L’importanza di una corretta consapevolezza discriminante della vacuità

Una breve introduzione al monastero di Nalanda

Oggi siamo qui presso il monastero di Nalanda in Francia. Nell’antica India esisteva il monastero di Nalanda, o Shri Nalanda in sanscrito, che significa il grande e prefetto monastero di Nalanda. Lì studiarono e insegnarono molti grandi maestri, a partire da Nagarjuna e dal grande Chandrakirti e gli insegnamenti fiorirono notevolmente. È di grande auspicio che questo monastero abbia lo stesso nome e che ci sia un sangha di monaci completamente ordinati, monaci e monache novizie. Qui avete l’opportunità di studiare e lavorare per raggiungere il progresso spirituale, studiando il Dharma in generale e, più in particolare, il Mahayana, le misure spirituali di vasta portata. All’interno del Mahayana si studia la vetta degli insegnamenti, la visione profonda della realtà, la vacuità secondo la scuola Madhyamaka Prasangika. Inoltre, state seguendo le pratiche del tantra e quindi un sentiero che integra completamente sutra e tantra.  

Recentemente avete avuto la fortuna di essere onorati dalla visita di Sua Santità il Dalai Lama, Avalokiteshvara in persona, e ora mi avete invitato a essere qui oggi. Mi considero molto fortunato e sono felice di essere qui con voi. 

Anticamente ebbero luogo diversi dibattiti nel monastero di Nalanda, per esempio il dibattito tra Chandrakirti e Chandragomin su varie questioni relative ai principi svatantrika. In questo monastero vissero anche i grandi Naropa e Maitripa; vari resoconti narrano che gli insegnamenti del Buddha erano detenuti da maestri che stazionavano alle porte del monastero e che dibattevano con i vari oppositori delle tradizioni non buddhiste che arrivavano dalle porte est, ovest, nord o sud. 

Non solo c’erano eccellenti studiosi e maestri buddhisti, ma in generale tutti gli studiosi dell’epoca erano riuniti in quell’area. Le persone andavano soprattutto a Nalanda per la loro formazione e studiare i testi scritturali e i vari classici. Quando si verificavano alcune dispute filosofiche a volte le persone lasciavano il monastero, ma rimanevano nelle città vicine. Queste città, l’intera area intorno a Nalanda, possono essere visitate ancora oggi come la sede di questo famosissimo monastero. 

Non è necessario descrivere ulteriormente tutti i resoconti storici di ciò che accadde in questo grande monastero tuttavia, in generale, vi furono composti diversi grandi classici e i loro commenti. In particolare, però, a Nalanda era presente anche uno dei maestri più importanti, il grande Shantideva, eccezionale sotto tutti i punti di vista. È lì che scrisse il Bodhisattvacharyavatara, Impegnarsi nella condotta del bodhisattva.  

La radice, l’impegno e i quattro

Il Bodhisattvacharyavatara è composto da dieci capitoli e, sebbene contenga tutti i significati dei Sutra prajnaparamita, Shantideva non la compose per diventare famoso come grande maestro di tutta questa letteratura. Egli sviluppò un cuore devoto di bodhicitta e, sulla base di ciò, compose questo testo per poter beneficiare tutti gli esseri. Con modestia, tuttavia, lo stesso Shantideva spiega all’inizio:

(I.2) Non ho nulla da dire qui che non sia già stato detto e non ho alcuna abilità nel comporre versi; eppure, sebbene sia privo persino del pensiero di aiutare gli altri, ho composto questo testo per familiarizzare la mia mente. 

Egli compose questo testo con tale presentazione umile, includendovi una grande quantità di materiale concepito specificamente per la pratica personale. 

Mi è stato chiesto di insegnare il nono capitolo che riguarda la saggezza, ovvero la consapevolezza discriminante della vacuità. È di grande auspicio poterlo insegnare nel monastero di Nalanda, che prende il nome dal monastero originario in cui Shantideva visse e compose questo testo. 

In generale, quando parliamo della visione profonda della vacuità utilizziamo tre testi principali come fonti noti come “la radice, l’impegno e i quattro”. “Radice” si riferisce a Strofe radice del Madhyamaka, chiamate consapevolezza discriminante del grande maestro Nagarjuna. “Impegno” non si riferisce necessariamente a Madhyamakavatara, Impegnarsi in Madhyamaka, di Chandrakirti. “Impegno” può anche riferirsi al nostro testo, Impegnarsi nella condotta del bodhisattava di Shantideva. Infine, “quattro” si riferisce al Trattato delle quattrocento strofe di Aryadeva. Il testo di Shantideva, quindi, è una delle principali fonti indiane sulla vacuità.

Una panoramica del Bodhisattvacharyavatara

Impegnarsi nella condotta del bodhisattva, come detto, è diviso in dieci capitoli. Il primo capitolo parla dei benefici dello sviluppo di un cuore dedito a bodhicitta, il secondo introduce i benefici dell’ammettere apertamente i torti commessi o della confessione, il terzo tratta del prendersi cura di questo cuore dedito. Questo è seguito dai capitoli sulla vigilanza, pazienza, perseveranza, concentrazione, consapevolezza discriminante o saggezza, e il capitolo finale della dedica. 

Il commentario di Kunu Lama Rinpoce

C’è un commentario al primo di questi capitoli, i benefici dello sviluppo di bodhicitta con cui si dedica il proprio cuore agli altri e all’illuminazione, del grande Kunu Lama Rinpoce. Anche questo è un testo inconcepibilmente grande. Kunu Lama Rinpoce compose una strofa di quattro righe su bodhicitta ogni giorno per un anno intero, senza mai mancare un giorno, componendo in tal modo questo grande testo. Alcune persone lo recitano come parte della loro pratica quotidiana senza mancare mai un giorno, proprio come altri possono fare una meditazione quotidiana sulla vacuità senza mai perdere un giorno.  

Ci sono molti testi aggiuntivi sui benefici di bodhicitta trovati tra i sutra e i loro commentari che sono stati tradotti in tibetano e tutti i loro punti sono incorporati in questo commentario. 

Nel suo commento, Kunu Lama Rinpoce fa riferimento a un punto del testo di Shantideva che ci consiglia di guardare più e più volte il Compendio dei sutra e il Compendio degli addestramenti. Quando i maestri chiesero a Shantideva riguardo a questi, egli disse che c’erano questi testi aggiuntivi che aveva composto, scritti in caratteri minuscoli su pagine molto piccole che aveva nascosto affinché fossero trovati in seguito. Allo stesso modo, questo commento di Kunu Lama Rinpoce sui benefici di bodhicitta è stato trovato così nascosto, avvolto in molti pezzi di stoffa e stringhe come un lenzuolo indiano arrotolato, trovato in una scatola su piccoli pezzi di carta scritto in caratteri minuscoli.

Quando siamo fuggiti dal Tibet, eravamo molto poveri e non abbiamo portato con noi molte cose, ma siamo riusciti a portare questo commentario; Gen Gosar ha suggerito che sarebbe stato bene stamparlo e pubblicarlo, e così è stato. In Dalhousie, c’era un grande ghesce erudito, Treu Gyupon Rinpoce dal monastero di Drepung, e gliene offrii una copia. Era un maestro così realizzato che non aveva bisogno di vedere e leggere tale testo tuttavia, per motivi di buon auspicio, gliene regalai una copia. Più tardi, gli chiesi se lo avesse letto e lui disse “Non solo l’ho letto, ma l’ho consultato negli ultimi cinque o sei giorni.  Non ho mai capito che grande maestro fosse Kunu Lama Rinpoce finché non l’ho letto, e ora mi rendo conto di quanto sia inconcepibile che siano contenuti in esso tutti i significati del Bodhisattvacharyavatara e del Compendio degli addestramenti di Shantideva, tutti i vari allenamenti e le pratiche di un bodhisattva.

Quando si studiano i voluminosi commentari non è necessario consultare quelli più concisi. Tuttavia, se non abbiamo la capacità di studiare in quel modo esteso, allora questo testo include tutto; è pronto per essere praticato, con tutti gli ingredienti completamente preparati e il pasto pronto da mangiare. Ciò dimostra il beneficio e i vantaggi dello sviluppare un tale cuore di bodhicitta, è per questo che vi racconto questo aneddoto. 

Il cuore di tutti gli insegnamenti, la vacuità

Avendo introdotto questo, guardiamo qui il nono capitolo. Come disse il Buddha, il cuore di tutti gli insegnamenti è la vacuità; egli stesso presentò tre cicli di trasmissione del Dharma quando girò la ruota del Dharma tre volte. Il suo scopo principale era quello di portare tutti i discepoli ad uno stato di liberazione dal samsara, i problemi ricorrenti e incontrollabili. Tsongkhapa, nella sua Presentazione estesa del sentiero graduale verso l’illuminazione, il Lamrim cenmo, afferma in modo simile questa intenzione. Lo scopo di tutti i giri della ruota era quello di consentire a tutti i diversi discepoli di tagliare la radice della loro esistenza ricorrente incontrollabile. Poiché la radice è l’afferrarsi ai fenomeni come aventi un’identità veramente stabilita, l’essenza di tutti gli insegnamenti è la vacuità, che ci offre i mezzi per recidere questa radice e così permetterci di ottenere la liberazione.

Anche se abbiamo uno scopo di bodhicitta ma non comprendiamo la realtà - questa visione più profonda della vacuità - non saremo in grado di ottenere la liberazione. Questo dimostra l’importanza del comprenderla correttamente. Lo stesso punto è indicato nel Lamrim cenmo da Tsongkhapa; dopo la presentazione degli atteggiamenti di vasta portata o perfezioni egli ne aggiunge una separata ed estesa su come ottenere la mente calma e stabile di shamatha e la mente eccezionalmente percettiva di vipashyana. La ragione di questa presentazione separata è indicata dalla necessità cruciale menzionata qui - aiutare gli altri a tagliare la radice del loro samsara ricorrente e incontrollabile.

Tsongkhapa non solo presentò questa vasta discussione sulla mente eccezionalmente percettiva di vipashyana nel Lamrim cenmo ma, in aggiunta, compose un commentario sulle Strofe radice di Madhyamaka di Nagarjuna, chiamato Oceano di ragionamenti, un volume delle sue opere raccolte. Compose anche L’essenza delle spiegazioni eccellenti sul significato interpretabile e definitivo, un altro volume delle sue opere raccolte, oltre a Chiarire l’intenzione di Madhyamaka, il suo commento a Impegnarsi in Madhyamaka di Chandrakirti, un altro volume. Tutti questi grandi testi di Tsongkhapa possono essere visti come elaborazioni sui significati discussi in questo capitolo sulla consapevolezza discriminante. Non potrete mai essere derubati dalla vostra comprensione della vacuità derivante dallo studio più approfondito di tutti questi testi.

La necessità della consapevolezza discriminante o saggezza

Gli insegnamenti del sentiero graduale del lam rim per l’addestramento negli scopi iniziale, intermedio e avanzato includono, in primo luogo, prima di entrare nei dettagli su shamatha e vipashyana, gli insegnamenti sugli atteggiamenti di vasta portata - le perfezioni di generosità, autodisciplina etica, pazienza, perseveranza, costanza mentale o concentrazione e consapevolezza discriminante. In modo simile, nel Bodhisattvacharyavatara, Shantideva inizia con il capitolo sui benefici dello sviluppo di un obiettivo di bodhicitta e i capitoli seguenti presentano questi atteggiamenti di vasta portata che sono i sono i rami, le pratiche causali, che si accumulano e ci permettono di ottenere una corretta comprensione della vacuità, come presentato nel nono capitolo. Quindi, Shantideva afferma nella prima strofe di questo nono capitolo: 

(IX.1) Il Saggio ha parlato di tutti questi rami per la consapevolezza discriminante. Pertanto, si generi consapevolezza discriminante con il desiderio di pacificare le sofferenze. 

Il Buddha ha insegnato tutte queste varie pratiche casuali per sviluppare la consapevolezza discriminante. Alcune persone affermano che questa consapevolezza discriminante della vacuità è necessaria per ottenere l’illuminazione, ma non è necessaria per raggiungere semplicemente la liberazione, affermando, per esempio, che non serve acquisire una comprensione totale della vacuità al suo livello più profondo per liberarsi dal samsara, la rinascita ricorrente incontrollabile. Tuttavia, questo non è sufficiente e non funzionerà: per liberarsi dal samsara, è necessario acquisire una corretta comprensione della vacuità. Questo punto viene dopo in questo testo, ma è confermato da una citazione di Nagarjuna, spesso citata come fonte per stabilire che è, di fatto, necessario ottenere una comprensione completa della vacuità per ottenere la liberazione. 

Fintanto che si continua a cercare identità veramente stabilite, si continuerà a rinascere in situazioni samsariche che si ripetono in modo incontrollabile. Se non si elimina completamente la radice di tutto questo, non si otterrà la liberazione. 

La radice del samsara

Quando cerchiamo la radice dell’esistenza compulsiva, il samsara, troviamo che è la nostra ricerca di identità veramente stabilite. Ci sono molte situazioni diverse in cui potremmo rinascere nel samsara, anche come il re degli dèi Indra, o nel picco delle varie divinità nella sfera degli oggetti sensoriali del desiderio, nel regno del desiderio. Al di sopra di questo, potremmo rinascere sul piano delle forme eteree, il regno della forma, o anche al culmine di questo regno, il regno di quelli con il quarto degli stati di costanza mentale, il quarto dhyana. Tuttavia, non importa dove avviene la nostra rinascita in questi regni, non importa di quali splendori potremmo godere, ci saranno solo problemi, perché non abbiamo reciso la radice che causa la nostra esistenza samsarica compulsiva e ricorrente. 

Per esempio, qui a Parigi c’è la torre Eiffel. Quando sali in cima non ti rimane altro che scendere di nuovo, non puoi andare più in alto, se vuoi andare altrove devi tornare giù. Anche se sei lassù in cima hai quel problema. 

Così, qualunque sia la situazione samsarica in cui ci troviamo, non è ancora la fase finale, non abbiamo ancora reciso l’afferrarsi alle cose come se avessero una vera identità stabilita. Possiamo raggiungere lo stadio finale solo eradicando questa causa del ripetersi del samsara.

In primo luogo, è necessario capire come questo afferrarsi alle identità veramente stabilite funzioni come radice di tutte le situazioni samsariche compulsive - tutti i nostri problemi e sofferenze. Con questa comprensione svilupperemo uno stato mentale in cui vogliamo effettivamente liberarcene. La causa di tutti questi problemi e sofferenze è il nostro comportamento compulsivo, o karma, e le nostre emozioni e atteggiamenti disturbanti, tutte le nostre illusioni: queste sono le vere cause di tutti i nostri problemi. È essenziale, quindi, liberarsi di tutte le emozioni disturbanti e comportamenti compulsivi.

Le quattro nobili verità

Quando il Buddha per la prima volta girò la ruota del Dharma identificò quali sono i veri problemi, la vera sofferenza e poi insegnò le vere fonti di ogni sofferenza: queste sono la prima e la seconda nobile verità. Insieme, formano un insieme di causa ed effetto, con la vera causa che è la fonte tutti i nostri veri problemi e la sofferenza il suo effetto.

La sofferenza e i problemi non derivano da “nessuna causa”. Se possiamo eliminare le cause che producono problemi e la sofferenza come effetto, otterremo un vero arresto o la cessazione di tutti questi problemi.

C’è una causa che ci permetterà di liberarci di queste emozioni disturbanti e comportamenti compulsivi, karma e delusioni. Qual è? Lo sviluppo della consapevolezza discriminante, la saggezza che realizza che non ci sono cose come identità veramente stabilite. Con la consapevolezza discriminante possiamo eliminare le emozioni disturbanti e il comportamento compulsivo che agiscono come vera causa di sofferenza. Senza una causa, non può più esserci il suo effetto. Senza l’afferrarsi alle identità veramente stabilite, verranno meno le emozioni disturbanti, il comportamento compulsivo e la sofferenza che ne deriva. Pertanto, come si dice nel testo:

Si generi consapevolezza discriminante con il desiderio di pacificare le sofferenze.

Quando raggiungiamo uno stato in cui tutte le cause della nostra sofferenza si sono esaurite e in cui ci siamo liberati del comportamento compulsivo e delle emozioni disturbanti che causano la nostra sofferenza e i nostri problemi, raggiungiamo uno stato in cui non ci sono più: una vera cessazione della sofferenza, la terza nobile verità. Per raggiungere la verità della cessazione, abbiamo bisogno della quarta nobile verità del sentiero, il sentiero mentale della consapevolezza discriminante.

Il desiderio di pacificare ogni sofferenza, “pacificazione” si riferisce allo stato di vera cessazione, la liberazione delle vere cause della sofferenza grazi allo sviluppo della consapevolezza discriminante, la comprensione di come tutte le cose esistono. La radice di tutta l’esistenza che si ripete in modo incontrollabile, il samsara, è l’afferrarsi alle cose come se avessero identità veramente stabilite. Pertanto, dobbiamo sviluppare il desiderio di liberarcene, abbandonando l’afferrarci a un “io” veramente stabilito e la preoccupazione per il sé che ne deriva. A questo si riferiscono le ultime due nobili verità, un vero sentiero per raggiungere una vera cessazione. 

Ciò che reciderà questo afferrarsi è la consapevolezza discriminante con la quale comprendiamo che non esiste un’identità veramente stabilita di alcunché. È essenziale comprendere che è necessario sviluppare il desiderio di ottenere tale tipo di consapevolezza discriminante. 

È ben noto come il Buddha stesso trasmise le misure preventive girando la ruota del Dharma tre volte. La prima volta gli fu richiesto dal suo primo gruppo di discepoli e, in questa occasione, presentò i quattro fatti visti come veri dagli esseri altamente realizzati, le “quattro nobili verità”. Il punto principale è che dobbiamo sviluppare dei veri sentieri mentali, la quarta nobile verità e il gioiello Dharma. 

Per rifugiarsi realmente nel gioiello Dharma, con la consapevolezza discriminante come vero sentiero della mente, non sarà di alcun beneficio il solo conoscere la natura di come tutto esiste: c’è bisogno di meditare su di essa. Ma non è sufficiente il solo meditarvi: è necessario sviluppare questa consapevolezza discriminante come sentiero mentale.

Per liberarsi della radice, con il desiderio di pacificare ogni sofferenza, è necessario generare e sviluppare questa consapevolezza discriminante nella nostra mente. Nel testo non è detto che dobbiamo semplicemente sapere di che cosa si tratta ma che è necessario svilupparla. Come è possibile generare questa consapevolezza discriminante nella nostra mente? Come dice il testo: 

Il Saggio ha parlato di tutti questi rami per la consapevolezza discriminante.

Come sviluppare la consapevolezza discriminante

Questa consapevolezza discriminante nasce dal semplice ascolto degli insegnamenti che ne parlano, dalla riflessione e meditazione per renderla uno stato mentale benefico? È sufficiente questo, oppure le pratiche causali discusse sono necessarie anche per sviluppare la consapevolezza discriminante? Le pratiche causali si riferiscono a tutte le pratiche per sviluppare le sei perfezioni o atteggiamenti di vasta portata. Per sviluppare la consapevolezza discriminante è necessario meditare anche su tutti questi punti?

In breve, in generale, non è necessario che gli uditori degli insegnamenti, gli shravaka e i pratyekabuddha, i realizzatori solitari, facciano tutte queste varie pratiche causali per sviluppare la consapevolezza discriminante. Tuttavia, per i praticanti mahayana lo scopo è vasto: aspiriamo ad essere in grado di eliminare tutti i nostri oscuramenti mentali non solo per liberare noi stessi dei nostri problemi, ma anche tutti gli altri. Pertanto dobbiamo fare tutte queste varie pratiche causali per acquisire tale consapevolezza discriminante. 

Come praticanti mahayana dobbiamo eliminare tutti i nostri oscuramenti mentali, sia quelli emotivi che impediscono la liberazione, sia quelli cognitivi riguardanti tutti i fenomeni conoscibili, che impediscono l’onniscienza. Eliminare entrambi i tipi di oscuramenti mentali richiede un potente tipo di consapevolezza discriminante. Questo spiega perché tutte le pratiche causali - lo sviluppo di bodhicitta e gli atteggiamenti di vasta portata - sono date per ottenere una tale consapevolezza discriminante.

Quando il testo afferma che per poter pacificare tutti i problemi è necessario generare questo tipo di consapevolezza discriminante, dovremmo capire che ciò significa sviluppare una motivazione mahayana che desidera poter influenzare le menti degli altri per aiutarli. Per questo c’è la pratica mahayana dei quattro modi di essere un’influenza positiva sugli altri tuttavia, per riuscirvi, dobbiamo prima avere il controllo della nostra mente. 

In uno dei primissimi versi di questo testo Shantideva mostra grande umiltà dicendo che sta componendo il testo non per aiutare gli altri, ma solo per allenare e domare la propria mente. Il punto da capire è che non dovremmo avere un atteggiamento pomposo quando studiamo, mirando a diventare molto istruiti e famosi come grandi insegnanti. Piuttosto, l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di acquisire il controllo duraturo sulla nostra mente e, secondariamente, essere in grado di beneficiare gli altri. Il punto è essere umili nella pratica spirituale. Questo è il modo in cui dovremmo comprendere le parole di Shantideva: bisogna ascoltare, pensare e studiare il testo per domare prima la nostra mente e, quando pratichiamo, dovremmo farlo in questo modo.

Questo è lo stesso atteggiamento da avere nei confronti dei grandi classici scritturali: non dovremmo studiarli con un atteggiamento pomposo, per diventare insegnanti famosi. Non ci sarà di grande beneficio, potremmo diventare molto istruiti tuttavia, se cerchiamo di beneficiare gli altri, il nostro orgoglio arrogante ostacolerà la nostra capacità di aiutarli efficacemente. Se ci siamo allenati invece in tutte queste pratiche causali come è stato indicato qui, poi come ci avviciniamo allo studio e diventiamo abili e colti, saremo in grado di aiutare gli altri a domare e ad allenare le loro menti in base alle loro particolari esigenze quando sorgono la necessità e le situazioni.

È quindi molto importante assumere sempre una posizione umile e modesta, come dimostra l’esempio di Shantideva che, per tutta la vita, mantenne sempre un profilo molto basso. Se c’era bisogno, quando insegnava mostrava vari poteri di trasformazione ed emanazione miracolosa tuttavia la sua pratica e il suo modo di vivere furono sempre estremamente umili.

Anche gli esseri liberati, arhat, sono limitati in termini di pratica. Ad esempio, Maudgalyayana che aveva il potere della trasformazione e dell’emanazione miracolosa, si era liberato dalle emozioni disturbanti e aveva così ottenuto lo stato di arhat. Tuttavia, quando si presentò la situazione in cui voleva aiutare sua madre che era rinata in un regno infernale molto lontano, non fu nemmeno in grado di vederla e dovette chiedere aiuto al Buddha.

Pertanto, quando il testo afferma che per ottenere la pace e pacificare tutti i problemi è necessario generare e sviluppare una consapevolezza discriminante, non solo dovremmo voler pacificare le nostre sofferenze e i nostri problemi, ma anche quelle altrui. Per farlo è necessario allenarsi in tutte queste pratiche causali menzionate prima. Indipendentemente dal tipo di approccio con cui comprendiamo questo verso, tutto si riduce allo stesso punto: per essere in grado di eliminare tutti i tipi di oscuramenti mentali, per beneficiare non solo noi stessi ma anche gli altri, è necessario avvicinarsi all’acquisire una comprensione della consapevolezza discriminante, la comprensione della realtà, praticando come metodo tutti questi vari processi e metodi causali.

Il grande Chandrakirti disse che proprio come un uccello non può volare senza due ali, allo stesso modo non saremo in grado di procedere al più alto stato finale senza le due ali del metodo e della saggezza. Se il nostro scopo è quindi essere in grado di beneficiare tutti gli esseri ed eliminare tutti i nostri oscuramenti mentali per farlo, allora è necessario praticare un sentiero che integri sia il metodo che la saggezza. Come indicato qui, per ottenere la pacificazione di tutti i nostri problemi è necessario generare una consapevolezza discriminante ed è per questo motivo che tutte queste pratiche preliminari sono state discusse dal Buddha come processi causali per ottenere un tale livello di consapevolezza discriminante.

Top