Abbiamo parlato del sé o “me” che è imputato sul flusso di continuità dei nostri fattori aggregati che compongono ogni momento della nostra esperienza, ciò a cui la parola o il concetto di “me” si riferiscono sulla base di questi aggregati in continua evoluzione che formano la continuità secondo il karma individuale. La vacuità del sé della persona si riferisce all’assenza di vari modi impossibili di esistere che le nostre menti, per via dell’abitudine alla confusione, proiettano su quel “me” convenzionalmente esistente creando un falso “me”. Ci sono molti livelli di questo che dobbiamo confutare e smettere di pensare, di proiettare o di credere in queste proiezioni, passo dopo passo.
L’“io” convenzionale e il falso “io” non equivalgono a un ego sano e a un ego gonfiato
A proposito, il “me” convenzionale e il “falso me” non sono equivalenti a ciò che abbiamo nella nostra psicologia occidentale di un “ego sano” e di un “ego gonfiato”. Sono diversi: un “ego sano” è un senso, una sensazione o un’identificazione con il “me” convenzionalmente esistente. Un “ego gonfiato” è un'identificazione con il “falso me”.
Un “io convenzionale” e un “io falso” sono un insieme; in Occidente un “ego sano” è uno stato mentale. L’ “io convenzionale” e il “io falso” non sono stati mentali né modi di essere consapevoli di qualcosa; “ego sano” e “ego gonfiato” sono modi di essere consapevoli di qualcosa.
Quindi l’“ego sano” si identifica con il “me sano”, il “me convenzionale” che esiste. Su questa base ci alziamo la mattina, ci vestiamo e andiamo a lavorare; altrimenti non ti prendi cura di te stesso. Un “ego gonfiato” si identifica con un “falso me” - non esiste affatto come “Io sono il centro dell’universo, il più importante”.
L’inconsapevolezza dottrinale su come “io” esisto
In primo luogo, dobbiamo confutare o eliminare ciò che è noto come inconsapevolezza o confusione basata sulla dottrina su come esiste il sé. Potremmo pensare che “io esisto in certi modi” che abbiamo appreso tramite una certa dottrina. Questo si riferisce specificamente qui alle dottrine delle scuole di filosofia indiane non buddhiste, opinioni che abbiamo dovuto apprendere, qualcuno ha dovuto insegnarcele: non sono nozioni a cui chiunque avrebbe creduto naturalmente. Sebbene le varie scuole di filosofia indiane non buddhiste abbiano affermazioni diverse riguardo al sé o all’atman, tuttavia ci sono certe caratteristiche in comune.
Quali sono? Questo sé impossibile ha tre caratteristiche. Che lo chiamiamo sé o anima, il che introduce forse uno schema non indiano, è davvero difficile dire come tradurremmo effettivamente ciò di cui stiamo parlando qui; ma ci sono molte caratteristiche che sono simili alla nostra idea occidentale di anima. Chiamiamolo solo sé o “me”. Tenete presente che dobbiamo sempre differenziare tra il “me” convenzionalmente esistente e il “falso me” che non esiste affatto. Stiamo confutando che il “me” convenzionale esista nel modo di un “falso me”.
Il falso “io” basato sulla dottrina ha tre caratteristiche, come affermato da queste scuole indiane non buddhiste.
La prima è che si tratta di un fenomeno statico. Bisogna capire cosa significa e non tradurre questa parola semplicemente come “permanente”, perché qui non si riferisce a un sé eterno, senza inizio e senza fine. Anche il Buddhismo lo asserisce.
Il Buddhismo afferma che il continuum mentale, questi fattori aggregati, non ha inizio, e il continuum mentale stesso, la mente, non ha fine. Non continuerà, una volta che saremo un Buddha, ad avere questi fattori aggregati mescolati alla confusione, ma avremo gli aggregati puri di un Buddha. Ma comunque il continuum mentale non ha inizio né fine e puoi imputare “me” alla sua interezza. Nessun inizio, nessuna fine per “me”, il “me” convenzionale, è sempre individuale, incluso il “me” di un Buddha. Buddha Shakyamuni non è il Buddha Maitreya: sono diversi, individuali.
Un “me” statico sarebbe un “me” che non cambia da un momento all’altro, non è influenzato da nulla. Quindi questa è la prima caratteristica “Non cambio mai, sono sempre ‘me’. Sono andato a dormire la notte scorsa, mi sono alzato stamattina - eccomi di nuovo”. Lo stesso “me” - non è cambiato.
La seconda caratteristica è che il “me” è monolitico, senza parti. Di solito viene tradotto semplicemente come “uno”, ma è troppo vago. Alcune scuole indiane dicono che è grande quanto l’universo, altre che è come una minuscola scintilla, ma in entrambi i casi non ha parti; è un monolito.
La terza caratteristica è che è totalmente separato dagli aggregati, totalmente separato da corpo e mente. Per esempio, in una visione semplicistica sarebbe come “Chi sono io? Cos’è l’‘io’?” È come una piccola scintilla monolitica di vita, anima o qualsiasi cosa, che non cambia mai e semplicemente entra nel corpo come quando si entra in una casa, ci rimane, poi se ne va, va in un altro corpo ed è sempre lo stesso. Questo è il tipo di “io” che dobbiamo apprendere, non è qualcosa che naturalmente sentiremmo come ciò che siamo, come un’anima che va da una vita all’altra. Quindi ce ne liberiamo quando per la prima volta otteniamo la cognizione non concettuale della vacuità, in termini di “non esiste una cosa del genere”, “questo concetto non si riferisce a nulla che sia effettivamente vero o reale”. Ci liberiamo di questa credenza in questo “falso me” basato sulla dottrina.
Una domanda interessante è: “E noi occidentali che non abbiamo mai studiato nessuno dei sistemi filosofici indiani non buddhisti? Ce ne liberiamo quando raggiungiamo il sentiero della visione?”. Kedrub Je, uno dei discepoli di Tsongkhapa, ha affermato che tutti ce l’hanno, indipendentemente dall’aver studiato le scuole indiane non buddhiste in questa vita o meno. In una vita precedente le hai studiate; anche queste scuole indiane esistono da tempo senza inizio.
Ma tutti ce l’hanno, compresi gli animali. Quindi i concetti di un falso “io” che potremmo aver appreso da altri sistemi filosofici e religiosi, come il cristianesimo o altri, non sono il tipo definitorio di questa inconsapevolezza o confusione. Ma sono qualcosa di simile, perché potremmo certamente essere indottrinati da altri sistemi oltre ai sistemi indù indiani che hanno una sorta di convinzione errata da un punto di vista buddhista. Non necessariamente proviene da un sistema religioso, potrebbe provenire anche da un sistema psicologico.
Vorrei anche aggiungere che ci sono emozioni e atteggiamenti disturbanti basati sulla dottrina, su questa falsa credenza. Basandoci sul credere che esistiamo come questo falso “io” basato sulla dottrina, diventiamo possessivi e vogliamo aggrapparci alle cose come se appartenessero a questo falso “io”. Oppure ci arrabbiamo con persone e cose che sentiamo minacciare questo falso “io” basato sulla dottrina. Quindi per prima cosa ce ne liberiamo.
L’inconsapevolezza innata su come “io” esisto
A un livello più profondo abbiamo ciò che è noto come “inconsapevolezza innata”. Quindi, diremmo: “Sì, capisco che il sé è qualcosa che cambia di momento in momento, ha parti nel tempo, non è separato dagli aggregati ed è solo imputato su di essi. Sì, sì, lo capisco”. Questo è ciò che ci rimane, dopo aver confutato la falsa credenza basata sulla dottrina. Il punto è individuare cosa c’è ancora di sbagliato in ciò che rimane dopo la prima confutazione.
Quindi, la convinzione è che questo “io” mutevole che è imputato sugli aggregati è comunque un autosufficiente conoscibile. “Posso conoscerlo da solo”. Potrebbe essere conosciuto da solo, senza dover conoscere qualcos’altro allo stesso tempo. “Conosco Sasha”. Giusto? Ciò sorge automaticamente, “Penso di conoscere Sasha”. Come posso conoscere “Sasha” senza pensare, allo stesso tempo, a un corpo, a una mente o a una voce? “Sento Sasha al telefono”. Sto sentendo Sasha al telefono, o sto sentendo una voce su cui “Sasha” è imputato? Ma mi sembra che “Sento Sasha, vedo Sasha e conosco Sasha”. È questa apparenza ingannevole che il sé, o una persona, sia un autosufficiente conoscibile. Questo è sbagliato.
Se pensiamo “me” non possiamo pensarci senza pensare almeno la parola “me”, ma pensiamo “me”. Ed è un “me” che ha bisogno di esprimere la sua individualità, essere unico, ecc. “Sì, so che sta cambiando di momento in momento e tutte queste altre cose”. Pensiamo, “Chi sono, qual è la mia identità, cosa dovrei fare ora?” e, anche se capiamo che il “me” è imputato, ci sembra comunque automaticamente che possiamo solo pensare a “me” e a cosa fare, senza dover pensare anche a un corpo, alla mente o a queste altre cose.
Oppure potremmo semplicemente identificare quell’ “io” autosufficiente conoscibile con qualcosa, come la voce che ci risuona nella testa, e pensiamo che sia “io” che ci parla, “Cosa dovrei fare adesso?” - quello che si preoccupa dentro la nostra testa. L’ “io” non è separato dagli aggregati; è lì dentro, parte dell’intera cosa ma è come il capo “Cosa dovrei fare adesso?”. Be’, “Dirò questo, farò quello”, come se ci fosse un piccolo “io” dentro, seduto dietro il pannello di controllo che preme i pulsanti, prende le informazioni dagli occhi su uno schermo di computer.
Poi, abbiamo tutte le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti innati e che si basano su questa inconsapevolezza innata di come “io” esisto o di come “tu” esisti. Quindi, penso che per rendere sicuro quell’ “io”, che posso conoscere da solo, devo avere molte cose intorno a me; quindi nutriamo avidità e attaccamento e poi non vogliamo lasciarli andare, perché pensiamo che lo renderanno sicuro. Oppure ci sono certe cose che non vogliamo facciano parte di noi e quindi proviamo rabbia, “Voglio liberarmene!”, così che in qualche modo possiamo rendere sicuro questo “io” autosufficiente conoscibile.
Tutte queste emozioni disturbanti emergono automaticamente. Possiamo riconoscere queste sindromi molto facilmente e sono piuttosto divertenti, se ci pensate, perché sono vere. È che “Non voglio che le persone mi amino solo per il mio bell’aspetto, per i miei soldi, per la mia fama”, e così via. “Voglio che mi amino per ‘me’”. Pensiamo così, non è vero? Come se ci fosse un “me” che potrebbe essere conosciuto separatamente da tutte queste altre cose, e che potrebbe essere amato. Che dolce. Ci sentiamo tutti così, nessuno ha dovuto insegnarcelo. “Amami per me”. Prendiamoci qualche momento per pensare a come questo sia vero. Inoltre, ci sono molti ragionamenti per dimostrare l’assurdità di credere in questo modo, che non è così. Non abbiamo molto tempo per addentrarci in questo.
[meditazione]
L’oggetto da confutare secondo i prasanghika
Ci sembra che ci sia un ‘io’ che può essere conosciuto da solo, che posso esprimere creativamente e che tutti conosceranno, così cerchiamo di trovare la nostra individualità unica e tutto questo genere di cose. Anche se sembra così, non si riferisce a nulla di reale. Ecco cosa manca: un referente effettivo di ciò. Poi dobbiamo vedere cosa rimane dopo questa confutazione.
Quindi, so che “io” cambia continuamente, ha parti e non è separato dagli aggregati. È imputato su essi e non può essere conosciuto da solo. So tutto questo ma, affinché tale imputazione dell’“io” su questo flusso di continuità di aggregati sia corretta, deve esserci qualcosa di unico e riscontrabile dalla sua parte che renda “io” “io”, e non tu. Questo è un livello più sottile di ciò che sorge automaticamente nel contesto di tutta questa etichettatura mentale, tutto ciò di cui abbiamo discusso – c’è ancora qualcosa dalla parte dell’“io”, dalla parte dell’oggetto di riferimento della parola “io” che mi rende unicamente “io”, un individuo unico, che stabilisce “io” come “io”. Questo modo impossibile di esistere, di stabilire l’esistenza, è ciò che i prasanghika confutano.
Spesso pensiamo “Devo trovare il vero ‘me’”, devo trovare questa unicità, specialmente in Occidente dove vogliamo affermare tale individualità, qualcosa che renda “me” “me”. E pensiamo che sia da qualche parte dentro di noi, anche se è un po’ vago dove potremmo trovarlo. Poi abbiamo tutti i tipi di strane nozioni, “Ieri sera ero ubriaco, non ero ‘me stesso’”.
La confutazione di un tale falso “me” - la cui esistenza è stabilita da qualche caratteristica unica definitoria nel “me” o negli aggregati - ci porta alla visione prasanghika della vacuità, secondo cui l’esistenza del sé o di qualsiasi cosa è stabilita semplicemente in termini di un’etichetta, un concetto “me”. Non c’è nulla dalla parte dell’oggetto referente che lo stabilisca o lo renda un elemento conoscibile e unico che può essere conosciuto. Non c’è nulla dalla parte dell’oggetto che stabilisca una sorta di perimetro, di rivestimento di plastica che rende questa cosa un elemento unico che può essere conosciuto, in questo caso, “me”. Spesso, pensiamo a questo in termini di caratteristiche definitorie dalla parte dell'oggetto che lo rendono ciò che è, lo definiscono come “me”, “Questo è ciò che rende ‘me’ ‘me’”.
Tuttavia, “io” continuo a funzionare
Ma quando lo confutiamo, non è che non ci rimane più un “io”. Questo è il molto importante “tuttavia sono qui; sto parlando, mi sento felice o infelice. Devo ancora alzarmi la mattina, vestirmi e andare al lavoro o a scuola”. Ma tutto questo può funzionare perché non c’è nulla sul lato dell’oggetto che lo stabilisce. Se ci fosse qualcosa sarebbe come una pallina da ping-pong, come dicevamo. Non potrebbe interagire con niente, resterebbe lì e basta. Come posso imparare qualcosa? Se imparassi qualcosa da qualcun altro o da un libro, non sarei più “io”, perché è qualcosa in aggiunta a “io”. Diventa davvero strano se controlli davvero tutte le conseguenze assurde del credere a questi modi impossibili di esistere.
Quindi dobbiamo sempre tenere a mente questa clausola “tuttavia”. Nonostante il sé sia privo di tutti questi modi impossibili di esistere, tuttavia io continuo a funzionare, a fare cose e posso ancora raggiungere l’illuminazione. Quindi lavoriamo per accumulare forza positiva, per capire, per studiare, per pensare, per meditare, per aiutare gli altri, eccetera, senza preoccuparci di “Oh! Devo essere un unico ‘io’ e devo esprimere la mia individualità”, e “Gli piacerò?” e “Cosa penseranno di me?” e tutto questo genere di cose. Non abbiamo bisogno di tutto questo che io chiamo spazzatura mentale. Non ne abbiamo bisogno: si basa su una falsa idea di, sai, “c’è un piccolo me dentro che devo proteggere”.
La stessa analisi si applica anche alle altre persone. Abbiamo così tante difficoltà con gli altri a causa di questa visione errata di pensare che ci sia qualcosa di speciale, unico, dalla parte dell’altra persona che la rende ciò che è. “Ci sono un sacco di persone là fuori che potrebbero piacermi e amarmi ma questo non conta, voglio che tu mi ami. Ora tu sei quello che fa davvero la differenza per me”. Perché? “Perché ci deve essere qualcosa di speciale dalla tua parte che ti rende te”, e “Devo avere te, proprio te, che ami ‘me’”. E naturalmente ci arrabbiamo molto quando ciò non accade.
La stessa cosa con gli oggetti. “Il mio computer” e “c’è qualcosa in questo che lo rende mio” o “l’ho comprato, dopotutto”. Pensiamo anche gli oggetti abbiano la stessa falsa identità, qualcosa dalla loro parte che li rende - come l’esempio di prima - un orologio, e quindi il bambino che lo considera come un giocattolo è stupido o pericoloso, lo romperà. Ora, potrebbe romperlo, è vero, ma ti arrabbi così tanto “Questo è il mio oggetto prezioso e questa persona pensa che sia un pezzo di spazzatura. Riesce a vedere chiaramente che c’è un valore che lo rende bello e costoso” e così via. Puoi provare tutti i tipi di emozioni disturbanti.
Oppure pensiamo “Ho un problema” e che ci sia qualcosa nel problema che lo rende un problema, come se fosse questa grande, orribile palla seduta lì fuori. Se fosse così, dovrebbe essere un problema per tutti e non ci sarebbe modo di liberarsene, perché “Eccolo lì, seduto!”. C’è qualcosa dal suo lato che lo rende un problema. Io lo etichetto “un problema” ma è sorto da cause e circostanze che possono essere influenzate e possono essere cambiate, quindi “non è un gran problema!”. Non c’è nulla di inerente e di trovabile in esso, seduto lì, che lo rende un problema solido tutto da solo, per suo stesso potere.
Concentrarsi sulla vacuità
Quando ci concentriamo sulla vacuità ci concentriamo su “non esiste una cosa del genere. Non è mai esistita; non esisterà mai”. Sebbene possa sembrare che ci sia questo “io” impossibile, quella sensazione non si riferisce a nulla di reale. “Non esiste una cosa del genere” e poi recidiamo questa convinzione, recidiamo ogni idea che esista una cosa del genere.
Avete qui Babbo Natale? Ho visto qualcuno per strada, vestito con un abito rosso e un cappello buffo. Ecco un uomo vestito da Babbo Natale e che gli assomiglia; penso che sia Babbo Natale, ma poi dopo aver pensato e ripensato scopro che Babbo Natale non esiste. Quindi cosa mi rimane? Un uomo che assomiglia a Babbo Natale, ma che non è Babbo Natale. Quindi mi rimane qualcosa, la base, l’uomo. Non stiamo negando l’uomo ma l’apparenza ingannevole “Sembra che questo sia davvero Babbo Natale!”. Quindi, con la comprensione della vacuità capiamo non solo che non è Babbo Natale, ma che anche quello all’altro angolo non è davvero Babbo Natale. Capiamo che “Non esiste Babbo Natale” e che quella è un’apparenza ingannevole.
È esattamente la stessa cosa: c’è un “io” convenzionale che sembra esistere come il “falso io”, ma non esiste una cosa come il “falso io”, non si riferisce a nulla di reale. E così ci ritroviamo con l’“io” convenzionale che sembra il “falso io” e più ci familiarizziamo con questo e ci abituiamo a questa comprensione che “non esiste una cosa del genere”, più alla fine la mente smetterà di proiettare questa apparenza ingannevole. Quindi pensiamoci un attimo.
[meditazione]
Cosa determina l’individualità?
Qual è il ruolo di quell’unicità o individualità? Ha detto che non c’è un sé unico, che Buddha Maitreya non è Buddha Shakyamuni e quindi i vari sé sono unici, funzionano come individui con una coscienza senza inizio. Quindi, qual è il confine tra non essere unici, ma essere individuali?
Siamo tutti individui, ma non c’è nulla da parte di ognuno di noi che ci renda quell’individuo. Niente di trovabile. Anche se pensi in termini di geni e cromosomi, quando guardi in profondità ci sono le varie sostanze chimiche costituite di vari atomi, costituiti di vari elettroni, quark e così via. Non puoi trovare alcunché.
Quindi, convenzionalmente, possiamo dire che ci sono certe caratteristiche definitorie, in termini di karma e continuità di causa ed effetto, e così via. Quindi il continuum mentale di una persona è basato su causa ed effetto e quello di un altro è basato su un diverso flusso di continuità di causa ed effetto. Ma non è che questa sequenza di causa ed effetto sia lì, da qualche parte nell’oggetto. Le abitudini, le tendenze karmiche e così via, sono imputazioni sul continuum degli aggregati, proprio come lo è il sé e anche la loro esistenza è stabilita semplicemente in termini di etichettatura mentale con concetti e designazione con parole.
Guarda causa ed effetto. Un semplice esempio che viene sempre usato nel Buddhismo è quello del seme e del germoglio: un germoglio è il risultato del seme e un seme è la causa del germoglio. C’è qualcosa nel germoglio che puoi trovare che dice “Sono venuto da quel seme?”. C’è qualcosa nel seme che dice “Darò origine a quel germoglio?”. Ovviamente no. Quindi, cosa stabilisce che il seme è la causa del germoglio e il germoglio è il risultato del seme? Cosa lo stabilisce, lo dimostra? È stabilito in termini di etichettatura mentale, “questa è causa ed effetto”, in base al concetto di causa ed effetto. Il seme era la causa del germoglio? Sì. Il “fattore tuttavia”. Aveva importanza sapere o meno che questo seme era la causa del germoglio? No, non fa alcuna differenza. Ciò richiede molta riflessione.
La mente di chiara luce è il sé?
Ieri ha parlato del livello più sottile della mente, la mente di luce chiara, che collega tutte le nostre esperienze e ha vite diverse, rinasce e così via, ed è alla base di tutti i tipi di esperienze che viviamo. Sembra più o meno ciò di cui sta parlando ora, il “vero sé” sottostante che è unicamente nostro. In che modo corrisponde?
No! Se chiediamo “Cos’è che ha continuità senza inizio e senza fine?” potremmo dire “la mente più sottile con l’energia più sottile che ne è la base”. E questa è la base su cui viene imputato il “me” convenzionale, così come le tendenze karmiche, le abitudini e così via. È anche la base per etichettare i concetti di “me”, tendenze karmiche e abitudini ed è anche la base per la designazione con le parole “me”, tendenze karmiche e abitudini. Ma la base della designazione non è la stessa a cui la designazione si riferisce. Ecco perché ho detto che per comprendere veramente la vacuità si devono capire correttamente l’etichettatura e la designazione mentali, tutte le componenti coinvolte nell’etichettatura e nella designazione.
Ricordate l’esempio: un’arancia non è una forma colorata, non è un odore né un sapore. Quelle sono le basi per la designazione e un’arancia non è la parola “arancia”. Non è uno schema acustico senza senso che un gruppo di persone ha deciso di usare per rappresentare questo oggetto convenzionale che ora chiameranno “arancia”. Abbiamo anche una convenzione per cui certe linee su un pezzo di carta rappresentano questo oggetto. È davvero strano, se ci pensate.
L’ignoranza non ha inizio
Da dove viene questa ignoranza innata e masochistica? A quale scopo serve?
Questa è una cosa molto difficile da comprendere e con cui poter lavorare per noi occidentali. Ma parliamo in termini di continuità senza inizio. Quindi c’è una mente senza inizio, un continuum mentale senza inizio, confusione senza inizio, inconsapevolezza senza inizio, inconsapevolezza innata - nessun inizio. Non è stata creata da nessuno. Non serve allo scopo di qualcuno. Nessuno ce l’ha messa come un test, come un brutto scherzo o una barzelletta.
La cosa orribile è che automaticamente sembra proprio così, a causa dei nostri corpi e delle nostre menti limitate. Sembra così, come se “io fossi un ‘io’ separato, autosufficiente conoscibile, trovabile”, e non è solo il caso quando quel continuum mentale con l’etichetta “io” capita, per varie ragioni karmiche, di essere associato a un corpo umano ma anche quando è associato al corpo di un insetto o di qualsiasi cosa.
Se cerchi di impedire con un dito a una formica di muoversi lei scapperà in un’altra direzione, se cerchi di farla salire su un foglio scapperà. Perché? Pensa in termini di “io”. Potrebbe non avere la parola “io”, ma ne ha sicuramente un concetto e sta cercando di difenderlo. Nessun inizio: è difficile da capire davvero.
Se guardi le cose in termini di causa ed effetto, allora ogni causa è un effetto, un risultato, della causa precedente. “Ecco la causa e qui l’effetto”, non puoi trovare la causa ultima, la prima, perché ogni causa è il risultato di qualcos’altro. Quindi, forse questo è un modo utile per arrivare al “nessun inizio”, perché questo è sempre il problema con un creatore che è la causa prima. Ma da dove è venuto il creatore? Devi dire che il creatore o è sempre stato lì, o il creatore è venuto dal nulla.
Questa discussione può andare rapidamente molto in profondità se parliamo del tempo e questo genere di cose. Dal punto di vista del Big Bang, e del tempo e dello spazio a partire da esso, non ha alcun senso parlare di qualcuno che ha creato il Big Bang, perché la stessa creazione implica il tempo, e se il tempo è stato creato come puoi avere una variante temporale di ciò che lo ha creato. Diventa un problema metafisico, detto molto semplicemente “Come puoi avere un inizio dell’inizio? Come puoi creare un inizio?”. Creare un inizio implica che ci sia qualcosa prima di esso.
Bisogna capirlo nel contesto dei “cicli”, e ogni universo degli innumerevoli esistenti attraverserà un ciclo. All’interno di quel ciclo di evoluzione, mantenimento, disgregazione e poi vuoto, c’è un certo periodo in cui quel sistema di mondo sarà in grado di supportare la vita, gli esseri senzienti, la vita senziente e quindi si ottiene, fondamentalmente, la versione dell’evoluzione del Buddha, di cui le forme di vita sono disponibili all’interno di quel sistema di mondo in cui i continua mentali potrebbero incarnarsi.
Quindi, ogni singolo universo avrà un inizio, in termini di ciclo, ma non c’è un inizio per i cicli in generale, non c’è un primo ciclo. E ci sono innumerevoli universi e stanno tutti attraversando un ciclo, e non in modo sincrono. Quindi c’è sempre un luogo dove gli esseri senzienti rinasceranno. E non è che gli esseri senzienti di un sistema mondiale o di un universo, nasceranno sempre in quel sistema mondiale o universo.
Passare da una comprensione concettuale a una non concettuale della vacuità
Per citare Chogyam Trungpa Rinpoce, nel suo libro Al di là del materialismo spirituale ha detto che la ragione per cui non realizziamo la vacuità è che stiamo tentando di realizzare la vacuità. Quindi, come funziona?
Questo si riferisce a come si passa da una comprensione concettuale a una non concettuale della vacuità. Il punto è che, se si crea una questione sulla vacuità e sulla sua comprensione, allora ciò si basa su un malinteso. Noi concepiamo “me” come una “pallina da ping-pong” qui, e la vacuità come una pallina da ping-pong là, e la mia comprensione di essa è un’altra pallina da ping-pong, che devo collegare a quella pallina. E poi ci si impegna molto duramente affinché il “me” la realizzi. Poi, ovviamente, non la otterremo mai perché abbiamo un malinteso dell’intero processo.
Ciò non significa che non ci impegniamo costantemente per comprenderla vacuità: non la comprenderemo semplicemente sdraiandoci al sole e bevendo limonata, non accadrà. È come quando pensiamo “Ora mi divertirò, proverò a divertirmi”, non funziona, vero? Meglio farlo in fretta, perché il tempo sta per scadere. Questo rovina sempre tutto, quando sei con qualcuno e dici “Non ci stiamo divertendo?” come se ci fosse qualcosa nel “bel momento”, che lo trasforma in un bel momento ed eccola lì questa pallina da ping-pong, un bel momento e dobbiamo trovarla in quella discoteca o in quella festa.
Lo scopo delle visioni filosofiche riguardanti la vacuità
Qual era l’intento sottostante allo sviluppo della filosofia buddhista? Perché di solito si dice che tutti quegli insegnamenti si applicano a noi come rimedi e servono ad aiutare gli esseri senzienti. Ci curano e ci aiutano a raggiungere la liberazione o l’illuminazione per innumerevoli esseri prima. Tutte queste scuole filosofiche elevate del Buddhismo Mahayana allevano e aiutano tutti gli esseri e molti hanno ottenuto l’illuminazione usandole come loro visione ultima. Quindi qual è l’intento del suo sviluppo e di Lama Tsongkhapa, per esempio, nel reinventare e riscrivere l’intera cosa se un gran numero di esseri prima di lui hanno raggiunto, con quella comprensione, l’illuminazione sia in Tibet sia fuori dal Tibet. Qual è il punto sottostante l’evoluzione di questa filosofia dagli inizi dal modo in cui è stata data da Buddha o da Nagarjuna?
Il modo in cui gli insegnamenti furono presentati dal Buddha potrebbe essere stato chiaro ad alcuni arhat nei primi tempi, coloro che erano in grado di capirlo direttamente da Buddha. Ma per la maggior parte degli altri, in particolare con il passare del tempo, divenne confuso ciò che era detto nei sutra, da qui l’esigenza dei commentari indiani. Poi divenne ancora meno chiaro, e così ulteriori commentari. La ragione per scrivere ulteriori commentari nel tempo è rendere le cose più chiare per le persone di quel tempo, per le quali le presentazioni precedenti non erano più così chiare.
Inoltre, come ha sottolineato Sua Santità il Dalai Lama, ci sono stati molti maestri in passato che sono stati praticanti molto sviluppati e hanno raggiunto traguardi davvero elevati - che sia l’illuminazione o meno è irrilevante – ma che non erano molto bravi a esprimersi e che hanno scritto testi confusi e poco chiari. Ciò non significa che non abbiano ottenuto realizzazioni molto elevate; solo perché hai ottenuto realizzazioni elevate non significa che puoi spiegarle agli altri e scrivere testi chiari.
Inoltre, i tempi e i modi di pensare cambiano, ed è necessario spiegare le cose in un modo che le persone della tua epoca e della tua cultura possano capire. Sentiamo gli insegnamenti spiegati dai tibetani con esempi di yak e asini e forse questo non ha molto senso per noi; ma se lo spieghiamo in termini di lavoro con un computer, potrebbe essere più facile. “Non essere come l’asino che, quando gli viene versato dell’oro nell’orecchio, lo scrolla via”. Ottimo esempio, possiamo capirlo, ma “Non essere come qualcuno che scarica un file sul computer, dimentica di salvarlo e poi è sparito”. A quale esempio possiamo relazionarci meglio? Alcune persone possono relazionarsi con un esempio, altre con l’altro esempio. “Io possiedo un computer, non un asino. Quindi posso relazionarmi con l’esempio del computer”.
La necessità di costruire forza positiva per comprendere la vacuità
Spero che ora abbiamo un’idea generale della vacuità. È molto difficile capirla davvero e, anche se la capiamo, è difficile avere una profonda convinzione viscerale che sia così. Quindi, per capire, non è sufficiente semplicemente ascoltare, pensarci e cercare di meditare e così via. Non è sufficiente farlo solo per acquisire la conoscenza. Non basta perché abbiamo molti “blocchi mentali”, “non capisco e c’è una specie di blocco che mi impedisce di capirlo davvero”. Per superarli abbiamo bisogno di una grande quantità di forza positiva.
Ecco perché dobbiamo compiere molte azioni costruttive come aiutare gli altri, fare prostrazioni o altro per costruire questa rete di forza positiva, a volte tradotta come “raccolta di meriti” anche se sembra che tu debba collezionare abbastanza francobolli per vincere un premio. Devi costruire abbastanza forza positiva, come caricare abbastanza una batteria in modo che si accenda. Quindi, dobbiamo mettere energia e forza positiva per poter superare il blocco mentale e capire qualcosa. È così. È utile questa immagine di mettere in carica una batteria in modo che funzioni: non è che dobbiamo fare certe cose e poi guadagniamo la comprensione, come se la comprassimo grazie al merito, all’essere meritevoli. Questo tipo di modo di comprendere il processo è abbastanza fuorviante.
Non basta compiere azioni positive, bisogna farlo con la giusta motivazione e la dedica di quella forza positiva “Possa contribuire a ottenere bodhicitta, la comprensione della vacuità e così via, in modo che agisca come causa per raggiungere l’illuminazione a beneficio di tutti”. Senza tale dedica corretta stiamo solo accumulando una carica positiva sulla batteria per far girare in tondo una stupida macchinina ripetutamente e creare un piacevole samsara. Quindi, pensiamo “Qualunque forza positiva e comprensione sia venuta da questo, possa agire come causa per comprendere veramente la vacuità con piena bodhicitta, in modo da poter davvero raggiungere l’illuminazione a beneficio di tutti”.