non interpolano o ripudiano nulla.
Ci sono cinque prospettive illuse. Asanga spiegò che ciascuna è una consapevolezza discriminante illusa e disturbante (shes-rab nyon-mongs-can). Non sono tuttavia sottocategorie della consapevolezza discriminante che è un fattore mentale di accertamento. Questo perché non soddisfano il criterio di Asanga per questa consapevolezza di accertamento, per cui comprendono i loro oggetti in modo corretto.
Inoltre Asanga spiegò che ciascuna delle cinque prospettive illuse implica:
- Tolleranza per la prospettiva illusa, poiché è priva della discriminazione per capire che genera sofferenza
- Attaccamento ad essa, siccome non comprende che è illusa
- Considerazione di essa come intelligente
- Una struttura concettuale a cui si aggrappa fortemente
- Una congettura che sia corretta.
Le cinque prospettive illuse
(1) Una prospettiva illusa verso una rete transitoria (‘jig-tshogs-la lta-ba, ‘jig-lta, visione falsa di una rete transitoria) ricerca e si attacca a qualche rete transitoria proveniente dai nostri cinque aggregati che perpetuano il samsara come una base su cui interpolare (proiettare) una struttura concettuale di accompagnamento (atteggiamento) a cui si afferra fortemente. La struttura concettuale è quella di “io” (nga, bdag) o “mio” (nga’i-ba, bdag-gi-ba). Non si focalizza sugli aggregati di nessun altro. Qui “io” o “mio”, tuttavia, non si riferiscono a quelli esistenti in senso convenzionale, ma a quelli falsi che non corrispondono affatto a nulla di reale. Il falso “io” potrebbe essere un monolite statico che può esistere indipendentemente dai fattori aggregati (rtag-gcig-rang-dbang-gi bdag) o da un “io” conoscibile in modo autosufficiente (rang-rkya thub-‘dzin-pa’i bdag). Pertanto una prospettiva illusa verso una rete transitoria si basa sull’inconsapevolezza di come l’“io” convenzionale esiste ed è accompagnata dall’afferrarsi ad un’impossibile anima di una persona (gang-zag-gi bdag-‘dzin). Questo afferrarsi ad un’impossibile anima di una persona è ciò che effettivamente proietta l’interpolazione di un falso “io” o “mio”, non la prospettiva illusa stessa.
Più in dettaglio, una prospettiva illusa verso una rete transitoria è una consapevolezza discriminante illusa e disturbante che “si afferra” ad una rete transitoria di aggregati come fossero identici a “me” (ngar-‘dzin), ovvero ad un falso “me”. Oppure si afferra ad essi come “miei” (nga-yir ‘dzin), in altre parole come totalmente differenti da un falso “io”, ad esempio come il loro possessore, il loro controllore, o abitante. “Afferrare” qui significa conoscere concettualmente il suo oggetto attraverso il mezzo di una o più categorie interpolate e considerare corretta l’interpolazione di queste categorie. Le categorie concettuali costituiscono la struttura concettuale a cui questa prospettiva illusa si aggrappa fortemente. In questo caso, le categorie interpolate includono sia un falso e impossibile “io”, sia un “(uno) totalmente identico” oppure “(molti) totalmente differenti”.
Inoltre, una prospettiva illusa verso una rete transitoria ricerca e si attacca ad uno o più dei nostri fattori aggregati, basandosi sul distinguere uno o più di essi da ogni altra cosa. Come una consapevolezza discriminante illusa e disturbante, essa aggiunge certezza a tale distinzione. La considerazione incorretta (prestare attenzione in maniera discordante) accompagna anche questa prospettiva illusa ed è il fattore mentale che effettivamente considera (tiene a mente) il fattore o i fattori aggregati su cui ci si focalizza come le categorie interpolate.
Secondo Tsongkhapa, una prospettiva illusa verso una rete transitoria non si concentra effettivamente sugli aggregati, come spiegano Vasubandhu e Asanga. Secondo il sistema Gelug Prasangika, si concentra sull’“io” convenzionale, che si designa su una rete transitoria dei nostri fattori aggregati. Inoltre il falso “io” a cui si afferra fortemente è anche uno che possiede un’esistenza veramente stabilita.
(2) Una prospettiva estrema (mthar-‘dzin-par lta-ba, mthar-lta) considera i nostri cinque aggregati che perpetuano il samsara in un modo eternalista (rtag-pa) o nichilista (‘chad-pa). Nella sua Grande presentazione degli stadi graduali del sentiero (Lam-rim chen-mo), Tsongkhapa chiarì questo spiegando che una prospettiva estrema è una consapevolezza discriminante illusa e disturbante che si concentra sull’“io” convenzionale che il precedente atteggiamento disturbante aveva identificato con una rete transitoria. Essa considera l’“io” convenzionale nel senso di avere questa identità in modo immutabile oppure nel senso di non avere continuità in vite future. Secondo Vasubandhu, una prospettiva illusa vede i fattori aggregati stessi che producono il samsara nel senso che durano in eterno oppure terminano totalmente alla morte, senza nessuna continuità in vite future.
(3) Considerare suprema una prospettiva illusa (lta-ba mchog-tu ‘dzin-pa, una prospettiva di falsa supremazia) vuol dire considerare suprema una delle nostre prospettive illuse e gli aggregati che perpetuano il samsara basandosi su quale prospettiva illusa viene prodotta. Tsongkhapa specificò che la prospettiva a cui questa consapevolezza discriminante illusa e disturbante mira potrebbe essere la nostra prospettiva illusa di una rete transitoria, la nostra prospettiva estrema, oppure la nostra prospettiva distorta. Secondo Vasubandhu, questo atteggiamento disturbante potrebbe considerare gli aggregati che perpetuano il samsara, in base ai quali una qualunque delle tre prospettive illuse viene prodotta, con l’attenzione discordante per cui sono totalmente puliti per natura oppure una fonte di vera felicità.
(4) Un atteggiamento per cui si mantiene una moralità o condotta illusa come suprema (tshul-khrims-dang brtul-zhugs mchog-tu ‘dzin-pa) considera purificata, liberata, e definitivamente svincolata una certa moralità illusa, una certa condotta illusa, e i fattori aggregati che perpetuano il samsara i quali danno origine alla moralità e alla condotta illusa. Questa prospettiva distorta deriva dal mantenere un punto di vista illuso su una rete transitoria, una prospettiva estrema, o una prospettiva distorta. Esso considera la moralità e la condotta illusa come un sentiero che ci purifica (‘dag-pa) dalla forza karmica negativa (sdig-pa, potenziali negativi), ci libera (grol-ba) dalle emozioni disturbanti, e certamente ci svincola (nges-par ‘byin-pa) dal samsara (la rinascita che ricorre in modo incontrollabile). Esso considera anche gli aggregati che producono il samsara disciplinato da essi come purificati, liberati, e certamente svincolati attraverso la moralità e la condotta illusa.
Tsongkhapa spiegò che la moralità illusa vuol dire sbarazzarsi di qualche insignificante comportamento che è irrilevante rinunciare, come stare eretti su due piedi. La condotta illusa significa vestirsi e utilizzare il nostro corpo e la parola in una maniera irrilevante che non ha alcun senso adottare, come ad esempio la pratica ascetica di stare eretti su un piede nel sole cocente.
(5) Una prospettiva distorta (log-lta, visione falsa) considera una causa effettiva, un effetto reale, un funzionamento effettivo, o un fenomeno esistente come non effettivo o esistente. Pertanto è accompagnato al ripudio, per esempio, del fatto che il comportamento costruttivo e il comportamento distruttivo siano le cause reali di provare felicità e infelicità. Si potrebbe ripudiare il fatto che la felicità e l’infelicità siano gli effetti o i risultati che maturano da forze karmiche positive e negative. Si potrebbe ripudiare il fatto che le vite passate e future effettivamente funzionino; o si potrebbe ripudiare il fatto che l’ottenimento della liberazione e l’illuminazione esistano.
Secondo Tsongkhapa e la scuola Gelug Prasangika, una prospettiva distorta potrebbe anche considerare una causa falsa, un effetto falso, un funzionamento falso, o un fenomeno inesistente come vero o esistente. Pertanto, potrebbe anche essere accompagnato da un’interpolazione, ad esempio, che la materia prima (gtso-bo) del dio indù Ishvara sia la causa o il creatore degli esseri limitati.
Le venti emozioni disturbanti ausiliarie
Le venti emozioni disturbanti ausiliarie derivano dalle tre emozioni velenose del desiderio bramoso, dell’ostilità, o dell’ingenuità.
(1) L’odio (khro-ba) fa parte dell’ostilità ed è l’intenzione severa di causare danno.
(2) Il risentimento (khon-‘dzin) fa parte dell’ostilità e vuol dire serbare rancore. Sostiene l’intenzione di vendicarsi e di rivalersi per il danno che noi o i nostri cari hanno ricevuto.
(3) L’occultamento di aver agito in modo inappropriato (‘chab-pa) fa parte dell’ingenuità e consiste nel nascondere e nel non ammettere, agli altri o a noi stessi, le nostre azioni disdicevoli (kha-na ma-tho-ba). Queste potrebbero essere azioni naturalmente disdicevoli (rang-bzhin-gyi kha-na ma-tho-ba), come l’azione distruttiva di uccidere una zanzara. In alternativa, potrebbero essere azioni disdicevoli proibite (bcas-pa’i kha-na ma-tho-ba) – azioni neutre che il Buddha proibì per certi individui e che abbiamo promesso di non compiere, come mangiare dopo mezzogiorno se siamo un monaco o una monaca pienamente [ordinati].
(4) L’indignazione (‘tshig-pa) fa parte dell’ostilità ed è l’intenzione di parlare in modo oltraggioso, sulla base di odio e risentimento.
(5) L’invidia (phrag-dog) fa parte dell’ostilità ed è un’emozione disturbante che non riesce a sopportare le buone qualità o la buona fortuna degli altri, a causa di un attaccamento eccessivo al nostro guadagno o al rispetto che riceviamo. Pertanto la gelosia non è la stessa cosa della parola italiana invidia. L’invidia desidera, in aggiunta, avere queste qualità o la buona fortuna e spesso ha il desiderio che l’altra persona ne sia privata.
(6) L’avarizia (ser-sna) fa parte del desiderio bramoso ed è un attaccamento al guadagno materiale o al rispetto e, non volendo abbandonare nessun possedimento, si attacca ad essi e non vuole condividerli con gli altri o utilizzarli. Pertanto, l’avarizia ha più significati della parola italiana spilorceria. La spilorceria è semplicemente la reticenza a condividere o utilizzare qualcosa che possediamo. Non ha l’aspetto dell’accumulazione che l’avarizia possiede.
(7) Pretendere (sgyu) fa parte delle categorie del desiderio bramoso e dell’ingenuità. A causa dell’eccessivo attaccamento al nostro guadagno materiale e al rispetto che riceviamo, e attivato dal voler ingannare gli altri, pretendere vuol dire avere la pretesa di esibire o sostenere di avere una buona qualità che non abbiamo.
(8) L’occultamento di difetti o ipocrisia (g.yo) fa parte del desiderio bramoso e dell’ingenuità. A causa dell’eccessivo attaccamento al nostro guadagno materiale e al rispetto che riceviamo, questo è lo stato mentale con cui nascondiamo i nostri difetti e punti deboli dagli altri.
(9) La vanità o compiacimento (rgyags-pa) fa parte del desiderio bramoso. Vedendo segni di lunga vita o di qualunque altra gloria samsarica, basata sull’essere in salute, giovani, ricchi, eccetera, la vanità è una mente tronfia che si sente felice e prova piacere per queste cose.
(10) La crudeltà (rnam-par ‘tshe-ba) fa parte dell’ostilità e ha tre forme.
- Teppismo (snying-rje-ba med-pa) è una crudele mancanza di compassione con cui desideriamo creare danni agli altri.
- Autodistruzione (snying-brtse-ba med-pa) è una crudele mancanza di amor proprio con cui desideriamo causare danno a noi stessi.
- Provare piaceri perversi (brtse-ba med-pa) vuol dire gioire crudelmente quando vedi o senti parlare della sofferenza degli altri.
(11) Non avere un senso morale di dignità personale (ngo-tsha med-pa, nessun senso dell’onore) fa parte di una qualunque delle tre emozioni velenose. È il non voler in nessun modo astenersi da comportamenti distruttivi perché ci interessa di come le nostre azioni si riflettono su noi stessi. Secondo Vasubandhu, questo fattore mentale significa non avere nessun senso dei valori. È una mancanza di rispetto per le qualità positive o per le persone che le possiedono.
(12) Non avere nessun interesse per come le nostre azioni si riflettono sugli altri (khrel-med) fa parte di una qualunque delle tre emozioni velenose. È il non voler in nessun modo astenersi dal comportamento distruttivo perché ci interessa di come le nostre azioni si riflettono su quelli connessi a noi. Queste persone potrebbero includere la nostra famiglia, i maestri, il gruppo sociale, il gruppo etnico, l’ordine religioso, o i concittadini. Per Vasubandhu, questo fattore mentale significa non avere nessuno scrupolo, ed è una mancanza di moderazione dall’essere sfacciatamente negativo. Questo e il fattore mentale precedente accompagnano tutti gli stati mentali distruttivi.
(13) La mente annebbiata (rmugs-pa) fa parte dell’ingenuità. È una sensazione pesante di corpo e mente che rende la mente non chiara, non funzionante, e incapace di dare origine ad un’apparenza cognitiva del suo oggetto o di conoscere correttamente l’oggetto. Quando la mente diventa effettivamente non chiara a causa dell’annebbiamento, questo è il torpore mentale (bying-ba).
(14) La volubilità mentale (rgod-pa) fa parte del desiderio bramoso. È il fattore mentale tale per cui l’attenzione vola dal suo oggetto per ricordarsi o pensare a qualcosa di attraente che invece abbiamo provato in precedenza. Pertanto ci fa perdere la nostra pace mentale.
(15) Mettere in dubbio un fatto (ma-dad-pa) fa parte dell’ingenuità e ha tre forme che sono l’opposto delle tre forme di credere che un fatto sia vero.
- Mettere in dubbio un fatto che si basa sulla ragione, come non credere a causa ed effetto del comportamento.
- Mettere in dubbio un fatto, come le buone qualità dei Tre Gioielli del Rifugio, il che rende la nostra mente offuscata con emozioni e atteggiamenti disturbanti, così diventiamo infelici.
- Mettere in dubbio un fatto, come l’esistenza della possibilità di ottenere la liberazione, tale per cui non abbiamo alcun interesse in essa e nessuna aspirazione ad ottenerla.
(16) La pigrizia (le-lo) fa parte dell’ingenuità. Con la pigrizia, la mente non vuole impegnarsi in qualcosa di costruttivo perché si attacca ai piaceri del sonno, del coricarsi, del rilassarsi, eccetera. Ce ne sono di tre tipi:
- Letargia e procrastinazione (sgyid-lugs), non sentire di voler fare qualcosa di costruttivo ora, rimandandolo a più tardi a causa dell’apatia verso le sofferenze del samsara che ricorrono in modo incontrollabile, attaccandosi ai piaceri dell’essere indolente, o di desiderare il sonno come una fuga.
- Aggrapparsi a cose o attività negative o insignificanti (bya-ba ngan-zhen), come scommettere, bere, amici che sono una cattiva influenza su di noi, andare a feste, eccetera.
- Sentimenti di inadeguatezza e scoraggiamento (zhum-pa).
(17) Non aver cura (bag-med, negligenza, avventatezza). Basata sul desiderio bramoso, sull’ostilità, l’ingenuità, o la pigrizia, non aver cura è lo stato mentale per cui non ci impegniamo in nessuna cosa costruttiva e non ci asteniamo da attività contaminate dalla confusione. Significa non prendere sul serio e pertanto non aver cura degli effetti del nostro comportamento.
(18) Dimenticare (brjed-nges). Basato sul ricordo di qualcosa verso il quale abbiamo un’emozione o atteggiamento disturbante, dimenticare vuol dire perdere il nostro oggetto di concentrazione tale per cui divaghiamo verso tale oggetto disturbante. Dimenticare un oggetto di concentrazione funge da base per la divagazione mentale (rnam-par g.yeng-ba).
(19) Non essere svegli (shes-bzhin ma-yin-pa) è una consapevolezza discriminante illusa e disturbante associata al desiderio bramoso, l’ostilità, o l’ingenuità, che ci fa entrare in attività mentali, verbali, o fisiche inappropriate senza conoscere correttamente cosa è appropriato e cosa non lo è. Pertanto non facciamo nulla per prevenire o correggere il nostro comportamento inappropriato.
(20) La divagazione mentale (rnam-par g.yeng-ba) fa parte del desiderio bramoso, dell’ostilità, o dell’ingenuità. È il fattore mentale che a causa di qualunque emozione velenosa fa distrarre la nostra mente dal suo oggetto di concentrazione. Se siamo distratti per via del desiderio bramoso, l’oggetto del nostro desiderio non deve necessariamente essere qualcosa con cui abbiamo già familiarità, come nel caso della volubilità mentale.
I quattro fattori mentali mutevoli
Asanga elencò quattro tipologie di fattori mentali che hanno uno stato etico mutevole. Possono essere costruttivi, distruttivi, o non specificati, in base allo stato etico della cognizione con cui condividono cinque caratteristiche congruenti.
(1) Il sonno o la sonnolenza (gnyid) fa parte dell’ingenuità. Il sonno è un estraniamento dalla cognizione sensoriale, caratterizzato da una sensazione fisica di pesantezza, debolezza, stanchezza, e oscurità mentale. Ci fa smettere le nostre attività.
(2) Il rammarico (‘gyod-pa) fa parte dell’ingenuità. È lo stato mentale che non desidera ripetere qualcosa, che sia appropriata o inappropriata, che abbiamo fatto o che qualcun altro ci ha fatto fare.
(3) L’individuazione grossolana (rtog-pa) è il fattore mentale che esamina qualcosa in modo grossolano, come esaminare se ci sono errori in una pagina.
(4) Il discernimento sottile (dpyod-pa) è il fattore mentale che verifica accuratamente per discernere dettagli specifici.
Fattori mentali che non rientrano nelle categorie di cui sopra
Poiché l’afferrarsi alla vera esistenza (bden-‘dzin) inserisce un modo impossibile di esistenza nel suo oggetto, non è né una mente primaria né un fattore mentale, sebbene potrebbe accompagnare entrambi. Inoltre, poiché non è un fattore mentale, non è nemmeno un’emozione o atteggiamento disturbante.
Secondo la spiegazione Gelug Prasangika, l’afferrarsi alla vera esistenza accompagna tutti i momenti di cognizione concettuale e non concettuale, ad eccezione della cognizione non concettuale della vacuità di un arya. Inoltre non accompagna il momento di cognizione concettuale della vacuità di qualcuno con una mente-sentiero dell’applicazione (sbyor-lam, sentiero della preparazione) il momento prima che lui o lei ottiene una mente-sentiero del vedere (mthong-lam, sentiero del vedere) con una cognizione non concettuale della vacuità. Durante la cognizione mentale e quella sensoriale non concettuale, l’afferrarsi alla vera esistenza non è manifesta (mngon-gyur-ba). Secondo i libri di testo Jetsunpa (rJe-btsun Chos-kyi rgyal-mtshan), è presente come una consapevolezza subliminale (bag-la nyal), che è ancora un modo di essere consapevoli di qualcosa. Secondo i libri di testo Panchen, è presente soltanto come un’abitudine costante (bag-chags), che non è un modo di essere consapevoli di qualcosa, ma al contrario è una variabile incidente non congruente. Secondo le presentazioni Madhyamaka non-Gelug, sebbene le abitudini dell’afferrarsi alla vera esistenza siano presenti durante la cognizione mentale e quella sensoriale non concettuale, l’afferrarsi non è presente. Secondo le affermazioni Karma Kagyu, l’afferrarsi alla vera esistenza non è nemmeno presente durante il primo momento di cognizione concettuale.
In maniera simile, la consapevolezza profonda dell’assorbimento totale sulla vacuità (mnyam-bzhag ye-shes) e la consapevolezza profonda dell’ottenimento successivo (rjes-thob ye-shes, saggezza post-meditativa) non sono né menti primarie né fattori mentali, sebbene possano accompagnare entrambi. Questo perché non sono semplicemente modi di essere consapevoli dei loro oggetti; essi confutano inoltre la vera esistenza di essi.