La vacuità dei dodici anelli e delle quattro nobili verità

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Revisione dei cinque aggregati dell’esperienza

Abbiamo esaminato il Sutra del cuore che presenta in modo condensato gli insegnamenti sulla prajnaparamita, la “consapevolezza discriminante di vasta portata della vacuità”. Ispirati dal Buddha seduto in profonda concentrazione, iniziano con una domanda posta da Shariputra ad Avalokiteshvara su come condurre il nostro comportamento con la consapevolezza discriminante di vasta portata della vacuità. Avalokiteshvara spiega che dobbiamo decostruire la nostra esperienza quotidiana momento per momento mentre conduciamo le nostre vite. Ci sono vari schemi che possiamo usare per farlo. Il più comune è quello dei cinque fattori aggregati che compongono ogni momento della nostra esperienza; c’è quello schema dei dodici stimolatori e delle diciotto fonti cognitive. Li abbiamo esaminati ieri e abbiamo imparato, decostruendo a questo livello, che nessuna delle parti o delle cause coinvolte in ciò che sperimentiamo di momento in momento ha una natura auto stabilita.

Se osserviamo le parti che compongono le nostre esperienze, questi cinque aggregati, ci sono vari oggetti di cognizione, vari sensori coinvolti e vari tipi di coscienza. Ci sono cose distintive all’interno dei campi sensoriali, c’è la sensazione di un certo livello di felicità e poi ci sono tutti questi altri fattori di attenzione, concentrazione, interesse ed emozioni positive e negative. Tutti questi diversi fattori che compongono ogni momento di ciò che sperimentiamo cambiano continuamente e a velocità diverse e nessuno di questi rimane statico; quindi, questo è il primo passo per decostruire la solidità della nostra esperienza.

Abbiamo anche visto che parte di questi fattori aggregati è il “me” convenzionale che non può esistere separatamente da questi. Non è qualcosa di statico che vola via in qualche altro gruppo di aggregati, ma è un’imputazione sulla base di questi, quasi un modo di organizzarli e metterli tutti insieme. In altre parole, se vogliamo fare riferimento a ciò che sta accadendo, potremmo dire “Io sto sperimentando tutto questo”.

Tuttavia, anche questo “me” imputato sugli aggregati, come l’età, cambia ovviamente di momento in momento perché la base per l’imputazione, gli aggregati, cambia di momento in momento - come l’età. “Me” non è un fenomeno statico come la vacuità che è anche un’imputazione su tutto questo; la vacuità è solo un fatto su come le cose esistono. “Me” non è un fatto; è solo un modo di metterlo insieme.

Dobbiamo vedere che tra i fenomeni di imputazione su questi aggregati, alcuni sono non statici, come il “me”, il tempo, l’età - questo genere di cose; e altri che sono statici, come certi fatti su come esistono e la loro vacuità. Il “me” convenzionale, come parte di questi aggregati, non può essere conosciuto senza prima e poi simultaneamente conoscere la sua base. In altre parole, non posso semplicemente sentire “te” al telefono: devo sentire una voce sulla cui base sento “te”. Non posso conoscere il “te” separatamente, da solo. Inoltre, quando ti sento, sento sia te che la voce. Entrambi appaiono esplicitamente e io conosco entrambi. 

Dobbiamo conoscere prima la base della vacuità e poi entrambe insieme. Ma quando le conosciamo insieme, solo una può apparire esplicitamente. Conosciamo l’altra implicitamente, senza che essa appaia. Quando appare la forma, appare esplicitamente con un’apparenza di vera esistenza. La vacuità, l’assenza totale di vera esistenza, non può apparire contemporaneamente. Quando la forma appare in questo modo, la sua vacuità può essere conosciuta solo implicitamente. C’è un’altra grande differenza rispetto al modo in cui è conosciuto il “me” convenzionale. Dopo aver prima conosciuto la forma come base della vacuità, la vacuità può essere conosciuta esplicitamente, non concettualmente, senza che la forma sia simultaneamente conosciuta anche implicitamente. 

Questi sono punti importanti su come meditiamo sulla vacuità. Innanzitutto, dobbiamo riconoscere la base, che sono i cinque aggregati. Ecco perché Avalokiteshvara sottolinea che dobbiamo conoscerli e riconoscere come stanno apparendo in un modo impossibile. Sebbene potremmo essere consapevoli che cambiano sempre, tuttavia, sembrano stabilirsi come se ogni piccola parte fosse incapsulata nella plastica. Questo oggetto che vediamo, questo livello di felicità, questa emozione, sembra che siano solo piccoli pezzi che si incastrano insieme come in un puzzle, e ognuno è un pezzo avvolto individualmente. 

Non ci sembra che il nostro incontro e la nostra conoscenza di questo oggetto stiano maturando da questo tipo di potenziale karmico; l’emozione che stiamo provando deriva da questo tipo di tendenza che abbiamo costruito per quel tipo di emozione, e il provare un livello di felicità matura da un altro tipo di fattore karmico di comportamento distruttivo o costruttivo. Ogni pezzo sta maturando e proviene da qualcos’altro con un numero enorme di cause e condizioni dietro di sé. Come sottolinea Tsongkhapa, dobbiamo prima riconoscere chiaramente l’oggetto da confutare e poi confutarlo. 

Quando ci concentriamo sulla vacuità, dobbiamo prima avere l’apparenza dei cinque aggregati. Ciò significa che dobbiamo aver già decostruito la nostra esperienza in cinque aggregati e poi riconoscere che il modo in cui appare è spazzatura, non c’è niente dietro. Il suo modo effettivo di esistere non è affatto il modo in cui appare. Non esiste una cosa come un referente che corrisponda a come appare, e poi ci concentriamo solo sulla vacuità.

Tuttavia, non possiamo concentrarci su “me” nello stesso modo senza che simultaneamente appaia la base per esso; questo è un punto importante, in realtà, anche nella meditazione. È molto facile cadere nell’abitudine piuttosto sfortunata di dissociarci da ciò su cui stiamo meditando. In altre parole, avere questa sensazione di “me” come osservatore seduto nella parte posteriore della nostra testa, guardare tutti questi aggregati cambiare sempre, e concentrarsi sulla loro vacuità come se ci fosse un “me” separato da quelli. Proprio come è sbagliata questa sensazione che ci sia un “me” dentro il nostro corpo, nei nostri aggregati, che è il capo che li manipola e li controlla, allo stesso modo è falso questa sensazione di un “me” che è l’osservatore seduto nella nostra testa che medita, vede tutto questo.

Uno dei problemi è il termine “distacco”, dobbiamo essere distaccati ma cosa significa in realtà? Significa un “io” separato da tutto? No, non è come se ci fosse un “io” separato da ciò che sta sperimentando. È piuttosto strano anche se a volte sembra così, non è vero? Tutto ciò che c’è è l’esperire, attività mentali che si svolgono di momento in momento in momento. Possiamo riferirci ad esso come all’“io”, e può esserci un fattore mentale di distacco che fa parte di questi aggregati, ma non c’è un “io” separato dagli aggregati né uno al loro interno.

Proprio come possiamo analizzare le parti della nostra esperienza quotidiana momento per momento, possiamo farlo anche dal punto di vista degli stimolatori e delle fonti cognitive. Questo ci porta alla domanda di ieri: causa significa da cosa dipendono le cose, e quindi da cosa dipende la nostra cognizione? Da un punto di vista possiamo dire che ci sono oggetti cognitivi e sensori cognitivi e, quando abbiamo una cognizione, non è che sono separati ma sono parte dell’intero pacchetto causale. Devono interagire tra loro e la cognizione dipende da questo; la nostra esperienza dipende da questo. Quando parliamo delle fonti cognitive, stiamo solo aggiungendo la coscienza, e sono tutte interdipendenti, interrelate tra loro. Di nuovo, stiamo decostruendo da un altro punto di vista ciò che sperimentiamo momento per momento.

Quando analizziamo gli aggregati abbiamo tutte queste parti, quindi potremmo avere l’impressione che siano come pezzi di un puzzle ma, quando analizziamo dal punto di vista degli stimolatori e delle fonti cognitive - in altre parole, oggetti cognitivi, sensori e coscienza - nulla esiste come oggetto cognitivo indipendentemente da un sensore. È in relazione a un sensore che qualcosa è un oggetto cognitivo, e anche in relazione a una coscienza. Non può essere stabilito come oggetto cognitivo dal suo stesso lato, da solo. 

Queste affermazioni nel Sutra del cuore “nessun occhio, nessun orecchio, nessun naso, ecc.” non sono solo liste ma hanno uno scopo particolare: in una forma molto condensata indicano i tipi di meditazione che ci aiutano a comprendere la vacuità più pienamente. Nessuna di queste parti della nostra esperienza momento per momento è stabilita dal proprio lato, da qualcosa dentro, dal proprio potere, come una “natura auto stabilita”. Nessuna delle cause ha una natura auto stabilita.

I dodici anelli dell’origine interdipendente

Poi, Avalokiteshvara continua a parlare dei dodici anelli dell’origine interdipendente che spiegano la nostra esistenza samsarica: come continua, cosa la guida, cosa la perpetua. Anche da quel punto di vista, nessuno dei componenti di questi dodici anelli ha una natura auto stabilita. Il testo dice: 

Nessuna inconsapevolezza, nessuna eliminazione dell’inconsapevolezza, fino a nessuna vecchiaia e nessuna morte, nessuna eliminazione di vecchiaia e morte. 

Parla dei dodici anelli, non c’è bisogno che io li elenchi tutti, dall’inconsapevolezza, dagli impulsi influenzanti, dalla coscienza, ecc. Questo è uno schema molto sofisticato per spiegare l’intero processo della rinascita samsarica. Parla di come costruiamo le cause della rinascita dall’inconsapevolezza di come esistiamo, di come agiamo in vari modi influenzati e basati su quell’inconsapevolezza e di come ciò costruisce vari potenziali e tendenze karmiche. Quindi spiega come questi vengono trasmessi da una vita all’altra e come vengono attivati al momento della morte generando un’ulteriore rinascita samsarica. Quindi, la sequenza inversa: quando dice “nessuna eliminazione dell’inconsapevolezza, nessuna eliminazione di vecchiaia e morte”, la vecchiaia e la morte sono il dodicesimo anello. Se ci liberiamo del primo anello, ci liberiamo del secondo, che dipende da esso. Quando ci liberiamo di quel secondo anello, ci liberiamo del terzo, che dipende dal secondo. In questo modo, sebbene i dodici non formino esattamente una successione lineare, tuttavia, ci liberiamo dell’intero processo di rinascita samsarica.

Abbiamo già visto, come ha sottolineato Avalokiteshvara in precedenza nel testo, nessun sorgere, nessun arresto: non è come se il samsara o la sofferenza fossero una specie di cosa veramente esistente, avvolta nella plastica che all’improvviso sorge e poi all’improvviso si ferma. Come potrebbe farlo? Se fosse auto stabilita non potrebbe dipendere da nessun’altra condizione per sorgere e dovrebbe essere lì sempre. Non potrebbe sorgere e, allo stesso modo, non potrebbe cessare, perché sta sempre e solo generando se stessa. Non si basa su nient’altro; si auto stabilisce, è indipendente. Se fosse veramente nulla e poi veramente qualcosa, come abbiamo detto prima, come potrebbe passare dall’essere veramente nulla all’essere veramente qualcosa? Con questi dodici anelli ci addentriamo in un’analisi più sottile del sorgere e del cessare. Non è come un grosso pacco, ecco il samsara e poi “blam” è lì, poi “boom” va via! Non è così. Nasce con una sequenza di dodici anelli e, per liberarsene, c’è anche una sequenza inversa dei dodici anelli inversa.

Questo ci aiuta a capire come causa ed effetto siano correlati qui. Se tutti questi collegamenti si basano sugli altri e sono tutti correlati in un qualche tipo di sequenza causale (sebbene molto complessa), allora dobbiamo capire che ognuno di questi non esiste di per sé, auto stabilito. Se pensiamo a due anelli qualsiasi, qualcosa si basa qualcos’altro e c’è qualcos’altro che si basa su di esso. Quindi, la base e ciò che si basa su di essa sono stabiliti solo in relazione l’uno all’altra. Qualcosa non può essere stabilito di per sé come una cosa su cui si basa qualcos’altro. È stabilito solo come qualcosa su cui qualcos’altro si basa in modo dipendente dalla forza dell’altra cosa che si basa su di esso. Questo è un italiano terribilmente complesso, mi dispiace.

Come possiamo avere piani superiori di un edificio indipendentemente dai piani inferiori? Qualcosa non può essere un piano superiore totalmente da solo, indipendentemente dal fatto che ci siano piani inferiori. Penso che questo lo renda un po’ più comprensibile. Quindi, i piani inferiori sono la base dei piani superiori, e i piani superiori si basano sui piani inferiori, e sono stabiliti solo in questa dipendenza, o relazione causale, l’uno dall’altro. Non si stabiliscono in questa relazione da soli, per il loro potere.

Più ci pensiamo più è profondo: qualcosa esiste come causa solo in dipendenza del fatto che ci sia un risultato. Niente può essere una causa di per sé, indipendentemente dal fatto che ci sia un risultato. È stabilito come causa dal potere del risultato, anche se il risultato non esiste allo stesso tempo della causa. In realtà è così che ci liberiamo del samsara, eliminando la possibilità che ci sia un risultato delle tendenze karmiche che devono essere attivate da varie condizioni come la brama e le “attitudini dell’ottenimento”, ma non c’è bisogno di entrare nei dettagli.

Certe emozioni e atteggiamenti disturbanti attivano le tendenze karmiche che sono condizioni. Quindi, per prima cosa ci liberiamo dell’inconsapevolezza che è la causa di queste emozioni disturbanti che sono le condizioni per l’attivazione delle tendenze karmiche. Quando non ci sono più condizioni per l’attivazione di una tendenza karmica significa che non potrà esserci un loro risultato come causa e allora le tendenze karmiche non esistono più come cause perché possono esistere come tali solo se c’è un risultato, in quanto sono stabilite come causa in dipendenza da un risultato.

Questo richiede molta contemplazione per comprenderlo e lavorarci; è il modo in cui ci liberiamo del karma. Non è come se andassimo nella nostra mente e tirassimo fuori questa tendenza karmica buttandola fuori dalla finestra. È una procedura molto sofisticata e può funzionare solo sulla base della vacuità, in cui nessuna di queste componenti - sia che generi rinascita e sofferenza samsarica, sia che le elimini - esiste per proprio potere indipendentemente dall’intero processo.

La vacuità delle quattro nobili verità 

Dopo aver presentato la vacuità dei dodici anelli – sia nella sequenza progressiva di come sorge la rinascita samsarica sia nella sequenza inversa di come se ne esce – Avalokiteshvara passa a un livello di causalità ancora più basilare qui, in termini di samsara, parlando delle quattro nobili verità e della loro mancanza di una natura auto stabilita. Dice: 

Similmente nessuna sofferenza, causa, arresto, e mente-sentiero. 

In termini di quattro nobili verità, prima di tutto nessuna sofferenza. Abbiamo vari livelli di sofferenza: sofferenza della sofferenza, il dolore grossolano e l’infelicità; la sofferenza del cambiamento, che è la nostra felicità contaminata. Entrambe sono generate dal karma, l’infelicità e il dolore dal comportamento distruttivo e dalla forza karmica negativa che ne deriva; felicità contaminata dal comportamento costruttivo e dalla forza karmica positiva che ne deriva. La sofferenza onnipervasiva è spiegata con i dodici anelli: il perpetuare la base di questi cosiddetti “aggregati contaminati”, generati dall’inconsapevolezza che sono la base con cui sperimentiamo i primi due tipi di sofferenza. Le vere cause di queste sofferenze che perpetuano il samsara sono riassunte nei dodici anelli. Abbiamo tutti i vari tipi di tendenze karmiche che sono attivate da emozioni disturbanti, basate sull’inconsapevolezza, quindi arriviamo all’inconsapevolezza. Queste prime due verità descrivono la sequenza progressiva dei dodici anelli dell’origine interdipendente, le vere cause della rinascita samsarica e poi la sofferenza della rinascita samsarica, quindi le vere cause come causa e la vera sofferenza come risultato.

Le vere cessazioni, la terza nobile verità, si riferiscono allo stato dell’essere separati per sempre da queste varie emozioni disturbanti e dalle loro abitudini. Ciò avviene in modo progressivo: per prima cosa ci liberiamo di un certo livello di queste emozioni disturbanti, e poi eliminiamo quelle che sono basate sulla dottrina, sull’aver ricevuto un insegnamento da un sistema che ci ha fornito informazioni errate e imprecise. Poi ci liberiamo delle emozioni disturbanti che sorgono automaticamente e dell’inconsapevolezza, e infine delle abitudini di queste. Quello stato del nostro continuum mentale che si separa da queste “oscurazioni” è chiamato “vero arresto”, “vera cessazione”. Le emozioni disturbanti e l’inconsapevolezza sono le oscurazioni emotive mentre le abitudini sono le oscurazioni cognitive, poiché danno l’impressione di un’esistenza veramente stabilita. A causa delle emozioni disturbanti crediamo che quell’apparenza corrisponda a qualcosa di reale, ecc. Queste separazioni sono eterne, quindi sono statiche, non cambiano mai e, una volta che le abbiamo eliminate, siamo liberi.

Quello stato senza macchia non è qualcosa che viene creato da qualcosa come dalla nostra meditazione sulla vacuità ma è sempre stato così, è la natura pura della mente che non è macchiata da questa inconsapevolezza o da queste emozioni disturbanti che ne derivano. Fondamentalmente, “scopriamo” questa natura immacolata della mente (che non è mai stata contaminata o macchiata da nessuna di queste cose). Una volta che ci liberiamo delle cause che oscurano questa natura... Beh, questa natura era comunque sempre lì, quindi è un fenomeno statico. Ciò che porterà al raggiungimento di questo vero arresto - ciò che facciamo non porta all’arresto stesso, la mente è sempre stata libera da questa spazzatura - il “raggiungimento di questi veri arresti” come è formulato, sarà una vera mente-sentiero, la cognizione non concettuale della vacuità.

Quando parliamo della relazione causa-effetto delle ultime due nobili verità, stiamo parlando della vera mente del sentiero; non è un sentiero su cui possiamo camminare ma uno stato mentale, la nostra comprensione che agisce come causa per il raggiungimento della terza nobile verità, non la terza nobile verità stessa; questo è ciò che è descritto dalla sequenza inversa dei dodici anelli. Di nuovo, abbiamo la vacuità di causa ed effetto con le quattro nobili verità. Va capito nell’esperienza quotidiana; decostruiamo ciò che sta accadendo, dal punto di vista di come stiamo perpetuando la nostra esistenza samsarica, con questi cinque aggregati in termini di questi dodici anelli. Possiamo capirlo in una forma più condensata in termini delle prime due nobili verità vedendo come uscirne, anche in base alla sequenza inversa dei dodici anelli e delle ultime due nobili verità. Tutto ciò funzionerà solo perché tutti questi sono privi di una natura auto stabilita.

La vacuità del raggiungimento dell’illuminazione

In termini di stato risultante di Buddha: 

Nessuna consapevolezza profonda, nessun risultato, e nessun non-risultato. 

Ecco come lo spiega Avalokiteshvara. La consapevolezza profonda (ye-shes) si riferisce alla consapevolezza profonda delle due verità. Lavoriamo con le verità una alla volta attraverso la consapevolezza della verità convenzionale, della verità più profonda - della vacuità - consecutivamente fino al raggiungimento dell’illuminazione; con l’illuminazione siamo in grado di ottenere la cognizione non concettuale della vacuità delle due simultaneamente, e anche questa non è stabilita da sé, dal suo stesso potere. Non possiamo avere consapevolezza senza che ci sia contenuto, anche se è consapevolezza profonda. Deve essere consapevolezza di qualcosa, consapevolezza e il suo oggetto esistono separatamente da soli ma in relazione l’uno all’altro.

Quando parliamo di questo stato risultante e della profonda consapevolezza che lo caratterizza, non è come se fosse lì in cima all’edificio, esistente da solo e noi dovessimo arrivarci. Nessun risultato, non c’è questa salita veramente esistente e poi arriviamo lì, non è così. Tuttavia nessun non-risultato, non è che non abbiamo conseguito nulla, convenzionalmente c’è un risultato. Un altro modo di intendere “nessun non-risultato” è che il non-risultato è la vacuità del risultato, e poi la vacuità della vacuità del non-risultato. La vacuità stessa non è un qualcosa che si stabilisce da sola, è un fatto,e quindi c’è sempre una base per la vacuità, come in cosa è privo di un modo impossibile di esistere?

Avalokiteshvara continua: 

“Poiché è così, Shariputra, siccome non c’è nessun risultato dei bodhisattva, lui (o lei) vive, affidandosi alla lungimirante consapevolezza discriminante, senza nessuna oscurazione mentale. 

Non c’è un risultato veramente esistente verso cui stiamo lavorando così come non c’è nessun grande, orribile mostro - questa oscurazione mentale - che blocca l’illuminazione. Se esistesse per suo stesso potere, non ci sarebbe modo di liberarsene. Un bodhisattva si affida a questa consapevolezza discriminante di vasta portata (in altre parole, vivendo con questo, applicandolo, ecc.), ed è in grado di liberarsi dell’oscurazione mentale perché non c’è oscurazione mentale veramente esistente, ed è in grado di raggiungere l’illuminazione perché non c’è un risultato o una cosa veramente esistente da raggiungere.

Quindi, il sanscrito aggiunge una frase che non è presente nel tibetano: “poiché non c’è oscurazione mentale”, quindi:

Poiché non c’è nessuna oscurazione mentale, non c’è paura, 

Non c’è nessun mostro di un’oscurazione seduto lì. Il nostro continuum mentale ha alcune emozioni disturbanti e un po’di inconsapevolezza, abitudini e tendenze, ecc. ma, poiché non c’è nulla di solido seduto lì, non c’è nulla di cui aver paura. La paura si basa su un senso di questo “io” solido che è qui, indipendentemente da ciò di cui abbiamo paura, sul sentirsi indifesi e impotenti. Quindi, sperimentiamo questa paura. Quando ci rendiamo conto che queste oscurazioni sono lì in dipendenza da cause e condizioni e che, se cambiamo le cause e le condizioni, ce ne liberiamo e non ci sono oscurazioni mentali, ecc., allora non c’è nulla di cui aver paura. È solo una questione di farlo, e acquisire la sicurezza di essere in grado perché vediamo che è possibile. Non c’è nulla di sostanziale che “impedisce” la nostra illuminazione.

Avalokiteshvara continua: 

superato ciò che è ribaltato 

Ciò che è superato è la nostra ignoranza, la nostra inconsapevolezza, in cui comprendiamo come le cose esistano in modo ribaltato, ma le oscurazioni mentali che impediscono la nostra illuminazione non esistono in questo modo. Il modo ribaltato sarebbe con un’esistenza veramente stabilita; il modo dell’esistenza ha superato questo. Non è in questo modo folle, in questo modo impossibile.

Avalokiteshvara continua: 

così rilascio del nirvana, completo fino alla fine. 

Parla del nirvana naturale, la vacuità della mente stessa; la condizione che consente l’illuminazione è la vacuità della mente stessa: nessuna di queste oscurazioni mentali ha un’esistenza veramente stabilita. La mente stessa non ha un’esistenza veramente stabilita, non c’è nulla di solido da raggiungere, ecc. Inoltre, è completo fino alla fine, il che significa che non c’è alcun supporto focale. Abbiamo parlato di supporto focale; non c’è nemmeno la cosa più sottile dal lato della mente, delle oscurazioni, o di qualsiasi cosa, che la sostenga e le consenta di generarsi e stabilirsi per suo stesso potere.

Poi Avalokiteshvara continua:

In effetti, è affidandosi alla lungimirante consapevolezza discriminante che tutti i Buddha disposti in tutti i tre tempi sono Buddha pienamente manifesti nell’impareggiabile e perfetta Buddhità piena.

Di nuovo, come i buddha diventano buddha? Affidandosi a questa consapevolezza discriminante di vasta portata - la comprensione della vacuità - sostenuta da una motivazione di bodhicitta. È solo comprendendo la vacuità di questa sequenza causale, di come ci sia una discriminazione di vasta portata, di come questa comprensione della vacuità si opponga all’inconsapevolezza, che l’intero processo può verificarsi. L’inconsapevolezza è pensare che le cose esistono in un modo impossibile. La comprensione della vacuità è pensare che questo è folle, che non corrisponde a nulla di reale, quindi questo è l’esatto opposto di impossibile, non impossibile.

Non possiamo avere le due contemporaneamente, ovviamente, quindi quale è più forte? Il modo impossibile non è supportato dalla logica, non è ragionevole e produce solo sofferenza. Invece quando comprendiamo che l’impossibile è impossibile - che non esiste una cosa del genere - è supportato dalla logica, ci si libera dalla sofferenza, ecc. Questo è più forte, ma non è come se la consapevolezza profonda e l’inconsapevolezza fossero solidamente a sé stanti. Tutto ciò dipende da cause e condizioni, ecc. Bisogna capire come, sulla base della comprensione della vacuità, come questa stessa possa liberarsi dall’inconsapevolezza. Non è così facile. 

Un’analogia che viene spesso usata è quella di luce e oscurità: quando accendiamo la luce in una stanza buia, forse la luce entra nella stanza, l’oscurità la vede, ne ha paura e scappa da qualche parte? Magari si nasconde sotto il letto, aspetta che spegniamo la luce e poi esce di nuovo? Il sorgere della luce e la cessazione dell’oscurità sono simultanei e non sono, due cose solide come due bracci di una bilancia dove uno sale e l’altro scende. Questo è analogo a come la consapevolezza si libera dall’inconsapevolezza.

Il grande mantra per la protezione della mente

Avalokiteshvara continua. 

“Poiché è così, la lungimirante consapevolezza discriminante è il grande mantra che protegge la mente, il mantra che protegge la mente di grande conoscenza, il mantra che protegge la mente che è insorpassato, il mantra che protegge la mente pari all’ineguagliato, il mantra che protegge la mente che pacifica completamente tutta la sofferenza. 

La versione sanscrita dice grande, ma quella tibetana l’omette. La parola mantra non ha alcuna connotazione di pratica tantrica, ma piuttosto significa qualcosa che protegge la mente. Ecco perché l’ho tradotta qui come mantra che protegge la mente. “Man”, la prima sillaba, è un’abbreviazione di manas, la parola sanscrita per mente, e “tra” deriva dalla radice che significa proteggere (anche il nome Tara deriva da questa radice verbale). Quindi, mantra significa qualcosa che protegge la mente. La comprensione della vacuità sostenuta da bodhicitta, consapevolezza discriminante di vasta portata, è la cosa migliore; è il mantra, il grande, Mahayana, il grande mantra che protegge la mente dalla sofferenza. È il mantra che protegge la mente di grande conoscenza. La grande conoscenza si riferisce al fatto che elimina i tre atteggiamenti velenosi di desiderio o brama, rabbia o avversione e ingenuità. È il mantra che protegge la mente che è insorpassato. Non esiste metodo migliore per superare gli estremi del samsara o del nirvana. L’estremo del samsara è il rimanere in una rinascita ricorrente incontrollabile più e più volte, con tutta la sua sofferenza e l’estremo del nirvana consiste nel rimanere nello stato di apatia di essere liberati solo dalla propria sofferenza.

Questo ci riporta a una delle domande poste prima. Il vedere la vacuità e il comprenderla ci porta automaticamente compassione? Da un punto di vista potremmo dire che, quando vediamo l’interdipendenza di tutto e di ciò che stiamo tutti sperimentando, allora pensare solo in termini della nostra liberazione dalla sofferenza non esiste di per sé. Non esistiamo isolati da tutti gli altri, quindi pensare solo a noi stessi in questo modo non ha senso in termini di vacuità. Da quel punto di vista, possiamo essere condotti alla compassione e al pensiero degli altri. Quindi, il mantra che protegge la mente pari all’ineguagliato, dove l’ineguagliato è lo stato di un Buddha completamente illuminato, ed è uguale a quello perché è ciò che porterà a quello stato. Quindi, il mantra che protegge la mente che pacifica completamente ogni sofferenza per il presente e per il futuro, perché elimina tutte le cause per la continua rinascita samsarica.

Il testo continua. 

Poiché non è ingannevole, deve essere conosciuto come la verità.

Non ingannevole significa che non nega la verità convenzionale. Se la negasse dicendo che nulla esiste in un modo impossibile, se negasse l’esistenza sarebbe ingannevole. Questa non è la verità. La verità è che ci sono due verità su qualsiasi cosa; quella convenzionale in termini di cosa è e come appare, e quella più profonda, che è priva di esistere in un modo impossibile.

Avalokiteshvara continua. 

Poiché non è ingannevole, deve essere conosciuto come la verità. Nella lungimirante consapevolezza discriminante, il mantra che protegge la mente è stato proclamato, ‘Tadyatha, om gate gate paragate parasamgate bodhi svaha. La natura effettiva: andato, andato, andato oltre, andato ben oltre, stato purificato, così sia’. 

Questa è la traduzione del mantra. OM è presente nel sanscrito, sembra essere omesso nel tibetano, e quindi vari lignaggi e tradizioni tibetane possono averlo o meno. Ci sono spesso piccole variazioni nei mantra, quindi non dovremmo sorprenderci troppo.

Nella consapevolezza discriminante di vasta portata, nel contesto di questa comprensione della vacuità con bodhicitta, abbiamo l’intero processo di come diventiamo illuminati, e questo è descritto da gate gate paragate parasamgate bodhi”. Uso questo termine “menti-sentiero” che è difficile da tradurre: non è una strada che percorriamo ma sono diversi livelli mentali che agiranno come un sentiero portandoci all’illuminazione. Ci sono stadi progressivi di livelli mentali che raggiungiamo, classificati in cinque stadi, le cinque menti-sentiero. Tadyatha, è la natura effettiva, si riferisce alla vacuità; nello stato di comprensione della vacuità dobbiamo progredire nel modo seguente. OM è una sillaba composta da tre parti – “a”, “u” e “m” – che simboleggiano corpo, parola e mente; quindi, la comprensione della vacuità deve essere integrata a tutti i livelli di noi stessi.

Gate gate sono questi primi due livelli di mente-sentiero in cui non siamo ancora arya, non abbiamo ancora raggiunto la cognizione non concettuale della vacuità. Il primo di questi “gate” è quello che chiamo “mente sentiero di costruzione”, di solito tradotto come “sentiero dell’accumulazione”. Raggiungiamo questo livello di mente quando abbiamo bodhicitta senza sforzo (stiamo parlando del sentiero mahayana) mantenendola sempre, con la nostra mente concentrata sulla nostra illuminazione non ancora raggiunta con l’intenzione di realizzarla per il bene degli altri. Ciò è supportato dall’amore, dalla compassione, dalla comprensione che è possibile raggiungerla e dalla comprensione di come farlo. È senza sforzo nel senso che non dobbiamo attraversare i passaggi della meditazione per realizzarla: tutti sono stati mia madre, ecc., ma li abbiamo sempre come nostra intenzione più profonda. Non dobbiamo nemmeno esserne consapevoli quindi anche quando dormiamo, come dice Shantideva, accumuliamo forza positiva perché questa è la direzione della nostra vita ed è completamente integrata.

Cosa stiamo costruendo con questa mente-sentiero? L’avere shamatha e vipashyana combinati focalizzati sulla vacuità. “Shamatha” è uno stato mentale calmo e stabile, una concentrazione perfetta, calma da ogni distrazione, volubilità, ottusità e stabile su un oggetto. Oltre a ciò, la concentrazione perfettamente assorbita porta a un benessere fisico, una beatitudine fisica e mentale che è in grado di concentrarsi su qualsiasi cosa per tutto il tempo che si desidera. Vipashyana si aggiunge a shamatha poiché non possiamo avere vipashyana senza avere già shamatha; vi aggiunge un ulteriore benessere mentale per essere in grado di analizzare, discriminare, discernere e comprendere qualsiasi cosa.

Anche prima raggiungere una mente-sentiero di costruzione del sentiero, avremmo potuto realizzare shamatha o anche lo stato combinato di shamatha e vipashyana focalizzati su qualcosa di diverso dalla vacuità. Qui, tuttavia, con la mente-sentiero di costruzione, se non li abbiamo già sviluppati prima, otteniamo l’unione di shamatha e vipashyana sulla vacuità. Se l’abbiamo già ottenuta, ora stiamo praticando focalizzandola sulla vacuità.

Tuttavia, quando abbiamo raggiunto questa unione di shamatha e vipashyana focalizzati sulla vacuità, inizialmente sarà con una cognizione concettuale, attraverso la categoria della vacuità e, una volta che la realizziamo, abbiamo una “mente-sentiero dell’applicazione”, uno stato mentale in cui applichiamo concettualmente l’unione di shamatha e vipashyana focalizzati sulla vacuità più e più volte finché non raggiungiamo effettivamente una cognizione non concettuale con questa unione. Una mente-sentiero dell’applicazione è solitamente tradotta come “sentiero della preparazione”.

Quando abbiamo raggiunto questa unione di shamatha e vipashyana non concettuali focalizzati sulla vacuità, allora abbiamo una “mente-sentiero della visione”, il cosiddetto “sentiero della visione” con cui diventiamo un arya, un “essere nobile”, altamente realizzato. Siamo “andati oltre” lo stato di essere un essere ordinario. Con questa mente del sentiero della visione ci liberiamo dell’inconsapevolezza basata sulla dottrina e delle emozioni disturbanti. In altre parole, la confusione o l’inconsapevolezza che abbiamo acquisito da un sistema filosofico indiano non buddhista e le emozioni disturbanti che si basano sul credere che esistiamo nel modo in cui affermano. 

Una volta raggiunto un vero arresto di queste emozioni disturbanti basate sulla dottrina, questa porzione di oscurazioni emotive, allora lavoriamo con un “sentiero mentale della familiarizzazione”, spesso chiamato “sentiero della meditazione”, in cui ci abituiamo a questa cognizione non concettuale della vacuità, così da liberarci delle emozioni disturbanti che sorgono automaticamente – le rimanenti oscurazioni emotive più le abitudini di tutto questo, che sono le oscurazioni cognitive - finché non raggiungiamo l’illuminazione, bodhi.

Abbiamo parasamgate, andato ben oltre, oltre la semplice eliminazione dell’inconsapevolezza dottrinale fino a raggiungere lo stato purificato dell’illuminazione, la mente-sentiero che non ha bisogno di ulteriore addestramento. Quindi svaha, così sia. Possa questo accadere, possiamo essere in grado di farlo. È così. Questa frase è preceduta da consapevolezza discriminante di vasta portata nel contesto della comprensione della vacuità di ciò che sono chiamati i “tre cerchi coinvolti” - la persona che medita, ciò su cui medita e la meditazione. Comprendere la vacuità di tutti e tre, che questi sorgono in modo dipendente l’uno dall’altro, è il modo in cui si procede attraverso lo sviluppo di queste cinque menti del sentiero.

Conclusione del testo

Avalokiteshvara conclude la sua spiegazione. Dice: 

O Shariputra, un bodhisattva mahasattva dalla grande mente ha bisogno di addestrarsi così (per il comportamento che sia) nella profonda e lungimirante consapevolezza discriminante”. 

Il sanscrito aggiunge per il comportamento che sia enfatizzando la condotta. Per qualche ragione, il tibetano lo omette, ma il sanscrito enfatizza il fatto che questo è il modo in cui conduciamo la nostra vita: nel trattare con gli altri, e così via, in termini della nostra comprensione della vacuità profonda e di vasta portata.

Proseguendo, il testo dice: 

Allora il Maestro Conquistatore che Supera Tutti, emergendo da quella concentrazione assorta, diede il suo appoggio “eccellente” al bodhisattva mahasattva dalla grande mente, l’Arya Avalokiteshvara, “Eccellente, eccellente, mio figlio spirituale con i tratti di famiglia, è proprio così. È proprio così che lui o lei ha bisogno di condurre (il suo comportamento) nella profonda e lungimirante consapevolezza discriminante. È esattamente come è stato mostrato da te affinché i bodhisattva, (gli arhat, e i Buddha) gioiscano”. 

Il Maestro Conquistatore che Supera Tutti è il Buddha. Emergendo da quella concentrazione assorta, ci ricorda che era assorto con consapevolezza onnisciente sulle due verità, tutti i fenomeni e la loro vacuità. La versione sanscrita aggiunge comportamento e gioire. Il fatto che il sanscrito aggiunga arhat e Buddha qui implica che, anche per raggiungere la liberazione di un arhat, è necessario avere la stessa comprensione della vacuità. Buddha afferma che il modo in cui Avalokiteshvara spiegò era corretto.

Quindi il sutra conclude: 

Quando il Maestro Conquistatore che Supera Tutti pronunciò queste parole, il venerabile Figlio di Sharadvati, e il bodhisattva mahasattva dalla grande mente, l’Arya Avalokiteshvara, e la coppia delle assemblee di coloro dotati di tutto, nonché il mondo – dèi, esseri umani, anti-dèi, e gandharva musicisti celestiali – gioendo, cantarono lodi di ciò che fu dichiarato dal Maestro Conquistatore che Supera Tutti. 

La coppia delle assemblee - i bodhisattva laici e l’assemblea monastica – di coloro dotati di tutto, tutte le qualità della natura di Buddha. Tutti gioivano della forza positiva di questo, gioivano dell’insegnamento di ciò che è così utile e corretto, e così via. Anche se noi stessi non abbiamo dato l’insegnamento, abbiamo accumulato una quantità enorme di forza positiva. Questo è qui indicato e conclude il testo.

Siamo giunti alla fine del nostro incontro. Questo è ovviamente un insegnamento molto profondo, una sintesi di questa enorme letteratura Prajnaparamita. È qualcosa che non solo dobbiamo studiare sempre di più ma anche, come sottolineato in tutto il testo, integrarlo nel nostro comportamento quotidiano.

Dedica

Concludiamo con la dedica: qualsiasi forza positiva, qualsiasi comprensione si sia sviluppata da questa discussione, possa andare sempre più in profondità e agire come causa per noi e per tutti gli esseri per raggiungere l’illuminazione a beneficio di tutti.

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