Impedire che i preliminari di mahamudra si appiattiscano

Le ragioni per cui i preliminari si appiattiscono

Le persone impegnate nelle pratiche preliminari trovano che a volte si appiattiscono. La colpa principale risiede nella motivazione e la misura principale per evitare che ciò accada è riaffermare continuamente le nostre ragioni per impegnarci nei preliminari. Se, come occidentali, li eseguiamo come se fossero un dovere, come degli ordini militari, allora diventeranno sicuramente molto piatte o anche se semplicemente eseguiamo i movimenti meccanicamente senza alcuna comprensione o sensazione del motivo per cui li stiamo facendo le pratiche si appiattiscono. D'altra parte, sebbene possano esserci diversi livelli di motivazione spirituale, se cerchiamo sinceramente di sviluppare un cuore dedito di bodhicitta, siamo sempre consapevoli delle difficoltà che gli altri stanno vivendo e sentiamo profondamente il desiderio di poter fare qualcosa di costruttivo per aiutarli. Questo ci spinge ad agire per svilupparci pienamente e il modo per iniziare è attraverso i preliminari. Un simile atteggiamento rende le nostre pratiche preliminari vitali e importanti per il nostro obiettivo.

A volte però, pur avendo una motivazione giusta e sincera, gonfiamo eccessivamente i preliminari solidificandoli nella nostra mente in qualcosa di mostruoso, "là fuori". Potremmo quindi cadere in uno dei due estremi. Il primo è considerare i preliminari con un atteggiamento distorto e antagonista, solitamente tradotto come “visione sbagliata”, li denigriamo e li respingiamo, pensando che siano una perdita di tempo. Riteniamo che siano solo per principianti, non per noi e quindi dovremmo andare direttamente alla pratica principale di mahamudra.

L’altro estremo è quello di fare un enorme dramma, come se fossero usciti da un mito greco: Ercole che pulisce le stalle frigie da secoli di letame accumulato. Sopraffatti dalla prospettiva di ripulire la nostra mente da tutta la spazzatura mentale, sentiamo che non arriveremo mai da nessuna parte. Un simile atteggiamento trasforma i preliminari in uno spettacolo dell'orrore, e ovviamente falliamo perché ci scoraggiamo immediatamente sentendo che non potremo mai fare alcun progresso.

Essere creativi con le pratiche preliminari

Si trovano molti tipi diversi di pratiche preliminari menzionati nei testi. Sebbene esistano elenchi e istruzioni per quattro, cinque, otto o nove preliminari classici, qualsiasi tipo di azione positiva ripetuta può funzionare come preliminare, se abbiamo la giusta motivazione. Ad esempio, una volta c’era un discepolo del Buddha estremamente lento di mente e incapace di comprendere o ricordare qualsiasi cosa gli fosse stata insegnata. Ma aveva il sincero desiderio di imparare e migliorare. Cosa fece Buddha? Ordinò al ragazzo di spazzare il tempio, giorno dopo giorno, ripetendo "Sparisci sporcizia, sparisci sporcizia!" e fece in modo che il tempio fosse sempre pieno di polvere. Questa fu la pratica preliminare che Buddha stabilì per questo discepolo. A poco a poco, il ragazzo ottuso riuscì a capire che lo sporco che stava cercando di spazzare via era, in realtà, la confusione nella sua mente; ben presto fu in grado di comprendere tutto e divenne un arhat, un essere liberato.

Per nove anni ho avuto il privilegio di essere il traduttore e il segretario del mio defunto insegnante, Tsenshap Serkong Rinpoche. Spesso scherzavo dicendo che la mia pratica preliminare era quella di scrivere centomila lettere e fare centomila telefonate per suo conto, aiutandolo a organizzare i suoi viaggi di insegnamento in giro per il mondo. Sebbene in un certo senso questo potesse essere uno scherzo, penso anche che fosse del tutto vero. Svolsi con gioia questi compiti e tradussi per lui nel miglior modo possibile perché vidi che questo era il modo più efficace per essere di beneficio agli altri, vale a dire aiutare il mio guru a insegnare. Sicuramente un simile atteggiamento ha trasformato quella miriade di lettere e chiamate in un metodo per indebolire gli ostacoli e sviluppare forza positiva e potenzialità per diventare in seguito un insegnante io stesso.

L’importante dei preliminari non è la forma che assumono, ma il processo che con essi cerchiamo di intraprendere. Il fattore più cruciale non sono i contenuti o la struttura delle pratiche, ma lo stato mentale sperimentato prima, durante e dopo di esse. In quest'ottica, anche cambiare centomila volte i pannolini sporchi del nostro bambino può diventare una pratica preliminare molto profonda; dobbiamo essere pratici e creativi. Non tutti hanno il tempo di fare centomila prostrazioni e, sicuramente, essere una madre che si prende cura responsabilmente del proprio bambino non dovrebbe essere di per sé un ostacolo che impedisce la pratica e il progresso spirituale. Dobbiamo capirne l'essenza.

Cosa facciamo quando cambiamo continuamente i pannolini del bambino? Se guardiamo la cosa dal punto di vista della costruzione e della pulizia – sinonimo tibetano di pratiche preliminari – ci stiamo purificando da certi atteggiamenti negativi. Stiamo cioè lavorando per superare la pigrizia e l'egoismo con cui potremmo pensare "Non voglio toccare la sporcizia di qualcun altro. Non voglio sporcarmi le mani". Diminuire questo atteggiamento ci aiuta anche ad attenuare la forza del blocco mentale con cui non vogliamo toccare o essere coinvolti nei problemi personali degli altri perché, in senso figurato, anche noi non vogliamo sporcarci le mani. Inoltre, stiamo costruendo una forza positiva. Nel processo di attenzione ai bisogni del nostro bambino sviluppiamo sempre più capacità e volontà di prenderci cura degli altri in futuro.

Trasformare tutte le attività in un sentiero spirituale

La pratica dei preliminari non si limita soltanto alle prime fasi del nostro percorso spirituale per poi terminare: dobbiamo continuare a purificarci dagli ostacoli e ad accumulare forza positiva lungo tutto il percorso. Continuiamo il processo finché non raggiungiamo il nostro obiettivo di diventare totalmente purificati e pienamente abilitati a utilizzare tutti i nostri potenziali per essere di beneficio agli altri. Poiché si tratta di un processo fondamentale e a lungo termine, è importante rendersi conto che, con un atteggiamento e una motivazione adeguati, possiamo trasformare qualsiasi atto ripetitivo, positivo o neutro che compiamo a casa o in ufficio in un preliminare efficace per eliminare i blocchi mentali e sviluppare forza positiva.

In molti testi buddhisti classici leggiamo come possiamo trasformare anche le attività più mondane in un percorso spirituale. Ad esempio, quando entriamo in una stanza potremmo immaginare che ci stiamo liberando dal samsara o dalle rinascite ricorrenti e incontrollabili, e che stiamo entrando nel nirvana, uno stato di liberazione e libertà dalla sofferenza. Possiamo anche immaginare di portare tutti con noi. Dobbiamo essere creativi con gli insegnamenti del Dharma e applicare questo principio alle circostanze della nostra vita personale e trasformare tutto ciò che facciamo in un preliminare.

Se come lavoro compiliamo documenti tutto il giorno in ufficio e lo troviamo noioso, privo di significato e lo odiamo, ne ricaveremo poco oltre a un po’ di denaro, mal di testa e molta frustrazione. La stessa cosa può essere vera nel fare prostrazioni ripetute: non ne ricaveremo molto se le consideriamo come uno spiacevole dovere lavorativo a cui siamo obbligati. Avremo solo mal di schiena e niente soldi! Ma se tutto il giorno scriviamo al computer con l’atteggiamento “Sto rendendo le cose chiare per agevolare una comunicazione efficace” non importa quanto banali siano i contenuti di ciò che stiamo scrivendo: è il processo ad essere importante, stiamo rendendo qualcosa di chiaro e disponibile per la comunicazione agli altri. Con un tale atteggiamento e motivazione, la nostra routine quotidiana in ufficio funziona efficacemente come pratica preliminare.

Per essere creativi con gli insegnamenti buddhisti, dobbiamo mettere insieme tutto ciò che abbiamo imparato. In questo esempio di trasformare il nostro lavoro d'ufficio in una pratica preliminare, combiniamo gli insegnamenti sulla costruzione e sulla purificazione con la linea guida di mahamudra di non lasciarci coinvolgere dai contenuti della nostra esperienza, restando semplicemente nel processo. Lo combiniamo al lojong – i metodi per purificare i nostri atteggiamenti o “allenamento mentale” con cui trasformiamo le situazioni negative in situazioni positive che favoriscono la pratica. Quando integriamo diverse parti degli insegnamenti in questo modo, possiamo capire da soli le risposte su come applicare il Dharma alla vita quotidiana. Questo è il modo in cui rendiamo la nostra pratica buddhista viva mantenendo la freschezza del nostro interesse.

Stabilire e rafforzare le due reti che costruiscono l’illuminazione

Un'altra possibile ragione per cui la nostra pratica dei preliminari, e del Dharma in generale, si appiattisce è perché ci stiamo avvicinando alla creazione e al rafforzamento delle due reti di forza positiva e consapevolezza profonda che costruiscono l'illuminazione, come se stessimo facendo una raccolta di bollini al supermercato: ad ogni acquisto accumuliamo sempre più timbri che e alla fine, quando avremo abbastanza punti, possiamo utilizzarlo per avere in premio un elettrodomestico da cucina. Così quando usiamo tempo ed energia nel fare prostrazioni ripetute, sentiamo che è come spendere soldi al supermercato per ottenere più bollini che non hanno alcuna utilità o rilevanza per la nostra vita in questo momento, ma possono essere utilizzati in seguito per avere l’illuminazione come premio.

Possiamo mangiare ciò che acquistiamo al supermercato ma, con l'atteggiamento spiegato sopra, non vediamo alcun effetto immediato dalle prostrazioni, tranne il dolore alle ginocchia e alla schiena. Tuttavia, quando trasformiamo ogni azione della nostra giornata, soprattutto quelle ripetitive, in una pratica preliminare, otteniamo anche il beneficio immediato che ogni momento della nostra giornata diventa significativo. La qualità della nostra vita migliora proporzionalmente e diventiamo più felici, sentendo che non stiamo mai perdendo tempo. Questo sentimento positivo di autostima rafforza il nostro entusiasmo per i preliminari classici come le prostrazioni. In questo modo, integrando tutti gli insegnamenti in modo da applicarli alla vita quotidiana, la nostra pratica dei preliminari non si appiattisce.

Integrare gli insegnamenti di Dharma

È un processo molto emozionante e stimolante cercare di integrare tutto ciò che abbiamo ascoltato in merito al Dharma e scoprire ulteriori implicazioni. Uno dei maggiori benefici derivanti dall'aver ascoltato, letto e studiato approfonditamente gli insegnamenti del Buddha è che otteniamo tutti i pezzi del "puzzle del Dharma". Ora possiamo realisticamente metterli insieme. La bellezza è che i pezzi non si uniscono semplicemente in un modo statico, come il puzzle illustrato di un bambino, ma ogni pezzo si inserisce l'uno nell'altro in una miriade di modi. L'interconnessione è molto più multidimensionale e in espansione dinamica rispetto a quella del World Wide Web (www) di internet.

I sutra mahayana offrono bellissime immagini di questa interconnessione di tutti gli aspetti del Dharma, descrivono scene di miliardi di campi di Buddha in miliardi di universi di Buddha, con ciascun campo che compenetra tutti gli altri e ciascuno contenente miliardi di Buddha. In ciascuno dei miliardi di pori di ciascuno di questi Buddha c’è un altro un miliardo di campi di Buddha, nei quali si riflette anche ogni altro campo. Spesso ci sentiamo in imbarazzo quando leggiamo queste descrizioni se siamo buddhisti occidentali, per il fatto che le scritture contengono sezioni così fiorite e apparentemente assurde. Decidiamo di non volerne leggere altri.

Ma questi sutra, in effetti, presentano una magnifica immagine di come tutti gli insegnamenti si inseriscono e si compenetrano a vicenda. In ogni insegnamento di ogni aspetto del Dharma possiamo vedere riflesso ogni altro aspetto degli insegnamenti. Proprio come miliardi di universi di Buddha possono coesistere in ogni minuscolo poro di un Buddha allo stesso modo miliardi di insegnamenti del Buddha possono coesistere in ogni parola di Dharma. Tutto è in relazione e si combina insieme, come l'immagine della rete di Brahma in cui ogni intersezione di fili contiene uno specchio che riflette ogni altro specchio della rete.

Non possiamo davvero apprezzare queste immagini semplicemente leggendole ma solo mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle del Dharma: lentamente l'immagine comincia ad emergere esattamente come descritta nei sutra mahayana. Questo è il modo per ravvivare i nostri preliminari. Cerca di vedere ogni aspetto del Dharma riflesso in ogni piccola partedi essi e rendendo ogni cosa nella vita una pratica preliminare.

Se prendiamo sinceramente la direzione della nostra vita nel Dharma siamo fiduciosi che ha senso tutto ciò che il Buddha ha insegnato, non necessariamente a livello letterale ma in quanto conduce a un livello di significato più profondo, utile per liberarci dalla sofferenza e consentirci di aiutare più efficacemenete gli altri a raggiungere lo stesso obiettivo. Con questo atteggiamento dinamico e pragmatico verso il Dharma cerchiamo di scoprire cosa intendeva Buddha con tutti i suoi insegnamenti e vedere come potrebbero essere rilevanti per il nostro percorso spirituale personale. Se Buddha insegnò qualcosa, intendeva sicuramente che fosse di beneficio agli altri, compresi noi stessi.

Permettetemi di parafrasare un'istruzione guida di Tsenshap Serkong Rinpoche. Di tanto in tanto, uno dei suoi studenti occidentali si lamentava con lui di alcune delle cosiddette "storie fantastiche" presenti negli insegnamenti sul karma, come la descrizione dell'uomo che era sempre seguito da un elefante che defecava l'oro. A causa della sua infinita ricchezza, era costantemente tormentato da persone gelose che cercavano di rubare la bestia meravigliosa. Ma non importa quanto l'uomo infastidito cercasse di dare via o perdere l'elefante, l’animale sarebbe scomparso nel terreno dove l'aveva lasciato e riemerso sempre proprio dietro di lui. Serkong Rinpoche diceva “Se Buddha avesse voluto scrivere una bella storia, avrebbe certamente potuto inventare una storia molto migliore di quella! Buddha ha dato questo esempio per insegnarci qualcosa. Non limitatevi a leggerlo alla lettera, c'è un significato sotteso. Cercate di capirlo da soli”.

La risposta di Rinpoche indica anche come un insegnante buddhista imposta il tono appropriato per la relazione più vantaggiosa con un discepolo. Un maestro abile organizza semplicemente le circostanze affinché possiamo crescere. “Ecco i pezzi del puzzle. Metteteli insieme. Lo scoprirete da soli”, insegnando in questo modo un maestro spirituale aiuta il discepolo a non rimanere intrappolato, fissato e dipendente da lui o lei. Il punto importante è che il discepolo si concentri sul processo di mettere insieme tutti gli insegnamenti dandone un senso, il maestro fornisce le informazioni, le circostanze e forse l'ispirazione affinché il discepolo possa ottenere intuizioni e realizzazioni. L'obiettivo principale è sempre la crescita spirituale del discepolo.

Evitare di infatuarsi degli insegnamenti

Mettere insieme i vari pezzi degli insegnamenti del Dharma e cercare di comprendere il significato più profondo di ogni aspetto può essere un'esperienza molto edificante. Ma dobbiamo stare attenti a non cadere nell'estremo di sentirci sopraffatti dallo stupore "È tutto così bello". Se ci infatuiamo degli insegnamenti possiamo facilmente avviarci su un sentiero verso ciò che i sutra mahayana chiamano “stato di arhat hinayana”. Gli arhat sono esseri liberati che si sono liberati dalle rinascite ricorrenti e incontrollabili piene di problemi. Sebbene le scuole hinayana oggi vive, come la moderna Theravada, non sarebbero d'accordo, gli antichi sutra mahayana caratterizzano tali esseri come così rapiti dalla loro libertà da perdere completamente di vista la sofferenza degli altri e quindi rimanere in uno stato beato di inazione persi, per così dire, nella beatitudine del nirvana. I theravadin obietterebbero che, poiché un arhat è liberato da tutte le emozioni disturbanti, non avrebbe certamente alcun attaccamento alla beatitudine del nirvana. I mahayanisti risponderebbero che il problema non è l’attaccamento ma che gli arhat non hanno un interesse per gli altri sufficientemente forte da poter superare l'inerzia di rimanere in uno stato di riposo.

In ogni caso, indipendentemente da come etichettiamo questa posizione estrema e dal fatto che un arhat theravada la sperimenti effettivamente o meno, saremmo tutti d'accordo sul fatto che l'incanto per la bellezza di come gli insegnamenti si incastrano tra loro non fa certamente parte del percorso verso la Buddhità. Quando però il nostro apprezzamento per la bellezza del Dharma ci porta a dire "Quanto è magnifico poter aiutare gli altri!" ci troviamo su una base molto più stabile lungo il sentiero. Questa è una distinzione importante.

È molto facile lasciarsi sedurre da quello che qui chiamiamo un “sentiero in stile arhat”. Iniziamo a vedere e comprendere tante cose profonde ed è tutto molto bello. La nostra mente diventa così serena ed elevata che non vogliamo alzarci dal nostro sedile di meditazione, è estremamentee piacevole ed estasiante semplicemente sedersi con la testa tra le nuvole, è come essere sotto l'influenza di una droga narcotica; perdiamo ogni consapevolezza di qualsiasi altra cosa. Questo è un grande pericolo.

Cosa può risvegliarci da quello stato di estasi? Se rispondiamo "Un sentimento di compassione, il pensiero degli altri", e poi pensiamo che la nostra familiarità con la compassione derivante dalla meditazione precedente sia sufficiente a far sorgere un sentimento di preoccupazione per gli altri, potremmo ancora avere difficoltà. Alcuni meditatori – ad esempio, della tradizione Zen – sperimentano la compassione che sorge naturalmente come parte della loro natura di Buddha, ma la maggior parte dei praticanti ha bisogno di una circostanza per innescare il sorgere della compassione in in quello stato. Potremmo rimanere delusi se pensiamo che il semplice richiamo nella nostra immaginazione di tutti gli esseri sofferenti sia sufficiente per generare preoccupazione amorevole in quello stato. Generare concettualmente un pensiero per gli altri sembra così artificiale in quello stato di estasi che ci manca l'energia sufficiente per sentirci ispirati dalla compassione attraverso una visualizzazione. In realtà agisce come una circostanza molto più efficace per generare compassione e ciò che, di fatto, ci risveglia dalla nostra comoda seduta di meditazione vedere o ascoltare gli altri, incontrarli direttamente e non solo concettualmente nella nostra immaginazione.

Se diamo uno sguardo alle storie classiche dei bodhisattva e dei mahasiddha – coloro che intendono raggiungere l’illuminazione per beneficiare gli altri e coloro che hanno ottenuto reali risultati – dove meditavano una volta raggiunto un livello stabile di realizzazione? Agli incroci trafficati, nei luoghi dove c’erano persone: non si limitavono a ritirarsi e a rimanere per sempre in una grotta isolata. Se andiamo in un ritiro in alta montagna e decidiamo di rimanere lì finché non completiamo il nostro sentiero spirituale, potremmo non voler mai più tornare giù. Ma saremo più facilmente spinti ad aiutare gli altri direttamente se, una volta che la nostra meditazione diventa stabile, meditiamo ulteriormente in un luogo pieno di traffico, dove ci sono costantemente persone intorno a noi che possiamo vedere e sentire chiaramente.

Dobbiamo stare molto attenti, tuttavia, a come intendiamo l'essere risvegliati dalla compassione quando siamo in uno stato meditativo. Non è come svegliarsi da un sonno delizioso e provare risentimento perché il nostro riposo è stato disturbato. Se meditiamo correttamente non saremo profondamente attaccati al nostro stato meditativo, anche se potremmo esserne estasiati. L’attaccamento alla propria serenità e l’insufficiente consapevolezza degli altri sono due ostacoli distinti che non necessariamente si accompagnano. Se abbiamo superato i livelli più grossolani di attaccamento non sperimentiamo alcun risentimento o senso di perdita quando ci alziamo dal nostro assorbimento meditativo rinnovando la nostra consapevolezza degli altri e la compassione che induce.

Inoltre, esiste una distinzione sottile ma estremamente importante tra l'essere beatamente elevati e sereni e l'essere "distratti", con la testa tra le nuvole. Il primo è uno stato mentale chiaro, fresco e vigile, mentre il secondo è una sottile forma di ottusità. La mente può essere chiara su come tutti gli insegnamenti si incastrano insieme e avere una buona comprensione e una concentrazione stabile, ma non è fresca se è rapita da questa realizzazione e ciò è dovuto, ancora una volta, a una carenza di consapevolezza che, piuttosto che essere consapevolezza degli altri, è consapevolezza dello stato della nostra mente e attenzione a riportare l’attenzione al "qui e ora" se è diventata stantia.

Uno stato mentale sereno, elevato e beato, quindi, non è necessariamente un ostacolo all’aiutare gli altri. Se è fresco può rispondere ad ogni momento degli avvenimenti della vita. Non si traduce necessariamente in un sorriso idiota sul nostro volto nonostante la sofferenza degli altri. Una mente di estasi "distratta", d'altro canto, è ottusa e insensibile sia al mondo che al proprio stato, porta all'indifferenza, ad avere "la testa tra le nuvole" e semplicemente non reagiamo a nulla. Così Tsongkhapa sottolinea più e più volte che la sottile ottusità mentale è il pericolo più grande per una corretta meditazione perché è facile confonderla con shamatha – una mente serenamente calma e stabile, a volte tradotta come “quiescenza mentale” o “calma dimorante”.

Lo stesso pericolo di estasi può verificarsi quando ci concentriamo sulla natura della mente nella meditazione mahamudra; potremmo semplicemente voler restare lì concentrati e non alzarci. Per evitare questo rischio, gli insegnamenti mahamudra enfatizzano la realizzazione dell'inseparabilità di apparenza e mente. Ciò che qui è significativo non è l’apparenza del muro davanti a noi, ma quella delle persone sofferenti davanti ai nostri occhi. Quando pratichiamo correttamente mahamudra possiamo meditare sulla natura della mente e della realtà pur essendo coinvolti nell'aiutare gli altri; non rimaniamo semplicemente concentrati sulla mente stessa, ma sulla sua natura di essere inseparabile dall'apparenza. Mantenere un equilibrio, quindi, tra mente e apparenza nella nostra pratica è molto delicato e assolutamente cruciale.

Quindi non ci sono solo ostacoli o blocchi mentali che ci impediscono di entrare in stati meditativi, ma anche ostacoli che ci fanno andare troppo oltre e ci impediscono di combinare i nostri stati meditativi con la vita ordinaria. Questo è un altro modo per dire che non ci sono solo ostacoli che impediscono la nostra realizzazione del livello più profondo della realtà ma anche ostacoli che ci impediscono di vedere quel livello contemporaneamente a quello convenzionale. Questi sono inclusi rispettivamente tra gli ostacoli che impediscono la liberazione e l'onniscienza. Un rapporto adeguato con un maestro spirituale può essere molto efficace per aiutarci a superare entrambi i tipi di blocchi. Ciò è particolarmente vero se ci prendiamo effettivamente cura del nostro insegnante: non possiamo semplicemente stare seduti e meditare pensando "Che bello!" ma dobbiamo alzarci e preparare il tè o rispondere al telefono.

Lo stesso vale nella nostra vita ordinaria; prenderci cura della nostra famiglia può avere lo stesso scopo benefico del prenderci cura del nostro maestro spirituale. Se nella vita quotidiana siamo continuamente interrotti e ci viene chiesto “Prepara la cena! Dammi un bicchiere d'acqua! Fai questo, fai quello!” possiamo trasformarlo in qualcosa di spiritualmente utile, rendendola una pratica preliminare utile per superare un ostacolo che potrebbe sorgere più avanti nel sentiero – l’ostacolo del voler semplicemente stare seduti sul cuscino di meditazione, sentirci beati e non alzarci.

Praticando questo tipo di trasformazione degli atteggiamenti, iniziamo ad apprezzare ad un altro livello come la gentilezza degli altri esseri superi di gran lunga la gentilezza dei Buddha. Il semplice fatto di vedere un altro essere sofferente ci porta a maggiori progressi nello sviluppo della compassione e nel vedere simultaneamente i livelli più profondi e convenzionali della realtà rispetto al vedere tutti i Buddha. La gentilezza degli altri nel chiederci di fare qualcosa per loro non ha paragoni. Come Shantideva espresse succintamente “Niente compiace maggiormente i bodhisattva che venga chiesto loro di fare qualcosa per gli altri”.

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